Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Al cambio di luna: Racconti
Al cambio di luna: Racconti
Al cambio di luna: Racconti
E-book173 pagine2 ore

Al cambio di luna: Racconti

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Brevi racconti. Quasi minimal ma non per questo di minor rilievo. Storie raccontate dal punto di vista femminile, mai noiose, alcune volte quasi paradossali che esprimono comunque un punto di vista diverso e anche inaspettato. Si leggono tutti d’un fiato perché incuriosiscono e fanno anche sorridere. Uno sguardo al mondo femminile soffice ma contemporaneamente disincantato.      Paolo Villaggio
LinguaItaliano
Data di uscita10 ago 2018
ISBN9788869243943
Al cambio di luna: Racconti

Correlato a Al cambio di luna

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Al cambio di luna

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Al cambio di luna - Paola Merolli

    AL CAMBIO DI LUNA

    EDIZIONI SIMPLE

    Via Trento, 14

    62100 Macerata

    info@edizionisimple.it / www.edizionisimple.it

    ISBN edizione digitale: 978-88-6924-394-3

    Stampato da: WWW.STAMPALIBRI.IT - Book on Demand

    Via Trento, 14 - 62100 Macerata

    Tutti i diritti sui testi presentati sono e restano dell’autore.

    Ogni riproduzione anche parziale non preventivamente autorizzata costituisce violazione del diritto d’autore.

    Prima edizione cartacea: giugno 2018

    Prima edizione digitale: giugno 2018

    Copyright © Paola Merolli

    Diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo, riservati per tutti i paesi.

    a mia madre

    «È tutta colpa della Luna, quando si avvicina troppo alla Terra fa impazzire tutti.»

    William Shakespeare

    INDICE

    Luna nuova

    Luna dei Fiori

    Luna del Lupo

    Luna delle Fate

    Luna crescente

    Luna della Lepre

    Luna delle Erbe

    Luna della Vendemmia

    Luna piena

    Luna della Fragola

    Luna della Tempesta

    Luna della Quercia

    Luna calante

    Luna dell’Anima

    Luna della Nebbia

    Luna Blu

    Luna Nuova

    Luna dei Fiori

    Luna allegra. Luna delle rane. Luna della coppia. Il freddo è solo un ricordo. Ora il principio maschile e quello femminile si incontrano. Le piante germogliano.

    Piove. Gocce tamburellano contro le persiane chiuse. Gocce atterrano sulle mattonelle a scacchiera del bal-cone con un tintinnio secco, incalzante, un becchettare da galline, mentre altre rimbalzano sulle foglie a orecchio d’elefante, come chicchi di melograno.

    La sveglia sul comodino lampeggia e inizia a suonare. La guardo irritata. È presto. Si deve essere sbagliata. Lei continua, però, imperterrita e superba. Deve avere un’avversione personale nei miei confronti. Mi vendico: con un dito le tolgo la voce, la rendo invisibile.

    Che strazio! Dormivo così bene. Sognavo di volare verso la luna, ricoperta da un mantello di lino con segni e figure dipinti da me: la mappa della mia vita, gioie e dolori.

    Un lampo e il campanello della porta. Non ci sono scappatoie. Squilli insistenti. Devo andare.

    Chi può essere? Non aspettavo nessuno a quest’ora. Mi guardo in giro soddisfatta. Ieri ho riempito la casa di morbidi cuscini variopinti, una baraonda chiassosa: oggi è uno degli anniversari del glorioso Giorno del Cambiamento.

    La misteriosa creatura ha iniziato a battere i pugni contro la porta. Devo aprire. Sto per farlo, quando mi accorgo di indossare ancora il pigiama: orsacchiotti bruni che si rincorrono tra mazzi di bianchi gelsomini, su di un prato verde acqua!

    Fino a poco tempo fa, fino al fatidico Giorno, non mi sarei mai fatta vedere così: sarei corsa ciabattando verso l’armadio e ne avrei tirato fuori un pesante burka. Ma ora non me ne importa.

    Apro. Solo uno spiraglio. Davanti a me un uomo senza età. Basso e tondo, con un gran ciuffo di capelli e una valigetta.

    È stremato dalla lunga attesa e mi fissa inebetito.

    Lei chi è?

    Il tecnico del computer borbotta, indicandomi il marchio sul risvolto del giaccone e scansandomi per entrare finalmente in casa.

    È sola?

    Alla mia risposta affermativa si rilassa. Nessun rivale. Può occupare il territorio e chiudere le labbra sui denti pronti a sbranare. Si toglie il giaccone e apre la valigetta con un sinistro fruscio della cerniera.

    Vuole un caffè? devo tornare padrona della mia casa.

    No, grazie. Inizio subito.

    Di poche parole ed efficiente. Un uomo soffocato da un uso eccessivo di tecnologia. Abitudinario e monotono, rimugina invece di macinare farina. Peccato. Avrebbe potuto essere un pirata, con la classica toppa nera sull’occhio mancante, perso per una scheggia di legno schizzata dall’albero maestro. Provo per lui una soave commiserazione.

    Io, una volta, passavo notti intere a consultare i tarocchi.

    Buon per lei risponde annoiato. Mi vorrebbe azzittire ma, con la nuova me, non funziona.

    Lei sogna?

    Naturalmente lui non sogna mai, e se lo fa, non lo ricorda. Il suo sonno è fatto con la stessa stoffa della realtà.

    Devo lavorare mi risponde continuando ad intrecciare fili e ruotare viti.

    Sì, certo. Ma può diventare tutto così monotono, senza anima.

    Con l’anima non si mangia. Dalle nostre parti si dice: l’uccello mattiniero acchiappa il verme.

    Proprio così mi ero sentita fino a quel magico giorno: un verme bianco, molle come il fumo, rinchiuso dentro una bolla di vetro.

    Si è mai sentito in trappola?

    Una volta. Ero rimasto chiuso in ascensore.

    Una risposta deludente. Mi avvicino alla finestra. Scrosci di pioggia. La città è sommersa da acque verdi. Un paesaggio sottomarino.

    I rami degli alberi fluttuano come alghe e le persone si muovono con un’andatura lenta, dondolante, da pesce.

    Odore di terra bagnata.

    Sua madre? chiede il lavoratore infaticabile, per riguadagnare terreno, indicando una foto incorniciata sulla mensola del camino.

    No. Mia nonna.

    Vicino alla foto c’è una palla di semi d’araucaria: me la portò da non so più quale paese. Emana ancora un leggero sentore di lei. La poggio sul cuore, come un chiodo di garofano sul dente che duole.

    La nonna ha sempre creduto in me: è stata l’unica. Mia madre, in compagnia di zie e cugine, passava il tempo a pregare tra ceri e confessionali perché io diventassi una maestra o una suora. Una combriccola bisbigliante che si riuniva per frantumare il mio futuro. Per loro non avrei mai provato le gioie dell’amore e, sicuramente mai, quelle del talamo.

    Erano tutti convinti che sarei rimasta sola per il resto della mia lunghissima vita.

    Come mai? sussurra l’uomo, la testa scomparsa sotto il tavolo.

    Sono brutta.

    Non dica così.

    La sua debole protesta è accompagnata dalla luce spettrale di un lampo e il suono raggelante di un tuono. Fino al Giorno del Cambiamento non avevo mai assaporato la sensazione dello sguardo di un uomo su di me. Mai saputo cosa si prova ad essere corteggiate, e nessuno, mai, mi aveva chiesto di procreare.

    Agli esseri più belli si chiede una progenie, sì che mai non perisca la rosa di bellezza. Shakespeare declamo. Ed ecco apparire il mio gatto: l’ho chiamato come il celebre drammaturgo ed ho inciso questa frase sulla catenina che porta al collo. Sono una fanatica della bellezza e di chi la possiede, la bellezza senza scopo. Legame con il divino.

    Anche lui è brutto mormoro.

    No, non è vero!

    Sul gatto il suo tono di protesta suona molto più convincente.

    Shakespeare non è un prezioso esemplare con il pelo terso, ma un trovatello. L’unica cosa bella che ha sono gli occhi color pesca e le ciglia piumose. Lui, però, non si lamenta mai. Con noncuranza si lascia accarezzare e poi sparisce. Prende la vita com’è.

    Quanti anni ha? mi chiede, continuando ad accarezzare Shakespeare che inarca la schiena e fa le fusa, beato.

    Non lo so. Lei ha un gatto?

    No. Avevo un merlo dal becco dorato. È morto.

    Il suo primo accenno d’umanità. Forse riuscirà a capire.

    Io ho passato la maggior parte della mia vita a vegetare. Mi accontentavo di esistere.

    È impossibile non finire per essere come gli altri credono che uno sia.’ L’ho letto da qualche parte.

    Che la mia prima impressione sia stata completamente sbagliata? Non un leggendario pirata, ma un filosofo con la barba bianca e il mento poggiato su una mano, in posa pensosa e rassegnata?

    Ad ogni modo si sbaglia. Io ho cambiato il mio destino. Con un unico, semplice gesto ho ribaltato la realtà: ho ricominciato dal principio. Di nuovo viva, con corpo e cuore in salvo.

    Se fossi nata durante il Medioevo avrei avuto qualche probabilità in più.

    Perché?

    La voce del filosofo-pirata mi arriva lontana, sommersa da quella più forte dell’acquazzone.

    Avrei potuto annullare gli effetti devastanti della mia bruttezza con potenti elisir d’amore fatti con radici di mandragola raccolte ai piedi dei patiboli, dove germogliavano grazie allo sperma degli impiccati…

    Parlo e mi avvicino sempre più alla mia vittima, fino a soffiarli sul viso sussurri, versi di uccelli, miagolii e schiocchi di lingua.

    Il poveretto indietreggia spaventato e balbetta. Se ora potessi avere quel caffè…

    Entro in cucina con un sorriso soddisfatto. Ce la sto facendo. Sto parlando con uno sconosciuto. Per me non provare timidezza, non nascondermi, è un’esperienza così esaltante: prima di quell’evento incredibile non l’avrei mai fatto. Non parlavo mai di ciò che provavo.

    Mi aggiravo silenziosa tra i sentimenti e piangevo. Le lacrime mi scendevano sul viso, lungo il fianco del naso, come gocce di pioggia, ma più lente. Oppure le inghiottivo. Ne ho inghiottite così tante che a soli diciotto anni iniziai a soffrire di gastrite e rigurgiti gastrici. Ora ho smesso di piangere.

    Il caffè è pronto. Lui afferra la tazzina con un gesto veloce, ancora guardingo.

    Lei forse penserà che sia un po’ strana…

    No, ma che dice? sogghigna e sorseggia rumorosamente il caffè.

    Fa lo spiritoso. Lui non sa cosa vuol dire sentirsi una donna sana, rinchiusa dentro un corpo che tutti ignorano. È una tragedia. Le donne non sopportano di essere ignorate. Neanche le dee. Quando Agamennone doveva partire per Troia, Artemide gli tolse il vento: era arrabbiata perché nessuno l’adorava.

    Allora, ha finito?

    Non si arrabbi.

    Come non essere infuriata quando faccio parte di quella folta schiera di donne considerate brutte e accettate solo perché fanno risplendere ancora di più le donne belle? Le brutte sono necessarie per mantenere l’ordine universale e accrescerne la varietà. I mostri hanno fascino; sono, al contempo, amati e temuti.

    E non so neanche cucinare!

    Ma perché non…

    Stia zitto. Il massimo cui avrei potuto aspirare, fino al memorabile ‘Giorno’, era di diventare la badante di una vecchia e ricca signora.

    Non dica così.

    La smetta!

    Lo preferisco quando sta zitto, ma, come la maggior parte degli uomini, non accetta consigli e riprende a parlare, infaticabile come il suo cacciavite.

    Ha mai provato con i gruppi di sostegno?

    Mi sono proprio sbagliata. Su di lui il mio intuito, raffinato in anni di silenzioso apprendistato, non ha funzionato. Non è un pirata, né un filosofo: è un rompiscatole. Vuole darmi dei suggerimenti. A me che non ho lasciato niente d’intentato. Ho provato con gruppi di sostegno per problemi ossessivi, aggressivi, paranoici, distruttivi; per alcolisti, fumatori, mangiatori e digiunatori.

    Ce l’ha con me? aggiunge.

    Lo guardo. Prima della mia sconvolgente esperienza gli uomini erano destinati, tutti, all’inferno. Ma ora ho solo voglia di giocare con loro in un letto a baldacchino, inventando insieme nomi e posizioni differenti: il salto della rana sul fiore di loto, il risveglio del serpente nel lago incantato, la danza dell’albero frondoso in una notte di luna piena… mi accorgo, con un certo imbarazzo, che sto piroettando per la stanza mimando i pensieri.

    Non so quale sia stata questa sua ‘famosa esperienza’, ma certo le ha fatto un grande effetto.

    Mi fa un po’ pena quest’uomo ancora in cerca di un personaggio da interpretare.

    Fuori continua a piovere così forte che sembra di essere ai piedi di una cascata, circondati da un umido pulviscolo nebuloso.

    Ha ragione. Devo calmarmi e raccontarle quello che mi è successo. Dal principio. Le va?

    Per tutta risposta mi gira le spalle e sparisce sotto il tavolo. Non ha alternative. Deve finire il suo lavoro e ascoltare la storia di una donna brutta. Brutta e con tanti peli. Passo un giorno sì e l’altro pure a depilarmi. Prima del grande ‘Giorno’ non lo facevo.

    A che scopo, mi dicevo, sottoporsi alla tortura, quando i miei occhi non sono azzurri come laghi e sono spesso cerchiati da profonde occhiaie? Quando le labbra non sono turgide e gonfie, i fianchi sono ampi e prosperosi come le scalinate barocche e i seni piccoli e con possenti capezzoli? Cosa importa, allora, qualche pelo in più? Nulla. I peli superflui non cambiavano la mia misera e deprimente situazione.

    Ero anche molto sola. Gli unici uomini che frequentavo erano un prete e un analista e non per mia scelta ma sotto consiglio di Rosa, la mia unica vera amica. Ci conosciamo dalla nascita e per questo aveva capito che, piano piano, stavo smettendo di credere alla vita. E come avrei potuto? Passavo la maggior parte del tempo ad occhi chiusi, ripetendomi sottovoce: Il mondo è meraviglioso e poi aprivo gli occhi e mi vedevo riflessa in una vetrina o dentro una pozzanghera.

    A casa avevo solo uno specchietto, così mi guardavo a spicchi, dettagli, pezzi di un puzzle mai

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1