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Bingo & Bongo. L'Italia siamo (anche) noi
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E-book95 pagine1 ora

Bingo & Bongo. L'Italia siamo (anche) noi

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Info su questo ebook

Alberto Attolini propone un nuovo testo satirico. Una storia di immigrazione e di integrazione, che si svolge nell'Italia dai nostri giorni, ha come protagonisti due fratelli totalmente differenti: uno onesto, l'altro mascalzone. In un Paese che va a rovescio è facile intuire chi sarà acclamato come nuovo cittadino.
LinguaItaliano
Data di uscita10 dic 2014
ISBN9786050341959
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    Anteprima del libro

    Bingo & Bongo. L'Italia siamo (anche) noi - Alberto Attolini

    Alberto Attolini

    Bingo & Bongo. L’Italia siamo (anche) noi

    Avvertenza

    Questo libro è un romanzo di genere satirico-umoristico. Tutto quel che è scritto in queste pagine è unicamente frutto della fantasia dell’autore. Pertanto ogni riferimento diretto o indiretto a persone realmente esistenti o a fatti realmente accaduti è da ritenersi assolutamente casuale.

    PROLOGO

    Sulla gru

    «Signor prefetto, la prego: un’ultima domanda...».

    Faceva caldo quel giorno. Del resto era il 2 giugno e ci si trovava a Bologna. Giulia, giovane giornalista di una testata locale, stava inseguendo il prefetto che, dopo aver partecipato alla cerimonia in piazza Maggiore, si dirigeva verso la sua dimora attraversando le strade medievali alle spalle della basilica di San Petronio. Il povero uomo, dopo una faticosa mattina trascorsa a stringere mani e a distribuire diplomi di nomina a cavaliere dell’Ordine al merito della repubblica, aveva immaginato di potersi rilassare con una passeggiata solitaria per il centro della città, ammirandone i palazzi storici. Sue grandi passioni, infatti, erano l’architettura e la storia dell’arte, argomenti che con gioia aveva scoperto abbondare nella città felsinea. Ma, come si sa, l’uomo non può far altro che proporre... Fu così che, al termine della manifestazione, quando era riuscito a sgattaiolare via dalle cordialità interessate delle cosiddette autorità (quelle che in genere si scrivono con la a maiuscola, in modo da farle apparire più autorevoli), e non appena aveva potuto intrufolarsi in un labirinto di viottoli accompagnato solo da due agenti in borghese come scorta discreta, si sentì chiamare. Si fermò e scoprì di essere ricercato da una giovane giornalista, che voleva porgli un paio di domande sulla questione della disoccupazione. Il prefetto ci mise del suo nel complicarsi la vita: vedendola giovane e bella, pensò fosse una sorta di soubrettina e acconsentì all’intervista. Già alle prime battute, però, si pentì di aver accettato. Quella che gli era sembrata un’ochetta, assunta perché generosa di coscia con il direttore, si era rivelata subito un peperino, tosta, e che sapeva il fatto suo. Perbacco, quella vipera aveva esordito ricordandogli le migliaia di bolognesi disoccupati e chiedendogli cosa ci fosse da festeggiare. Da quell’incipit l’intervista proseguì in un crescendo di domande, anzi, di affermazioni che erano veri e propri atti d’accusa verso la gestione dell’economia e del mercato del lavoro, tanto a livello locale quanto a livello nazionale, oltretutto inconfutabili e incontrovertibili. Era sulla graticola e si stava scocciando di quella ragazzina. Insomma: lui in fondo era solo il prefetto, mica il Padreterno! Finalmente, di fronte all’ennesima domanda imbarazzante, disse basta e la fece allontanare dagli agenti, mentre lui, con passo celere, cercava di prendere il largo. Fu allora che accadde il dramma drammatico.

    Mentre si affrettava a fuggire dalla giornalista, costeggiando un edificio in ristrutturazione, si sentì un grido riecheggiare per la via: «Attenzione!». Di colpo il prefetto si bloccò e, istintivamente, alzò lo sguardo verso il cielo, da cui sembrava fosse scesa la voce. Per una frazione di secondo vide qualcosa di indefinito correre verso di lui, mentre un brivido freddo gli scendeva lungo la schiena. Udì le urla disperate dei poliziotti e perfino della sua persecutrice: «Signor prefetto, attento!» «Si sposti!» «Nooooo!». Poi fu il buio.

    L’impatto fece un rumore strano, acquoso, anche se in realtà sembrava più consistente di un liquido. Era quasi un fango, orrendo, immondo e maleodorante. Fu una doccia raccapricciante, che lo inzuppò da capo a piedi. Il dolore causato dall’impatto lo aveva letteralmente piegato, e ora se ne stava inginocchiato sul lastricato, cercando di capire cosa lo avesse investito. L’odore ripugnante e nauseabondo gli fece presto intuire di essere stato centrato da una secchiata di escrementi. Feci e urina mescolate, in una melma che lo ricopriva interamente, che gli era penetrata nelle narici, negli occhi, in bocca. Malgrado la violenza della collisione, quella mistura si era insinuata nelle fibre del suo elegante abito in fresco di lana e, attraverso il colletto dell’impeccabile camicia bianca in cotone makò, scivolava sulla sua schiena e prendeva possesso del suo petto.

    Tra il momento dell’impatto e quello della presa di coscienza dell’accaduto, con conseguente urlo liberatorio, passarono solo pochi istanti, ma furono momenti dilatati e densi quanto un’eternità. Il prefetto sembrava reduce da un’immersione in una fogna, senza muta, ovviamente. Sia lui che gli agenti erano gelati, bloccati. Non sapevano che fare. Cos’era stato? Un incidente o un attentato? E ancora: sarebbe seguito altro? Entrambi i poliziotti avevano estratto le pistole: uno la puntava verso il cielo, mentre l’altro teneva sotto tiro ipotetici nemici provenienti da terra. La tensione era alta. Nei giorni precedenti gruppi antagonisti ed estremisti anarchici avevano minacciato azioni violente, per festeggiare a modo loro quella che avevano definito la repubblica delle banche. La Digos si era mossa per tempo e aveva soppresso il dissenso sul nascere, arrestando i capi delle formazioni più rivoluzionarie della già agitata scena cittadina. Questo attentato, perché di attentato si trattava certamente, dimostrava che qualcosa non aveva funzionato, che qualcosa era andato storto nella delicata opera preventiva. Quale sarebbe stata la prossima mossa? Una bomba? Nulla di più facile. Con lentezza, senza distogliere lo sguardo dai paraggi, uno degli agenti si era attaccato alla radio e aveva richiesto l’invio di rinforzi e di un’autoambulanza, mentre dall’aeroporto decollavano un paio di elicotteri, per fornire appoggio dal cielo. Giulia, dal canto suo, si era rannicchiata tra un muro e un suv parcheggiato, facendosi piccola piccola, e tutti si erano dimenticati di lei. In quel momento una voce ruppe il silenzio.

    In un italiano corretto ma pronunciato alla francese, si udì un vocione baritonale, tipico degli uomini di colore, scusarsi: «Scusi signore, io non volevo. Purtroppo è una settimana che sono qui e non sapevo proprio come fare. Non pensavo passasse qualcuno». I quattro alzarono gli occhi al cielo e videro che, sopra il cantiere, si ergeva una gru, dalla quale pendeva un piccolo lenzuolo e dalla cui cabina si sbracciava un uomo.

    Il rumore dei motori degli elicotteri annunciava l’arrivo dei rinforzi. Dall’autoambulanza appena giunta scese un medico che iniziò a sincerarsi della salute del prefetto, mentre il questore in persona assumeva la gestione della situazione. Naturalmente accorrevano anche i giornalisti. Se un istante prima Giulia aveva avuto una certa esitazione su cosa fare, adesso, vedendo arrivare i suoi colleghi come cani affamati sull’osso, decise di sfruttare il suo vantaggio. Essendo ancora rannicchiata dietro il suv, era stata ignorata dalle forze dell’ordine e adesso si trovava all’interno della zona che veniva transennata e interdetta dai marcantoni della celere. Badando a non farsi vedere scivolò tra il muro e le auto in sosta, fino a raggiungere un varco che aveva notato nella recinzione del cantiere. Sgattaiolò furtiva fino ai piedi della gru e iniziò ad arrampicarsi. Mentre saliva sulla scala, lanciò un’occhiata ai tetti dei palazzi sottostanti e provò un brivido lungo la schiena, lei che non aveva mai sofferto di vertigini! In quel momento ebbe una nuova esitazione: chi avrebbe trovato sulla gru? Per quel che ne sapeva lei, poteva esserci una brava persona come un individuo pericoloso. Avrebbe potuto imbattersi in uno psicopatico, che magari l’avrebbe violentata e precipitata in basso. Era stata decisamente avventata. Fermò la sua ascesa per un istante. Il rumore delle pale degli elicotteri si faceva più

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