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I Figli di Apollo (L'Esercito degli Dei #2): #Emaxya
I Figli di Apollo (L'Esercito degli Dei #2): #Emaxya
I Figli di Apollo (L'Esercito degli Dei #2): #Emaxya
E-book711 pagine10 ore

I Figli di Apollo (L'Esercito degli Dei #2): #Emaxya

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Info su questo ebook

La razza dei Lykos è stata presa di mira da Ade, che ha deciso di sterminarla per vendicarsi di Apollo, antenato di tutti i licantropi.
Decklan è il Karà, il capo dei Beta. Vive ad Estia, riserva circondata da mura di piombo e al sicuro dai demoni di Ade.
Il suo compito è trovare branchi di Lykos in pericolo ed aiutarli a raggiugere la sicurezza della riserva.
La sua vita è perfetta: ha potere, ricchezza, tutte le donne che vuole.
Le cose, però, sono destinate a cambiare.
Sameera è una lupa albina. E' una Beta, una guerriera, e non vuole ritirarsi alla vita serena con le altre femmine.
Decklan non saprà resistere alla sfida di domarla e finirà con l'innamorarsene.
Ma qualcuno è pronto a spezzare quella felicità e Decklan sarà costretto a chiedere aiuto all'ultima persona che vorrebbe mai vedere: Damian, il Principe dei guerrieri.

Il secondo libro della saga:
L'esercito dell'Olimpo
LinguaItaliano
Data di uscita2 feb 2015
ISBN9786050354218
I Figli di Apollo (L'Esercito degli Dei #2): #Emaxya

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    Anteprima del libro

    I Figli di Apollo (L'Esercito degli Dei #2) - Thalia Mars

    I Figli di Apollo – Thalia Mars

    thaliamarszj@gmail.com

    Thalia Mars Official FanPage (Facebook official page)

    L’Esercito degli Dei (Facebook group)

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti storici, persone e luoghi reali è usato in chiave fittizia. Gli altri nomi, personaggi, località e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore e qualsiasi rassomiglianza con avvenimenti e luoghi autentici e persone realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

    Copyright © 2016 by Thalia Mars

    A Te, che sei il mio Sole e come la Terra ti vortico attorno, irrimediabilmente attratta.

    E alla mia mamma, che è la mia Stella Polare e come con i marinai mi guida nella giusta direzione.

    PROLOGO

    Seduction, Seduce. Ain’t nobody who’s as good at what I do

    ‘Cause one minute she loves you, the next she don’t

    She’s been stolen from you.

    Eminem - Seduction

    Seduzione, seduce. Non c’è nessuno che sia così bravo in quello che faccio.

    Perché un minuto prima ti ama, quello dopo non ti ama più.

    Ti è stata rubata.

    Eminem - Seduction

    Settembre 2022

    Spalancò la porta ed entrò come una furia, attraversando l’ingresso dell’appartamento con passo svelto e deciso. Il tintinnio dei suoi anfibi borchiati era un mero sottofondo per il caos che si sprigionava dalla smart tv da cento pollici, sintonizzata sul canale musicale.

    Un ragazzo sedeva sul divano in tessuto blu; le mani dietro la testa che si accarezzavano distrattamente i capelli castani e gli occhi ramati che guardavano lo schermo con aria annoiata. Anche lui indossava anfibi borchiati, aveva le caviglie intrecciate e i talloni appoggiati su un pouf in pelle rossa.

    Il fisico prestante gli permetteva di indossare con nonchalance la divisa di pelle nera dei Beta.

    Si voltò a guardarlo quando lo sentì entrare e, vedendo l’espressione tesa nel viso d’angelo, chiese:

    «Ehi Deck, tutto okay?»

    Decklan passò accanto al divano e si diresse a lunghe falcate verso il mobile in noce che gli stava alle spalle.

    «No Olly» ringhiò, furioso, «Non è tutto okay.»

    Afferrò lo smartphone, che era posato accanto ad uno dei suoi libri di mitologia greca, e quasi lo strappò via dal caricatore, tanta era la rabbia che gli ardeva in corpo.

    Oliver tirò giù i piedi dal pouf per seguirlo con lo sguardo.

    «Che stai facendo?» gli chiese, appoggiando un braccio sullo schienale.

    Ma Decklan non lo stava ascoltando, troppo preso da quello che gli passava per la testa.

    Scorse la rubrica nel telefono fino a trovare il numero che cercava. Allora sfiorò lo schermo con il pollice, inviando la chiamata.

    Si passò una mano tra capelli biondi, portandosi lo smartphone all’orecchio e contò quattro squilli, prima che una voce maschile, roca e autoritaria, rispondesse.

    «Che vuoi?»

    Decklan strinse gli occhi color rame, coprendoseli con una mano, e dovette prendere un lungo e profondo respiro per non riagganciare.

    «Ho bisogno d’aiuto» disse.

    L’uomo all’altro capo del telefono tacque per qualche istante; a Decklan sembrò di sentire il rumore della carta di una merendina.

    «Apollo non mi ha detto niente» rispose masticando.

    Decklan sospirò, stringendo il telefono nella mano.

    «È personale.»

    L’uomo rise.

    «Ma non mi dire.»

    Decklan sentì la rabbia montare, ma si morse la lingua, trattenendo tutti gli insulti che aveva voglia di gridare.

    «Non ti avrei chiamato se non fosse davvero importante.»

    «Di questo ne sono sicuro» ripose l’altro, masticando di nuovo, «Ma ti ho già salvato il culo troppe volte. È ora che impari a cavartela da solo.»

    «Vaffanculo Dam» ringhiò, «Un’amica è nei casini.»

    Damian rise di nuovo.

    «Sei sempre stato un romanticone.»

    «Non ho i mezzi per aiutarla. Ho bisogno del khrathos

    Sentì Damian sospirare e una carta che veniva accartocciata.

    «È umana?»

    «No.»

    «È dei tuoi?»

    «Sì.»

    Sospirò di nuovo.

    «Va bene. Arriviamo ad Estia domattina.»

    LA LUPA BIANCA

    Life goes on it gets so heavy

    The wheel breaks the butterfly

    Every tear a waterfall

    In a night, the stormy night she closed her eyes

    In a night, the stormy night away she flies

    Dream of paradise

    Coldplay - paradise

    La vita va avanti e diventa così pesante

    La ruota spezza la farfalla

    Ogni lacrima è come una cascata

    In una notte, nella notte tempestosa lei chiuse gli occhi

    In una notte, nella notte tempestosa lei volò via

    Sognando il paradiso

    Coldplay - Paradise

    Maggio 2022 - Capitolo1

    Scese dalla Jeep e chiuse lo sportello senza alcuna delicatezza, guardandosi intorno con aria perplessa.

    Avevano attraversato le mura di piombo che circondavano la riserva ed erano entrati in quel gigantesco complesso residenziale. La strada non era asfaltata e palazzi da quattro o cinque piani svettavano tutt’intorno.

    Centinaia anime abitavano in quella riserva; seicento quarantasei per la precisione.

    Le palazzine erano tutte in cortina, molto curate, c’erano ampi spazi verdi con orti e prati rigogliosi.

    Tutto sommato, anche se era sperduto nelle campagne italiane, era un bel posto.

    Ma non era certo l’ambiente a cui era abituata.

    Incontrò il proprio riflesso nel finestrino oscurato della jeep.

    Indossava un paio di jeans chiari che fasciavano le cosce tornite e i glutei alti, una t-shirt nera attraverso la quale sporgeva la forma dei seni piccoli e sodi. I capelli castani le arrivavano alla vita, lisci e morbidi come fili di seta. La sua pelle era di un delizioso color caramello; aveva labbra morbide e carnose, un naso piccolo, leggermente all’insù e gli occhi solo lievemente allungati, dal taglio tipicamente arabo, di un azzurro chiarissimo, come il ghiaccio artico.

    Era bellissima, ma detestava troppo il proprio riflesso per apprezzarlo.

    Un uomo scese dal lato del guidatore; capelli bianchi e folti attorno ad un viso dalla carnagione olivastra e un grosso collare di cuoio attorno al collo rugoso. Volse gli occhi ramati su di lei, divertito.

    «Mi dispiace, Sam» le disse in arabo, «Non ci sono alberghi a cinque stelle qui.»

    Sameera si passò distrattamente una mano tra i lunghi capelli e rivolse all’Alfa una delle sue occhiate gelide.

    «Non sei divertente, Nuri.»

    Nuri ridacchiò e Sameera si voltò indietro per guardare gli uomini e le donne che scendevano dalle altre Jeep.

    Il loro branco era ridotto all’osso; erano rimasti solamente in dieci.

    Il viaggio dall’Egitto per rifugiarsi in quella riserva era stato lungo e faticoso, ma non avevano avuto altra scelta. Avevano provato a resistere agli attacchi dei Lilim; alla fine avevano dovuto arrendersi e chiedere aiuto.

    Estia era l’unica riserva esistente a protezione dei Lykos. Quasi tutti gli esemplari ancora in vita si erano rifugiati in quel posto sperduto, governato da un Consiglio di lupi Alfa, il Giryzo, e protetto da più di duecento lupi tra Beta e Omega.

    Non esisteva un luogo più sicuro al mondo per un licantropo.

    Nuri aveva aspettato più che aveva potuto; per un Alfa era preferibile morire, piuttosto che ammettere di non essere in grado di proteggere il proprio branco. Ma alla fine aveva dovuto mettere da parte l’orgoglio e pensare ai suoi ragazzi.

    Sameera non era stata d’accordo.

    Non aveva voglia di conoscere altri lupi, non voleva spostarsi da quei luoghi che per lei erano così familiari.

    Ma lei era un Beta, doveva limitarsi ad eseguire gli ordini.

    «Oh, ben arrivati!» la voce di una donna li fece voltare tutti.

    Una biondina, con capelli lisci lunghi fino alle spalle e grandi occhi color rame nel viso un po’ allungato. Era magra e minuta, indossava un sobrio abito primaverile rosa pastello e al collo sottile aveva un collare di pelle nera, costellato di perle bianche, con una medaglietta di metallo.

    Nel complesso era molto carina, ma era quello strano neo sullo zigomo sinistro, proprio sotto la coda dell’occhio, a renderla adorabile in un modo che stringeva lo stomaco.

    Riconoscendo l’odore dell’Alfa, si diresse subito verso di lui, tendendo la mano.

    «Piacere» gli sorrise, «Sono Iris di Hof.»

    Parlava la lingua degli Dei; era l’unico modo per permettere di comunicare a individui provenienti da posti così diversi.

    «Nuri, di Taba.»

    Sameera li osservò scambiarsi i convenevoli e la sua mente tornò a un anno prima, quando Nuri l’aveva presa con sé e le aveva insegnato tutto quello che c’era da sapere sui Lykos.

    Sameera siede sul ciglio del pontile di legno sopra la barriera corallina nel Golfo di Aqaba. Con la punta dei piedi nudi sfiora la superficie dell’acqua limpida.

    Nuri siede accanto a lei; ha arrotolato i pantaloni fino alle ginocchia e ha i piedi immersi fino alle caviglie. Sui suoi polpacci c’è una nube di peli bianchi e ricci.

    «Quando ti presenti, è buona educazione specificare da dove vieni» le spiega.

    «Perché?» chiede lei, alzando gli occhi azzurri a guardarlo.

    «Perché finora c’è sempre stato un solo branco in ogni città. Il nome della nostra città è come il nostro cognome. Indica la nostra appartenenza.»

    «Potete seguirmi» sorrise Iris. Aveva denti piccoli e bianchi; era deliziosa, «Il Giryzo vi sta aspettando.»

    Fece per voltarsi, quando i suoi occhi ramati incontrarono quelli color ghiaccio di Sameera. La lupa si immobilizzò, come diventata di colpo di pietra.

    «Lei è umana.» Non fu una domanda e dal tono con cui pronunciò quelle parole, sembrava stesse parlando di qualcuno da mettere urgentemente in quarantena.

    «No» ribatté Nuri prima che Sameera potesse aprire bocca, «È una Beta.»

    Iris la scrutò ancora qualche istante e Sameera inclinò lievemente la testa di lato, ringhiando:

    «Problemi?»

    Iris si riscosse e immediatamente le rivolse uno di quei sorrisi cordiali che sembrava dispensare come caramelle.

    «No, assolutamente» le disse, poi si voltò verso l’Alfa, «Seguitemi, per favore.»

    Sameera affiancò Nuri e, col branco al seguito, s’incamminarono assieme alla lupa bionda attraverso i vicoli di quella strana città sperduta nel nulla.

    Nuri le strinse il gomito e, quando lei lo guardò, le rivolse un sorriso comprensivo.

    Sameera distolse gli occhi dai suoi e si concentrò sulla schiena del loro cicerone.

    I Lykos vivevano in ogni parte del mondo, erano diversi uno dall’altro, ma su una cosa erano tutti perfettamente identici: gli occhi.

    Tutti i lupi avevano gli occhi del colore del rame. Qualcuno poteva averli leggermente più scuri, alcuni lievemente più dorati, ma non c’erano eccezioni.

    Per questo gli altri lupi diffidavano sempre di lei e per questo Sameera non aveva alcuna voglia di incontrarne di nuovi.

    Tuttavia, Nuri le aveva ripetuto milioni di volte quanto fosse importante fare dei sacrifici per tenere il branco al sicuro, perciò Sameera non aveva altra scelta che starsene buona e sopportare pazientemente tutte le occhiate incredule e i mormorii che l’intera Estia le avrebbe di sicuro rivolto.

    Si guardò attorno mentre camminavano; la ghiaia bianca scricchiolava sotto le suole dei suoi stivali malandati. La città era pulita e ordinata. Siepi verdi e ben potate dividevano un palazzo dall’altro, ma non c’erano recinzioni. Non c’erano nemmeno portoni.

    Si domandò se per lo meno avessero montato delle porte tra una stanza e l’altra.

    «Le strade sono state costruite in modo regolare attorno alla piazza centrale» spiegò Iris a Nuri, ignorando in modo palese tutti gli altri, «Sono come raggi di una bicicletta e la strada principale divide la città in due parti. Questa che stiamo attraversando è la zona residenziale. Dall’altra parte, invece, ci sono i negozi e la zona dell’intrattenimento.»

    Sameera continuò a guardarsi attorno distrattamente, fin quando non raggiunsero la piazza: un gigantesco spazio circolare, il cui perimetro era costituito da un unico grande palazzo curvo, pieno di finestre.

    L’architettura era essenziale, senza decorazioni particolari, ma tutta la facciata era ricoperta da disegni di writers. L’opera principale era l’immensa scritta Estia è libertà con lettere bombate e morbide. Tutt’intorno, s’accavallavano disegni di lupi in caccia, lupi in forma umana che giocavano e altre scene di vita quotidiana.

    E guardando quelle opere, a Sameera sembrò di percepire esattamente quello che gli autori volevano trasmettere. Sentiva il calore del branco, la serenità della casa, la forza dell’unione.

    «Questo è il palazzo del Giryzo» sorrise Iris, indicando una delle uniche due porte da cui si poteva accedere, poste ai lati opposti della piazza.

    «A sinistra, c’è l’entrata della mensa. Ci piace mangiare tutti assieme, per quanto possibile. A destra, invece, si va alle Sale degli Alfa.»

    Di fronte all’entrata della mensa, c’era un gruppetto di lupi. Erano sei, tutti diversi; pelo rosso, grigio, marrone scuro. Stavano giocando; Sameera poté sentire anche a quella distanza i loro  ringhi e i rauchi vocalizzi, mentre si saltavano addosso uno con l’altro e fingevano di azzannarsi alla gola.

    Senza mai smettere di camminare, la lupa cicerone li condusse verso destra, fino ad un grande portone di legno spesso. Lo spinse senza alcuna fatica e li precedette in uno stanzone dal pavimento in marmo bianco e le pareti lisce.

    Salirono un largo scalone, con Iris che continuava a cinguettare informazioni sui quadri esposti alle pareti che Sameera proprio non aveva alcun interesse ad ascoltare. Attraversarono un lungo corridoio, fino ad una porta in legno scuro.

    Iris la aprì ed entrò ancora per prima.

    Il pavimento era coperto da spessi tappeti colorati e morbidi. C’era un grande tavolo rotondo e un palco con le sedute a scalare verso l’alto; c’era posto per un centinaio di persone.

    Seduti al tavolo di legno intarsiato, c’erano dieci uomini: gli Alfa più importanti del Giryzo.

    Erano maturi, quasi tutti canuti, qualcuno brizzolato. Un paio erano africani, c’era un mulatto e tre orientali dagli occhi a mandorla. Avevano un’aria elegante e distinta, nei loro abiti perfetti. Tutti avevano al collo un collare con medagliette d’acciaio e Sameera si trattenne dal fare un passo indietro quando, sentendoli entrare, dieci paia di occhi ramati si alzarono su di loro.

    «Sono arrivati, signori» sorrise Iris, chinando rispettosamente il capo.

    «Grazie Iris» sorrise uno degli uomini. Capelli sale e pepe per un viso rotondo e cordiale. Era su una sedia diversa dalle altre; riccamente decorata, aveva braccioli e spalliera rivestiti in velluto rosso e lo schienale era molto più alto di quelle intorno.

    Probabilmente era l’Alfa degli Alfa. Una specie di capo supremo.

    «Grazie per averci accolto» disse Nuri, chinando la testa. A quanto pareva, il suo Alfa era molto più intimorito di lei da tutta quella pomposità.

    «Non devi ringraziarci, Nuri di Taba» sorrise l’uomo, «Estia è un rifugio per tutti i Lykos. Questa è casa vostra.»

    Nuri si raddrizzò e l’uomo continuò a sorridere.

    «Sono Juan di Toledo, il Koira

    «È un onore conoscerti, Juan» Nuri non aveva perso quel piglio servile e a Sameera venne voglia di sbuffare, ma si trattenne.

    «Spero che tu e il tuo branco possiate ambientarvi velocemente» Juan si appoggiò allo schienale e tenne le mani sul tavolo, con aria rilassata, «Quando sarai pronto, sarai il benvenuto qui al Giryzo» indicò le cento sedute alla sua sinistra, «Fino ad allora, potete rilassarvi e familiarizzare con il resto della città. Sono sicuro che Iris avrà già preparato degli appartamenti per voi.»

    «Assolutamente» convenne la lupa, chinando di nuovo la testa.

    «So che hai dei Beta, Nuri.»

    Nuri annuì e gonfiò il petto d’orgoglio.

    Tese un braccio, con la mano aperta per indicarli.

    «Sameera e Bashaar» li chiamò.

    Sameera fece un passo avanti e, assieme a lei, un ragazzo dai capelli neri come la pece e la pelle di un morbido color caffelatte.  Era molto più alto di lei e ben piazzato, come tutti i Beta.

    Sameera recitò le parole che Nuri le aveva imposto.

    «Siamo al vostro servizio» quasi lo ringhiò.

    Bashaar chinò il capo per nascondere un sorriso; probabilmente era l’unico ad essersi accorto dell’umore dell’amica.

    Gli Alfa la guardarono con il previsto stupore e Juan annuì, come incantato.

    «Sapevo che c’era un’albina nel tuo branco» disse, «Ma non credevo fosse proprio un Beta.»

    «Sameera è molto forte.» spiegò Nuri, «Lei è impagabile, nonostante il suo colore.»

    «Non ne dubito» mugugnò pensieroso. Poi si riscosse e sul suo viso tornò quel sorriso cordiale che la fece innervosire, «Voi due sarete affidati alle cure del Karà

    Gli occhi azzurri di Sameera scrutarono la stanza alla ricerca del Capo, ma Juan s’affrettò a dire:

    «Purtroppo non è con noi, adesso. Il Capo dei Beta è in missione con la sua squadra. Avrete modo di conoscerlo questa sera, durante la cena.»

    «Che bello» ringhiò Sameera, guadagnandosi una gomitata da Bashaar.

    «Come?» Juan strinse gli occhi, perplesso.

    Sameera allungò le labbra in un sorriso che non comprendeva gli occhi.

    «Sarà un onore» rispose.

    Capitolo 2

    Sameera sedeva sul letto a due piazze nel monolocale che le avevano assegnato.

    Era un bel posticino; i mobili in legno chiaro erano nuovi, la tappezzeria era di un giallo vivace e c’era un buon profumo di pulito.

    Aveva persino un grande televisore, appeso al muro come un quadro da quarantadue pollici.

    Non aveva mai avuto un televisore in tutta la sua vita.

    Bashaar era appena entrato nel monolocale e stava finendo l’ispezione del bagno, mentre lei, annoiata, fissava il soffitto.

    «Perché a te hanno dato due confezioni di balsamo?» chiese con tono isterico, uscendo dal piccolo bagno.

    «Prendine uno, se lo vuoi» rispose lei, appoggiando la nuca alla testiera del letto e stringendosi le gambe con le braccia.

    Bashaar uscì dal bagno con un flacone di balsamo stretto in una mano. Ne stava leggendo senza interesse la composizione.

    «Sono stanco di questo sessismo» disse, lanciandosi nella piazza vuota del letto.

    Sameera si voltò a guardarlo e lui agitò in aria la bottiglia di plastica, «Te lo dico io perché non mi hanno dato il balsamo: perché sono un maschio.» Appoggiò il balsamo sul comodino, «Come se un maschio non si preoccupasse dei capelli!»

    Sameera si lasciò sfuggire un sorriso.

    «Bash, piantala di fare l’isterico. Tanto farai come al solito e verrai a rubare le mie cose.»

    «Ci puoi scommettere, tesoro» confermò, sollevandosi su un gomito, «Ma se scopro che ti danno anche la crema antirughe, non so se potrò rispondere di me.»

    Sameera rise e si lasciò scivolare sul letto. Poi rotolò, fino ad appoggiare la testa alla spalla di Bashaar. Lui la strinse e lei si lasciò cullare da quelle braccia muscolose.

    «Era proprio necessario dividerci?» chiese con un sospiro.

    Bashaar le carezzò la testa, scansandole i lunghi capelli castani dal viso.

    «Siamo in un branco più grande ora. I Beta con i Beta, gli Alfa con gli Alfa, gli Omega con gli Omega.» Le prese il viso con le mani e la guardò negli occhi, «E poi, Nuri è a due isolati da qui, gli altri a tre e io abito dall’altra parte del corridoio.»

    Sameera si liberò dal suo tocco e lo abbracciò, scuotendo la testa sul suo petto.

    «Non è la stessa cosa.»

    Bashaar sospirò e le posò un bacio sulla fronte.

    «Lo so» disse, stringendola a sé, «Ma per ora è la cosa migliore da fare.»

    Sameera si sciolse dal suo abbraccio e rotolò per stendersi sulla schiena.

    «Sei sicuro che qui i Lilim non possano entrare?» gli chiese.

    Bashaar annuì.

    «Estia è circondata da spessi muri di piombo, le creature di Ade non possono neppure avvicinarsi.»

    Sameera riprese a fissare il soffitto e stette in silenzio per un lungo istante, prima di dire:

    «Non saremmo mai dovuti venire fin qui. Potevamo occuparci io e te dei Lilim.»

    Bashaar sorrise, massaggiandole la pancia.

    «Tesoro, adoro il modo in cui combatti e hai davvero un talento per uccidere quei mostri, ma con la frequenza con cui ci stavano attaccando ti assicuro che ci avremmo lasciato la pelliccia.»

    Sameera gli scoccò un’occhiata ironica.

    «Sei la personificazione del coraggio, eh?»

    Bashaar alzò le spalle.

    «Sono solo realista, Sam. Ci avrebbero fatto a pezzi.»

    Lei si trattenne dal rispondere ancora. Ormai erano ad Estia, era inutile preoccuparsi dei se e dei ma.

    Con un cenno della testa indicò il quadro appeso accanto al televisore.

    Ritraeva il Dio Apollo, mentre guidava la biga del sole, col suo paio di bianchi cavalli alati.

    «Anche nel tuo appartamento ci sono quadri di Apollo?»

    Bashaar annuì, «Sono molto devoti qui.»

    Nuri sta affettando delle verdure: il rumore ritmico del coltello sul tagliere di legno è l’unico suono in quella mattina afosa.

    La cucina è una stanza lunga e stretta e il sole Egiziano la inonda di luce.

    Sameera siede dietro di lui, con un gomito posato sul tavolo e i lunghi capelli castani che le ricadono di lato.

    «Zeus è il re di tutti gli Dei dell’Olimpo» sta raccontando lui, e Sameera lo ascolta assorta, «Tanto tempo fa, si innamorò di una donna. La giovane Leto era dolce e bellissima; il sovrano degli Dei perse completamente la testa per lei. Ma poi Leto rimase incinta e Zeus, per timore di Era sua sposa, la allontanò da sé.

    Era però scoprì lo stesso del tradimento e andò su tutte le furie. Così scatenò contro Leto il più grande tra i serpenti, Pitone, perché la uccidesse prima che potesse dare alla luce il bambino.»

    «Che cattiveria» mormora Sameera, rapita dalle parole del vecchio Alfa.

    Nuri ammucchia le verdure tagliate e appoggia il coltello sul tagliere, aprendo uno dei cassetti per prendere una padella.

    «Leto scappò per tutto il mondo, cercando di nascondersi da Pitone, ma nessuno voleva darle asilo per paura delle ritorsioni della Regina degli Dei. Fu soltanto Poseidone che, impietosito dal suo dolore, decise di aiutarla. In quanto fratello di Zeus, Poseidone era l’unico in grado di sfidare Era: per salvarla, trasformò Leto in una lupa.»

    Lascia cadere le verdure nella padella e posa il tagliere sporco nel lavandino.

    «Sotto quella forma, Pitone non riuscì più a riconoscerla e lei ebbe modo di partorire. Diede alla luce due gemelli: Artemide e Apollo. I due Dei nacquero con la capacità di trasformarsi in lupi. Artemide è la Dea della caccia e della verginità, venerata da tutti noi come protettrice del branco. Apollo è il Dio delle arti e della medicina. Tutti i Lykos discendono da lui e per questo tutti noi lo adoriamo. Lui ci protegge e si preoccupa dei suoi lupi.»

    Sameera guarda senza vedere i movimenti di Nuri: l’uomo versa dell’olio d’oliva nella padella e accende il fornello.

    «Se siamo figli di Apollo, perché allora Ade ci vuole morti?»

    Nuri si volta per guardarla, appoggiando i fianchi al mobile.

    «Ade e Apollo litigarono anni fa, nessuno sa per quale motivo. Da quel momento, Ade ha deciso di sterminare la nostra razza per fare dispetto al Dio del sole e ha scatenato contro di noi i Lilim, i suoi demoni più feroci e più numerosi.»

    Sameera aggrotta le sopracciglia, pensierosa. Poi chiede ancora:

    «Perché Apollo non fa niente per proteggerci dai Lilim?»

    A Nuri sfugge un sorriso; quella ragazza non sa niente del loro mondo. E la sua curiosità è quanto di più adorabile abbia mai conosciuto.

    «Ci sono delle leggi tra gli Dei dell’Olimpo. Gli Dei non possono scontrarsi tra loro. Possono aizzare demoni, umani, e qualunque altra specie di mostro esista, ma non devono mai, per nessuna ragione, affrontarsi direttamente.»

    Lei spalanca gli occhi azzurri, inorridita.

    «Ma che codardi!» esclama.

    «Non dire così» la rimprovera lui, «Non devi mai mancare di rispetto agli Dei, Sam.»

    Sameera si irrigidisce al punto che quasi si alza in piedi, per quanto è furiosa.

    «Ma è vero!» ribatte, «Hanno paura di farsi la guerra e usano noi per combattere le loro battaglie!»

    Aveva impiegato tanto tempo per comprendere davvero le regole di quel mondo completamente nuovo per lei. Era con il branco da poco più di un anno e prima che Nuri la prendesse con sé, non aveva mai neppure sospettato l’esistenza degli Dei o dei Lykos.

    E nonostante avesse ancora qualche difficoltà nell’accettare le cose che non capiva –soprattutto le storie sugli Dei-, Sameera sentiva che non sarebbe mai stata abbastanza grata a Nuri per averla accolta e protetta.

    Quella realtà era diversa, certo. Era l’esatto opposto di tutto quello che le era sempre stato insegnato, era come trovarsi all’improvviso tra le pagine di un libro di favole; surreale, magico, eppure con una sua intrinseca razionalità.

    «Che cosa sono?» chiede Sameera, con gli occhi azzurri spalancati e un’espressione di puro terrore dipinta sul viso.

    È con le spalle attaccate al muro in un angolo della piccola camera da letto in cui l’hanno portata. Indossa una lunga camicia da notte bianca di pizzo; le maniche sono lunghe e l’orlo della gonna le sfiora i piedi, ma è molto trasparente, lasciando intravedere il suo corpo giovane e perfetto.

    «Sei un Lykos» ripete Nuri pazientemente, «E mi stupisce che tu non lo sappia. Alla tua età, dovresti esserti trasformata da un pezzo.»

    «Non ha il collare» commenta Bashaar alla sua destra, osservandola con occhio critico.

    Sameera sposta lo sguardo da uno all’altro, senza sapere se sia meglio assecondarli o tentare di fuggire da quei pazzi.

    «Di che state parlando?» chiede infine, schiacciandosi ancora di più contro il muro. I capelli castani sono lisci e morbidi, ancora profumati dell’acqua di rose con cui le schiave li hanno lavati poche ore prima.

    «I Lykos si trasformano in lupo verso i dieci anni» le spiega Nuri, «Ma hanno bisogno di indossare un collare speciale, o non saranno più capaci di tornare umani.»

    Sameera aggrotta le sopracciglia sottili, come riflettendo. Poi fa scivolare di lato la camicia da notte, scoprendo la spalla.

    Attorno al braccio destro, ha un bracciale di pelle nera, tanto stretto da solcare la sua morbida pelle color caramello.

    «Come questo?» chiede.

    Nuri inarca le sopracciglia, sorpreso.

    «È un posto insolito per il kosmo» commenta, «Ma sì, è quello.»

    «Vuoi farmi credere che io sono un lupo?» chiede, terrorizzata.

    Nuri le rivolge un sorriso rassicurante.

    «Non so perché tu non ti sia mai trasformata in questi anni, ma sento il tuo odore. E posso garantirti con assoluta certezza che sei un lupo tanto quanto me e Bashaar.»

    Aveva ventidue anni ed erano passati soltanto tredici mesi dalla sua prima trasformazione in lupo. Qualcosa che un Lykos affrontava con molta preparazione e tanto aiuto da parte del branco, e che lei invece aveva dovuto imparare in fretta e alla buona.

    All’inizio, si era sentita come regredita all’infanzia; non riusciva a camminare, non riusciva a comunicare.

    Se ne stava lì, ferma sulle quattro zampe, inebetita dalla sinfonia di odori e suoni che i suoi sensi d’un tratto percepivano con incredibile accuratezza.

    Aveva passato giorni interi sotto forma di lupo per imparare a destreggiarsi in quella sua nuova condizione.

    Non era stato facile, ma alla fine c’era riuscita. E ora era la migliore tra i Beta del branco di Taba.

    Nel corso di quei mesi, erano stati attaccati più volte dai Lilim; Nuri aveva tentato in tutti i modi di proteggerli, lei e gli altri Beta avevano lottato fino allo stremo. Fin quando non erano rimasti soltanto lei e Bashaar a difesa del branco.

    «Quanti Beta maschi ci saranno secondo te?» le chiese Bashaar, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.

    Sameera alzò le spalle e si portò un braccio dietro la testa, infilandolo sotto il cuscino.

    «Non ne ho idea.»

    Bashaar sorrise malizioso.

    «Beh, secondo me ce ne sono abbastanza. E se sono tutti come quei due che ho visto venendo qui, ho come la sensazione che non terrò i pantaloni addosso per molto ancora.»

    Sameera sbuffò, esasperata.

    «Per l’amor di Dio, Bash! Non puoi pensare a qualcos’altro?»

    Bashaar rise, divertito dal suo pudore.

    «Tesoro, mangiare e scopare sono le due cose più importanti nella vita.»

    «Siamo appena arrivati» ribatté lei, guardandolo seriamente, «Ti prego, mantieni un contegno.»

    Bashaar roteò gli occhi, seccato.

    «Sei una vecchia bacchettona» la insultò.

    Sameera inarcò un sopracciglio.

    «E tu sei una grande zoccola.»

    Bashaar scoppiò a ridere e la tirò a sé in un abbraccio, dal quale lei cercò debolmente di divincolarsi.

    «Se non ti amassi come una sorella e se non mi piacessero i maschi, giuro che ti sposerei.»

    Sameera allora si lasciò stringere e sorrise.

    «Non ti sposerei mai, Bash. Non potrei dividere il letto con un uomo con il pigiama rosa.»

    Capitolo 3

    La mensa era un gigantesco padiglione a pianta rettangolare con pareti bianche ricoperte da quadri raffiguranti il Dio Apollo e un pavimento lucido in marmo bianco. L’entrata principale, un grande portone in noce, era su un lato corto; dalla parte opposta c’era la cucina e il bancone dove i lupi scorrevano con i vassoi e sceglievano cosa mangiare.

    Il resto dello spazio era occupato da lunghissimi tavoli e panche in acero, disposti in file ordinate.

    C’erano almeno duecento posti a sedere ed erano tutti occupati.

    Lupi di ogni nazionalità e di ogni età ridevano, chiacchieravano, mangiavano e gridavano, in un caos di voci e odori.

    Sameera sedeva tra Nuri e Bashaar ad un tavolo in fondo alla sala. Il loro branco aveva occupato il capotavola ed erano tutti piuttosto silenziosi; dovevano ancora ambientarsi e nessuno di loro aveva voglia di chiacchierare.

    Addossato ad un lato lungo del padiglione, c’era un palco rialzato di mezzo metro con sopra un unico lungo tavolo. In quel punto, sedevano i membri più importanti di Estia.

    Nuri le aveva spiegato che gli Alfa erano troppi per poter governare tutti insieme, così il Giryzo eleggeva dieci rappresentanti ufficiali per prendere le decisioni importanti, i quali avevano il compito di eleggere il Presidente del Consiglio, il Koira.

    Nel punto più in vista del padiglione sedevano perciò i dieci Alfa che governavano Estia.

    Ma notando altre due sedie vuote, Sameera si chinò verso Nuri, che sedeva alla sua sinistra, e chiese:

    «Per chi sono gli altri due posti?»

    Nuri infilò in bocca la forchettata di fettuccine al ragù e, masticando, rispose:

    «Quelli sono per il Capo dei Beta e il suo Secondo.»

    Sameera infilzò un pezzo di carne con la forchetta, mentre Bashaar sorrideva con ironia, chinandosi verso di lei.

    «Un Beta che mangia con gli Alfa. Deve essere proprio uno importante.»

    «Sì» sbuffò Sameera, «Già me lo immagino. Se Il Karà è vecchio come tutti quegli Alfa, sarà incapace di mangiare senza qualcuno che gli mastichi la cena.»

    Bashaar camuffò una risata, bevendo un sorso della sua birra.

    «Sai» continuò lei, «Sarei proprio curiosa di sapere se quelli sono ancora in grado di proteggerci.»

    «Sam» l’ammonì Nuri in arabo, «Smettila.»

    «Di fare cosa?» replicò lei, voltando gli occhi di ghiaccio a guardarlo, «Dire la verità?»

    «Questa gente ci ha accolto, ci offre protezione. Porta rispetto.»

    Sameera scosse la testa, sfoderando un sorriso amaro.

    «Quegli uomini non hanno mai affrontato un Lilim in tutta la loro vita» sibilò, «Non hanno idea di cosa voglia dire stare sul campo. Come possono prendere le decisioni giuste per proteggerci?»

    «Smettila, basta!» sbottò lui, facendola sussultare. Le afferrò il polso con forza, inchiodandolo sul tavolo, e avvicinò il viso al suo collo perché solo lei potesse sentirlo.

    «Io sono il tuo Alfa e tu farai quello che ti dico» ringhiò, «Staremo qui per tutto il tempo che sarà necessario e tu sarai educata e rispettosa. Farai quello che ti verrà ordinato e lo farai stampandoti un bel sorriso sulla faccia, perché questo è quello che voglio. È chiaro?»

    Sameera lo guardò negli occhi e strinse i denti così forte da sentire la mandibola far male. Rimase immobile per un lungo istante, prima di sfilare bruscamente il polso dalla sua stretta e scattare in piedi.

    Bashaar trattenne il respiro, aspettando di vederla esplodere.

    «Devo proteggere tutto il branco» ringhiò ancora Nuri, «Non posso stare dietro ai tuoi capricci.»

    Lei prese un lungo e lento respiro e strinse gli occhi. Aprì la bocca come per rispondere, ma poi ci ripensò.

    Afferrò il bicchiere vuoto accanto al suo piatto.

    «Mi prendo da bere» sibilò, allontanandosi dal tavolo.

    Attraversò il padiglione con passi lunghi e rabbiosi.

    Se c’era una cosa che le faceva perdere la ragione, era Nuri che la trattava come se fosse un maledetto cucciolo.

    Era una Beta, era abituata ad accettare ed eseguire gli ordini, ma non ad essere trattata in quel modo.

    Non posso stare dietro ai tuoi capricci.

    Come se lei fosse una qualunque femmina viziata.

    Raggiunse l’angolo in cui distribuivano le bevande, ignorando i fischi di un paio di maschi, e si mise in fila per la birra.

    Di fronte a lei c’era una lupa dai lunghi capelli rossi; indossava un paio di jeans e una camicetta verde, e chiacchierava amabilmente con il lupo che la precedeva. Lui era alto e massiccio, sicuramente un Beta.

    Indossava un paio di anfibi borchiati e un completo di pelle nera; pantalone a sigaretta e t-shirt aderente con una zip centrale. Lunghi capelli neri legati in un codino e una folta barba nera. Rivolgeva alla ragazza dai capelli rossi uno sguardo adorante, come se ne fosse innamorato.

    Sameera si guardò intorno e notò altri lupi con indosso quello stesso identico completo; dovevano essercene almeno una ventina, in fila di fronte al bancone della mensa. E ce ne erano molti altri vestiti in modo quasi identico; alcuni avevano il completo di pelle verde scuro, altri blu, altri ancora marrone.

    Si domandò se fosse una moda di Estia, ma la fila avanzò e lei tornò a guardare la schiena della rossa, muovendosi di un passo.

    «La fila per la birra è sempre quella che scorre meno» sentì dire alle proprie spalle.

    Si voltò, trovandosi di fronte un ragazzo.

    Alto una decina di centimetri più di lei. Teneva in mano un vassoio con un piatto di pasta e un’enorme bistecca al sangue. Le spalle larghe erano rivestite della maglia di pelle nera che tutti intorno a lei sembravano indossare ed era davvero aderente al suo torace ampio, tanto che Sameera riuscì ad intravedere il solco tra i muscoli pettorali.

    I capelli biondi erano rasati cortissimi ai lati della testa e leggermente più lunghi al centro e sulla nuca. Occhi ramati, racchiusi tra lunghe ciglia bionde, splendevano in un volto dalla pelle dorata dal sole. Labbra carnose e naso dritto, per un volto che aveva la bellezza di un angelo.

    Quando lei si voltò a guardarlo, lui socchiuse leggermente gli occhi, camuffando la sorpresa con incredibile bravura. Se nella vita Sameera non avesse dovuto rapportarsi con la più ampia gamma di reazioni stupite, probabilmente non si sarebbe mai accorta di quel suo impercettibile mutamento.

    Ma se ne accorse. E la infastidì.

    «Come?» gli chiese, gelida.

    E il ragazzo dischiuse le labbra carnose, mostrando i denti bianchissimi in un sorriso così bello da togliere il fiato.

    «Mi lamentavo della fila» le disse, «Ma sembra che a te non importi.»

    «È soltanto una fila. Due minuti e sei libero» replicò, poi si voltò di nuovo, dandogli le spalle.

    «Beh» insisté il ragazzo, «Adesso che ti sto parlando, non mi dispiace aspettare.»

    Sameera alzò gli occhi al cielo, seccata.

    Le capitava spesso di essere abbordata; la bellezza era sempre stata la sua maledizione.

    Decise di adottare la prima della lunga serie di strategie che Bashaar aveva rinominato allontana-maschio. Ignorò completamente il commento, continuando a guardare la schiena della rossa di fronte.

    Il ragazzo dietro di lei, spiazzato dal suo silenzio, tacque e Sameera pensò di essersela cavata.

    La fila si mosse ancora e lei avanzò di un passo.

    «Stai pensando a cosa rispondere o non mi hai sentito?» le chiese il ragazzo.

    Sameera, colta di sorpresa, si voltò di nuovo.

    Il ragazzo aveva un sorriso arrogante nel bel volto, consapevole della propria bellezza e dell’effetto che sapeva avere sugli altri.

    Lei strinse gli occhi di ghiaccio, infastidita. Strategia numero due: scoraggiare qualsiasi altro approccio affermando con decisione il più assoluto disinteresse.

    «Non ti ha sfiorato l’idea che non volessi socializzare?»

    Il ragazzo inarcò le folte sopracciglia bionde, ma non perse quel sorriso strafottente.

    «Speravo solo che la più bella ragazza della mensa mi desse un po’ d’attenzione» le disse.

    Sameera si morse l’interno della guancia.

    Il bastardo era duro di comprendonio. Non le rimaneva altro che la strategia d’emergenza: insulto e allontanamento rapido.

    «Sicuramente hai avuto la mia attenzione con quella tuta ridicola.»

    Lui la fissò per un istante, prima di scoppiare a ridere.

    Aveva una risata calda, bassa e roca. Terribilmente sexy.

    Sorpresa di quella reazione, Sameera dimenticò di voltarsi per ignorarlo di nuovo.

    «Ma dove vivi?» le chiese, «Ormai tutti ci sanno riconoscere. Queste sono le divise dei Beta di Estia.»

    Lei gli scoccò un’occhiata glaciale.

    «Vengo da Taba. Non siete così famosi lì.»

    Gli diede le spalle.

    La fila avanzò ancora; la ragazza dai capelli rossi si tolse di torno e Sameera si avvicinò al bancone, chiedendo una birra analcolica. Mentre il lupo di servizio la spillava in un boccale di vetro, il Beta dietro di lei disse:

    «Comunque, io sono Decklan di Kirkenes.»

    Sameera prese la birra che il lupo le porse e si voltò, ringhiando:

    «Se avessi voluto saperlo, te lo avrei chiesto.»

    Poi si allontanò dalla fila, attraversando il padiglione a passo svelto.

    Raggiunse il tavolo a cui sedeva il suo branco e riprese posto tra Nuri e Bashaar.

    L’Alfa le rivolse un’occhiata distratta, senza smettere di mangiare, e Sameera sorseggiò la birra fresca, guardando dritto di fronte a sé.

    Allora Nuri posò una mano sulla sua.

    «Ehi» le disse.

    Sameera non rispose, continuando a bere.

    «È un momento difficile per tutti» insisté l’Alfa, «Non litighiamo.»

    Sameera piantò gli occhi di ghiaccio nei suoi.

    «Non sono una Balia o una femmina qualsiasi» sibilò, «Sono una guerriera, perciò trattami come tale.»

    «Se sei una guerriera, allora obbedisci agli ordini» le mormorò, «Il branco viene prima di tutto per me, Sam. Non devi scordarlo mai.»

    Lei stava per rispondere, quando il Koira si alzò in piedi, battendo una delle posate su un bicchiere di vetro.

    Il tintinnio attirò l’attenzione di tutto il capannone che si zittì quasi all’istante.

    «Amici miei» esordì Juan, posando la posata sul tavolo, «Il Capo dei Beta è tornato dalla sua missione in Francia. La sua squadra ha salvato un altro branco dai Lilim e li ha condotti al sicuro tra le mura di Estia. Accogliete con calore il nostro Karà

    Uno scroscio di applausi si riversò nel padiglione, mentre un ragazzo biondo saliva sul palchetto tenendo in mano un vassoio. Lo posò sul tavolo e poi si voltò verso la sala, sorridendo.

    E Sameera si sentì sprofondare.

    Decklan di Kirkenes era il Karà.

    «Ti sbagliavi» le mormorò Bash, «È giovane.»

    «Già» mormorò lei, senza fiato.

    «Grazie a tutti» sorrise Decklan, e i lupi si zittirono per ascoltarlo parlare, «Anche questa volta i Lilim non hanno avuto scampo. La preparazione dei nostri Beta supera quella di ogni altro esercito e posso affermare senza esitazione che i nostri ragazzi sono pronti ad affrontare qualunque cosa.»

    Maledizione.

    Se Nuri si era arrabbiato per qualche parola sugli Alfa, sarebbe esploso come una bomba nucleare sapendo che non solo era stata sgarbata con il Capo dei Beta, ma aveva anche offeso le loro dannate divise.

    «È un gran bel bisteccone» mormorò Bash.

    Sameera evitò di commentare, continuando a fissare incredula il bellissimo angelo biondo che parlava sul palco.

    Di tutti quelli che potevano avvicinarsi, di tutti quelli che potevano provarci con lei, di tutti quelli con cui poteva essere sgarbata, per quale maledetto motivo le era capitato proprio il Karà?

    «Guarda che roba» mormorò ancora Bash, inebetito di fronte alla bellezza del Capo dei Beta, «pendono tutti dalle sue labbra.»

    «Ovvio» rispose Nuri sottovoce, «Quell’uomo è l’eroe di tutti i Lykos.»

    «Davvero?» chiese Sameera, mentre una morsa di panico e odio le serrava la gola.

    Se fosse stato un guerriero qualunque, se la sarebbe potuta cavare. Ma se quel tipo era anche un eroe amato da tutti, quella storia non era proprio destinata a finire bene.

    «Lui è stato il primo Lykos a sopravvivere ad un attacco dei Lilim; quelle bestie hanno sterminato tutto il suo branco a Kirkenes e lui è riuscito a scappare. Per un anno intero li ha combattuti da solo ed è sopravvissuto. E all’epoca era soltanto un ragazzino.»

    «Tutto qui?» chiese Sameera, nella speranza di potersi risollevare.

    «Scherzi?» Nuri la guardò sorpreso, «Se non fosse stato per lui, i Lykos non avrebbero mai iniziato a lottare. Lui ha dato a tutti la forza di formare un enorme branco e combattere i Lilim.»

    «Non mi sembra niente di eccezionale» minimizzò lei.

    «Oh, ma non è tutto» aggiunse Nuri, rapito da quello che stava raccontando, «Il Karà è stato allenato dal Principe dei guerrieri in persona, il figlio invincibile e immortale di Ares.»

    «Il Principe dei guerrieri?» ripeté Bash incredulo, «Dici davvero? Credevo fosse solo una leggenda.»

    Nuri annuì.

    «È il Beta più forte che sia mai nato; combatte i Lilim da più di dieci anni e non ha mai perso una battaglia.»

    Un lupo si voltò verso di loro e ringhiò:

    «Volete stare zitti? Non riesco a sentire il Karà

    Nuri si scusò con un gesto della mano e tutti tornarono a rivolgere l’attenzione al Karà.

    «Domani mattina i nuovi Beta dovranno essere nella palestra alle otto» stava dicendo Decklan, «Gli Omega, invece, hanno appuntamento alle dieci con Oliver» indicò il ragazzone dai capelli castani seduto al tavolo del Giryzo.

    E più Decklan parlava, più Sameera aveva voglia di sprofondare.

    Quell’uomo era una specie di eroe; rischiava la vita sul campo per salvare i lupi, li addestrava e insegnava loro come difendersi.

    Guidava e gestiva un esercito e si curava di ogni Lykos che incrociasse la sua strada.

    Decklan raccolse gli ultimi applausi ammirati e i complimenti dei lupi più vicini. Qualche altro minuto di convenevoli, prima di potersi sedere e iniziare a mangiare, mentre il brusio di voci ricominciava a crescere nella sala.

    E poi, come se l’aver detto all’eroe della razza che la sua divisa era ridicola e averlo trattato come l’ultimo degli idioti non fosse un’umiliazione sufficiente, una vocina stridula si sollevò oltre tutte le altre, gridando: «Papà!»

    Lo splendido viso di Decklan si illuminò di una nuova luce, mentre si voltava a guardare la bambina dalle lunghe trecce bionde che gli correva incontro attraverso i tavoli pieni.

    Indossava un abitino rosa e delle scarpette bianche con dei calzini ricamati. Il visino tondo era raggiante di felicità, mentre suo padre voltava la sedia per permetterle di saltargli in braccio.

    Gli gettò le braccia al collo e lo strinse forte.

    «Thea!» esclamò lui, sorpreso, stringendola a sé.

    «Sei tornato!»

    Qualche passo dietro alla bambina, c’era la lupa che li aveva accolti ad Estia. 

    Iris indossava un sobrio abito blu notte, aderente al corpo esile e sottile. I capelli biondi erano lisci sulle spalle strette, mentre attraversava la sala con l’aria di chi si sentisse davvero importante.

    Raggiunse Decklan e gli posò una mano sulla spalla. Il lupo alzò il viso e lei gli posò un bacio sulle labbra.

    Se avesse potuto sollevare il pavimento di marmo e nascondervisi sotto, Sameera lo avrebbe fatto senza esitazioni.

    Era sposato e aveva una figlia, il Karà non stava tentando di abbordarla; voleva davvero essere soltanto socievole.

    Che stupida.

    Era stata troppo prevenuta, non aveva valutato con attenzione la situazione. In quel posto si conoscevano tutti, era facile che qualche maschio si avvicinasse soltanto per socializzare e non per fini sessuali.

    Maledizione a lei e la sua impulsività.

    «Che peccato» mormorò Bash, «È già impegnato.»

    Come se l’avesse colta con le mani nella marmellata, Sameera raddrizzò di scatto le spalle e si voltò verso l’amico.

    «Chi se ne frega» ringhiò.

    Quella situazione preannunciava di finire con delle scuse. E non c’era parola che lei odiasse di più.

    Capitolo 4

    Sameera e Bash arrivarono all’appuntamento in perfetto orario. Trovare la palestra non era stato difficile; tutte le sale comuni, erano nel palazzo del Consiglio.

    In particolare, la palestra era un padiglione immenso, piena di attrezzi di ogni genere.

    Decine di sacchi da boxe che penzolavano dal soffitto, palle tese attaccate alle pareti, spalliere per gli addominali e sbarre per le trazioni. C’erano rastrelliere piene di pesi di ghisa e Sameera si accorse che il più pesante era da centocinquanta chili.

    Assieme a loro, fermo su un grande tatami azzurro, c’era un altro ragazzo. Alto, biondo, fisico prestante come tutti i Beta. Si chiamava Matthieu ed era arrivato la sera prima; faceva parte del branco che Decklan aveva salvato in Francia. Era rimasto l’unico Beta nel suo branco.

    Come loro, anche lui doveva unirsi all’esercito di Estia e non aveva idea di cosa dovessero aspettarsi.

    Una ragazza entrò nella palestra a passo svelto. I capelli scuri erano raccolti in una coda alta e il viso spigoloso aveva un’espressione annoiata.

    Indossava una tuta di pelle verde petrolio e aveva la mano infilata nei manici di una grande busta di plastica.

    Dal suo odore di menta, Sameera capì subito che si trattava di un Omega.

    «Ciao a tutti» salutò atona, «Io sono Kit, mi occupo dell’organizzazione della palestra. Se avete bisogno di attrezzatura o volete prenotare una sala, dovete parlare con me.»

    I tre lupi annuirono e lei posò la busta sul pavimento, affondandovi le mani all’interno.

    Ne estrasse pantaloni e giacche di pelle blu notte.

    «Stai scherzando» sibilò Sameera, riconoscendo il completo e guadagnandosi una gomitata di Bash.

    «Dovete indossare questi» disse Kit, come se non l’avesse sentita, «Fra poco arriverà il Karà e vi spiegherà cosa dovete fare.»

    Porse a ciascuno di loro una maglia, un pantalone e degli anfibi borchiati.

    I ragazzi si spogliarono, lasciando gli abiti sul pavimento.

    «Perché è blu?» chiese Sameera, infilandosi i pantaloni.

    Kit inarcò le sopracciglia, sorpresa.

    «Prego?» chiese.

    «La tuta» spiegò la lupa, «Ho visto che ce ne sono di diversi colori. Perché la nostra è blu?»

    Kit le rispose col tono di chi stesse parlando con un ritardato.

    «Le verdi sono per gli Omega, marroni per gli Omega in addestramento. Blu per i Beta in addestramento e nere per le squadre operative.»

    Quindi, Sameera non era operativa.

    Oh, fantastico: doveva ricominciare l’addestramento come un maledetto cucciolo.

    Si trattenne dal protestare e continuò a vestirsi in silenzio.

    Dopo la conversazione che aveva avuto con Nuri la notte scorsa, non aveva voglia di essere rimproverata di nuovo.

    Sameera esce dalla doccia con un asciugamano attorno al corpo e i capelli che le ricadono bagnati sulla schiena.

    È a piedi scalzi, ma la stanza è caldissima.

    Sta per mettersi a letto, quando bussano alla porta.

    La apre: Nuri è nel corridoio.

    I jeans e la maglia scura delineano quel corpo che sta invecchiando ma che può ancora dare del filo da torcere ad un lupo.

    Si passa una mano tra i capelli brizzolati quando lei si fa da parte per lasciarlo entrare, mentre gli occhi ramati scorrono lungo il suo corpo seminudo con tutta l’aria di chi sia affamato.

    «Ti disturbo?» le chiede, mentre lei, con le braccia conserte, resta ferma al centro della stanza.

    «No» risponde, «Che succede?»

    Nuri allunga una mano ad accarezzarle i capelli. Ne prende una ciocca, se la porta al viso e la annusa.

    Il profumo di rose di Sameera è buonissimo.

    «Niente» le dice, «Avevo solo voglia di vederti.»

    E Sameera non ha bisogno che lui aggiunga altro per capire.

    Stringe le labbra, trattenendo un sospiro rassegnato, e fa cadere l’asciugamano che la copre.

    Le pupille di Nuri si dilatano, divorando

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