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Sogni di tenebra
Sogni di tenebra
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E-book417 pagine6 ore

Sogni di tenebra

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Info su questo ebook

Sophia è una ragazza ventenne che decide di lasciare Padova, la sua città natale, a causa dei suoi “poteri” e di un aspro conflitto in cui è stata obbligata ad usarli. Si è trattato di un conflitto che l’ha privata di affetti importanti e l’ha spinta a cercare di nascondersi e di farsi dimenticare. Essersi trasferita per studiare a Boston le consentirà di evitare ulteriori guai? Di sicuro troverà l’amore e la voglia di combattere per difenderlo.
LinguaItaliano
Data di uscita25 gen 2015
ISBN9786050351668
Sogni di tenebra

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    Anteprima del libro

    Sogni di tenebra - Cecilia Claudi

    Nesbitt

    CAPITOLO UNO

    Corro a perdifiato tra gli alberi, in quello che sembrerebbe un semplice parchetto. Sento dei rumori somiglianti ai versi delle anatre. È tutto buio, l'unica luce flebile è quella diffusa dai lampioni nella stradina vicina. Tutto intorno a me è alberi, ma, sotto i miei piedi, la strada è asfaltata. Devo essere in un parco. Decido di nascondermi tra il fogliame, uscendo nello sterrato. Sono senza scarpe e l'erba mi solletica la pianta dei piedi mentre i sassi me la feriscono. Non ce la faccio più a correre, ma qualcuno mi segue e si sta avvicinando. Sempre di più. Inesorabilmente. Inciampo su una radice e rotolo per terra. Non può finire così, penso mentre faccio per alzarmi, ma l'ombra è sopra di me e mi afferra.

    Apro di scatto gli occhi e mi ritrovo a fissare un soffitto un po' troppo familiare. Sono nella mia stanza, riconosco il muro bianco con la lampada arancione. Cerco la sveglia a tentoni per vedere l'ora. Sono le 7:20. Ancora troppo presto, ma troppo tardi per riaddormentarsi. Tra dieci minuti devo alzarmi per iniziare un'ennesima giornata uguale alle altre. Lezione dalla mattina alla sera, poi lavoro, studio e dormire. È ormai da un po’ che sono all'università, al MIT per l'esattezza. Due anni fa ho lasciato la mia casa, senza più guardarmi indietro, e sono venuta qui. Sono una persona nuova ora e non sempre è una cosa positiva. L'America è un paese così competitivo che devi farti valere per rimanere a galla. Non faccio altro che studiare. E lavorare. Non posso neanche uscire con troppa gente perché devo mantenere un profilo basso, per non rischiare che le persone sbagliate mi trovino. Non potendo uscire, dovrei rimanere a casa senza fare niente e questo implica pensare. Pensare porta a ricordare. Ricordare porta ai rimpianti e non posso permettermi di ricordare la mia vita in Italia.

    Rimango ancora sdraiata a letto a fissare il soffitto aspettando il suono della sveglia. Non ho voglia di alzarmi ed affrontare la giornata. Troppi corsi, troppe persone. Chiudo gli occhi, cercando di sonnecchiare ancora un po', ma l'unica cosa che vedo quando li chiudo è la sua faccia avvolta dalle fiamme che chiede il mio aiuto. Li riapro esasperata e spengo la sveglia alzandomi dal letto. No, sonnecchiare non è proprio il caso. Le 7:24. Ho ancora sei minuti di dolce far nulla. Apro la porta della mia stanza e filo verso la doccia, cercando di evitare le mie coinquiline. È facile, sono troppo impegnate in una discussione su a chi tocchi fare il bucato. Per fortuna il bagno è libero. Mi faccio la doccia e mi guardo allo specchio. Nonostante siano passati due anni, non riesco ancora a riconoscermi. I miei capelli che prima erano corti e castani, anche se quello non è comunque il mio colore naturale, ora sono biondi e lunghi. Sono resi scuri dall'acqua e ho delle occhiaie allucinanti, che neanche un impacco di caffeina potrebbe togliere. Per di più, sono sottolineate dalla mia pelle molto chiara e spruzzata di lentiggini. I miei occhi verde scuro sono iniettati di sangue. Mi servirebbe proprio una bella nottata di sonno. Mi trucco alla bell'e meglio e mi metto una maglietta beige con disegnato uno scheletro di dinosauro nero, una felpa rosso scuro e un paio di jeans. Entro nel salotto barra cucina per riempire il thermos di caffè e mi siedo su uno degli sgabelli del bancone.

    <> le saluto, allungandomi verso il barattolo dei biscotti per sceglierne uno.

    <>, mi dice Cara, una bionda un po’ grassottella seduta su uno sgabello dall'altra parte del bancone rispetto a me. È intenta ad osservare la lite mangiando una tazza piena di corn flakes. Prendo un biscotto con le gocce di cioccolato e le scorze d'arancia. I miei preferiti in assoluto.

    <>

    <> Allora non è solo il mio cervello che fa delle connessioni assurde.

    Sarah e Lorelai litigano sempre, per un motivo o per l'altro. Nell'ultimo mese la discussione è rimasta sul vicino, che non è neanche un granché secondo me, ma dato che non vado ad un appuntamento ormai da una vita, non commento. L'ultima volta che ho espresso la mia opinione mi sono ritrovata ad ascoltare un intervento sulla mia vita sessuale. Non sono ancora pronta a ripetere l'esperienza. Prendo il thermos e la tracolla, pronta ad uscire.

    <> Do un'occhiata veloce all'orologio appeso sopra la televisione, dall'altra parte della stanza rispetto a me, e vedo che devo muovermi. <>, dico a Cara salutandola. Sarah si volta a guardarmi con i suoi occhi marrone, accesi dalla discussione.

    <> Si gira di nuovo verso Lorelai, stabilendo la sua posizione. <> Così dicendo, prende la borsa ed esce. La seguo giù dalle scale con il mio caffè ancora in mano. <>

    <>

    <>

    Ci fissiamo per un po' e poi scoppiamo a ridere. In fondo, qualche amica in questi due anni me la sono fatta. Ho conosciuto Sarah al primo giorno di Fisica. Mi si era seduta a fianco e aveva commentato per tutto il tempo i nostri compagni di corso e all'uscita mi aveva offerto un caffè. Non avevo potuto resistere. Oggi ha i capelli tagliati corti e scompigliati, nel tentativo di avere un aspetto naturale. Dico oggi, perché li cambia molto spesso. Non credo resista più di dieci giorni con la stessa acconciatura. Questa settimana, ce li ha rosso fuoco. Il ciuffo però è di un altro colore, bianco come il ghiaccio, quindi, ora che ha il cappello tirato sopra la testa, quello è l'unica cosa che si vede. È una ragazza un po' stravagante anche nel suo modo di vestire. Si mette sempre abiti che, almeno per me, sono strani. In ogni caso, ha il cappello e una sciarpa nera che le lasciano scoperta solo una piccola parte pallida del volto. Cosa assurda se si pensa che ha un viso lungo e ovale, dai lineamenti rigidi, ed è alta e magra.

    <>, dico stringendomi ancora di più la sciarpa rossa intorno al collo.

    <>, mi sorride ammiccando.

    <>

    <> Fa una smorfia mentre si preme ancora di più il cappello sulle orecchie. <>

    <>, le dico scuotendo la testa e rivolgendole anch'io un sorriso.

    <> Sbuffo e la guardo male, ma lei fissa la strada davanti a sé, senza incrociare il mio sguardo.

    <> chiedo, sapendo benissimo che cosa intenda.

    <> La interrompo prima che possa finire la frase.

    <> Sorseggio ancora un po' la bevanda calda, poi, per cercare di sdrammatizzare, la guardo di traverso. <>, le dico sbattendo le palpebre un po' troppe volte. Lei mi tira una gomitata e io scoppio a ridere, sperando che faccia cadere l'argomento.

    <> Ok, le mie speranze sono svanite.

    <> Non è esattamente vero, ma non c'era stato nessuno che mi avesse sul serio fatto uscire da questo stato suorile, come le piace definirlo, in cui mi ritrovo dalla morte di... Una gomitata sulla pancia mi distoglie dai miei pensieri. <> dico massaggiandomi la parte dolorante, <<È la seconda in meno di un minuto!>>

    <>

    <>

    <> risponde fingendosi esasperata.

    Le faccio la linguaccia e lei lascia finalmente cadere l'argomento. Per fortuna, direi. L'appartamento che condividiamo non è molto lontano dal campus e in cinque minuti arriviamo in aula. Quando entriamo, vedo un ragazzo con i capelli neri e gli occhiali che ci fa segno di andare da lui. È Samuel, un nostro amico. L'ho conosciuto in aula studio grazie al corso di informatica, programmazione in C++, posso dire che non era uno dei miei corsi preferiti. Anzi, ero abbastanza una frana in quella materia, tutti quegli arrays, cicli, stringhe, e lui mi ha aiutata a superare l'esame anche in modo dignitoso. In compenso, io l'ho aiutato in algebra lineare. In ogni caso, gli sarò grata in eterno.

    <>, mi dice Sarah sottovoce, per non farsi sentire da lui, mentre lo raggiungiamo.

    <>, replico senza neanche guardarla. Ne abbiamo parlato fino ad ora, cavolo!

    <> Tonto? Qua dentro? No. Qua non trovi tonti, forse solo ragazzi che cercano di farsi passare per tali.

    <> le chiedo in tono implorante.

    <>, dice portandosi due dita al cuore.

    <> le rispondo alzando gli occhi al cielo. Un ragazzo si siede in mezzo a noi e ci circonda con le braccia.

    <> dice guardandomi. Ha i capelli biondi arruffati e occhi azzurri, è molto alto e io devo alzare lo sguardo per poter incontrare il suo. È anche molto magro e molto imbranato. Credo che Sarah abbia un debole per lui. È il migliore amico di Samuel e abitano insieme da quando erano matricole e condividevano la stanza. È così che l'ho incontrato la prima volta. Beh, la seconda, se non si conta l'incontro-scontro che tutti e due cerchiamo di dimenticare.

    Alzo un braccio per scompigliargli i capelli, approfittando dell'occasione per districarmi dall'abbraccio.

    <> rispondo scoppiando a ridere.

    <>, gli dice Sarah sporgendosi verso di lui e mettendo in risalto il seno. Alzo un sopracciglio, guardandola, e lei mi sorride ammiccando. Ah, quella ragazza non ha remore.

    <> le risponde porgendole la guancia che lei prontamente bacia.

    La ragazza davanti a noi si gira per consegnarci il foglio delle firme e ci dice: <> Come quasi il 90% degli studenti, anzi studentesse di questo corso, che sono proprio poche, ha gli occhiali, non è truccata, ha dei brufoli in faccia, ha i capelli sporchi raccolti in una coda e i baffetti. Ok, questa è una versione molto pessimistica delle persone che studiano fisica e molto stereotipata, ma parliamone: al MIT ne avete mai viste di diverse? Io e Sarah continuiamo a dire che prima o poi faremo anche noi questa fine se rimaniamo nel corso di fisica, quindi facciamo di tutto per impedire che ciò succeda. Per ora ci stiamo riuscendo. Più o meno. La ragazza si sistema gli occhiali sul naso aspettando una nostra reazione.

    <> chiede Samuel curioso.

    <>, risponde sorridendo e mettendo in risalto l'apparecchio.

    <>, dico, allungandomi sullo schienale della panca e tirando fuori dalla tracolla il quaderno e la penna. Il professor Sigmun fa impazzire ogni suo assistente con pretese irrealizzabili. Secondo noi lo fa perché è profondamente sadico e si diverte a vederli esplodere. Alcuni li ha filmati mentre tentavano di compiere queste imprese eroiche, oppure mentre gli facevano l’elenco di tutti i santi possibili ed immaginabili, mettendoli poi su internet e facendoci sbellicare. Ormai tutta l'università segue le avventure del professore, c'è anche un sito internet. Probabilmente è per questo che ha solo un assistente, mentre negli altri corsi ce ne sono sempre quattro. Sono proprio curiosa di vedere cosa farà fare al nuovo arrivato. <>

    <>, risponde. Non so perché il fatto che lo dicano tutti debba essere una garanzia, ma vabbè, a quanto pare per questa ragazza è così.

    <>, dice Sarah facendo gesti con la penna. <> Oh, capito. Il fascino europeo, che a me non dovrebbe fare troppo effetto visto che europea lo sono anch'io, giusto? Meglio, forse continuando così potrei entrare in convento. Mordicchio la punta della penna al pensiero di andarci veramente.

    La ragazza annuisce e, quando il professor Sigmun entra, si gira dandoci le spalle.

    <>, ci saluta. <> Guarda verso la classe con un accenno di sorriso che gli increspa le labbra. Sadico. È l'unica parola che mi viene in mente per descriverlo. La ciliegina sulla torta è che il suo esame è anche orale, soprattutto orale, quindi mi tocca pure imbastirci una conversazione. Fantastico. Faccio per tirare fuori il mio pennello fermacapelli dalla borsa, quando colgo un movimento ai limiti del mio campo visivo che mi fa rimanere impietrita e mi svuota completamente. Alzo di scatto gli occhi e vedo la persona che mi ha causato queste sensazioni entrare nella stanza dalla porta da cui è entrato il professore.

    Dietro di lui, c'è quello che immagino sia Eric Saltman. È veramente bello come dicono tutti. Occhi grigi, profondi, che scandagliano la stanza, e capelli rosso scuro ribelli. La mia migliore amica diceva che esistono due tipi di rossi, quelli belli belli, belli in modo assurdo o quelli brutti, non c'è la via di mezzo. Lui, per mia sfortuna, appartiene alla prima categoria. Dalla distanza a cui sono, non riesco bene a capire quanto sia alto, noto solo che sovrasta il professore. Cosa che però non è affatto complicata, visto che il sadico Sigmun è alto circa due mele o poco più. C'è qualcosa in quel ragazzo che non mi fa distogliere gli occhi da lui. Come una connessione. Non so spiegare, è qualcosa di irrazionale, di indescrivibile a parole. Cavolo, forse dovrei prendere sul serio l'idea del convento.

    <>, dice Sarah, un posto vicino a me, <>

    <>, dico fingendo esasperazione, senza però distogliere gli occhi da lui. Continuo a fissarlo mentre saluta le persone nella stanza e si siede. Dea Sophia, cerca di riprendere il controllo. Dannazione. Alla faccia del 'io-non-cedo-al-fascino-europeo.

    <> Guarda i due ragazzi vicino a noi, divertita. <>

    <>, le risponde Samuel, con una strana espressione in volto.

    <>, continua Duncan, alzando le spalle.

    <>, replica Sarah, centrando in pieno la situazione. <>

    Tre paia di occhi mi fissano...quattro in verità. Eric ha smesso di guardarsi intorno e sta ricambiando il mio sguardo; all'inizio con curiosità, poi con quella che sembra una sorta di consapevolezza mista ad altro. Un brivido freddo mi percorre la schiena. Distolgo velocemente gli occhi da lui e li fisso su Sarah.

    <>

    <>, dice lei scoppiando a ridere.

    <>, sbuffa Samuel aggiustandosi gli occhiali. <>

    <>, nego l'evidenza, visto che le mie guance sono diventate dello stesso colore dei capelli di Eric...o per meglio dire, dell'assistente Saltman. Dea, non so perché mi faccia un'impressione assurda chiamarlo così. In ogni caso, non devo pensarci, non devo pensare a lui, tanto non potrà esserci comunque niente tra di noi per due buoni motivi. Primo, è un insegnante e, secondo, io non posso uscire con nessuno. Punto e stop. Fine della discussione. Perché ci sto ancora pensando?

    <> Che paragone azzeccato. Anche se non è solo per la sua bellezza che non riesco a smettere di fissarlo, ma per qualcosa di più calamitante. Continua a guardarmi e io continuo a fare altrettanto. Con molta forza di volontà mi riscuoto e poso lo sguardo sul foglio davanti a me.

    <>, dico nervosamente, con voce forse un po' troppo stridula, cercando di cambiare argomento. Funziona.

    <>, afferma Duncan grattandosi la testa.

    <> Mi fissano come se stessi parlando arabo. <> Loro continuano a guardarmi senza capire e poi all'improvviso mi rendo conto della cavolata che ho appena detto. Non possono conoscere questa band, è famosa solo in Europa e, per quanto youtube internazionalizzi la musica, è difficile ti permetta di scoprirne che non conosci già, soprattutto se sei europeo e non anglofono. Da quando sono qui, ho visto che a parte alcuni gruppi famosissimi, come gli U2 e gli AbbA, che comunque cantano in inglese, la musica d'oltreoceano è snobbata. E loro non sanno che io vengo da lì. Per tutti sono Sophia Armstrong del Texas e non Sofia Minaudi di Padova. Fantastico, argomento sbagliato. L’ho visto solo per due minuti e già ha rischiato di stravolgere quello che ho costruito in due anni. Cavolo, sono nei guai.

    <>, dico rivolta a Sarah, sperando di farla di nuovo pensare ad Eric e non alla mia scivolata. Forse, però, rivolta a nessuno in particolare, visto che ho pronunciato quelle parole ad una tonalità udibile solo dai cani. No, non è inglese, direi più che altro irlandese a giudicare dai suoi tratti, ma forse mi sbaglio.

    Per fortuna il professore inizia a spiegare la lezione e non sono più costretta a sostenere una conversazione. Guardo Eric, che ora si è seduto vicino alla lavagna, rivolto verso il professore. Dopo un po' si gira e mi fissa. Ancora quel brivido. Distolgo lo sguardo e finalmente la mia mano raggiunge il pennello nella tasca esterna della tracolla. Lo prendo e lo intreccio tra i miei capelli, bloccandoli e cercando di concentrarmi sulla lezione. Quel gesto di solito mi aiuta, ma sentire il suo sguardo su di me mi fa sentire come un cerbiatto in mezzo alla strada, illuminato dai fari di un'auto. Sarà un’ora lunga. Molto lunga.

    Appena finita, prendo zaino e libri e mi alzo in fretta. <> Li saluto praticamente correndo fuori dall'aula. Devo uscire da lì. Troppo soffocante. Mi sento ancora il suo sguardo sulla pelle e la cosa mi da i brividi. Per quanto odi ammetterlo sono tutti brividi positivi. Cosa che mi fa impazzire ancora di più, perché non può succedere niente. Perché non può succedere niente? Dannazione, Sophia! L'aria fredda mi colpisce come uno schiaffo, che è proprio ciò che mi serve in questo momento, e mi copro le orecchie col berretto per proteggerle. Adoro il freddo, mi dà tranquillità, però mi congela posti che non pensavo neanche di avere. Permette di fare molte più cose rispetto al caldo. In più la mia faccia non è lucida tutto il tempo a causa del sudore. Inspiro profondamente e l'aria fredda mi entra nei polmoni. Odora di pioggia. Spero nevichi, anche se non siamo esattamente nella stagione invernale. Mi dirigo verso la caffetteria, che ormai è una mia seconda casa.

    <>, dico, sorridendo, al cassiere. <> Adoro la panna. È la mia seconda droga, la prima naturalmente è il caffè.

    <>, risponde lui, ricambiando il sorriso. <>

    <> Gli porgo i soldi, che però lui rifiuta.

    <>

    <<È il terzo che mi offri nell'ultima settimana.>>

    <> Si china verso di me e bisbiglia: <> Bill, il cassiere, è gay. Anche se lo sapeva da tutta una vita, solo un mese fa è venuto allo scoperto e la scorsa settimana l'ho aiutato a risolvere la crisi che gli era venuta per il suo primo appuntamento. Era un mondo nuovo per lui e gli serviva una spinta, che gli avevo prontamente dato. La serata era stata un successone.

    <>, gli dico sporgendomi sopra il bancone e dandogli un bacio sulla guancia, per poi prendere il caffè che mi sta porgendo. <> Agito la mano per salutarlo, mentre lui mi fa l'occhiolino e ricambia il saluto.

    Esco dalla porta, guardando ancora verso di lui, e travolgo la persona che sta entrando in questo momento. Ho già detto che sono un'imbranata patologica? Mi giro, scusandomi, e mi chino per aiutarla a raccogliere i fogli per terra, cercando di non far cadere il caffè. Acrobazia degna di un equilibrista. Quando alza la testa, il mio punto di riferimento sparisce e mi ritrovo a perdermi in una pozza grigia. Perché, tra tutte le persone possibili, dovevo travolgere proprio lui? Con il cappotto e il cappello addosso, non lo avevo riconosciuto subito, ma ora l'unica cosa che riesco a pensare è: Come diavolo ho fatto a non capire che era lui? Staccandogli, con molta fatica, gli occhi di dosso, gli porgo i fogli e sfioro le sue grosse mani con le mie. Una scintilla di elettricità passa tra di noi, come se mi avesse dato la scossa, e alzo di scatto la testa, incrociando di nuovo i suoi occhi. Tutto il mondo rallenta e, per un attimo, un millisecondo che sembra un'eternità, tutto intorno a me si fa nero e l'unica cosa che esiste, l'unica luce, è lui. La sua faccia ha un'espressione stupita che si sposa perfettamente con quello che vedo passargli negli occhi e con quello che sto provando io. Quindi non l'ho sentita solo io quella scossa. Vedo che si riscuote e si alza in piedi.

    <> All'improvviso, il mondo riacquista una velocità normale e io mi sento stordita. Come se fossi appena stata investita da un tram. Se non fossi già quasi seduta a terra, sarei caduta. Annuisco incapace di parlare, persa completamente in quello sguardo. Devo riprendermi ed andarmene da lì il prima possibile. <> mi chiede, passandosi una mano sopra il cappello. Sta parlando con te, dice una vocina interiore. Con molta fatica, riprendo il controllo del mio corpo e mi tiro su in piedi, per poi traballare sulle gambe malferme, e sento il caffè inclinarsi pericolosamente. Ritrovo in fretta il mio equilibrio e finalmente riesco a ritrovare anche la voce. <>, rispondo, stampandomi un sorriso sulle labbra.

    <<È una cosa che mi dicono spesso. Cosa significa?>> chiede incuriosito, inclinando la testa.

    <> gli rivolgo uno sguardo stupito. <>

    <>, dice facendo una pausa e sistemandosi meglio la pila di fogli tra le braccia. Uh, allora avevo ragione. <>, continua, come se non me ne fossi già accorta.

    <>

    Sorride. Il suo sorriso mi riscalda da dentro, come se qualcuno avesse appena acceso una candela all'interno della mia pancia. Questo è un grosso problema. Devo andarmene. Subito. Ma non voglio, non posso. È da troppo tempo che non provo più qualcosa del genere e ne ho bisogno, quasi un bisogno fisico. All'improvviso, mi appare lui. La sua faccia. Le fiamme. La sua tacita richiesta di aiuto. E tutto il mio bisogno di calore sparisce.

    <>, balbetto, correndo via.

    <>, mi dice piano lui. Se non avessi una singolare affinità con l'aria non l'avrei sentito. Ma purtroppo è così e mi volto a guardarlo, con gli occhi spalancati dallo stupore, senza neanche pensare a quello che sto facendo. Mossa sbagliata, perché capisce che l'ho sentito. I suoi occhi grigi sono ancora su di me e il ciuffo di capelli rossi che gli è sfuggito dal cappello blu è mosso dal vento. La sua pelle chiara è resa più rossa dal freddo e, col cappotto, le sue spalle sembrano ancora più ampie e il suo corpo più scolpito, per quanto assurdo possa sembrare. Potrei sciogliermi esattamente in questo istante. Credo che, come dice una canzone, il mio cuore abbia appena saltato un battito.

    Maledetti i miei poteri. Non erano serviti a salvarlo o a farmi restare a morire con lui. Mi avevano obbligato a scappare e ormai non li utilizzavo più. Come diavolo ha fatto a capire chi sono? A meno che… All'improvviso capisco. So benissimo cosa significa quella scossa e lo sa benissimo anche lui a giudicare da quel nomignolo. È un riconoscimento, un riconoscimento tra due persone con poteri fuori dall'ordinario. Nessuno sa che sono qui e nessuno deve saperlo. Non possono trovarmi. Sarei dovuta sparire, andarmene molto più lontano da lì. Ma non posso darmi alla macchia per una sola persona, forse non è così grave, forse anche lui sta scappando. La domanda da un milione di dollari è: come posso saperlo senza rivelargli troppo? Mi volto e scappo da quello sguardo per la seconda volta in meno di un'ora.

    CAPITOLO DUE

    Arrivo quasi di corsa all'aula dove c'è la lezione seguente, ma la porta è già chiusa. Cavolo, sono in ritardo. È la prima lezione che perdo. Oggi è proprio una brutta giornata. Prendo la direzione della biblioteca per far passare un po’ di tempo. Amo i libri e amo scoprirne di nuovi. Quindi vado verso gli scaffali, salutando la bibliotecaria. Rimango sempre affascinata dalla vastità di questo luogo. Ha soffitti altissimi e si può vedere il secondo piano dal basso, perché è come una ciambella ed è fatto ad archi. Sembra quasi vogliano riprendere lo stile della biblioteca del Trinity College a Dublino. Giusto per rimanere in tema Irlanda. Dannazione, oggi la mia mente gode proprio a fare le connessioni sbagliate. O meglio, unidirezionali. Non riesco proprio a togliermelo dalla mente. Come diavolo sono riuscita ad impallarmi il cervello con un incontro durato meno di cinque minuti? Forse perché l'hai fissato per circa un'ora?

    Ok. Stop. Basta. Biblioteca e libri. Queste sono le uniche due cose cui devo pensare in questo momento, o rischio di ritrovarmi in un reparto psichiatrico prima della fine della serata. Mi sistemo la tracolla sulla spalla e cammino verso gli scaffali. Entro nella sezione dedicata alla fantascienza e mi arrampico sulla scala per arrivare agli ultimi ripiani. Ho già letto tutti gli altri libri. Inizio a guardare le copertine e gli occhi mi cadono su una in particolare. Afferro il volume e mi ritrovo altrove, non più nella biblioteca. Sono in un parco e sto correndo a perdifiato. Un'ombra mi sta seguendo. Inciampo su una radice, l'ombra mi raggiunge e mi ritrovo a fissare la copertina del libro. Sono esattamente le stesse scene di stamattina, solo molto più veloci, come un flash. Dea. Spero tanto non sia una premonizione. Ci manca solo questa.

    <>, dice una voce dietro di me, facendomi prendere un colpo. Non mi aspettavo che ci fosse qualcuno nei paraggi, figurarsi alle mie spalle. Perdo l'equilibrio e mi attacco ad un piolo. La scala si inclina e io cado giù, sbattendo la testa contro lo scaffale dietro. Le tenebre mi raggiungono, ma non prima che si formi l'ultimo pensiero coerente. Che giornata del cavolo.

    Apro gli occhi e mi ritrovo a fissare un soffitto diverso da quello della mia stanza. Ho quasi sperato di essermi riaddormentata stamattina, dopo aver letto l’ora della sveglia, e che quindi tutti gli avvenimenti di oggi fossero stati solo un sogno, ma, ancora una volta, riconosco il soffitto della stanza in cui mi trovo e no, non è la mia stanza. È quello fatto di legno della biblioteca. Quindi è vero l'incubo di stamattina, ma la visione di pochi secondi fa, è tutto vero. Vuol dire che forse i miei sensi da strega mi stanno comunicando qualcosa. Fantastico. Altre cose cui pensare. Mi verrà il mal di testa. Sento odore di caffè e cerco di alzarmi, ma due mani mi ributtano giù.

    <>, mi dice una donna anziana, con la permanente sui suoi capelli mezzi grigi e mezzi rossi e gli occhiali, la tipica bibliotecaria insomma.

    <>, la rassicuro, togliendomi le sue mani di dosso e alzandomi in piedi per poi crollare subito dopo.

    <> La sua voce è quasi un sussurro, tanto che mi fa pensare di averla sentita solo io. Grazie alla Dea, perché se avesse iniziato a chiamarmi in quel modo anche in pubblico, avrei dovuto dirgli qualcosa. Beh, ma forse non lo farebbe, visto che è il tuo insegnante, mi ricorda il mio io interiore. Quasi il mio insegnante, correggo. Cavolo, forse se continuo a ripetermelo come una litania finalmente mi entrerà in testa. In ogni caso la domanda fondamentale è: ma spunta come i funghi?

    Quando mi sono svegliata, non mi sono accorta che mi stesse così vicino. Forse perché è dietro la mia testa e non riesco a vederlo. Sono sdraiata su uno dei divanetti da lettura e Amy è seduta sul tavolino di fianco. Sento Eric alzarsi e fare due passi verso di me. Quando entra nel mio campo visivo, cerco immediatamente il suo volto, è un impulso irrefrenabile. Ha un'espressione strana, che non riesco a leggere e i suoi lineamenti sono resi più duri dalla preoccupazione. Il mio primo istinto è quello di allungare la mano per togliergli quell'espressione dalla faccia e dirgli che non è successo niente. Il secondo, invece, è quello di tirarmi uno schiaffo solo per aver avuto un pensiero del genere.

    Distolgo velocemente lo sguardo da lui e lo concentro sulle assi del soffitto. Forse se mi metto a contarle riesco a non pensare all'adone vicino a me. Cavolo, com'è che descriveva Bella il suo Edward? Come se il David di Michelangelo fosse sceso dal suo piedistallo? E quante volte ho riso pensando a quanto mi sembrasse ridicolo provare cose del genere? Forse l'idiota sono io visto che in questo momento vorrei eliminare ogni pudore e saltargli addosso per stenderlo sul divanetto sotto di me. Assurdo. Lo conosco da meno di una mattinata e già ho pensieri peggiori di quelli di un cane in calore. Devo proprio farmi una doccia fredda, chissà se funziona. Secondo Scrubs, sì. Forse sarebbe la volta buona per provare.

    Arriva il medico e mi fa un controllo veloce, fasciandomi la caviglia destra. Dice che l'ho storta durante la caduta. Strano, perché non mi fa assolutamente male, ma lui mi rassicura che è normale a causa dell'adrenalina causata dall'incidente e che domani, se non tra poco, mi farà male. Molto, anche. Quindi non devo appoggiarla troppo per terra, seppure è solo una lieve distorsione che guarirà in poco tempo, uno o due giorni al massimo. Mi dice, inoltre, di tornare a casa a stendermi, possibilmente insieme a qualcuno, quindi chiamo una delle mie coinquiline, ma prima che io possa farlo, una di loro entra dalla porta principale della biblioteca.

    <>, sento dire dalla ragazza hippie che sta correndo verso di me. Lorelai. Mi abbraccia e cerca di capire se è tutto a posto. <>

    <>, dice Eric.

    TipregodeafacheLorelaidicadinotipregodeafacheLorelaidicadinotipregodeafacheLorelaidicadinotipregodeafacheLorelaidicadino.

    <> Merda. Guarda verso di me e mi sorride. <> Annuisco, rassicurandola di aver capito perfettamente quello che sta dicendo, e lei, sollevata, distoglie lo sguardo da me, riportandolo su Eric. <<È proprio dietro l'angolo>>, gli dice porgendogli le chiavi e spiegandogli come arrivare all'appartamento. Come diavolo fa ad instaurare una conversazione con lui senza liquefarsi sul posto? Fa solo a me quell'effetto? Ancora più dannazione.

    <>, mi dice facendomi l'occhiolino. <>

    A quelle parole, arrossisco. Maledetta la mia carnagione pallida. So esattamente di cosa sta parlando. Sta alludendo al loro continuo mettere il naso nella mia vita privata, o meglio nella mancanza di una.

    <> chiede Eric, aiutandomi ad alzarmi. Ceeeerto, e ora glielo

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