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Fidati di me
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E-book244 pagine4 ore

Fidati di me

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Info su questo ebook

E' trascorso un anno dalla morte di Federico. Un anno doloroso e intenso per Emilia, che sta cercando a tutti i costi di restare a galla ed essere la madre che suo figlio merita di avere. Ma è proprio quando sembra aver raggiunto una sorta di equilibrio che una telefonata rimette tutto in gioco. Emilia si sente costantemente divisa tra paura e voglia di ricominciare. Edoardo non è mai stato così vicino e il suo amore la spinge a credere di potercela fare. Ma c'è sempre qualcosa in agguato, qualcosa che sfugge al controllo e che potrebbe cambiare per sempre il corso della sua vita.
Secondo capitolo della trilogia di "Attraverso il buio".
LinguaItaliano
Editoremaalf
Data di uscita17 ott 2020
ISBN9791220210171
Fidati di me

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    Anteprima del libro

    Fidati di me - Labraca Maria Consiglia

    prescindere.

    Capitolo I

    Oggi è un anno esatto che Federico non c'è più. Penso a quante cose sono cambiate da allora e a quanto sono cambiata io. Così tanto che spesso stento a riconoscermi e questo mi spaventa, a volte. Ma credo che fosse inevitabile. Il destino si è preso gioco di me divertendosi a vedermi piegata in due dal dolore eppure, nonostante tutto, non ha vinto. Io ho vinto, anzi, l'amore ha vinto. L'amore per la vita, per mia madre. L'amore per Gabriele. Ecco, è questo che mi ha fatto restare coi piedi per terra. Ma Dio solo sa quanto sia dura. Ogni respiro, ogni passo, è un passo nel buio. È come rinascere e dover imparare a stare di nuovo al mondo. A mangiare, a parlare. A camminare in linea retta senza sbattere contro i muri. Può sembrare assurdo però è esattamente questa la realtà. Fatico ancora ad abituarmici e spesso non riesco a scindere la mia immaginazione da tutto il resto. Così mi chiudo nel silenzio. Lì sto bene. Lì, avvolta dai ricordi, non mi sento sola mai.

    La radiosveglia inizia a suonare ed io tendo il braccio per zittirla subito. È nuova. L'altra l'ho spaccata lanciandola contro il muro una mattina dalla luna storta. Una di quelle in cui faresti tutto, meno che alzarti e affrontare la giornata. E di mattine a letto ne ho trascorse eccome, con gli occhi fissi sul soffitto e il ticchettio dell'orologio alla parete a farmi compagnia.

    Sono le sette ma io sono sveglia già da parecchio. Dormire mi risulta difficile da un po' a questa parte. Questo letto mi sembra sempre troppo vuoto e le lenzuola sempre troppo fredde senza Federico. Credo però che a questo proprio non potrò abituarmici.

    Mi alzo lentamente e resto qualche attimo seduta prima di rimettermi in piedi. La luce di fuori trapela dalle fessure delle persiane e mi da un po' fastidio agli occhi. Così corro a chiudere le tende, m'infilo una felpa un po’ slabbrata di Federico e a piedi nudi percorro il corridoio fino alla cameretta di Gabriele per

    dargli un'occhiata veloce. Lui dorme ancora e allora vado in cucina e approfitto per prepararmi un caffè. La mancanza di mia madre in casa si sente molto. Di solito il caffè lo preparava lei e lo faceva anche piuttosto bene, meglio di me di sicuro. Però ha deciso che era arrivato il momento di tornarsene a casa sua ed io non ho potuto evitarlglielo. Per quanto la sua presenza mi facesse da scudo, con mia madre accanto avrei continuato a non dare alle mie responsabilità e ai miei doveri il giusto peso. Avrei continuato ad appoggiarmi a lei per ogni cosa e non sarebbe stato giusto né per me né tanto meno per lei e Gabriele. A ognuno il suo e, alla fine, così dev'essere.

    Prendo una tazzina dalla credenza alle mie spalle e ci metto tre, quattro cucchiaini di zucchero. Poco mi frega delle calorie ormai, di chili ne ho persi abbastanza tra gli alti e bassi degli ultimi mesi e problemi di linea proprio non he ho. Cerco soltanto un po’ di carica per tenere a bada i soliti e improvvisi capogiri che mi tormentano. Il dottore mi ha prescritto delle gocce, tempo fa. Ma ho mandato al diavolo le gocce ed anche il dottore. Finché non mi spacco la testa cadendo continuo a fare leva solo sulle mie forze. D'altronde, se sono arrivata fin qui vuol dire che le spalle ce le ho belle forti, io.

    Apro la finestra per lasciare entrare un po' d’aria fresca, purtroppo il sole oggi non ne vuole sapere di splendere e se ne sta nascosto dietro ad una grossa nuvola nera. Mi lancio sul divano e inizio a sorseggiare il mio caffè con calma. Cerco di convincermi che oggi sarà un giorno come un altro ma so bene che non sarà così. E vorrei anche poter dire che quest'anno sia passato velocemente ma non posso fare nemmeno questo,

    purtroppo. Sento addosso il peso di ogni singolo secondo e per quanto l'affetto della mia famiglia mi sostenga, questo peso continua a schiacciarmi il cuore.

    D'improvviso squilla il telefono di casa. È un orario piuttosto insolito e allora mi affretto a rispondere.

    Chi è? chiedo a gran voce. Dall'altra parte però c'è solo silenzio. Pronto? insisto, ma ancora niente. Così, dopo qualche secondo, metto giù. Mi risiedo con un grosso punto interrogativo in testa. Non è la prima volta che capita, anzi, ultimamente accade sempre più spesso e questo inizia ad inquietarmi. Non ne ho parlato con nessuno però, non voglio che si preoccupino. Sono già tutti piuttosto in pena per me e non voglio aggiungere altri motivi alla lista. Bevo l'ultima goccia di caffè e poi ritorno in camera mia. Apro l'armadio e inizio a frugare un po' a casaccio tra i miei vestiti. Li ho separati, tempo fa. Ho diviso i capi colorati, che sono sempre meno, da quelli neri. E non perché rispetti qualche regola arcaica sul colore dei vestiti nel periodo di lutto. Ma perché è così che mi sento. È così che sono adesso, intrappolata in una vita che va avanti lentamente e in bianco e nero. Non ci sono sfumature o perlomeno, non sono più capace di vederle. Prendo la biancheria pulita, un paio di pantaloni, una giacca e mi chiudo in bagno. Apro il rubinetto del lavandino e faccio scorrere l’acqua fredda su mani e polsi. Sento i brividi pervadermi tutta ma non importa, ho bisogno di lavare via il torpore dalla pelle. Poi, dopo poco, afferro l’asciugamani e mi fermo ad osservare il mio riflesso nello specchio. Con le dita seguo le linee delle piccole rughe che ho sul volto. Ogni giorno ne trovo una nuova. Forse perché i 35 ormai incombono, o semplicemente perché la miriade di lacrime versate hanno finito per solcarmi le guance, non lo so. Comunque sia, è meglio non pensarci. Mi do una scossa e inizio a vestirmi velocemente, mi sistemo un po' i capelli e metto un po' di mascara sulle ciglia giusto per sembrare un po' meno stanca di quello che sono realmente.

    Mentre esco dal bagno sento il telefono di casa squillare ancora. Un’ansia profonda mi assale e sono quasi tentata di non rispondere. Poi penso che Gabry ancora dorme e così mi sbrigo prima che il suono del cordless lo svegli.

    Pronto, chi è? Sono piuttosto agitata e si sente perfettamente.

    Emilia sono io. Edoardo… La sua voce mi rassicura e allora tiro un sospiro di sollievo.

    Edo…scusami. Ho risposto di corsa e non ho fatto caso al numero sul display… gli dico sperando di non averlo allertato col mio tono. Lui però sembra non farci caso e resta stranamente in silenzio. Edoardo, ci sei?

    Si, Emilia, ci sono… risponde lui, ma ha una voce così bassa che a stento riesco a sentirlo.

    Ok, però sei strano… continuo …c'è qualcosa che non va?

    In effetti si. Emilia tuo padre ha avuto un incidente. È arrivato stanotte in pronto soccorso in codice rosso…è stato operato d'urgenza e adesso è in terapia intensiva…

    No, non è vero. Non è possibile.

    Emilia ti prego, mantieni la calma…

    …tu sai come sta?

    No, la prognosi è riservata...ma cercherò di saperne di più il prima possibile…

    Ok, io intanto arrivo.

    Chiudo la telefonata senza aggiungere altro e resto immobile, completamente paralizzata dalla paura. Guardo smarrita il cordless che ancora ho tra le dita e stento a crederci. Non è possibile che sia successo. Proprio a lui, proprio a mio padre. Prendo fiato e corro a svegliare Gabriele. Vorrei darmi una parvenza normale ma sono sconvolta e immagino che me lo si legga ben chiaro in faccia. Lui poi, è un bambino così sensibile che riesce a scrutarmi dentro senza alcuna difficoltà. Ha soltanto sei anni ma la mancanza di suo padre l'ha temprato molto e tra i due, spesso, il più forte è lui. Non sono mai riuscita a preservarlo dal mio dolore ed ho sbagliato, ne sono consapevole. Ma ho scelto la linea della verità perché credo che nascondersi dietro ad un dito non sarebbe servito a niente. Adesso però è diverso. Adesso non saprei proprio cosa dirgli. Lui non ha mai conosciuto mio padre e ho paura, tremendamente paura, che non abbia mai la possibilità di farlo.

    Gabriele amore… sussurro piano. Lui si volta lentamente e apre un po' gli occhietti. Allora io gli sorrido con dolcezza e con le dita gli accarezzo le guance tiepide. …È ora di alzarsi campione. La scuola ti aspetta!

    Lui sospira e mi guarda con l'espressione un po' rassegnata. Devo andarci per forza anche oggi? mi chiede

    Certo che devi! gli rispondo io ridendo. Allora lui si tira su e coi capelli arruffati e l'aria ancora piuttosto assonnata mi stampa un bacino dolce sulla fronte. Io resto ferma a guardarlo, incantata dai suoi modi leggeri e delicati, di certo non li ha ereditati da me.

    Mamma sbrigati altrimenti faremo tardi un’altra volta! Dice lui tirandomi per una mano

    Si, hai ragione… gli rispondo mentre inizio a passare in rassegna le sue cose in cerca di qualcosa di adatto da fargli indossare. Lui intanto se ne sta zitto alle mie spalle e aspetta. Non mi chiede niente ma mi osserva incuriosito. Deve aver notato la tensione sul mio volto però faccio finta di niente e tiro fuori dall' armadio un paio di pantaloni blu e una polo bianca.

    ecco…questo può andar bene…

    ok… farfuglia lui guardando altrove. Ha le braccia incrociate sul petto e l'espressione un po' pensierosa

    cosa c'è? Gli chiedo

    Lui sospira con gli occhi bassi. È indeciso se parlare o meno. Allora mi avvicino a lui e con le dita gli tiro su il mento.

    …me lo dici che cosa ti preoccupa?

    oggi è la giornata dei papà…e a scuola tutti portano il proprio papà. Tutti tranne io dice con un filo di voce.

    amore…ma perché non me lo hai detto prima?

    perché quando parliamo di papà tu piangi. Ed io odio quando piangi. Sbotta lui sbuffando. Cerca di fare il duro ma io so che sta soffrendo. E questo mi uccide. Respiro profondamente e tento di controllarmi. Non voglio essere quella più debole anche stavolta, non sarebbe giusto. Eppure non riesco più a dire niente così abbasso lo sguardo. Lui mi tira i vestiti di mano e inizia a sfilarsi i pantaloni del pigiamino.

    non devi andarci per forza, se non te la senti…

    No mamma, ci vado risponde lui sicuro. Io annuisco e in silenzio lo aiuto a vestirsi. È cresciuto tanto mio figlio. Così tanto che a volte non mi sembra lui. È tranquillo. È maturo. Molto più di quanto dovrebbe e questo mi lascia sgomenta.

    come vuoi… aggiungo poi mentre gli stringo i nodi alle scarpe. Lui mi sorride e con la manina mi accarezza il viso teso per la tensione.

    ti voglio bene mamma…

    Anche io amore, così tanto da non poterlo neanche immaginare.

    Capitolo II

    Entro in classe con mio figlio per mano. Non è consentito farlo ma stamattina ho proprio voglia di fare uno strappo alla regola. La maestra mi viene incontro col sorriso un po' beffardo e pare quasi voglia prendermi in giro. Per un attimo sono quasi tentata di dirgliene quattro ma poi desisto. Non voglio creare imbarazzo a Gabriele e poi forse è semplicemente colpa mia, sono così fuori di me che sarebbe facile fraintendere uno sguardo e, forse, la maestra vuole soltanto essere gentile.

    Posso esserle d'aiuto signora Giorgi?

    Beh…in realtà no. O forse si…mi scusi. Perdoni il mio indugio…il fatto è che Gabriele oggi è un po' in difficoltà…lei sa bene che ha perso suo padre da poco…

    "Si, lo so…e so anche dove vuole arrivare…ma se Gabriele è orfano di padre non vuol dire che debbano esserlo anche gli

    altri. Non voglio di certo ferire la sua sensibilità, mi creda. Ma la giornata dedicata alla figura paterna è nel programma e avrà luogo oggi, che voglia o no."

    Io la guardo dritto in volto ma lei pare non avere nulla negli occhi. Nessuna espressione. Nessuna emozione. E questo distacco mi spiazza totalmente. Volgo un’occhiata veloce a Gabriele. È seduto da solo nel suo banchetto e mi guarda con fare supplichevole. Di certo non vorrebbe che facessi una scenata così conto fino a dieci e cerco di calmarmi. Risponderle sarebbe totalmente inutile, certe persone non meritano neanche che gli si rivolga la parola. Scuoto la testa lentamente a destra e a sinistra in segno di resa e Perfetto… esclamo

    Allora se non le dispiace, dovrei iniziare a fare lezione aggiunge lei indicandomi la

    porta. Io tiro un profondo respiro poi saluto mio figlio con un cenno della mano e vado via senza più voltarmi.

    Guido lentamente nel traffico con le lacrime che mi offuscano la vista. Ho resistito ma poi non ce l'ho fatta. Negli ultimi tempi ne ho viste e sentite di ogni ma a questo cinismo proprio non sono abituata. Ripenso poi a Gabriele, a quel suo visino mogio e l’espressione un po' spenta. E sto così male che mi sento squarciare l'anima. Sarebbe tutto diverso, se Federico fosse qui. Avrebbe pensato lui a noi e ci avrebbe difeso da ogni male. Questo è sicuro.

    D'improvviso sento il cellulare squillare. Rimango gelida a fissare la strada davanti a me mentre stringendo forte il volante con entrambe le mani. Potrebbe essere Edoardo, Elena o mia madre ed ho il terrore di quello che potrebbero dirmi. Non sopporterei di

    perdere anche lui. Non adesso e non in questo modo. Accosto sul ciglio della strada e prendo la borsa dal sedile accanto. Afferro il cellulare che ancora insiste a squillare e guardo lo schermo per capire chi sia. Il numero però non compare e questo m'appare piuttosto strano. Resto imbambolata e indecisa sul da farsi ma è solo questione di attimi. Poi rispondo.

    Pronto! esclamo allarmata. Ansiosa aspetto una risposta che però non arriva. Si può sapere chi è? insisto allora, piuttosto agitata. Dall'altra parte ancora silenzio. A quanto pare è qualcuno a cui piace farmi innervosire. Metto giù e ripongo il telefono nella borsa. Non ho idea di chi possa essere e trovo davvero assurda questa situazione. Ma non è il momento per pensarci, questo. Cerco di ritrovare la concentrazione e riparto.

    Il traffico è più scorrevole per fortuna e dopo qualche minuto sono già nel grande parcheggio dell'ospedale. Spengo il motore e senza perdere tempo scendo dall'auto. Cammino a passo spedito badando bene a non guardarmi in giro. Questo posto mi tortura. Ancora mi vedo qui per terra, coi pantaloni strappati e le ginocchia sbucciate. Ero disperata. Perduta. E temo che non sia cambiato gran che da allora. Mi è bastato calpestare questo stesso asfalto per capirlo.

    Entro nell' atrio della struttura e quasi correndo mi faccio largo tra la folla per raggiungere la sala d'attesa del reparto di terapia intensiva. È al pian terreno e quindi non ci metto tanto. Finalmente, anche se da lontano, vedo Elena. È appoggiata con la schiena al muro. È immobile, di profilo, ed ha il viso coperto dai capelli. Tiene la mano sulla spalla di mia mamma che è seduta su una

    sedia di plastica verde proprio accanto a lei. Mi fermo un attimo prima che mi vedano. Avrei bisogno di riprendere fiato e di calmarmi ma non è facile farlo, ho un nodo che mi stringe la gola e la mente annebbiata da mille pensieri confusi. Non so se provo più pena o più rabbia. Ho immaginato mille volte di incontrare mio padre. Ho immaginato mille volte di stringerlo forte al cuore come se nulla fosse cambiato. Ma non è mai successo. E adesso poco importa di chi sia la colpa, ora che rischio di perderlo ancora e per sempre. Mi faccio coraggio e mi avvicino a loro. Elena alza gli occhi e incrocia il mio sguardo per qualche secondo. Non dice una parola ma la sua espressione è chiara.

    Allora? Ci sono novità? Chiedo col respiro ancora affaticato. Mia madre resta ferma a fissare il vuoto. Pare che quasi non mi abbia sentito. Ha amato molto mio padre e nonostante tutto, io credo che non abbia mai smesso di farlo e so perfettamente come si sente adesso.

    …No…non abbiamo ancora nessuna notizia. Edoardo è entrato poco fa per accertarsi personalmente dello stato di papà… risponde Elena a bassa voce.

    Capisco…allora aspettiamo… le bisbiglio. Poi mi sistemo anch'io accanto a lei e per un attimo non riesco a fare a meno di guardarmi intorno. Il corridoio è piuttosto silenzioso anche se pieno di persone. La verità è che chi sta qui non ha molta voglia di parlare. Siamo tutti col fiato sospeso e la speranza appesa ad un filo molto sottile. Basterebbe poco per spezzarlo. Molto poco.

    D'improvviso, dopo pochi minuti, la porta del reparto si apre così alzo la testa di scatto. È Edoardo, finalmente. Ha l'aria un po' stanca ma è bello, come sempre. Scruta tra la folla in maniera un po' confusa. Un secondo dopo però ci individua e ci viene incontro velocemente accennando un fragile sorriso. Io lo guardo fisso negli occhi senza trovare il coraggio di chiedergli niente, ho troppa paura di quello che potrebbe dirmi e allora abbasso di nuovo lo sguardo. Lui mi prende la mano e la stringe forte tra le sue. Amo il modo in cui lo fa e amo il modo in cui riesce a farmi sentire ogni volta che è con me. Sembra che tutto il resto scompaia. La gente. Le paranoie. Il dolore. Persino i respiri si placano e il cuore diventa più leggero.

    Allora? Chiede Elena ansiosa

    I parametri sono stabili…questo significa che vostro padre è fuori pericolo e a breve lo trasferiranno in reparto…

    Elena scoppia in lacrime e si tuffa tra le sue braccia. Lui la stringe forte ma senza lasciare la mia mano. Mi volto e noto che anche mia madre sta piangendo ma in silenzio e con discrezione. Tiene la testa bassa e sembra quasi vergognarsi. Come se gioire per lui non fosse giusto. Mi avvicino a lei e le accarezzo i capelli. Vorrei poterle dire qualcosa ma le parole proprio non mi escono e allora mi accontento di starle accanto. D'altronde lei sa. Sa quanto sia importante per me e quanto le sia grata. Lei è stata il punto di riferimento di tutta la mia vita. È cascato il mondo sotto ai miei piedi e sono cascata anche io. Ma lei c'era. C'è e ci sarà sempre.

    Io per oggi ho finito…ho bisogno di andare a casa e di fare una doccia…sono esausto aggiunge Edoardo guardandomi di sottecchi. Io annuisco timidamente. Mi dispiace che voglia andarsene così presto. Ultimamente non ci siamo visti di frequente. E la colpa di ciò è soltanto mia. Provo qualcosa per lui. Qualcosa di bello. Eppure l'unica cosa che mi riesce di fare è allontanarlo. Lui non è Federico, non lo sarà mai. E non merita una medaglia di bronzo. Lui è oro. Oro puro. Ed ho paura che accanto a me finirebbe per sentirsi eternamente secondo.

    …se vuoi ti faccio compagnia fino all'ingresso…magari prendiamo un caffè al volo, se ti va… azzardo io. Lui fa di si con la testa mentre con un bacio saluta Elena e mia madre.

    C'incamminiamo insieme verso l'uscita. Lui ancora mi tiene per mano e sembra non abbia alcuna intenzione di mollarmi. Questo un po' m'imbarazza. Sento gli sguardi della gente incollati addosso e sostenerli a testa alta mi risulta ancora difficile. Ma non importa. Le sue mani sono state il mio appiglio nei momenti più difficili e adesso so che stretta a lui potrei attraversare l'inferno andata e ritorno senza farmi neanche un graffio.

    Che hai? Chiede lui di colpo

    Perché mi fai questa domanda?

    Perché sei ancora tesa nonostante ti abbia detto che tuo padre è fuori pericolo…

    Si, hai ragione…in realtà c'è qualcosa…

    E vuoi dirmi cosa?

    è per Gabriele…a scuola c'è la giornata dei papà. Non me ne aveva parlato e questo la dice lunga…sono preoccupata, Edoardo. È troppo piccolo e la pressione che ha addosso, troppo grande…

    Si… lo so, hai ragione. Ma non colpevolizzarti per questo…non servirebbe a niente. È passato troppo poco tempo…

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