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Miele Tossico
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E-book482 pagine6 ore

Miele Tossico

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Info su questo ebook

L'amore vince sempre". Questo è ciò che è stato insegnato a Serena quando era bambina, ed è quello che diventerà il suo motto di vita quando conoscerà Alessandra.

Un'amicizia speciale unirà le due ragazze già dall'adolescenza, per poi sfociare in qualcosa di più profondo, ma non certo privo di ostacoli.

Col tempo, Serena scoprirà che Alessandra ha dei demoni contro i quali combattere, e farà del suo meglio per aiutarla...finendo con l'innamorarsene perdutamente.

"Devi essere forte, mi ripeto. Devi essere forte. L'amore vince sempre. Anche sui mostri. Anche sulla depressione".
LinguaItaliano
Data di uscita12 set 2019
ISBN9788831638838
Miele Tossico

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    Anteprima del libro

    Miele Tossico - Sara Vannini

    Cortzar

    PRESENTE

    Bianco, grigio, bianco, grigio, sprazzi di nero e poi ancora bianco, la carreggiata, la strada verso casa mentre accelero ancora un po' tirando i 120 km/h.

    Mi giro appena verso sinistra e già posso vederla in lontananza; c'è una casa lì in fondo, oltre i campi, sopra una specie di collinetta. Quella è casa nostra.

    A quest'ora di sera è illuminata dalle luci del giardino che si riflettono sui muri dandole un aspetto ancora più suggestivo. Le vetrate d'ingresso sono nascoste dalle tende che abbiamo fatto mettere per proteggere quello che è unicamente nostro, quello che insieme abbiamo costruito giorno dopo giorno.

    E' la nostra reggia, il nostro mondo, quello che io ho ottenuto scrivendo e lei con la sua catena di pasticcerie. Fa ridere, lo so, perché sembra una favola, ma è la verità.

    Mi avvicino fino ad arrivare davanti al cancello, fino a vedere l'erba curata del nostro giardino e la luce del nostro salotto.

    Abbiamo un cane - perché io non potevo vivere senza - e due gatti, perché lei senza gatti non ci sa stare.

    Il pavimento del nostro salotto è in parquet scuro. In centro alla sala abbiamo un grande tavolo rettangolare dove organizziamo cene assieme ai nostri amici - cene in cui puntualmente è solo lei a cucinare, perché io sono sempre stata un disastro - .

    Abbiamo un caminetto col fuoco spesso acceso, vicino al quale ci sono diverse bottiglie di alcolici, perché lei è sempre stata l'unica persona alcolizzata quanto me, e la sera ci sediamo lì davanti a parlare, per poi finire ubriache a fare sesso.

    C'è una macchina da scrivere appoggiata al tavolino, vicino ad una abat juor, e poco più in là il mio pc dal quale sforno parole senza tregua.

    In tutto il salotto si sente vagamente il profumo delle mie candele e un lieve odore di tabacco, non mi da fastidio, l'ho sempre adorato. L'unica cosa che odio è quando lo semina in giro, in casa e nella mia macchina. Dice che non è vero, ma io ho sempre trovato tabacco ovunque.

    E poi c'è il suo odore, il meraviglioso profumo che ha solo lei, e che, mescolato assieme al mio, diventa un mix unico.

    Io e lei insieme siamo qualcosa che non si ripeterà mai né nella sua, né nella mia vita.

    Siamo qualcosa che bisogna cogliere e tenere stretto, perché se sfugge è la fine per entrambe. Quindi noi questo errore non l'abbiamo fatto, ed ecco perché abbiamo tutto questo. Ecco perché tutti parlano di noi, di quelle due ragazze che abitano nella villa lì in fondo, di quelle che tutti gli uomini vorrebbero farsi ma non possono, perché io ci sono solo per lei e lei solo per me.

    La mia ragazza è figa, ah sì...lo so...è la bocca, sono i capelli lunghissimi che non le permetto di tagliarsi, è il modo in cui parla, il suo essere stronza...ma badate bene di starle alla larga e di non dire niente di lei che io non voglia sentire. Perché lei è la mia regina e io il suo re, o forse il contrario.

    Sorrido spegnendo il motore. So che sarà già tornata a casa e so che starà preparando la cena.

    L'amore ha vinto, l'amore vince sempre, anche sui mostri, anche sulla depressione.

    2007

    Fisso le mie scarpe muoversi ritmicamente sull'asfalto grigio, non distolgo lo sguardo perché non ho voglia di alzare gli occhi e affrontare quello che dovrò fare oggi. Le mie Converse a scacchi scozzesi sono molto più interessanti dei binari della stazione, o forse più rassicuranti, non lo so.

    Mi passo velocemente una mano fra i capelli controllando che siano a posto. Perché è importante che le due ciocche ai lati non vadano eccessivamente sugli occhi, altrimenti mia madre non fa che ripetermi che sembro una sfigata. Ma cosa vorrà dire poi? Io già mi ci sento sfigata. E i capelli mi aiutano a nasconderlo meglio.

    Perfino il mio nome non mi si addice. Serena. E mi sento tutto fuorché serena.

    Oggi però, devo far finta di non esserlo, oggi devo essere diversa, perché oggi è il giorno in cui la mia vita cambierà ancora.

    Il binario 1 è affollato a quest'ora della mattina. Penso che la maggior parte siano pendolari che fanno su e giù da Venezia per lavoro, il resto invece sono studenti come me.

    Me l'ha detto mia madre, me l'ha ripetuto più volte anche ieri sera: Mi raccomando, buttati, conosci gente, cerca di fare amicizia e vedrai che andrà tutto bene.

    Facile per lei dirlo, ma io sono sempre stata timida, per me è una vergogna andare da qualcuno che non conosco e dire: Ehi ciao, come ti chiami?, cioè voglio dire, come fai? A sei anni lo puoi anche fare, ma a quattordici ti prendono in giro da subito.

    Nei tre anni di medie ho avuto poche amiche ma molto strette, il resto della scuola non lo badavo nemmeno. Non ho mai sopportato quelle tredicenni già donne, con la borsette firmata e i jeans super attillati, mentre io me ne andavo in giro col pile verde acqua tirato su fino al collo perché altrimenti prendi freddo alla gola. Risultato? Tonsillite due volte l'anno. Sì. Nonostante il pile.

    E poi, oltre ad essere molto riservata, ho tanti segreti, tante cose che tengo solo per me e che solo i miei genitori e la mia migliore amica Greta sanno. Se racconti in giro certe cose quando sei adolescente vieni preso in giro, ed è l'ultima cosa che voglio.

    "Il treno regionale 11227 proveniente da Conegliano e diretto a...", vengo distratta dalla voce meccanica che annuncia il treno in arrivo. Non penso sia il mio, è ancora troppo presto.

    Ero abituata ad andare a scuola in macchina, a soli cinque minuti da casa, invece adesso dovrò prendere questo maledettissimo treno da sola ogni mattina.

    Oggi è il mio primo giorno di superiori.

    Mi guardo intorno e vedo gruppi di studenti con lo zaino in spalla, tanti sono più grandi di me e so già che non potrò socializzare con loro, devo cercare quelli della mia età.

    Mi faccio largo fra una coppia di uomini con la ventiquattrore e intravedo un gruppetto di ragazze con genitori a carico. Ecco vedi, loro già si conoscono. Non come me che vago come una deficiente per la stazione in cerca di anime disposte a socializzare.

    Faccio un respiro profondo, mi impegno per sembrare una persona normale, poi mi butto verso quel gruppetto.

    Ciao annuncio a gran voce.

    Cinque facce si voltano a guardarmi incuriosite, alcune restano serie, altre si addolciscono. Una sorride e ricambia: Ciao.

    Sorrido a mia volta, guardando negli occhi la ragazza che ha deciso di essere magnanime. Ha i capelli lunghissimi, praticamente fino alla vita, sono neri, sono tanti e sono lucidi.

    Siete in prima anche voi?.

    .

    Adesso anche le altre stanno sorridendo.

    Sembra essere stato fin troppo facile, quindi decido di andare più a fondo.

    Prima C?.

    No. Prima A.

    Ecco l'inghippo.

    Ah peccato. Vabbè, grazie comunque.

    Non posso mettermi a fare amicizia con ragazze che non sono nemmeno nella mia stessa sezione, anche se mi dispiace davvero perché sembravano gentili.

    Nel momento in cui mi allontano da loro, arriva il treno producendo un rumore assordante e costringendo buona parte delle persone presenti ad allontanarsi dalla linea gialla.

    Cerco un vagone dove ci siano posti liberi e, appena lo individuo, prendo posto accanto al finestrino.

    Appena partiamo non posso fare a meno di ascoltare il continuo vociferare della gente. Per quanto mi sforzi di evitare, ascolto interamente un dialogo fra due colleghi seduti accanto a me.

    Non vedo già l'ora di ammalarmi afferma uno dei due, sistemandosi la ventiquattrore sulle ginocchia.

    Trattengo a fatica un sorriso per non far capire che stavo ascoltando, ma in realtà sto pensando la stessa cosa. Questa giornata mi sta già sfinendo ancora prima di cominciare; scuola nuova, città nuova, amiche nuove, sono terrorizzata.

    Voltandomi verso il finestrino vedo la mia immagine riflessa. Tutta colpa dei riflessi del sole. Odio quando succede.

    Ho il classico aspetto di una quattordicenne in crisi adolescenziale, lo so, ma non me ne importa. Non sono disposta a togliermi la collana di borchie che porto al collo, e non sono disposta a rimpiazzare le Converse o la maglia a righe rosse e nere che indosso. Penso sia importante combattere per ciò che si è, senza farsi influenzare dal giudizio degli altri, sull'aspetto fisico così come sulle idee interiori. Per esempio io sono una femminista di prima categoria, tutte le sere trovo pretesti per litigare con mio padre su argomenti riguardanti ciò. Ma è lui che mi fa incazzare, cosa ci posso fare?

    Io e gli uomini non andiamo molto d'accordo, è così da sempre e così sarà per sempre. Ma questo è un altro discorso.

    Il riflesso del sole sull'acqua mi distoglie da questi pensieri; la Laguna mi appare davanti meravigliosa e in un attimo realizzo che questo spettacolo mi apparterrà per i prossimi cinque anni.

    Appena il treno rallenta, entrando nella stazione di Venezia, mi alzo caricandomi lo zaino in spalla e avviandomi verso l'uscita. Non sono abituata a prendere treni da sola quindi tutto ciò mi mette una leggera ansia.

    Quando le porte si aprono, mi affretto a camminare in mezzo a quest'insieme di persone nervose, dovrò arrivare a scuola a piedi ma non dovrei avere problemi nel ricordare la strada.

    Il tutto si rivela più facile del previsto quando mi ritrovo letteralmente a seguire una massa di ragazzi muniti di zaino come me, tutti diretti verso il mio stesso liceo.

    La scuola è un antico palazzo veneziano che mi ritrovo a fissare venti minuti più tardi, cercando di capire da che parte io debba andare.

    Fortunatamente una professoressa inizia a chiamare a gran voce tutti ragazzi di prima, invitandoci a seguirla nell'aula magna. Mi guardo intorno, stupita dalla grandezza non solo della stanza, ma della scuola nel suo insieme. Mi mette quasi soggezione, penso, prendendo posto in una delle scomode sedie in plastica, le classiche da riunione, quelle che quando ti siedi fai praticamente addominali. Mi chiedo chi le abbia progettate, e soprattutto se lo abbia fatto in modo sadico, visto che dovrebbero essere dedite a starci seduti per ore.

    Guardandomi intorno noto la moltitudine di ragazzi della mia età: siamo veramente in tanti, ma non conosco nessuno, non vedo più nemmeno il gruppetto di ragazze che avevo visto in stazione.

    La preside prende posto nella cattedra al centro dalla sala e controlla che il microfono funzioni prima di parlare. E' una bella donna, di quelle che mi incuriosiscono e mi fanno sorgere mille domande sulla loro vita. Una persona molto composta, di quelle che piacciono a me.

    Non ascolto una sola parola di ciò che viene detto, so solo che dopo circa mezz'ora veniamo smistati nelle varie sezioni. Io seguo i miei compagni di prima A.

    Veniamo trasferiti in un'aula vera e propria, dove mi siedo con fare impacciato davanti ad uno dei tanti banchi. Gli altri si conoscono tutti e parlano fra di loro, io sono sola.

    Una professoressa, che dice essere di francese, appoggia il registro sistemandosi gli occhiali sul naso.

    Silenzio ragazzi s'il vous plait.

    Ecco, già non capisco le frasi iniziate in italiano e completate in lingua...siamo appena arrivati, perché deve già iniziare a parlare in francese?

    Mi accomodo meglio chiedendomi se sia il caso di tirare fuori il quaderno degli appunti, ma per il momento non mi pare venga detto nulla di rilevante.

    Sto cercando di ascoltare quando sento qualcosa toccarmi il cappuccio della felpa, mi giro di scatto, in tempo per vedere alcuni dei miei nuovi compagni scoppiare a ridere. Li guardo con aria interrogativa ma non ottengo risposta, quindi decido di ignorare.

    Pochi minuti dopo di nuovo, sento strattonare, mi giro, ridono ma non capisco perché.

    Passa così l'ora successiva, fra strattonate e frasi in francese, finché finalmente la campanella non suona la fine di questa prima meravigliosa giornata.

    Appena resto da sola per strada mi sfilo la felpa, cercando di capire cosa li facesse tanto ridere, e in un attimo afferro; mi hanno riempito il cappuccio di palline di carta. Alzo gli occhi al cielo, sbuffo e lo svuoto, poi torno a casa.

    Il giorno successivo mi sveglio con l'ansia, già ho capito la piega che stanno prendendo le cose. I miei nuovi compagni non mi piacciono e io sono pane per i loro denti, perché sono sola mentre loro si conoscono tutti.

    Quando ero alle medie mi è capitato di vivere una situazione simile, ma si è risolta da sola dopo i primi tempi, quando ho socializzato con due o tre ragazze. Stavolta non ho davvero nessuno a cui aggrapparmi e questo mi terrorizza.

    Mi chiedo se ieri sia stato l'inizio di un periodo infernale, e soprattutto se dovrò sopportare prese in giro per i prossimi cinque anni. Provo a rincuorarmi pensando che magari è stato solo un evento isolato, magari la professoressa di francese era troppo noiosa per loro e hanno preferito riempirmi il cappuccio di palline di carta. Magari oggi non ricorderanno più niente.

    Arrivo in classe cercando di evitare gli sguardi altrui.

    Le aule sono impregnate da un vago odore di disinfettante e il vociferare degli studenti, a quest'ora della mattina, mi mette più ansia di quanta già non ne abbia.

    Mi accorgo subito di quanto i miei tentativi di indifferenza sia inutili. Appena mi vedono iniziano a ridere. Ormai sono quella delle palline sul cappuccio.

    Le prime due ore di lezione sono pesanti ma almeno, prendendo appunti, l'attenzione di tutti non è incentrata su di me. E' la ricreazione il problema.

    Una ragazza con i capelli tagliati da maschio e la gomma in bocca, mi si avvicina seguita a ruota da due amiche: Non conosci nessuno?.

    No.

    Sei una ragazza acqua e sapone?.

    Alzo lo sguardo dal banco: Cos..?, chiedo accigliandomi.

    Perché vediamo che sei sempre silenziosa.

    E' perché non conosco nessuno e sono timida.

    A quel punto scoppiano a ridere.

    Ti ga capìo?! A xe timidina.

    Sbuffo appena e mi sforzo di ridere anche io, perché così forse penseranno che io sia una persona autoironica.

    E il moroso ce l'hai?.

    Non capisco perché mi facciano tutte queste domande, ma ad ogni modo mi affretto a scuotere la testa ricambiando la domanda.

    La ragazza con i capelli da maschio sembra quasi offesa.

    No. E' un problema?, sbotta.

    Faccio spallucce e scuoto ancora la testa.

    Hai mai scopato Serena?.

    Come?.

    Chiedo se hai mai avuto un rapporto sessuale.

    No, non ho mai scopato.

    Ahhh verginella quindi!.

    Decido di interrompere questo entusiasmante dialogo fingendo di andare al bagno, sono stufa.

    Purtroppo la fine della ricreazione non segna la fine di questa estenuante giornata. Durante l'ora di francese la prof. ci fa alzare uno ad uno per elencare sulla lavagna i motivi per i quali, secondo noi, vale la pena visitare la Francia. E per me è una tortura, perché dal momento in cui mi alzo già li sento ridere, anche se sono girata di spalle sento i borbottii su chissà cosa e le risatine isteriche. Vorrei sparire.

    Butto giù qualche motivo banale che mi viene in mente, ne più ne meno di quello che hanno scritto tutti gli altri, giusto per non sembrare diversa, giusto per non sembrare troppo originale.

    Eppure scoppiano ridere. Di nuovo.

    Mi giro ad affrontarli, chiedendomi se sono pazza io o se lo sono loro. Cosa c'è che non va in me?

    Getto il gessetto sotto la lavagna e, scuotendo la testa, torno a sedermi al mio posto mentre la prof cerca inutilmente di calmare la situazione.

    Ma cos'avete da ridere? chiede senza ottenere risposta.

    Lei ha capito cos'ha davanti ma finge di non capire, perché in certe situazioni nemmeno i professori possono fare niente...o forse hanno solo paura di agire.

    Al termine delle lezioni corro letteralmente fuori dalla classe, un po' perché non voglio altre prese in giro e un po' perché devo assolutamente prendere il treno delle 13.30. Voglio solo tornare a casa.

    Per evitare la massa di studenti indemoniati faccio il giro per la calle sul retro. Non c'è quasi mai nessuno lì da quel che ho potuto vedere, e questo mi evita di restare bloccata in mezzo alla gente e di incontrare ancora le mie compagne.

    A metà strada incrocio solamente la professoressa di francese con la quale ho avuto lezione due ore prima. Mi guarda con aria compassionevole e sussurra un: Ciao Serena. Ricambio il saluto e continuo a camminare a passo svelto.

    Non fermarti mi dico, non fermarti mai. Non guardare indietro, non indugiare sui tuoi pensieri, altrimenti ti autodistruggi.

    Vedo le mie Converse muoversi velocemente sul pavimento in pietra, non smetto di fissarle finché non raggiungo la stazione. Solo quando salgo in treno mi sento al sicuro.

    Sospiro di sollievo, mi appoggio lo zaino sulle ginocchia e mi accorgo di avere fame, molta fame.

    Pochi minuti dopo, accanto a me, si siede un gruppo di ragazze che sicuramente saranno in quarta o in quinta superiore, ad ogni modo più grandi di me. Sono in cinque e sono molto affiatate.

    Mi sforzo come sempre di non ficcare il naso nei discorsi degli altri ma, essendo seduta vicino, mi è impossibile non ascoltare.

    Parlano di scuola, di compiti, ma anche di cazzate, e ridono tantissimo. Si vede che stanno bene insieme, così bene da essere contagiose. In un attimo realizzo che anche io vorrei tutto questo. Vorrei delle amiche di cui potermi fidare e con le quali ridere così, vorrei fare la scema con loro e prendere il treno insieme tutte le mattine.

    Per un attimo sorrido davanti a questo pensiero, ma torno seria quando il sogno sfuma ripensando alle compagne nuove. Non avrò mai tutto questo, mi dico, smettendo di ascoltare i loro discorsi e tornando a guardare fuori dal finestrino.

    Scendo dal treno quindici minuti più tardi, avviandomi verso la macchina di mio padre ma, prima di entrare nel sottopassaggio, ho una strana impressione: quella sensazione dietro la testa, quel sesto senso di quando qualcuno ti sta guardando. Mi volto di scatto ma non vedo nessuno.

    Allucinazioni sensoriali mi dico.

    Che poi...esistono?

    Purtroppo le mie previsioni sulle nuove compagne non erano errate, e man mano che la settimana procede io mi risveglio ogni giorno con più ansia. Non so se riesco ad affrontare tutto questo, sta diventando davvero pesante. Ne ho parlato a casa e mia madre insiste perché io cambi sezione, magari avendo delle compagne nuove tutto potrà cambiare, dice. Ma il problema è che io non mi arrendo facilmente, non capisco cosa ci sia che non va in me, non capisco perché debbano prendermi in giro così senza motivo, non lo accetto e non vorrei dargliela vinta.

    Ecco perché sono ancora seduta su questo maledetto banco, in questo venerdì mattina che prego con tutta me stessa finisca presto. La campanella suona l'inizio della ricreazione e io chiudo il quaderno con un gesto rapido, infilandolo nello zaino. Quando rialzo lo sguardo, loro sono intorno a me, mi hanno circondato il banco come ogni giorno e sono pronte ad iniziare il loro spettacolo.

    Come va Serena? chiede la solita con i capelli corti. Giulia si chiama, ma davvero fatico anche a ricordarmi i loro nomi per quanto poco le considero.

    Bene, voi?.

    Bene bene. Allora, ti stiamo simpatiche? Ti stai ambientando?.

    Certo.

    Mi prendi in giro?.

    Scuoto la testa mentre una delle altre mi apre l'astuccio estraendo la forbice, seguo i suoi movimenti chiedendomi cos'abbia intenzione di fare.

    Non è che sei lesbica Serena?.

    Come fanno a sapere?

    Chi gliel'ha detto?

    E perché lo vogliono scoprire?

    Non so cosa sono.

    Non so cosa voglio.

    Sono io, ma so per certo che non sembro una lesbica.

    Nego.

    No! Perché dovrei?.

    Ah ma guarda che non c'è niente di male.

    Ok ma non lo sono, e poi non mi trattengo, perché improvvisamente ho capito: Non è che per caso lo sei tu?.

    E' un attimo; prende la forbice dalle mani dell'amica e me la mette all'altezza del collo. Ho toccato un punto dolente a quanto pare.

    Ho paura, vorrei scappare, ma capisco di dover stare ferma, di dover stare calma, perché altrimenti potrei peggiorare le cose.

    Abbassa la forbice sussurro guardandola negli occhi. Sono di fuoco, e da questo capisco che ho svelato la verità.

    Lesbica di merda, non ti permettere mai più risponde, prima di abbassare la forbice facendomi sospirare di sollievo.

    No, non posso restare qui, non è solo difficile, non è solo umiliante o una delle tante prove della vita. No, questo è pericoloso, devo andarmene.

    Ammettere a me stessa questa sconfitta non è facile ma è necessario, e mia madre è fuori di sé quando le racconto quello che è successo, qualche ora più tardi.

    Stai scherzando?! Una forbice? Ma i professori dov'erano?.

    Mamma era durante la ricreazione, non hanno visto.

    Domani stai a casa da scuola e poi cambi classe. Vado a parlare con la preside lunedì.

    Va bene ma non sto a casa domani.

    Mia madre ha la prontezza di un falco quando si parla di me e in men che non si dica riesce ad ottenere un appuntamento con la preside, anzi, piomba letteralmente nel suo ufficio come un demonio mentre io crepo in silenzio.

    Mi vergogno moltissimo di questa cosa perché nessuno ha visto quello che ho visto io. Potrebbe sembrare un capriccio, potrei sembrare solo una ragazzina viziata e - sotto certi punti di vista - so di esserlo, ma non su questo.

    Da lunedì passi in prima A, ci sono delle ragazze che abitano qui vicino e prendono il tuo stesso treno tutte le mattine. La preside mi ha dato la lista, vedi?.

    Sbuffando getto un'occhiata al foglio, mentre mia madre continua: Questa Alessandra abita qua vicino, e anche questa Marta e altre. Ma questa Alessandra mi ispira fiducia, aggiunge.

    Alzo gli occhi a guardarla: Cosa...? Ma cosa dici?, scoppiamo a ridere.

    Mia mamma parla a caso, ma penso mi abbia appena salvato il culo.

    Il lunedì è arrivato con una velocità spaventosa, ma almeno questo week end ho avuto una speranza alla quale aggrapparmi: l'idea del cambiamento, che tutto possa migliorare, che possa essere una fase positiva perché, oltre all'ansia, mi sento sfinita.

    Ed è con questi pensieri che raggiungo la scuola, cercando in tutti i modi di evitare le mie vecchie compagne. Non so neanche se sappiano che ho cambiato sezione, forse pensano che sarò lì anche stamattina come tutti gli altri giorni. Invece il loro giocattolo preferito se n'è andato.

    Vedo una ragazza ferma davanti alla soglia dell'edificio, sta muovendo con impazienza il piede e mi incute sicurezza perché, anche se mi dispiace dirlo, sembra un po' sfigata. Mi avvicino iniziando a sorridere, un po' per gentilezza e un po' per i miei stessi pensieri.

    Ciao, tu sei in prima A? Mi sembra di averti già vista.

    Se non sbaglio era nel gruppetto di ragazze che avevo visto il primo giorno in stazione.

    Si scuote e mi guarda finalmente negli occhi. Indossa un paio di occhiali rotondi, è completamente struccata e le sopracciglia andrebbero un attimo ritoccate, così come i capelli crespi. E' vestita un po' all'antica, con jeans a vita alta che sottolineano i fianchi rotondi, e una giacca scura, aperta davanti, quel che basta per lasciarmi vedere il talismano che porta al collo. Forse ha qualche interesse esoterico, penso, prima che apra bocca per rispondermi.

    Ciao, sì, sono in A.

    Ah bene, mi sai dire dov'è la classe? Perché sono nuova e non ho idea di dove sia.

    Eh, non lo so nemmeno io.

    Cala un attimo di silenzio in cui mi chiedo se la tipa sia completamente normale.

    Ma...non è la tua classe?.

    Sì sì, ma non so dove sia.

    Ah....

    Faccio per voltarmi e andarmene, pensando che mi posso benissimo arrangiare da sola, quando sento delle voci alle mie spalle.

    Serena!.

    Mi giro di scatto. Tre ragazze stanno camminando a passo svelto nella mia direzione. Le ho già viste, sono le stesse con le quali avevo parlato in stazione il primo giorno.

    Ma come fanno a sapere il mio nome?

    Sorridono appena mi arrivano davanti e io ripeto la domanda: Ciao, voi sapete dov'è la prima A?.

    Una delle tre, quella con gli occhi verdi e i capelli corti, parla per prima: Sì sì certo, vieni con noi così ti facciamo vedere dov'è. Non lo sappiamo bene neanche noi perché ci hanno spostate da quando hanno saputo che saresti arrivata tu, altrimenti non ci stavamo in classe.

    Sono confusa.

    Ah ok. Comunque piacere, Serena.

    Sì sì lo sappiamo, stavolta ha parlato la ragazza con i capelli lunghissimi. Mi porge la mano aggiungendo: Alessandra.

    La stringo ma non senza confusione.

    Sapete già come mi chiamo?.

    Sappiamo già tutto, ce l'hanno detto sabato. Che hai cambiato sezione e che saresti venuta con noi.

    Forse le hanno istruite anche su come comportarsi con una sfigata come me, penso mentre sorrido, stringendo la mano anche alle altre due.

    Alessandra, Angela - quella sfigatina - , Marta e Anna, quella più bassa.

    Devo fidarmi di loro perché non ho niente altro a cui aggrapparmi, quindi le seguo lungo il corridoio fino ad un'aula a me completamente nuova.

    Perfino l'ambiente che mi circonda è molto più accogliente e familiare di dov'ero prima. Mi sento a mio agio, per quanto il mio cervello continui a ripetermi di stare sull'attenti. Perché ancora non le conosco queste ragazze e non so se il loro comportamento nei miei confronti sia solo una delle tante prese in giro.

    E se così fosse? E se non potessi fidarmi nemmeno di loro, a cos'altro mi aggrapperò?

    Siediti qui, la voce di Alessandra mi distrae. Alzo lo sguardo e trovo i suoi occhi, il sorriso stampato in faccia mentre mi indica un banco vuoto.

    Annuisco appoggiando lo zaino e mi siedo vicino a lei realizzando che, se i professori non cambieranno le disposizioni dei banchi, lei sarà la mia compagna.

    Ti troverai meglio con noi aggiunge sopra il vociferare continuo delle ragazze in sottofondo, il classico trambusto di una classe nella quale deve ancora entrare un professore.

    Lo spero rispondo con un sorriso appena accennato, forse lievemente sarcastico.

    2009

    Codici 55.20.1 e 55.20.3! urlo, facendo volare fuori dal finestrino il terzo foglio dell'impressionante plico che ho dovuto studiare per oltre una settimana.

    Marta, accanto a me, sta facendo la stessa cosa mentre l'aria tiepida di inizio giugno ci scompiglia i capelli. Il treno sta attraversando la campagna, il che significa che è al massimo della sua velocità. Tenere la testa fuori dal finestrino non è una gran trovata, lo sappiamo, ma lo stiamo facendo comunque.

    Non ne potevamo più di imparare a memoria codici e articoli sul turismo, oggi abbiamo avuto il compito e ora questi fogli non servono più. Gettarli fuori e vederli volare è una liberazione immensa, soprattutto se ci urli contro e li annunci un attimo prima di buttarli. Mi rendo conto da queste cose di avere quindici anni, ma chi se ne frega. Fra pochi giorni sarà finita la seconda superiore, tutto il resto non mi interessa.

    Il vagone è completamente nostro quindi non dobbiamo preoccuparci di fare piano o di non urlare. Ecco perché ci stiamo sfogando, consapevoli però del fatto che, i passeggeri nelle altre carrozze, vedranno i nostri fogli volare e si chiederanno cosa stiamo facendo.

    Ritiro la testa e vedo Anna, Angela e Alessandra ridere. Alessandra ha le cuffie sulle orecchie, come sempre ultimamente, ma sta comunque sorridendo.

    Torno a sedermi al mio posto e mi ricompongo per quanto possibile.

    Ecco fatto, ora non dobbiamo più preoccuparcene.

    Abbiamo tutte voti alti, non siamo a rischio di venire bocciate o rimandate, quindi possiamo davvero metterci l'anima in pace. Tutte a parte Angela, che come temevo dal primo giorno in cui l'ho incontrata, è un po' più lenta nell'apprendimento. Lei pensa sempre alle formule magiche, a predire il futuro, ai talismani e ai cavalli...ho sempre pensato che sia lievemente autistica ma nessuno me ne ha mai dato conferma.

    Stiamo ridendo tutte ora, senza motivo e senza riuscire a smettere. Involontariamente vedo la scena a rallentatore.

    Loro sono davvero state la mia salvezza. Mi chiedo che fine avrei fatto se non le avessi incontrate, dove sarei? E con chi?

    Ripenso ad un giorno in treno in cui avevo visto quel gruppetto di amiche parlare e avevo sperato di poter avere lo stesso un giorno, ma l'avevo ritenuto impossibile a causa della situazione nella quale mi trovavo. Ora ce l'ho, ora ho tutto quello che volevo. Con loro ho condiviso due anni meravigliosi già dal primo giorno. All'inizio mi sembrava perfino impossibile che le cose potessero andare così bene, pensavo che ci fosse una fregatura dietro l'angolo, che da un momento all'altro una di loro mi puntasse il dito contro e iniziasse a ridere di me ma poi, col tempo, mi sono lasciata cullare dal pensiero che ciò non sarebbe mai successo.

    L'ho capito un giorno in cui Anna mi ha scritto sul diario TVB, e le ho chiesto: Ma davvero o come presa in giro?. Si è messa a ridere prima di rispondere: Che cazzo dici Sere, davvero, altrimenti non te l'avrei scritto, poi mi ha abbracciata.

    Penso che loro mi abbiano vista dentro, per come sono realmente, e hanno capito che non sono poi così male. Un peccato che in realtà sappiano poco di me...davvero poco, perché tante cose a loro non ho ancora avuto il coraggio di dirle.

    Appena il treno arriva in stazione, come ogni giorno, saluto Marta con due baci sulle guance, Anna con una bocca a culo a distanza, Angela con un cenno e Alessandra è già voltata di spalle. Perché lei è così ultimamente, si sta un po' isolando. Non capisco perché ma non me ne faccio un problema, è sempre stata la mia compagna di banco, andiamo d'accordo, il suo carattere non mi riguarda.

    Peccato però che suo papà le abbia tagliato i capelli, erano davvero lunghissimi, mentre adesso ce li ha fino alle spalle. Un trauma il giorno in cui l'abbiamo vista arrivare in stazione così.

    Accantono il pensiero dei capelli di Alessandra e salgo nella macchina di mio padre.

    Tutti i miei problemi riaffiorano, i normali problemi di un'adolescente penso, le ribellioni interiori, gli amori impossibili...gli amori impossibili...già è difficile così, lo diventa ancora di più se ti innamori di una donna. E io sono innamorata dell'amore, mi innamoro puntualmente di donne che non posso avere e mi chiedo continuamente cosa ci sia che non va in me.

    I miei genitori sanno che sono lesbica - anzi, bisessuale per meglio dire - lo sa anche la mia migliore amica Greta, ma nessun altro. Non perché mi vergogni di dirlo o per il batticuore che mi provoca fare coming out con qualcuno, ma semplicemente perché non voglio che i miei problemi influenzino la mia vita di ogni giorno.

    Non so chi sono, non so cosa voglio, mi guardo allo specchio e non capisco nemmeno se sono davvero femmina. Figuriamoci se riesco a dirlo agli altri.

    Arrivo a casa, getto lo zaino per terra, vado in bagno, mi strucco, mi faccio una doccia veloce e poi mi siedo a tavola fissando il vuoto. Sono un'apatica cronica, ho pochi amici e passo le giornate a giocare al pc. Poi studio.

    Quando qualcuno mi chiede cosa faccio il sabato sera io rispondo che ho impegni, ma in realtà metto su un film e me lo guardo da sola. Perché non ho la forza di uscire, non ho voglia di fare niente, nulla mi da entusiasmo e riesco ad essere normale solo finché sono a scuola, poi torno ad essere il guscio di una persona.

    Non so come sono arrivata a questo, forse con uno dei miei tanti amori impossibili, o forse è crisi adolescenziale. Ma non la ritengo una cosa grave. Basta che non mi rompano le palle per uscire.

    Sto per mettere su The Sims nel pc, quando il suono degli sms mi distrae.

    Chi è adesso?!

    Alessandra.

    Alessandra: Oh Serena, non ti ho neanke dtt! L'altro giorno ke eri a casa, ho trovato le tue amike mentre stavo parlando con la Fabi dei tipi ke urlavano in pullman all'ultima gita, si sono intromesse e nn sai cs mi hanno dtt!

    Mi hanno dtt ke sono brutta, ke devo dire le cose in faccia, ke devo abbassare le ali e ke mi fanno un poster con la loro foto x ricordami ki sono ahahahahaha

    Ma veramente...ke cazzo di gentaglia avevi in classe quando eri lì?!

    Sorrido, un po' per quello che ha scritto, e un po' perché non so chi sia la Fabi e non ho ben capito dove abbia trovato le mie ex compagne.

    Rispondo in fretta.

    Serena: Lascia stare.

    Alessandra: Ma mi danno fastidio perché ti hanno fatto star male e io non voglio che tu stia male, capito?

    Mi stupisce sempre nei suoi momenti affettuosi. Per un attimo sono tentata di mandarle un cuore ma poi cambio idea e batto in fretta un semplice grazie.

    Tuttavia, qualche minuto più tardi, mi rendo conto di non riuscire a giocare al pc come vorrei, perché forse a lei la verità la potrei dire. Forse le potrei confessare chi sono davvero e stringere l'amicizia...non lo so, deciderò domani.

    Sono appena le nove di mattina e io non la smetto di sbadigliare. Le ore di geografia sono sempre state veri e propri viaggi per me...mentali.

    Alessandra vicino a me sta già tirando fuori il nostro quaderno, perché noi non ci mandiamo bigliettini come le persone normali, noi abbiamo un quaderno dove ci scriviamo le cose nelle lezioni più noiose. Lo sta tirando fuori perché ha voglia di parlare e non posso biasimarla; tutto pur di non seguire geografia.

    Scribacchia qualcosa, poi me lo passa.

    Leggo: Raccontami qualcosa ti prego.

    Sorrido ed esito, prima di scrivere quello che tanto avevo già in mente: Ale ti devo dire una cosa.

    Mi guarda alzando un sopracciglio prima di scrivere: Ovvero?.

    Ho il cuore in

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