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Gerusalemme - l'emanazione del gigante Albione
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E-book194 pagine3 ore

Gerusalemme - l'emanazione del gigante Albione

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INDICE

Introduzione

“Gerusalemme” - L'emanazione del Gigante Albione - Al pubblico

Sulla forma dei versi in cui fu scritto il poema che segue

CAPITOLO I

Gerusalemme

Agli Ebrei

CAPITOLO II

Gerusalemme

Ai Deisti

CAPITOLO III

Gerusalemme

Ai Cristiani

CAPITOLO IV

Gerusalemme
LinguaItaliano
Data di uscita20 ago 2015
ISBN9786050406825
Gerusalemme - l'emanazione del gigante Albione
Autore

William Blake

William Blake (1757–1827) was an English poet and visual artist often linked to the Romantic movement. As a youth in London, he was primarily educated at home before becoming an engraver’s apprentice. Later, Blake would attend the Royal Academy and eventually find work in publishing. His debut, Poetical Sketches, was printed in 1783 followed by Songs of Innocence in 1789. The latter is arguably his most popular collection due to its vivid imagery and thought-provoking themes.

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    Gerusalemme - l'emanazione del gigante Albione - William Blake

    WILLIAM BLAKE

    GERUSALEMME

    L’EMANAZIONE

    DEL GIGANTE ALBIONE

    Fratelli Bocca Editori 1943 - Prima edizione digitale 2015 a cura di David De Angelis

    INDICE

    Introduzione

    Gerusalemme - L'emanazione del Gigante Albione - Al pubblico

    Sulla forma dei versi in cui fu scritto il poema che segue

    CAPITOLO I

    Gerusalemme

    Agli Ebrei

    CAPITOLO II

    Gerusalemme

    Ai Deisti

    CAPITOLO III

    Gerusalemme

    Ai Cristiani

    CAPITOLO IV

    Gerusalemme

    INTRODUZIONE

    I.

    Se ogni personalità umana, quale entità spirituale lanciata verso uno scopo complesso e trascendente, costituisce un mistero in sé, tale mistero si fa forse più profondo in due specie di uomini, rare ma costanti nella vita di ogni collettività umana: intendiamo la specie dei mistici e quella dei poeti. I primi tendono a risolvere il proprio mistero e l’inconoscibile della divinità mediante uno slancio che si prefigge l'unione col sopra-umano in una fiammata d'amore che consumi l'individualità; questi vogliono rimontare alle origini grazie alla parola, cui restituiscono la primitiva forza evocativa e che depurano di ogni accento troppo egocentrico: alla base dei due tipi umani si trova, quale caratteristica comune, la tensione, rivolta, nelle estasi del mistico, all'espressione dell'umano nel divino e all'espressione del divino nell'umano, nei canti del poeta.

    Da questo discende che ogni grande mistico, ora con più evidenza, ora con meno, possiede un alto contenuto poetico; e, per converso, non v'è poeta profondo cui manchi, sia pure espresso con accenti diversi per natura e per tonalità, l’affiato religioso-mistico; basti ricordare Dante, Hölderlin, Goethe, Leopardi. Avviene poi in qualche caso che le due personalità si fondano più intimamente, unendo in un sol blocco gli aspetti esteriori della poesia e della mistica; e ci vengono alla mente il Rigveda e la Bhagavadgîtâ, Al Ghazâlï e Silesio. Ma Blake è forse l'esempio più completo di tale unione dei due impulsi trascendenti; si aggiunga che al complesso mistico-poetico si allea in lui un terzo fattore, ossia quello figurativo. Blake fu infatti uno degli incisori più strabilianti della sua epoca. Nella espressione di Blake, il sentimento mistico, lo slancio poetico e l'opera del bulino si uniscono e s’integrano in modo inscindibile, talché solo un edizione in facsimile delle opere, comprensiva di tutte le illustrazioni, può aspirare a completezza, e solo da questa si potrà utilmente tentare di risolvere i suoi concetti oltremodo ardui. In Blake, i tre aspetti della personalità creatrice si compenetrano dunque intimamente: il verso deve essere integrato col pensiero mistico, e questo con le incisioni; l'un modo dell'espressione soccorrerà alla comprensione degli altri modi.

    Blake, autodidatta e solitario, trascorse la sua vita quasi fuori del proprio tempo, ed invero, sotto più di un aspetto, egli pare estraneo ad ogni tempo, vivente in un altro mondo. Benché si fosse opposto coscientemente alla filosofia sensista e razionale che sorgeva in quell'epoca, preparando la lunga fioritura del materialismo filosofico, e pur essendo sceso dunque in una lotta limitata nel tempo e recante i segni dell'epoca, a noi egli appare in una strana illuminazione quasi inumana e tutta sua, diversa dalla luce cui siamo abituati e nella quale ci sentiamo a nostro agio. Il linguaggio che parla il Nostro; pur avendo frequentemente gli accenti di un'angelica innocenza, ci rimane ignoto ed oscuro. Ogni poeta, vale appena il caso di rilevarlo, canta dell'animo umano; ma in lui l'anima acquista la parte di protagonista manifesto, le cui avventure nel campo dell’inconoscibile ci vengono narrate con ogni particolare: e quanti di noi possono fruire di un'esperienza personale per intendere i patetici casi dello spirito?

    E con tutto questo, il mistero della sua personalità è lontano dall'essere esaurito, ché riesce inspiegabile il divario tra la sua vita esterna — calma, tutta raccolta nell'affetto coniugale, sana, lunga — ed i formidabili cataclismi mistico-poetici del suo animo. L'opera del disegnatore rispecchia fedelmente questi contrasti: il tratto agile e preciso si riduce al minimo; le figure sono schematiche, il particolare è spesso ingenuamente falsificato; ma il complesso dà un'impressione indimenticabile di sicurezza e di pathos, in cui ravvisiamo un'altissima aspirazione ad esprimere qualche cosa di alto, al di là del bene e del male.

    Comunque ciò sia, le eminenti qualità dell'artista sono ormai incontroverse e non ci tratterremo su di esse. A noi interessa il mistico, più ancora del poeta, ed è questo che ci ha convinti a tentare la traduzione — che crediamo essere la prima — della sua opera mistica più lunga, più importante e... più discussa, seppure poeticamente assai meno importante di altri suoi scritti. Anticipatore di illustratori ed incisori moderni (Masereel, Kubin), anticipatore di profonde introspezioni che ci vennero dai romanzieri moderni e dalla nuova scienza della psicologia; anticipatore non solo del simbolismo poetico, ma della tendenza ermetica e, sotto certi aspetti, della rivalutazione demiurgica della parola poetica, Blake s'impone sempre più all'attenzione dei contemporanei. L’Ottocento, figlio spirituale del sensismo e della speculazione settecentesca, non poté comprenderlo (e non a caso Blake scende in campo contro Newton e Locke, Voltaire e Rousseau); ma dall’alba del nuovo secolo aumenta costantemente l'interesse per lui. Ancora non si è trovata una via reale per entrare nei penetrali delle sue mistiche figurazioni, e forse non la si troverà mai; solo con lo studio amorevole, con la simpatia degli affetti ci si saprà avvicinare a Blake. Le brevi parole di questa introduzione varranno forse a sollevare in qualche punto il fitto velo che ricopre il cantore dell'animo umano: il resto è compito dell'indagine individuale.

    II.

    Guglielmo Blake, quest'uomo che possiede dunque tanti titoli ad una fama duratura, entrò nella leggenda già da vivo. Chi non lo conosceva che di nome o per avere letto qualche brano delle sue opere, lo riteneva uno spirito eccentrico e strano, mentre i suoi amici e coloro che conoscevano a fondo i suoi scritti, erano convinti della sua genialità: e tale diversità di opinioni perdura fino ai nostri giorni. A parte questo, ed ammettendo francamente che la sua opera presta il fianco a molte critiche, rimane innegabile che Blake meriti stima e simpatia per l'onestà, la semplicità e il coraggio della sua vita, per l'inflessibile energia e per l'illimitata costanza con la quale perseguì la meta prefissasi. Non è possibile riscontrare in lui nessuna menzogna, nessuna falsità, nessuna incrinatura morale.

    Non ci dilungheremo molto sui dettagli della sua vita, calma e priva di notevoli eventi, e ci limiteremo a ricordarne i casi essenziali. Guglielmo Blake nacque a Londra, sulla Broad Street, il 28 novembre dell'anno 1757 e morì il 12 agosto 1827. Passò tutta la sua vita nella capitale, ad eccezione del periodo dal 1800 al 1803, che trascorse con sua moglie in una fattoria a Felpham, nei pressi di Bognor, sulla costa del Sussex. I genitori del Nostro appartenevano ad una classe modesta; il padre faceva il calzettaio, ed i fratelli erano molti. Il piccolo Guglielmo non fu mandato a scuola ma incominciò ad imparare l'arte del disegno appena decenne, in un'accademia dello Strand e fece poi l'incisore per tutta la vita. A venticinque anni sposò Caterina Boucher che gli fu compagna affezionata per venticinque anni. Dall'unione non nacquero figli.

    Poco dopo il matrimonio, le sue condizioni si fecero abbastanza floride. Nel 1796 egli fu incaricato di illustrare le lagrimose Notti di Young, allora all'apice della loro fama; ma l'opera non ebbe successo e in tutta la sua vita Blake non riuscì a conquistare la celebrità né ad essere accolto nelle istituzioni accademiche del suo tempo; anzi, la sua situazione finanziaria si fece piuttosto precaria; né giovò a rialzarne le sorti la fondazione di una specie di società d’incisione. Protetto da William Hayley di Felpham, che credeva fermamente nel suo genio, egli visse povero ed oscuro, lavorando tenacemente. La morte lo colse mentre stava accingendosi ad illustrare la Divina Commedia, ripromettendosi da questo lavoro l'agognato riconoscimento dei contemporanei.

    L'attività poetica del Nostro fu prodigiosamente precoce, non meno della sua abilità nel disegno; infatti, diverse delle sue poesie più deliziose furono scritte quando egli aveva appena quattordici anni. Raccolte sotto il titolo di "Poetical Sketches, queste poesie testimoniano del suo fresco impeto lirico, pur accusando l'influenza dei modelli del tempo; ma da questi si staccano per quella stessa nitidezza di canto che illuminò poco dopo il mondo nei versi di Wordsworth, Coleridge, Shelley e Keats. Miracolose di purezza e di semplicità rimangono ad esempio la sua poesia Alle muse o quella Alla stella del vespero":

    "Angelo della sera dalle chiome lucenti

    Ora che il sole si posa sui monti,

    Accendi la torcia d'amore e poni sul tuo capo

    La radiosa corona. Sorridi al nostro letto serale!

    Sorridi ai nostri amori e mentre abbassi

    Le azzurre cortine del cielo, spargi

    L'argentea tua rugiada su ogni fiore

    Che serra il dolce suo occhio al tempo del sonno.

    Dorma sul lago il tuo venticello:

    Di silenzio coi tuoi occhi lucenti

    E aspergi le tenebre col tuo argento,

    Presto, assai presto te n'andrai:

    Ed urleranno i lupi

    E il leone passerà per la fosca foresta:

    Ma il vello dei nostri agnelli è cosparso

    Della tua sacra rugiada proteggili

    Dunque col tuo beato influsso".

    Ma Blake non seppe proseguire su questa via che gli avrebbe forse dato la gloria. Perché? Dice un suo biografo: L’adolescente possiede una bellezza di lineamenti che svanisce ben presto, per non ritornare mai più: se un giovane fosse tanto sciocco da continuare il giuoco narcisista con la propria bellezza fuggente, le sue qualità virili non potrebbero sorgere mai più ed egli, fattosi uomo, continuerebbe a vivere come una vivente effigie del proprio passato. Se Blake, trascorsa l'età dell'adolescenza, avesse continuato a copiare i grandi morti... sarebbe diventato semplicemente un poeta celebrato ai suoi giorni: un poeta rispettatissimo, indiscusso ed esemplare, uno dei tanti poeti che affollano i cimiteri della letteratura (M. Plowman).

    Passati gli anni critici della maturazione, Blake concepì dunque l'arditissimo piano di partire verso le profonde acque dell’animo umano. Nacquero da questo intento, oltre agli scritti propriamente profetici ed alle composizioni poetiche e simboliche più lunghe quelle meravigliose gemme tra le più pure della lirica inglese, che formano la raccolta dei Canti dell’innocenza e dei Canti dell'esperienza. Nitidi versi, ove tra la forma e il concetto, il sentimento e la rima la fusione è perfetta. Intraducibili dunque, ben oltre l'intraducibilità connaturale ad ogni poesia. Il nostro Ungaretti diede la versione di qualche canto dell'innocenza e dell'esperienza, adottando l'unico criterio possibile, quello cioè di una libera ricreazione poetica fatta sulla scorta di una traduzione molto esatta. Non dobbiamo dimenticare però che Blake, pur quando ci parla di agnellini sperduti e di piccoli spazzacamini, ci narra, sotto simboli talvolta chiari, i casi dell'animo umano.

    III.

    Manca dunque una via sicura per penetrare nel mondo simbolico del Nostro. Molti autori, tra cui citiamo lo Swinburne ed E. J. Ellis, scrissero dei commenti talvolta utilissimi; ma non dobbiamo farci soverchie illusioni sulla utilità di questi studi. Blake era un autodidatta e la sua cultura, specialmente quella filosofica, fu piuttosto scarsa; gli mancava la terminologia tecnica e, da poeta che era, ricorreva al metodo apparentemente semplice di personalizzare i concetti, affibbiando ad essi dei nomi per lo più biblici, talvolta chiaramente allusivi; ma, per quel disdegno di rendere troppo manifeste le proprie idee che è frequente nei mistici, non volle darci la chiave del suo mondo simbolico. Ogni tentativo di esegesi rimane dunque strettamente personale e contiene in sé il pericolo di gravi errori d'interpretazione.

    Blake, cresciuto in una famiglia religiosa, sentì appieno il disagio spirituale del suo tempo. Il XVIII secolo aveva deificato la ragione assai prima che la rivoluzione francese avesse innalzato ad essa degli altari e l'uomo da sapiens si era ridotto a sensualis; alla sua ultima ed inevitabile solitudine volle porre rimedio con l'ideale di una perfetta convivenza sociale; i poeti si erano investiti della parte dell'uomo di mondo — vedi l'Accademia di Francia alla sua fondazione, o Pope e Addison in Inghilterra — leggendo nei salotti letterari le loro imitazioni più o meno brillanti dei modelli antichi. Sappiamo a quanta sterilità portò questa attitudine in Italia e fuori, e sappiamo che la reazione non tardò a profilarsi con gli albori del romanticismo filosofico e poetico: Blake ne fu uno dei campioni ante litteram. Questo, qualora si voglia inquadrare il Nostro nella sua epoca storica; ma come detto, la sua stessa diversità ed unicità lo stacca dai contemporanei e gli fa assegnare un posto a sé.

    Nei Canti dell’innocenza egli descrive lo stato originario dell'animo — e quale migliore immagine per esso che quella dell’infanzia, immersa in una beata atmosfera di unità e di felicità? Ma ben presto l'anima si affaccia alla soglia dell'esperienza, pur restando atterrita dagli orrori che intuisce al di là di essa; eccoci al Libro di Thel. Indi, spinta dalla sua brama di conoscere, l'anima mangia il frutto dell'albero della scienza del bene e del male; l'Eden è perduto per sempre, l'unità dell'uomo è distrutta, la sua felicità svanita: questo è lo stadio ritratto nei Canti dell'esperienza. Il contrasto tra la celeste innocenza e l'infernale esperienza sembra irriducibile. Ma ecco che si scopre la profonda necessità del male, dell'ombra, anzi la necessità che i due contrari, luce ed ombra, bene e male coesistano e collaborino in una feconda tensione onde nascerà la vita completa; sorge da questa conoscenza superiore il matrimonio del cielo e dell'inferno, che, ad onta della sua brevità quasi epigrafica, a noi pare l’opera capitale del Nostro e il punto culminante della sua filosofia. In questo scritto si ritrova in nuce, espresso nella forma più semplice e schematica, tutto lo svolgimento filosofico-etico dai romantici fino a Nietzsche, anzi fino agli psicanalisti moderni; e l'astrazione poetica anticipa a tratti il Mallarmé e Valéry.

    Eccone qualche citazione a suffragio della tesi:

    Senza contrari non v'è progresso. L'attrazione e la ripulsa, la ragione e l'energia, l'amore e l'odio sono necessari all'esistenza dell'uomo. Da questi contrari deriva ciò che gli uomini religiosi chiamano il bene e il male. Il bene è la passività che obbedisce alla ragione, il male è l'attività che sorge dall'energia.

    Dice il diavolo: ...L'uomo non ha un corpo distinto dall'anima: ciò che si chiama corpo è una parte dell'anima, staccata dai cinque sensi, porta principale dell'anima ai nostri tempi. L'energia è l'unica vita ed essa viene dal corpo; la ragione è il confine e la circonferenza esterna dell'energia".

    Gli uomini hanno dimenticato che tutte le divinità risiedono nel petto umano.

    Le gioie enfiano. I dolori fanno progredire.

    Porti l'uomo la pelle del leone, la donna il vello dell'agnello.

    Il pudore è la veste dell'orgoglio.

    Nessun uccello vola troppo in alto, se vola con le proprie ali.

    Disprezza i freni. La beatitudine è abbandono.

    Io chiesi: Il fermo convincimento che una data cosa sia fatta in un dato modo, basta a renderla tale?". Egli (Ezechiele) rispose:

    Tutti i poeti lo credettero e nelle epoche dell'immaginazione il fermo convincimento moveva le montagne; ma non molti sono capaci di una ferma convinzione di sorta... Il genio poetico (come ora lo si chiama) fu il primo principio onde derivarono tutti gli altri.

    E l’anima riprende la sua ascesa, in uno straordinario rivolgimento di valori. Procedendo verso la mèta, lo spirito si perfeziona:

    "Quali infanti discendiamo

    Nelle nostre ombre sulla terra".

    Ecco un altro concetto basilare di Blake: Egli considera la vita umana non come una discontinua parvenza di fenomeni, ma come una manifestazione particolare dell'essere eterno. Da svegli (nel senso buddhista della parola), noi viviamo nell'eternità; quando dormiamo, viviamo nel tempo. La sua idea della realtà sta all'opposto del concetto comune. Solitamente, quando parliamo della realtà di un oggetto, noi intendiamo con ciò la sua sostanza materiale. Blake considerava proprio questa come la maschera mortale, la sola ombra degli oggetti. Per lui, la realtà è costituita dallo spirito vivo ed operante, mentre la forma corporea o vegetativa non è che un'ombra fuggitiva.

    Questo suo sprezzo della realtà esterna arrivò a fargli dire, quando l'età gli aveva ormai reso pesante il corpo mortale: "Quanto a me, dichiaro che non avverto nemmeno la creazione esterna; per me, essa è un impedimento e non un'azione; è

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