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Praga alla fiamma
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E-book208 pagine2 ore

Praga alla fiamma

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Info su questo ebook

"L'ultima volta che sono venuto a Praga, caro signore, ci sono arrivato

per dimenticare. Praga eÌ una cittaÌ talmente gravida di personalitaÌ e vicende da raccontare, che non ne conosco una migliore per scordarsi le proprie". E di vicende, Luca Ragagnin, in questo volume, ne infila decine e decine, attingendo alla letteratura e alla poesia di un paese, l'ex Cecoslovacchia, che nella sua piccola estensione geografica éÌ riuscito a produrre una messe abbondante e importante di autori. Ragagnin ne ha scelti 53: li ha introdotti, antologiz- zati e cucinati, creando per ognuno di loro, con la sua penna agrodolce e tragicomica, una ricetta per il palato e per la memoria.
LinguaItaliano
Data di uscita1 dic 2009
ISBN9788896720998
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    Anteprima del libro

    Praga alla fiamma - Luca Ragagnin

    Gli autori

    Jakub Arbes

    (1840 – 1914)

    Il vecchio signore che ha conosciuto così tante cose nella vita che doveva parlarne ogni sabato: ecco come Jaroslav Hašek, insieme a Franz Kafka e a Bohumil Hrabal il più influente scrittore della letteratura ceca moderna, ricordava affettuosamente Jakub Arbes, giornalista e prolifico scrittore di romanzi e racconti nella linea del celeberrimo fantastico praghese. È una narrativa che non teme il confronto con il gotico inglese e americano, intrisa di leggende alchemiche d’epoca rudolfina, di Golem maestosamente fangosi e di protofantascienza (fu Karel cc apek, con il suo dramma teatrale del 1920 R.U.R – Rossum’s Universal Robots a presentare per la prima volta al mondo intero l’inquietante parola, Robot, che in ceco significa sfacchinata, duro lavoro da Lager).

    Arbes incontrava i giovani bohemién praghesi, tra i quali appunto Hašek, nell’osteria U Zlatého litru (Al Litro d’oro): era considerato un nonno, ma un nonnino illuminato, ascoltato con molta attenzione e con altrettanta attenzione osservato nella, pare, virtuosissima arte di portare il boccale di birra alle labbra.

    Il Fantastico non disdegna il buon bere, come ci si accorgerà nella pagina de Il diavolo alla tortura, una delle più note brevi fantasmagorie di Jakub Arbes.

    Avevamo vagliato i più vari argomenti; poi qualcuno accennò ad una curiosa novità che circolava, proprio in quel momento, per Praga. Si era sparsa la voce che a Ujezd qualcuno avesse incontrato un diavolo.

    – Su commissario, acchiappalo! – rise il medico.

    – Gli farò questo onore! – fu la risposta.

    – E se fosse Satana in persona? – gorgogliò il medico.

    – Meglio ancora! Anche se fosse Belzebù lo prenderò. – rispose il commissario con tono serio.

    – Eh, un Belzebù in carne ed ossa? Sarebbe davvero un colpo magistrale! Naturalmente ce lo mostrerai, non è vero? Inutile vantarsi se no! Una mano della giustizia pigra come la tua un diavolo non lo prenderà mai!

    – Scommettiamo! Dieci bottiglie di vino di Sopron.

    – Dieci? Vada per dieci! Se catturi il diavolo e ce lo mostri, e noi, anzi io lo riconoscerò per tale, ti pagherò venti bottiglie.

    Dopo queste parole la conversazione languì per mancanza d’argomenti e dopo qualche giorno ci si dimenticò della scommessa.

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    Václav Benda

    (1946 – 1999)

    Filosofo marxista studioso del problema cattolicesimo/politica, un binomio letale negli anni ’80 in Cecoslovacchia, poeta laureato in cibernetica, e agitatore culturale, dopo essere stato tra i firmatari di Charta 77 ovviamente viene punito dapprima con il lavoro manuale (fuochista notturno all’Hotel Meteor di Praga…), quindi viene rinchiuso nel temutissimo carcere-lager di He rc manice, dal quale scrive favole educative per i suoi cinque figli e lettere dolenti e meditative alla moglie (esattamente come fece nello stesso periodo e dal medesimo luogo Václav Havel con Lettere a Olga). Filosofi entrambi di un quotidiano tarpato in cui gli affetti famigliari si mischiano alla fede, la fede s’intreccia alla coscienza politica e la politica è ciò che dovrebbe sempre essere: la ricerca della conoscenza e della felicità individuali e sociali.

    19.6.1979

    Ho mangiato proprio di gusto il dolcetto: debbo dire che questa consapevole cura per la propria salute non è affatto facile e che la mia dieta casalinga a base di kefir (yogurt alcolico – ndc) e slivovice (acquavite, in genere di prugne – ndc) mi si addiceva assai meglio. Tuttavia ricevo i cibi, decisamente immangiabili, anche da parte dei miei colleghi e spero di mantenere (se non di aumentare) il mio peso base di 81 chilogrammi: mi dispiacerebbe guastarmi la fama di persona moribonda. Anche dell’igiene intellettuale, per quanto è possibile, mi prendo cura, per alcuni giorni ho avuto modo di giocare a scacchi (…) (qui c’è una parte cancellata dalla censura – ndc) e cerco anche di esercitarmi in lezioni di logica… Inoltre rifletto molto sui miei peccati e su vari progetti per il futuro, ma questi dipenderanno molto dalla condizione e dallo stato in cui troverò voi tutti al mio ritorno.

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    Egon Bondy

    (1930)

    Il Guru dell’underground praghese degli anni Settanta è attivo già dal secondo dopoguerra, cioè dagli anni dello stalinismo, contro cui Zbyn ec k Fišer, vero nome di Bondy, combatte scrivendo poesie parasurrealiste e dadaiste, organizzando pubblicazioni clandestine, come il samizdat Mezzanotte, e formando con la sua compagna Jana cc erná, incontrata in quel periodo, una coppia eversiva, dedita alla macchia e ad attività contrabbandistiche con l’Austria. Beat Generation pura. E, non a caso, dopo l’invasione sovietica e la Primavera di Praga, Bondy presta il suo talento letterario al gruppo rock Plastic People of the Universe, una sorta di factory altamente politicizzata, con venature sprezzanti e ironiche alla Mothers of Invention di Frank Zappa, che, con i suoi testi, incidono l’album Egon Bondy’s Happy Hearts Club Banned

    Tutto procede senza infamia né lode nella Cecoslovacchia normalizzata della metà dei Settanta, fintantoché ai Plastic People viene assolutamente vietato di suonare, mentre nel resto del Paese fioccano gli arresti di intellettuali, poeti, scrittori e filosofi. È una delle scintille che porteranno al fuoco della Charta 77, manifesto per i diritti civili firmato, tra gli altri, da Václav Havel, allo scopo di combattere e possibilmente sovvertire una normalizzazione troppo tra virgolette, imposta dal regime di Husák con l’avvento del regime comunista.

    Egon Bondy, compagno di anima e di bevute di Bohumil Hrabal, è, insieme all’artista esplosionalista Vladimír Boudník, il coprotagonista del romanzo hrabaliano Un tenero barbaro.

    Il romanzo di Bondy portato in cucina, invece, è Fratelli invalidi, cronaca semitragica della vita di un disperato gruppo di musicisti rock (i Plastic People, naturalmente) e di tutta una serie di sommersi, anormali, minorati e invalidi sotterranei, che sciaguattano in una Cecoslovacchia di cui si precorre il crollo del regime rosso.

    Caspita… disse la cugina, dopo aver terminato di svuotare la cassa sul pavimento. Questo non l’abbiamo mai mangiato in vita nostra fece, fissando un animale che chiaramente era stato spellato da poco e poi avvolto in un sacchetto di cellofan.

    Dai nostri magazzini fece notare Mandelbaum.

    Beh, avete della buona roba commentò A., ma questo animale sembra proprio che sia stato vivo.

    E infatti è così. Proviene da un nostro allevamento.

    Però! disse la cugina.

    È ormai da anni che ci prepariamo in maniera organizzata alla lotta per un’umanità migliore…e non sarebbe bello se non fossimo in grado di portare all’umanità quello che desidera.

    E di questi gatti ne avete venti milioni? chiese la cugina.

    È un coniglio e non un gatto, è evidente che non ne avete mai visto uno dal vero. Comunque non ne abbiamo venti milioni….

    D’altra parte dove se ne potrebbero tenere così tanti? osservò A. con sollievo.

    …bensì solo alcune centinaia, ma i conigli si moltiplicano seguendo una curva iperbolica, tanto che tra un anno ci potrebbe già essere un coniglio per ciascuno.

    C’è del succo in tutto questo disse la cugina, meditabonda.

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    Max Brod

    (1884 – 1968)

    Incontra Franz Kafka nel 1902 a Praga, nella Sala di letture e di conferenze degli studenti e il suo destino cambia. Autore di novelle, romanzi e saggi (fondamentale resta Il circolo di Praga per la comprensione dei movimenti letterari dell’epoca), dedica gran parte della sua vita alla divulgazione dell’opera del suo amico d’infanzia, che ne richiedeva invece l’oblio e la scomparsa.

    La pagina scelta è tratta da Franz Kafka. Una biografia, pubblicata nel 1954.

    Kafka sta patendo terribilmente i suoi ultimi mesi di vita. Scrive a Dora Dymant, l’ultima figura femminile della sua esistenza, con la quale, forse, avrebbe voluto un figlio…

    Arriva il terribile inverno dell’inflazione. Siamo nel 1923. Credo che a uccidere Franz sia stato proprio quell’inverno.

    Quando dal silenzioso sobborgo si reca in città, Dora lo vede ritornare come dal tumulto della battaglia. La miseria dei poveri gli stringe il cuore. Ritorna a casa grigio come la cenere. Vive con tale intensità dice Dora che nella sua vita è morto di mille morti. Ma non si tratta soltanto di pietà perché lui stesso è soggetto a grandi privazioni. Si ostina infatti a vivere con la piccola pensione e soltanto nei casi estremi e con grande riluttanza accetta denaro e pacchi viveri dalla famiglia. Così infatti vede minacciata la sua indipendenza conquistata da poco. Appena guadagna qualcosa (in seguito al contratto con la casa editrice Die Schmiede) si affretta a pagare i debiti di famiglia, pensa a ricchi doni per i compleanni; e fin che può nasconde le sue vere condizioni alla famiglia che pensa a lui con trepida apprensione. C’è penuria di carbone. Il burro deve venire da Praga. Saputo che sua sorella fa parte di un’associazione femminile ebraica di Praga la quale manda pacchi-dono a Berlino, le comunica l’indirizzo di conoscenti privi di mezzi. Per non trascurare nulla (poiché il denaro per tali spedizioni suol terminare presto) mando addirittura gli indirizzi, ma potrei mandarne degli altri, ne ho una provvista. Ad alcuni degli indirizzi aggiunge la nota Cibi leciti (secondo la legge ebraica). Quando gli viene sott’occhio uno di quei pacchi ne fa la critica: Eccolo dunque davanti a noi, serio, serio, senza neanche il sorrisetto d’una tavoletta di cioccolata, di una mela o qualcosa di simile, proprio come dicesse: ‘Adesso vivi ancora qualche giorno di semolino, riso, farina, zucchero, tè e caffè, e poi muori come è necessario. Non possiamo fare di più’. Secondo il suo sentire non si faceva mai abbastanza.

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    Karel ccc apek

    (1890 – 1938)

    Ecco un autore che ha trattato la scrittura come la vita. Con saggezza, accondiscendenza, gioia, ironia, invenzione, dolore, e attingendo dalla tavolozza del proprio estro ogni colore possibile per creare ogni forma possibile. Karel cc apek scrisse racconti polizieschi, novelle religiose, diari di viaggio, libri per bambini, teatro fantascientifico (come ricordato qualche pagina indietro), satira politica, poesie, feuilletons, spesso illustrando personalmente le proprie opere. Fu anche un ottimo traduttore di poesia francese moderna e, grazie a lui i lettori cechi, già dal 1920, poterono avventurarsi nelle liriche di Baudelaire, Mallarmé, Apollinaire, Rimbaud e molti altri.

    Già dai suoi primi libri, che sancirono un sodalizio con il fratello pittore Josef, fu ben chiaro a tutti che la lingua per cc apek non era nulla di molto diverso da un tubetto di dentifricio. Tu ne schiacci la pasta sulla pagina e poi plasmi ciò che ti pare, nel modo che ti pare: il risultato sarà quello giusto e l’unico possibile. Per dirla con le sue parole: la lingua ceca è una delle più ricche di vocaboli e di sfumature, la più perfetta, la più sensibile, la più cadenzata di tutte quelle che conosco e che ho sentito.

    Come sgusci e come ritmi questa lingua lo si comprende dopo poche righe della fiaba per bambini-ma-neanche-troppo, La grande favola gattesca.

    Il trentanovesimo giorno dopo la partenza arrivò un telegramma da Amsterdam in Olanda: "Arrivo domani sera alle sette e quindici minuti. Preparate

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