Il Teorema di Shoringrad - Quasi un Prosimetro per il XXI Secolo
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Anteprima del libro
Il Teorema di Shoringrad - Quasi un Prosimetro per il XXI Secolo - Vittorio Gimmarini
CAPITOLO I
Sulle colline di Varzi
Il prosimetro (dal lat. prosimetrum) è un tipo di componimento misto, in prosa e versi, che si struttura in forma di romanzo. Può essere legato a motivi satirici, ma anche a temi filosofico-religiosi e poetici. È praticamente scomparso nella produzione letteraria contemporanea.
Si svegliò alle tre del mattino, richiamato all’ordine da un conato di curry e vino – ma dove cazzo era?
La notte riportava il suono di una cicala dimenticata in una tenebra alienante, nell’aria un vago ricordo di spezie si abbarbicava al nulla, la ricerca di un punto di riferimento era vana.
Controllò se sua moglie respirava, dato che russava troppo poco, poi, immerso nel buio completo, ricordò che era sulle colline di Varzi, in un agriturismo indiano.
Vittorio Gimmarini era un medico cinquantenne, stravolto dalla permeazione con milioni di disgrazie, che aveva riscoperto la consolazione della letteratura. Negli ultimi quattro anni aveva fatto importanti sperimentazioni, in poesia e in prosa, tutte conservate in files misteriosi sul suo computer, e aveva addirittura pubblicato un libro di Haiku e un eBook erotico.
Aveva inviato a diversi editori un promettente romanzo, che parlava di se stesso che inventava una caramella al gusto di merda; questo gioiello era figlio di un’ispirazione notturna arrivata chissà quando. Lui passava in genere notti che richiamavano il disastro del Titanic.
Ancora scosso dal silenzio che avvolgeva come formalina le lontane cicale, pensò fugacemente che non sarebbe stato facile pubblicare un libro di merda che parlava di merda, ma questo atto temerario sarebbe stato una grande occasione per celebrarsi come scrittore: urgeva cambiare lavoro e vita !
Durante quel risveglio dispeptico, fu illuminato dal ricordo degli eroi letterari della sua giovinezza, Bukowski al culmine e, consolato da questa folgorazione, vomitò brevemente sul giornale della sera. Sharon rantolò nel buio: era viva!
Vittorio decise: avrebbe creato un prosimetro, una forma che gli avrebbe permesso di ricostruire la sua esistenza reale e poetica in un’opera nella quale includere le sue creazioni artistiche degli ultimi, effervescenti, anni letterari. Si esaltò brevemente pensando che, osando proporre questa forma, sarebbe stato in buona compagnia (Dino Campana, Leopardi, Dante, Petrarca).
Il ricordo di Bukowski lo scaldava. Come lo aveva conosciuto? Non c’era nemmeno birra in camera.
Ritornò al passato con il pensiero, tanto, non aveva nemmeno voglia di scopare, e questo lo preoccupava.
In realtà si sentiva senza passato. già il presente era per l’ottanta percento una rotta di balle; se cercava di ricordare l’infanzia, arrivavano ricordi frammentari che lo ferivano come schegge di vetro. Tuttavia, quello che era successo nel 1978 arrivava forte e chiaro.
A 18 anni aveva baciato per la prima volta la bocca vinosa di un’amica di sua madre, ed era fuggito nei boschi spaventato dalla sua audacia.
In seguito, bastò il pensiero di quel nulla che era avvenuto perché il suo subconscio catto-freudiano lo rendesse sicuro di aver preso la sifilide: iniziarono tre mesi infernali di angosce notturne e di esami del sangue; nessun referto favorevole gli faceva passare la paura, il suo corpo passava in rivista i sintomi di ogni stadio della malattia, e quindi cominciò a bere, in parte con due amici sfigati, e anche da solo, per non pensare alle angosce del contagio.
Una notte, la spinta dei distillati fu troppo forte, e gli scoppiò il pancreas. Fu ricoverato in ospedale e salvato in cure intensive.
Fu là che uno dei suoi amici di tazza gli regalò Compagno di sbronze
di Charles Bukowski. Nel dolore, era l’inizio di una virtuale amicizia letteraria che lo portò negli anni a leggere tutte le sue opere di narrativa.
Non apprezzò mai invece del tutto le poesie di Charles, anche se queste gli diedero, a tratti, qualche illuminazione sullo stile. Più tardi si sarebbe permesso di fare il difficile anche sugli Haiku di Kerouac. Ma chi cazzo credeva di essere?
Vittorio, di Bukowski amava la chiarezza e l’onestà, che andavano al di là degli elementi di provocazione e dissacrazione che sarebbero stati un fin troppo seducente pabulum per un diciottenne arrabbiato.
Negli stessi anni, a dono di un altro amico, conobbe Opus Pistorum
di Henry Miller, un'altra opera altamente provocatoria per il linguaggio e l’alto contenuto erotico. Miller, però, non gli piacque del tutto – era troppo un fighetto, un primo della classe che scriveva puttanate per farsi bello. Bukowski, invece, le puttanate le viveva veramente!
Vittorio ricordò che aveva tentato diverse volte di leggere altri libri di Miller rompendosi il cazzo dopo due paragrafi. Decise, come per altri autori, che lo ammirava e lo ringraziava di esistere, ma che non era sicuramente uno di quegli amici che lo cerchi di notte, come quegli sfigati di cui cantava Cocciante.
Gli sembrava impossibile riuscire a dormire, ma era troppo stanco per lavorare, non voleva svegliare la sua bella con una luce delle tre del mattino. Un bicchierone di acqua calda arrugginita non riuscì a ridargli il sonno, ma lo portò in una veglia opaca, dalla quale emerse per un attimo, richiamata da qualche sensazione del momento, una pagina che aveva scritto un anno prima, l’Irish Song.
Irish Song
Mi sveglia l’odore della bava sul cuscino e quanteveriddio capisco che cosa significa hangover ma mi esalti la luce quant’è lontano il water e forse se non c’era una tazzina rotta sul pavimento la vita poteva almeno avere la parvenza di un fiore più bello ma in quella savana di un giorno forse nuovo ma in realtà stolida pizza da microonde non c’era spazio per fiori né farfalle e pensando a più metaforici ditteri mi pesi meno il bacino io e un rigido compagno ci chiedevamo quando il calore tropicale di quella profonda tigre ci avrebbe nuovamente sciolti e riportati nel promettente primo magma lei dormiva serena testimone di quanto l’acqua lavi l’anima con più dolcezza del regalo di mille alambicchi ma la domanda di Shoringrad affondava canini aguzzi e lingue velenose in quel reticolo d’essere in ruvida osmosi tra anatomia e creazione ma io in Lui credo e il teoretico può meritarsi un bruciante simbolico augurio mentre l’innesco di questa follia richiede l’amplesso con fetide vili molecole e un rancore di solitudine metastatica mentre il giorno si impone al mio dolore e a promesse di immani fatiche foriere