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Anteprima del libro
Sono qui - Giulia Prodiguerra
Ringraziamenti
Capitolo I
Did you ever feel
We’re falling as we grow
No I would not believe
The light could ever go
But the golden age is over
Woodkid, The Golden Age
Era una limpida mattina d’autunno, ma faceva un freddo piuttosto inusuale. Le prime luci del giorno facevano capolino dalle sagome dei tetti, e il cielo era terso dopo il temporale della notte precedente. I rumori sembravano amplificati dalla purezza dell’aria, mentre una lieve brezza accarezzava le pareti delle case.
Eddie era sveglio da circa mezz’ora, aveva gli occhi gonfi ed era piuttosto assonnato: sbadigliò, respirò a pieni polmoni, sistemò la sciarpa e la borsa a tracolla piena di libri e richiuse il portone dietro di sé. La cittadina aveva appena iniziato a svegliarsi. Mentre le percorreva ascoltando il rumore dei suoi passi, le strade erano ancora quiete e bagnate dalla pioggia. Dai bar usciva l’aroma del caffè e delle brioche calde.
Si diresse verso la fermata dell’autobus, situata appena fuori dalle mura del borgo. Gli sarebbe piaciuto quel giorno addentrarsi nei vicoli di Lucca, in quelle vie lastricate colme di turisti d’estate e percorse dal vento gelido in inverno, perdersi nelle chiese in cui aveva cercato il fresco da bambino, godere della vista dai baluardi. Ma non poteva, perché sua nonna Ivana era ricoverata in ospedale. Un pensiero che aveva riempito quelle ultime ore, rendendogli difficile concentrarsi su qualsiasi cosa potesse rendergli più lieve l’attesa.
La prima corsa della giornata era semivuota, l’autista, con i baffi folti e l’aria di chi deve ancora svegliarsi del tutto, era concentrato e teneva la musica della radio molto bassa. Eddie si sedette in fondo, e prese a sfogliare con disinteresse uno dei suoi libri per la seconda parte dell’esame di Letteratura italiana, che ormai conosceva praticamente a memoria. Si trattava del Canzoniere di Francesco Petrarca.
Pur essendo bilingue, cresciuto in una famiglia in cui si parlavano sia inglese che italiano, (ma da cui aveva ereditato solo il cognome anglosassone, Robertson), alcuni antichi poeti gli restavano piuttosto ostili, e non riusciva a cogliere a pieno il senso di quei versi che suonavano tanto musicali e si giustificava dicendo che la sua educazione era stata anglofona, così come tutte le sue frequentazioni scolastiche. Questo aveva infatti lasciato una lieve impronta rotonda sul suo accento, rendendo quindi difficile localizzare immediatamente la sua provenienza.
Era al terzo livello della specialistica in Letteratura, cultura e lingua italiana presso l’Università di Londra, dopo aver conseguito la laurea in Lettere moderne aveva trascorso un anno a Bologna e doveva sostenere gli ultimi esami.
Voleva diventare insegnante e far conoscere e apprezzare ad altri studenti, nella terra d’origine di suo padre, quei capolavori letterari tanto amati da sua madre.
Da piccolo, quando trascorreva l’estate a Lucca dalla nonna (non era successo spesso, ma abbastanza da imprimersi nella sua memoria), lei gli leggeva Il Gattopardo e I Promessi Sposi per farlo addormentare. Quei suoni gli erano entrati nella mente, ancora indistinti e privi di significato, e lì avevano messo radici, germogliando nel corso degli anni. E poi conservava un ricordo particolarmente dolce e divertente di suo padre che spesso cercava di pronunciare quei titoli in italiano con il suo marcato accento londinese.
Quei ricordi si rincorrevano nella sua mente mentre osservava il panorama che passava davanti ai suoi occhi, rinfrescato dalla pioggia dei giorni precedenti, e i cui colori erano offuscati dai vetri opachi dell’autobus.
Raggiunto l’ingresso principale dell’ospedale, il segnale di fermata si accese e l’autobus aprì pigramente le porte. Eddie scese e si diresse verso l’atrio, dove entrando fu investito da un’ondata di calore innaturale e odore di disinfettante che gli dette un vago senso di nausea. La struttura era un grosso blocco unico su tre piani, bianco e grigio, sobrio e asettico come tutti gli ospedali. Il personale medico e i visitatori iniziavano pian piano ad affollare l’edificio, mentre dalle vaste vetrate entrava la luce del giorno.
Eddie seguì il percorso per arrivare al reparto di neurologia, al secondo piano, e mentre aspettava l’ascensore si immerse nuovamente nei suoi pensieri.
Si erano venuti a trovare in quella situazione in modo totalmente inaspettato, per quanto all’inizio il processo fosse stato graduale. Ivana era sempre stata una donna calma, flemmatica, precisa: non ricordava di averla mai vista arrabbiata o irritata se non per motivi davvero gravi. Teneva ogni cosa in perfetto ordine, e conosceva l’ubicazione precisa di ogni oggetto, libro, documento. Era un’attitudine snervante per chiunque la circondasse e non avesse quel livello di ossessione, ma veniva sempre ringraziata quando si trattava di ritrovare anche il più piccolo documento sepolto in fondo a una libreria. Quelle dimenticanze che avevano iniziato a verificarsi alcuni mesi prima, intorno ad aprile, rendendola sempre meno affidabile, erano quindi piuttosto inusuali per lei: la loro crescente frequenza non era più giustificabile con la stanchezza o l’avanzare dell’età. Erano piccoli segnali di un quotidiano che andava spogliandosi della sua rassicurante normalità, ma nessuno di loro poteva rendersene conto.
Inizialmente Eddie e i suoi genitori non diedero troppo peso a questi eventi, spegnendo con un gesto automatico il gas lasciato acceso sotto