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Gli illusionisti
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E-book188 pagine2 ore

Gli illusionisti

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Info su questo ebook

Grecia, ai giorni nostri, al tempo della crisi economica: Agnes, ultima superstite di una ricca famiglia, ha perso quasi tutto, non solo i beni materiali soprattutto gli affetti familiari. Ormai cinquantenne, sola e priva di punti di riferimento, sarà costretta ad inventarsi una nuova vita. Sullo sfondo, un’isola, un mare onnipresente ed una baia dal sapore mitico, ma anche città degradate, strade polverose, rovine antiche e tanti personaggi che scendono in pista, come in un circo, spesso pessimi equilibristi a volte abili funamboli, non importa, nel gioco tra apparenza, realtà e illusione, tutti dovranno prima o poi entrare nella magica scatola dell’illusionista e decidere se sparire per sempre in quel mondo fittizio o riapparire nella realtà
LinguaItaliano
Data di uscita7 set 2023
ISBN9791259610881
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    Anteprima del libro

    Gli illusionisti - Isabella Portera

    PRIMA PARTE

    Capitolo uno

    Un angelo continuava a guardarla dal cielo azzurro. Aveva il viso di un bambino imbronciato ma dopo un colpo di vento assunse all’improvviso l’aria di un adulto. Quel pomeriggio il cielo era pieno di angeli, dovunque guardasse Agnes ne scorgeva sempre di nuovi, tutti angeli bambini, ridenti, stupiti, malinconici, uno in particolare, sembrava dormire, aveva allungato le ali e si era disteso sopra la collina vicino al mare.

    Stanca d fissare le nuvole, si guardò intorno: lì non c’erano angeli, solo mare, acqua, azzurra, blu, verde, turchese che brillava illuminata dal caldo sole estivo. Amava quell’isola del Mediterraneo dove sin da bambina vi trascorreva l’estate, l’isola degli archi, così l’aveva soprannominata. Aveva, infatti, notato che tutte le case, in un modo o in un altro presentavano archi: le finestre, le porte, gli ingressi ovunque l’architettura dell’isola si era realizzata in quella forma antica. La sua stessa casa aveva un enorme ingresso ad arco, la finestra della camera da letto che affacciava sul mare era sormontata da una grande volta, nel suo studio c’erano ben due pareti ad arco, una che introduceva nella camera da letto, l’altra che si apriva in una veranda con ampie vetrate verso la collina gremita di ulivi e alberi di limone.

    Agnes amava passeggiare per le varie località dell’isola e aveva notato che quella caratteristica era presente ovunque, dalla ricca abitazione di lusso alla semplice casa rurale dell’agricoltore, un vero e proprio motivo ricorrente. Un’altra peculiarità di quel luogo erano i meravigliosi giardini nascosti. Nelle lunghe passeggiate a piedi, aveva avuto modo di osservare come in tutte le località dell’isola ci fosse una grande varietà di giardini, verdi e rigogliosi, spesso celati, sotto il livello della strada: rimaneva a guardare incantata quei furtivi cortili interni che si aprivano improvvisamente verso ricchi frutteti degradanti verso il mare con alberi carichi di susine, pesche e albicocche oppure quegli inattesi spiazzi contornati da grandi alberi di fico e di ulivo, chiusi da muretti di cinta in pietra su pietra, che si aprivano su estesi vigneti. Per lei quella era un’isola magica. Munita di fotocamera, fotografava quegli antichi patii contornati da agavi e ibisco, buganvillee e palme, per catturare, con un fotogramma, fra l’esplosione di quel verde, occasionali scorci di mare azzurro, scintillante sotto i raggi del sole caldo, scampolo celeste che si faceva largo fra i rami di un ulivo o i fiori rossi, o bianchi di un ibisco.

    Spesso, scrutava il mare ad occidente e se guardava bene, all’orizzonte scorgeva la sagoma di un’altra isola lontana che a volte sembrava fluttuare come un miraggio nell’aria tremula del tramonto quando nuvole furtive disegnavano una linea sospesa fra mare e cielo e la luce rossa del sole di fuoco sembrava incendiarle riflettendo sul mare intermittenti bagliori rosa.

    Quel giorno mentre osservava quel mare sconfinato, Agnes si rese conto che era passato più di un mese da quando aveva visto Dario l’ultima volta nella solita camera di quel residence, in città. Aveva trascorso quasi tutta l’estate da sola, si erano sentiti al telefono, si erano mandati qualche messaggio, avevano anche discusso, non ricordava neanche più su cosa, ma il desiderio di parlarsi e la voglia di stare insieme prevalevano sempre su tutto. Rimaneva lo sconforto che spesso la assaliva quando con nostalgia lo avrebbe voluto vicino, ma a cosa serviva dirglielo, dirselo o desiderarlo? Così cercava di non pensarci.

    Quella estate aveva avuto due amici a farle compagnia, Nicolas un ex calciatore di un’importante squadra di calcio con il quale era uscita più volte e al quale aveva chiarito subito che non era intenzionata ad iniziare alcuna storia e Stephen un vecchio amico di gioventù . Erano usciti insieme e si erano fatti compagnia, parlando, passeggiando, bevendo la sera nei vari pub dell’isola, ascoltando dal vivo musica locale o brasiliana, ma quando Agnes al rientro si stendeva sul letto e provava a dormire e l’aria fresca della notte l’avvolgeva, ecco che allora, ritornava prepotente la nostalgia di Dario, a volte le sembrava quasi di sentirlo o vederlo. Così mentre lei trascorreva lunghe giornate calde su spiagge roventi, avvolta da un torrido vento africano, Dario, appassionato di sci alpinismo era in montagna in Italia a scalare ghiacciai a quota tremila metri; un giorno le aveva lasciato un messaggio nella segreteria telefonica, le diceva solo ciao, volevo sentirti, come stai ? poche parole ma il tono serio, dolce e nostalgico della voce l’aveva fatta intristire .

    Quasi tutte le sere usciva con Stephen, il vecchio amico di tanti anni prima, passava a prenderla con un’auto sportiva decappottabile e giravano la notte in auto fino a tarda ora con il cielo stellato sopra le loro teste che li avvolgeva come un mantello, si fermavano nei vari pub dell’isola, lui era un esperto conoscitore di cocktail e ogni sera gliene faceva assaggiare uno nuovo, parlavano e si raccontavano dei loro amori e del loro vivere quotidiano. Stavano bene insieme, erano stati amici di infanzia, erano entrambi sopravvissuti a matrimoni finiti e a famiglie dissolte. Condividevano quella solitudine del viver soli, più forte e intollerabile quando i figli erano lontani, quella tristezza del rientrare a casa e non avere nessuno con cui parlare, come anche Nicolas l’ex calciatore, divorziato pure lui, le aveva confidato di provare.

    Tutti e tre si comprendevano in silenzio ed erano consapevoli che non avrebbero mai accettato di vivere con qualcuno solo per riempire la solitudine. Nicolas parlava poco, Stephen era più sanguigno, quando le parlava aveva sempre il respiro affannoso – sei tu che mi emozioni, sei bella, i tuoi occhi mi stregano …... Agnes era stata chiara con entrambi, sola amicizia, eppure una di quelle sere calde e stellate, quando prima di salutarsi aveva baciato Stephen sulla guancia, il suo profumo di uomo e la sua barba ispida, le avevano provocato un piacevole turbamento che l’aveva quasi stordita, anche lui se ne era accorto ma non aveva fatto in tempo ad approfittarne perché lei prontamente si era allontanata.

    Capitolo due

    Agnes guardò il telefonino, aveva da poco mandato un messaggio a Dario, ma lui ancora non le rispondeva.

    Quella estate le sembrava interminabile: non vedeva l’ora di tornare in città per rivederlo. L’isola era ancora piuttosto affollata e chiassosa ma Agnes, dopo la partenza dei suoi amici, faceva una vita abbastanza ritirata: mattina sulla spiaggia, pomeriggio in bicicletta o a passeggio e serata in casa, sul terrazzo o nel giardino a prendere il fresco con il figlio o gli amici, chiacchierando e leggendo.

    Quel pomeriggio però le sembrò particolarmente lungo e intollerabile, Shakespeare continuava a fissarla dalla scrivania con aria paziente e comprensiva, il suo libro di sonetti era lì e spesso Agnes lo apriva e ne rileggeva uno. Decise di uscire, di andare con la bicicletta nel solito bar del centro, sedersi ad un tavolino, sorseggiare una bibita e scherzare con Maria la giovane cameriera. Spesso il pomeriggio aveva preso l’abitudine di andare in quel posto dimesso, semplice e alla mano, frequentato soprattutto da giovani e anziani del luogo, poco visitato dai turisti che gli preferivano locali più alla moda. Aveva subito simpatizzato con la cameriera, una ragazza minuta, non molto alta, con grandi occhi svegli e un sorriso ammiccante.

    Ad Agnes piacevano quelle ragazze, ruvide, un po’ sfacciate che parlavano in modo diretto e a volte spudorato e lei era piaciuta subito alla ragazza che l’aveva accettata nonostante la sua stravaganza e i suoi capricci da snob.

    - Ma come te lo devo dire che non si deve servire il gelato con il cucchiaino di plastica e ricorda quello di metallo non deve essere mai caldo! le diceva Agnes stizzita quando le serviva il gelato, Maria per tutta risposta rideva, definendola una signora snob d’altri tempi.

    Ti ha telefonato il tuo amico? Oppure ti fa ancora sospirare? le diceva ammiccando mentre le serviva il caffè.

    – Ah, oggi sorridi, allora lo hai sentito … questo era il tenore delle loro conversazioni. Poi Maria le diceva, seria ma con occhi furbetti….

    - Ieri sera ho fatto una pazzia, via con la macchina dal mio fidanzato, cento chilometri e tutta la notte a...

    - Brava le rispondeva Agnes hai fatto bene, e perché non sei rimasta anche oggi? E ridevano divertite, fra i piccioni che volavano nella piazza e i bambini che correvano fra i tavolini.

    Le piaceva quella piazza, c’era quel gruppo di anziani seduti al tavolino che la fissavano ebeti mentre parlava e rideva con la cameriera oppure quelle famigliole con padri obesi, mamme tristi che strattonavano bambini urlanti, oppure quelle coppie di innamorati abbracciati che a volte discutevano arrabbiati a volte si baciavano felici, oppure quelle donne sole, anziane con lo sguardo smarrito oppure c’era lei, Agnes, quella donna strana che arrivava in bicicletta, con cappelli sempre diversi ed eleganti, scendeva e si sedeva a leggere, fare fotografie, chiacchierava in modo divertito con la cameriera, a volte prendeva e posava il telefono in continuazione, si capiva che aspettava con ansia una telefonata e allora, la vedevi parlare, ridere, a volte sospirare ma poi alla fine si alzava sempre con la stessa aria triste e pensierosa, salutava tutti e riprendeva la bicicletta, chissà chi era quella donna, ma sì era la figlia del ricco industriale fallito, la moglie di quel tipo balordo che aveva sposato contro il volere dei genitori, ma chissà forse era solo una mezza matta.

    Rincasando Agnes si accorse che il circo accampato lungo la strada era d’incanto sparito, aveva letteralmente levato le tende, portando via quelle grasse e assonnate tigri del Bengala gonfie di cibo e tranquillanti, quei variopinti pappagalli dell’Amazzonia che come recitava la locandina volavano compiendo acrobazie mai viste e quella surreale ruota della morte dove, ogni sera, tre pazzi motociclisti, chiusi al suo interno giravano e rigiravano, sfidando ogni legge di gravità e di raziocinio. Quel luogo prima occupato dal circo era ritornato ad essere un incolto spiazzo di sabbia e di erba desolatamente vuoto che illuminato dalla luce rossa del tramonto infuocato assumeva l’aspetto di un paesaggio surreale mentre quel maledetto sole, pensava Agnes, incendiava il cielo bruciando anche nel suo cuore ogni voglia di vivere.

    Tornata a casa le telefonò Stephen, voleva andare a trovarla, aveva ancora dei giorni di ferie, era pieno di entusiasmo, andiamo qui, andiamo lì, ti porto qua, ti porto là, ma il silenzio di Agnes e le sue risposte monosillabiche spensero in lui ogni velleità. Si ritirò in buon ordine dicendole che l’avrebbe richiamata in un momento migliore.

    Capitolo tre

    Abitavano in città diverse e avevano realtà molto differenti: Dario aveva la sua famiglia, il suo lavoro, il suo mondo e la politica alla quale si dedicava con passione, viveva lì nella sua città, distante più di cento chilometri da quella di Agnes e lei, lei aveva. Che cosa aveva Agnes?

    Forse era meglio cominciare da ciò che non aveva più: non aveva più una famiglia, erano tutti ormai scomparsi, la crisi si era portata via oltre alle industrie e alle ville, anche le persone care, dissolvendo ogni legame, gli amici tutti spariti, non aveva più un marito e un posto fisso dove abitare, a volte dormiva sull’isola nella grande villa sul mare, poi tornava nella città di provincia dell’entroterra dove le erano rimasti alcuni capannoni industriali e dove si era ritirata a vivere; grazie alla padronanza di quattro lingue straniere era riuscita a trovare un lavoro dignitoso come insegnante in una scuola privata per ricchi rampolli con poca voglia di studiare, a volte in inverno andava nella capitale dove aveva ancora un piccolo appartamento nel centro, residuo dell’antica ricchezza.

    Così spesso dormiva nella casa del mare e andava a lavorare a chilometri di distanza, tornava poi la sera con il traghetto, distrutta dalla stanchezza, in quella enorme villa cercando di sopravvivere alla solitudine e allo sconforto; a volte invece si fermava a dormire in città. In quella confusione abitativa ed esistenziale, nel caos nel quale si dibatteva, cercava di non disperdere quel residuo patrimonio immobiliare che era riuscita a salvare dalla crisi e dal fallimento economico della sua famiglia; il marito invece dopo la separazione si era ritirato a vivere in un’isola vicina da dove cercava ancora di ricostruire la passata ricchezza, riciclandosi non aveva capito bene, né poi le interessava, in una nuova attività, un mistero.

    Ma ormai era inutile parlarne: Agnes si sentiva alla deriva, una nomade costretta a prendere e portare avanti e indietro borse, valigie e borsoni con abiti, libri e scarpe da una casa all’altra. Certe volte la notte si svegliava e non capiva dove si trovasse, non capiva neanche se fosse pomeriggio, notte inoltrata o mattino presto .

    Anche quel giorno di fine estate era sull’isola e rimuginava i soliti pensieri, seduta in quel bar del centro, in quella piazza affollata che era

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