Guidato da una luce gentile: Una lettura dell'Apologia Pro Vita Sua di Newman
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Anteprima del libro
Guidato da una luce gentile - don Goffredo Sciubba
Introduzione
La cerimonia di beatificazione del cardinale John Henry Newman ha rappresentato una significativa eccezione rispetto alla prassi adottata da papa Benedetto XVI di incaricare per questo tipo di eventi nelle singole diocesi un suo delegato. Fu il Sommo Pontefice infatti a voler presiedere personalmente nel 2010 una solenne Eucarestia presso Birmingham, a Rednal, dove il corpo del famoso convertito ora riposa in pace. L’evento, che fu coperto mediaticamente da tutte le emittenti e agenzie informative del mondo globalizzato, si collocò all’interno di una storica visita di Stato - la prima nel Regno Unito compiuta da un pontefice romano dal tempo dello scisma di re Enrico VIII -, che contribuì a darle un risalto ancora maggiore.
Eppure la conversione clamorosa del noto intellettuale vittoriano alla Chiesa di Roma diede inizio per il protagonista ad una fase dolorosa e difficile della sua vita, che lo portò ad essere fortemente sospettato di professare una fede non genuina da parte di ambienti vicini alla Curia vaticana e ad essere quindi completamente emarginato e dimenticato. Dopo essere stato incaricato dai vescovi di fondare a Dublino la prima Università Cattolica nel Regno Unito in seguito alla confisca di re Enrico VIII, il suo progetto, ritenuto eccessivamente aperto e non sufficientemente cattolico
, fu bloccato e naufragò. Così pure fu disapprovato in casa cattolica un saggio pubblicato nel 1859 sulla rivista The Rambler con il titolo Sulla consultazione dei fedeli laici in materia di fede
, nel quale sosteneva il ruolo attivo e l’apporto fondamentale dei laici all’interno della Chiesa, evidenziando come anche il consenso di fede (sensus fidelium) rappresentasse una garanzia circa l’infallibilità dell’insegnamento della Chiesa. I giudizi nei suoi confronti non furono più benevoli neppure tra gli anglicani. Alcuni degli amici, con i quali aveva combattuto per anni - e soprattutto dalla fondazione del Movimento di Oxford - per la causa della riforma della Chiesa d’Inghilterra, non lo seguirono nell’adesione al cattolicesimo romano; e l’opinione pubblica, in generale, non riusciva a spiegarsi le ragioni per le quali una personalità tanto in vista e intelligente avesse potuto abbracciare una comunità religiosa socialmente e religiosamente così arretrata e marginale, dopo aver tradito
la propria.
La pubblicazione dell’Apologia Pro Vita Sua, nel 1864, aprì una fase nuova nella vita del suo autore. Il successo fu immediato e straordinario. Consensi e plausi arrivarono numerosi da ogni parte d’Inghilterra: da parte avversa gli venne dato atto di un modo di ragionare onesto e potente
, mentre da parte cattolica grande fu la gioia per la nuova credibilità e il prestigio acquisiti a fronte dei pregiudizi sociali tradizionali. Il vescovo Mons. Ullathorne e tutto il clero di Birmingham gli rivolsero ufficialmente espressioni di riconoscenza autentica. Dopo diciannove anni dall’ingresso nella Chiesa di Roma, Newman usciva dalla solitudine e dall’oblio, arrivando a scrivere: «Il tempo è il grande rimedio e il grande vendicatore di tutte le ingiustizie. Se siamo pazienti, Dio lavora per noi. Egli lavora per coloro che non lavorano per se stessi».¹
Anche gli organi di informazione manifestarono grande interesse ed espressero giudizi lusinghieri sull’opera, che destò fin da allora tanto scalpore per la rettitudine morale e la nobiltà d’animo dell’autore e per la complessità dell’epoca in cui si trovò a compiere scelte ardue e controverse. Oltre ai due articoli comparsi sullo Spectator, nell’editoriale del Times si legge: «L’esattezza e la minuzia con cui il dottor Newman registra tutte le fluttuazioni differenti del barometro teologico e conduce le mutazioni dottrinali attraverso tutte le relative fasi, annotandone tutte le relative ascese e cadute, le pause e gli sviluppi, finché raggiunge la completezza fissata, rivelano inconsciamente nell’Apologia un compito che, sebbene indubbiamente lo accompagnò con molto tormento e afflizione, per alcuni versi è stato per lui nient’altro che un lavoro di amore».²
Il significato del pensiero e della vicenda spirituale del beato cardinale emerge oggi più nitido, così come l’evoluzione della sua fede, mossa da un forte senso di fedeltà ai dettami della coscienza e dalla ricerca oggettiva della verità. Oggi la Chiesa lo ritiene una voce profetica, precorritrice del magistero conciliare, o, come qualcuno addirittura lo ha definito, il Padre assente
del Vaticano II°. La beatificazione, voluta dal beato Giovanni Paolo II e ufficialmente proclamata da Sua Santità Benedetto XVI, eleva la figura del grande religioso oratoriano ad esempio per tutti, per la profondità dei suoi insegnamenti, per la cristallina trasparenza del suo percorso spirituale e per la genuinità delle virtù cristiane che ha saputo concretamente vivere, tra le quali l’umiltà, il completo abbandono in Dio e la disponibilità al servizio in ogni circostanza. «Mi sono impegnato, nella pazienza, a porre la mia vita nelle mani di Dio, - scrisse - ed Egli non si è dimenticato di me».³
Nel suo intervento in occasione della commemorazione del primo centenario della morte del nostro autore l’allora cardinale Joseph Ratzinger gli associava, non casualmente, un altro grande convertito e letterato. «Mi viene in mente qui la figura di sant'Agostino, così affine alla figura di Newman. Quando si convertì nel giardino presso Cassiciaco, Agostino aveva compreso la conversione ancora secondo lo schema del venerato maestro Plotino e dei filosofi neoplatonici. Pensava che la vita passata di peccato era adesso definitivamente superata; il convertito sarebbe stato d'ora in poi una persona completamente nuova e diversa, e il suo cammino successivo sarebbe consistito in una continua salita verso le altezze sempre più pure della vicinanza di Dio. (…) Ma la reale esperienza di Agostino era un'altra: egli dovette imparare che essere cristiani significa piuttosto percorrere un cammino sempre più faticoso con tutti i suoi alti e bassi. L'immagine dell'ascensione venne sostituita con quella di un iter, un cammino, dalle cui faticose asperità ci consolano e sostengono i momenti di luce, che noi di tanto in tanto possiamo ricevere. La conversione è un cammino, una strada che dura tutta una vita. Per questo la fede è sempre sviluppo, e proprio così maturazione dell'anima verso la Verità, che ci è più intima di quanta noi lo siamo a noi stessi
. Newman ha esposto nell'idea dello sviluppo la propria esperienza personale d'una conversione mai conclusa, e così ci ha offerto l'interpretazione non solo del cammino della dottrina cristiana, ma anche della vita cristiana. Il segno caratteristico del grande dottore nella Chiesa mi sembra essere quello che egli non insegna solo con il suo pensiero e i suoi discorsi, ma anche con la sua vita, poiché in lui pensiero e vita si compenetrano e si determinano reciprocamente. Se ciò è vero, allora davvero Newman appartiene ai grandi dottori della Chiesa, perché egli nello stesso tempo tocca il nostro cuore e illumina il nostro pensiero».
John Henry card. Newman
Chiunque si accinga a scrivere la propria autobiografia, similmente a quanto avviene per lo storico, si trova a dover ordinare una massa di ricordi e di fatti tanto ingente e personale da richiedere necessariamente una chiave interpretativa per poter diventare racconto: l’autobiografia appartiene infatti alla macrocategoria del genere letterario narrativo, che attinge il proprio materiale grezzo non tanto nel territorio del fantastico, quanto piuttosto tra i dati storici reali. Scrivendo di sé, l'autobiografo rilegge il proprio percorso di vita rintracciandone una logica nascosta, non immediatamente evidente, eppure innegabile, quando viene scoperta. E proprio questa logica consente di dipanare la narrazione lungo una traccia ben precisa.
Sta al lettore, poi,