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Claudel e Péguy
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E-book302 pagine4 ore

Claudel e Péguy

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Info su questo ebook

Il testo è centrato su due grandi protagonisti della letteratura moderna: Paul Claudel a Charles Péguy.

Redatto da Henri de Lubac e da Jean Bastaire, questo libro rende omaggio a «due poeti teologi, di statura eccezionale, non schierati o strumentalizzati, come alcuni hanno sostenuto, ma al contrario troppo a lungo trascurati all’interno della Chiesa».
LinguaItaliano
Data di uscita9 set 2013
ISBN9788865123041
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    Anteprima del libro

    Claudel e Péguy - Henri De Lubac

    Indice

    Prefazione, di Luigi Negri, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio

    Presentazione, di Jean Bastaire

    Prologo: CLAUDEL E PÉGUY SI IGNORAVANO

    Prima Parte

    DUE UNIVERSI SI INCONTRANO

    I. IN CERCA DI UN MEDIATORE

    II. SCAMBIO DI LETTERE FRA GIDE E CLAUDEL

    III. CHE COSA CLAUDEL PENSAVA INIZIALMENTE DI PÉGUY

    IV. JEANNETTE E MADAME GERVAISE

    V. GIUDIZI COMPARATI SUL «MISTERO DELLA CARITÀ»

    Seconda Parte

    DIALOGO FRA I DUE UOMINI

    I. LA NOSTRA GIOVINEZZA

    II. UN NUOVO TEOLOGO E L’OSTAGGIO

    III. IL MISTERO DEI SANTI INNOCENTI

    IV. L’ANNUNZIO A MARIA E PROTEO

    V. DOPO LA MORTE DI PÉGUY

    APPENDICI

    I. A PROPOSITO DEL CATTOLICESIMO DI PÉGUY

    II. VITE PARALLELE, VITE SPIRITUALMENTE TORMENTATE CLAUDEL E PÉGUY

    III. HENRI DE LUBAC, DISCEPOLO DI PÉGUY

    Abstract

    Claudel e Péguy, due vite parallele, due vite spiritualmente tormentate. I nostri due uomini non si incontrarono mai. Si scambiarono soltanto alcune lettere e alcuni dei loro libri, grazie all’intermediazione occasionale di André Gide. Malgrado la stima reciproca, non potevano che essere allergici l’uno all’altro. È questa intesa delle loro anime e questa allergia, dovute al loro temperamento e ai loro percorsi individuali, che vengono narrate attentamente in questo libro che vede finalmente la luce anche in edizione italiana.

    Autori

    HENRI DE LUBAC (1896-1991), gesuita, è stato uno dei più insigni teologi cattolici del Novecento, oltre che uno dei principali ispiratori del Concilio Vaticano II. Giovanni Paolo II lo nominò cardinale nel 1983. Con Jean Daniélou diresse l’importante collana intitolata Sources chrétiennes. Compì studi vari e approfonditi che spaziavano dalla tradizione cristiana patristica e medievale alle filosofie non cristiane e contemporanee. Al cuore della sua riflessione sta l’attenzione per la tradizione, specialmente quella patristica: da essa egli trae i motivi ispiratori del proprio pensiero, che sono la centralità del sovrannaturale, la Chiesa come mistero di unità, la Bibbia come vivente ricchezza di significati simbolici. Fra le sue pubblicazioni: Cattolicesimo. Gli aspetti sociali del dogma (1938); Soprannaturale. Studio storico (1946); La conoscenza di Dio (1948); Meditazione sulla Chiesa (1953); Paradosso e mistero della Chiesa (1967); Intervista sul Vaticano II: Ricordi e riflessione (1985); Teologia nella storia (1990).

    JEAN BASTAIRE, nato nel 1927, specialista di Charles Péguy e Paul Claudel, fu amico di Henri de Lubac e di Edmond Michelet. È autore di numerose opere e di vari articoli comparsi nella rivista Esprit. Convertitosi ormai da tempo all’ecologismo, promuove l’avvento di una ecologia cristiana. Fra le sue pubblicazioni: La terre de gloire - Essai d’écologie parousiaque (2010); La création, pour quoi faire? Une réponse aux créationnistes (2010); Le cantique féminin de la Création (avec Hélène Bastaire) (2006); Pour une écologie chrétienne (avec Hélène Bastaire) (2004); Péguy au porche de l’Eglise (avec Louis Baillet et Jacques Maritain)(1997).

    Titolo originale dell’opera: Claudel et Péguy (OEuvres complètes XXX), ed. du Cerf, Paris 2008 (riproduce Claudel et Péguy, Aubier-Montaigne, Paris 1974)

    Traduzione dal francese di M. Marzioli

    © 2013, Marcianum Press, Venezia

    ISBN 978-88-6512-304-1

    I rimandi ai numeri di pagina presenti nelle note del testo fanno riferimento all’edizione cartacea originale

    HENRI DE LUBAC

    JEAN BASTAIRE

    CLAUDEL E PÉGUY

    PREFAZIONE

    Sono molto grato alla casa editrice Marcianum Press per avermi dato l’opportunità di introdurre alla lettura di questo straordinario testo che vede finalmente la luce in edizione Italiana. Questo lavoro mi ha consentito di rivisitare tre grandi nomi della mia storia culturale, tre grandi incontri, appunto quelli con de Lubac, Claudel e Péguy. La lettura di questi autori e l’insegnamento che su di essi ha formulato, per anni, mons. Giussani costituiscono un fattore fondamentale per la mia formazione cristiana ed umana, per la mia crescita intellettuale e morale.

    Il primo libro che il mio insegnante di religione mi consigliò, e addirittura mi regalò, nella primavera dell’anno 1958, fu appunto il libro di Padre Henri de Lubac Cattolicismo. Aspetti sociali del dogma, che riproponeva, con una lettura di straordinaria profondità e vastità, tutta la tradizione sociale del magistero della tradizione cristiana, avviando quel cammino verso la riformulazione dell’ecclesiologia che sarebbe poi confluita nel Vaticano II. Padre de Lubac ha letto con profondità la tradizione cristiana e ha letto con profondità il passato ed il presente. Di certo la sua apertura e il suo coinvolgimento con gli autori di cui tratta questo libro è stata particolarmente intensa e significativa.

    Claudel e Péguy appartengono, pur nella diversità della formazione dei cammini, a quel processo di recupero dell’esperienza del cattolicesimo nella sua autenticità, pertinenza e attualità, in opposizione a tutte quelle restrizioni e riduzioni che vivevano nel mondo culturale francese, ma che erano presenti anche al di là di esso, nel mondo culturale europeo di quel periodo: un cattolicesimo vissuto come pienezza di umanità nell’esperienza di Cristo e nell’appartenenza alla Chiesa, capace di raccogliere quanto di buono si trovava nelle varie tradizioni culturali e storiche con cui questi autori sono entrato in contatto.

    La grande tradizione nazionalista e socialista di Péguy, la profonda riconsiderazione del grande cattolicesimo medievale in Claudel, gli approfondimenti successivi, mostrano la fondamentale sinergia, alla fine, fra i due autori, ma in cammini accidentati e diversi, non senza dialettiche. Claudel e Péguy hanno camminato in maniera seria, intelligente, appassionata verso lo scioglimento di tutte le loro difficoltà e problemi, nell’esperienza dell’incontro con Gesù Cristo, della conversione a Lui e della partecipazione, con maggior o minore esplicitezza, alla realtà della Chiesa. Sono perciò due inesorabili e inevitabili punti di riferimento – lo sono stati per la mia generazione e credo che lo saranno anche per le generazioni future – per comprendere la presenza della Chiesa nell’estrema fase della modernità e all’inizio di questo singolarissimo tempo post-moderno in cui viviamo.

    Il libro indica con molta chiarezza, con un rigore filologico esemplare, in questo senso veramente francese, ma, vorrei dire, secondo la grandezza della capacità di approfondimento tipica di Padre de Lubac e passata con estrema fedeltà e con una sua obiettiva genialità in Bastaire, le due strade e quindi i diversi temperamenti di due personalità che vengono riscoperte e di cui viene rivissuto il cammino, lungo il quale emergono inesorabili e obiettive differenze.

    Quello di Péguy è un percorso che va dall’angoscia alla gioia, e qui appare importante il ricordo della lettura che von Baltasar ha fatto dell’esperienza di Péguy: è un cammino verso la pienezza della luce che rende possibile la piena attuazione della individualità culturale e, direi, addirittura etnica di Péguy, il quale, da autentico francese, avverte in modo viscerale l’attaccamento a Santa Giovanna d’Arco e lo vive con una intensità tale che possiamo leggere, in profondità, nell’esperienza di questa straordinaria personalità, l’apparire di un autentico cattolicesimo. Ma il cammino viene perseguito in modo inesorabile, in maniera puntuale, e finisce con una affermazione limpida, solenne e pubblica della sua conversione alla Chiesa e del suo diventare veramente cattolico.

    Claudel, che lungo tutto il periodo di questo cammino ha messo in evidenza le difficoltà e le alternative addirittura sul piano letterario, con maggiori o minori comprensioni delle produzioni letterarie dell’uno o dell’altro, deve riconoscere però che l’avvenimento si è compiuto ed è un avvenimento che lo riempie di gioia:

    Caro Signore, mi permetta innanzitutto di dirLe quanto mi ha reso felice l’atto che costituisce il Suo «comunicato» e quella dichiarazione solenne attraverso la quale Lei si è unito al nostro piccolo drappello di cattolici. […] È una fortuna combattere quando si ha la croce come stendardo e si è accompagnati da persone come Lei. […] Mi consenta di stringerLe fraternamente la mano: P. Claudel. [1]

    Il confronto fra L’Annunzio a Maria, che costituisce, a mio modo di vedere, il grande capolavoro letterario e spirituale di Claudel, e Il mistero dei Santi Innocenti ci mette a contatto con due forme assolutamente significative di due approcci e di due esperienze di cattolicesimo che mantengono l’integralità dello stesso pur nell’evidente differenza. Io mi sono alimentato allo stesso modo di Claudel e di Péguy e della varietà della loro esperienza, proprio nella grande mediazione di de Lubac e nella mediazione, soprattutto, di don Giussani, il che fa sì che queste due personalità, nella loro differenza ma anche nella loro sostanziale adesione al dogma cattolico e all’esperienza della Chiesa, abbiano costituito un apporto significativo e decisivo nella maturazione della mia esperienza umana e cristiana.

    Nella Appendice II, preziosissima, intitolata Vite parallele, vite spiritualmente tormentate. Claudel e Péguy, è possibile trovare una verifica di quello che sto dicendo: in taluni momenti i loro sono stati approcci in qualche modo alternativi, ma proprio nel concludersi dell’esperienza comune del cattolicesimo e dell’appartenenza alla Chiesa, non hanno più rappresentato un elemento di dialettica ma una possibilità di integrazione reciproca. Su questo punto l’interpretazione di Pierre Ganne è estremamente ampia, suggestiva e profonda:

    I nostri due uomini non si incontrarono mai. Si scambiarono soltanto alcune lettere e alcuni dei loro libri, grazie all’intermediazione occasionale di André Gide. Malgrado la stima reciproca, non potevano che essere allergici l’uno all’altro. È questa intesa delle loro anime e questa allergia dovuta al loro tempera mento e ai loro percorsi individuali che vengono narrate attenta mente nel libro di Henri de Lubac e Jean Bastaire. È un modello nel suo genere: nessuna compiacenza da parte loro ma, nello stesso tempo, nessun accenno a quel gusto un po’ sadico, tanto amato da alcuni critici, di sottolineare i limiti e le debolezze dei grandi personaggi. È uno studio equilibrato e puntuale, condotto con giustizia e precisione. Il compito non era affatto facile: si trattava di andare oltre i contrasti apparenti che avrebbero potuto attirare e monopolizzare l’attenzione di lettori superficiali. Ad esempio, Claudel, che si definiva un uomo d’ordine, era profondamente anarchico; Péguy, il rivoluzionario, portava in sé quasi l’ossessione dell’ordine organico della Città armoniosa. Soltanto un’amicizia maturata lentamente e con pazienza avrebbe potuto dissipare gli inevitabili malintesi. I due autori si adoperano con successo ad illustrare tali malintesi e il loro libro davvero riuscito è un esempio raro al giorno d’oggi del quale segnaliamo con piacere il valore. [2]

    Ecco dunque il valore fondamentale che questo volume, cui auguro il miglior successo, può portare a questo momento così drammatico della vita della Chiesa e della società. È una testimonianza diversificata ma potente che il cattolicesimo costituisce la pienezza dell’umanità e dà senso e significato a qualsiasi forma di cammino si sia intrapreso verso Cristo.

    In un mondo come il nostro, in cui il cattolicesimo rischia di essere ridotto a messaggio astratto su cui si appuntano le diverse esegesi o a progetto moralistico che chiede le sue giustificazioni e i suoi accreditamenti alla mentalità dominante, il cammino di Claudel e Péguy, nella grande e illuminante mediazione di Padre de Lubac, ci dice che il cattolicesimo è oggi un evento che deve essere vissuto nella concretezza e nella carnalità dell’esperienza di ogni cristiano. L’incontro con Cristo, l’appartenenza alla Chiesa, rende possibile la maturazione definitiva della propria personalità, secondo le dimensioni del Cristo risorto e quindi secondo la definitiva attuazione delle dimensioni fondamentali costitutive della personalità umana.

    Questo libro ha certamente il vantaggio di ricordare ai credenti e agli uomini di buona volontà, con la sola eccezione di coloro che sono rimasti o rimangono ancorati al passato ideologico di questo terribile mondo moderno, da una parte che solo nell’avvenimento del cattolicesimo trova compimento liberante ed esaltante il dramma del cammino umano nella ricerca del senso profondo della vita e dall’altra la certezza che nel cattolicesimo, in cui si fa esperienza vera e piena della propria umanità, permangono e paradossalmente vengono potenziate tutte le tensioni e le domande che rendono grande il cuore dell’uomo. Leggere questo libro mi ha consentito anche di riprendere la grande e definitiva saggezza dell’enciclica Fides et Ratio del beato Giovanni Paolo II, in cui il dramma della ricerca umana, il dramma della fede, trovano la loro piena corrispondenza non in un concordismo astratto ma nel dramma di una domanda che si fa sempre più presente e di una risposta che accoglie integralmente la domanda e la ri-significa in termini nuovi e definitivi. Quella fede che cerca l’intelligenza e questa intelligenza che cerca la fede sono la grande certezza che costituisce il contenuto profondo delle testimonianze di Claudel e di Péguy oltre che il senso profondo della grande testimonianza di Padre de Lubac.

    ✠ Luigi Negri

    Arcivescovo di Ferrara-Comacchio

    Ferrara, 29 aprile 2013

    Festa di Santa Caterina da Siena


    Note

    [1] cf. infra 195-196. [Indietro]

    [2] cf. infra 252-253. [Indietro]

    PRESENTAZIONE

    Questo breve libro rappresenta una scommessa vinta, seppur parzialmente, visto che doveva essere più ampio. Le circostanze hanno deciso altrimenti. Avrebbe dovuto avere come unico autore Henri de Lubac, ma quando quest’ultimo si trovò nell’impossibilità di completarlo secondo lo sviluppo previsto, mi chiese di prendere il testimone per cercare di portare a termine quanto meno le linee essenziali del progetto iniziale. Così, ecco che due amici, un maestro e il suo discepolo, si sono ritrovati a studiare insieme i rapporti intercorsi fra due scrittori cristiani, Claudel e Péguy.

    Tutto ebbe origine con il progetto di pubblicare un commento ad uno scambio epistolare inedito, esiguo come numero di lettere ma estremamente ricco di significato in sé poiché consentiva di avvicinare due grandi testimoni della fede della prima metà del XX secolo: negli archivi del centro Péguy di Orléans vennero ritrovati infatti quattro lettere di Claudel a Péguy ed il direttore del centro, auguste Martin, mi incaricò di chiedere a Padre de Lubac di scrivere una presentazione per la loro rivista.

    Per adempiere a quella richiesta, gli scrissi il 16 dicembre 1968, allegando alla mia lettera alcuni estratti della corrispondenza appena scoperta. Il Padre accettò a breve giro di posta, naturalmente a condizione che fossero d’accordo gli eredi Claudel, ai quali avremmo anche dovuto chiedere se i loro archivi contenessero delle lettere di Péguy.

    Spinto dall’entusiasmo per la sua accettazione, non potei fare a meno di proporgli un progetto più ambizioso: «Mi piacerebbe che Lei avesse il tempo e le energie per approfondire il confronto appassionante fra Claudel e Péguy. Su questo argomento, Lei possiede un prezioso bagaglio di riflessioni di cui potrebbe renderci partecipi. Il punto di partenza Le sembra troppo esiguo? Non è detto. Potrebbe essere allettante stabilire un parallelo fra questi due giganti di una mistica dell’incarnazione, così diversi ma allo stesso tempo così vicini». [1]

    Il mio suggerimento si fondava su due elementi. Innanzitutto, grazie alle numerose conversazioni avute con Padre de Lubac, conoscevo quanto ricche e profonde fossero la sua conoscenza e la sua frequentazione di Claudel e Péguy. Inoltre sapevo che altre volte gli era capitato di iniziare la redazione di un testo relativamente breve, l’articolo di una rivista o un corto studio, che poi aveva assunto in un secondo tempo l’ampiezza di un libro vero e proprio.

    Nel profondo del mio io, gli stavo tendendo un tranello: volevo attirarlo verso un piccolo contributo con l’intenzione di ottenere alla fine un bel dialogo fra quei due grandi uomini. Evidentemente egli non escluse del tutto l’eventualità di un simile approfondimento dal momento che mi rispose: «farò del mio meglio ma non posso promettere di seguirLa in tutto il bel programma che mi propone». [2] Anche se non si trattava di una promessa, uno spiraglio rimaneva aperto.

    Negli anni che seguirono, quell’impresa difficile dovette affrontare innumerevoli inciampi, ritardi, interruzioni. Ad un certo punto, sembrò profilarsi una frattura definitiva che però venne ricucita grazie ad una soluzione per il male minore che ha dato vita all’opera qui pubblicata.

    Nel giro di un anno, scrissi di nuovo a Padre de Lubac, il quale mi espresse il suo disappunto: «il suo sollecito approfondisce il rimorso che mi assale ogni volta che penso al tempo che passa… Non ho rinunciato. Questa corrispondenza Claudel-Péguy figura nel mio elenco dei lavori urgenti». Ma gli impegni, le preoccupazioni e la mancanza di energie accerchiavano il Padre, anche se egli si dichiarò pronto a mettere tutto da parte su nostra richiesta. «Se mi lascia il dossier, farò tutto il possibile». [3]

    Come è facile immaginare, il centro Péguy non era certo disposto a rinunciare ad un simile contributo. Alla fine, lo studio prese vita nel gennaio 1971. Il Padre rilesse Péguy con grande piacere, arricchì la sua documentazione sull’uomo e sulla sua opera, ma di lì a poco interruppe il suo lavoro. Gli esposi il mio imbarazzo per le pressioni che esercitavo su di lui. «Sì, Lei è un po’ il mio carnefice. Ma ho bisogno del suo sostegno e delle sue amichevoli sollecitazioni per non accantonare un’opera che mi piacerebbe completare nonostante tutto». [4]

    All’inizio di marzo, ricevetti una bozza del primo capitolo. Come avevo sperato, si trattava dell’introduzione ad un’opera vera e propria e non l’inizio di un semplice commento. «Sono confuso e imbarazzato», scrissi a Padre de Lubac. «Ora comprendo le sue perplessità delle ultime settimane: mentre Lei stava programmando uno studio così vasto, ha dovuto anche subire le mie pressioni. Perdoni il disturbo che Le ho arrecato». [5]

    Durante tutto il mese di marzo, gli scambi fra noi si moltiplicarono: una decina di lettere, attraversate dalla tempesta dell’imprevista pubblicazione, all’interno di una conferenza del rettore Gerald Antoine, di tre dei cinque documenti in nostro possesso. Il colmo fu che la suddetta pubblicazione comparve proprio sul bollettino dell’Amitié Charles Péguy di Orléans, lo stesso che aveva chiesto a Padre de Lubac di presentare tutto il dossier: una confusione spiacevole che fortunatamente non scoraggiò il Padre. Dopo un momento di esitazione, durante il quale mi confessò la sua poca simpatia per il «mestiere di plagiatore» ed anche che aveva pensato «seriamente di abbandonare tutto», [6] cedette ancora una volta alle mie insistenze nelle quali gli avevo anche ricordato il carattere peculiare del suo lavoro, certamente più importante di una semplice conferenza dal momento che si trattava di un libro. Parlammo anche di chi avrebbe potuto pubblicarlo (Gallimard, Desclée de Brouwer o Aubier).

    Il Padre scelse Aubier, poiché era il suo editore abituale. Concordammo sul fatto che da quel momento nulla avrebbe dovuto affrettare la messa a punto definitiva dell’opera. O meglio, il centenario della nascita di Péguy, che si sarebbe celebrato di lì a due anni, nel 1973, ci apparve l’occasione più adatta per la pubblicazione.

    Dal 10 al 20 luglio a Cerisy-la-Salle si svolse un importante colloquio su Péguy, organizzato da Bernard Guyon. Padre de Lubac partecipò a numerose sessioni e intervenne in alcune discussioni. Ricordo un breve dibattito con un universitario Americano, William Bush, sulla Chiesa ortodossa e Péguy. Conservo anche l’immagine di una messa mattutina, celebrata da un gesuita (Lubac) e servita da un domenicano (Duployé).

    Al ritorno, il Padre si dichiarò «molto soddisfatto di Cerisy. Certo, i settori filosofico, teologico e spirituale e quello letterario o, meglio, poetico sono stati solo sfiorati. Ma un lavoro serio richiede un certo frazionamento. Per quanto mi riguarda, ho imparato molte cose su Péguy e su alcuni dei suoi interpreti». [7]

    Alla fine del 1971, una lettera mi informò che tutto si era arenato di nuovo per un motivo grave: Padre de Lubac aveva appena avuto una crisi cardiaca. Ma questo non bastò a fermare quel peguysta ostinato. «Quando potrò tornare a Péguy?», mi scrisse. «Non c’è fretta, certo, ma mi piacerebbe poter passare un po’ di tempo con lui su questa terra prima di incontrarlo nuovamente, come spero, nella misericordia di Dio». [8]

    Sei mesi dopo, visto che la convalescenza si presentava faticosa, il Padre finì per dare forfait. «Senza speranza di ripensamenti, ho abbandonato il progetto di scrivere su Péguy e Claudel, come su ogni altro argomento. Sapere di non poter fare più nulla dona una grande libertà di spirito». [9] Il mese seguente, ritornò sull’argomento: «se lo desidera, durante l’autunno potrei mostrar le quello che avevo iniziato a preparare prima del novembre dello scorso anno, così potrà dirmi se intravede una possibilità di utilizzarlo in una maniera o in un’altra». [10]

    Accettai di assumere se non la successione del Padre quanto meno il ruolo di salvatore di quello che poteva essere non il parallelo fra Claudel e Péguy, ma la presentazione della corrispondenza in sé, con l’aggiunta di un numero sostanziale di commenti reciproci dei due scrittori. Ciò che dissero uno dell’altro non era certo meno interessante di quello che si scrissero.

    Nel 1973, la celebrazione del centenario della nascita di Péguy mi costrinse a preparare una serie di interventi per giornali e riviste e a partecipare a colloqui e manifestazioni varie. Tutte quelle attività rimandarono al mese di maggio il completamento del dossier Claudel-Péguy, anche se la sua pubblicazione era prevista all’interno di quella stessa celebrazione. Terminai la mia redazione verso la metà di luglio e durante il mese di agosto ne discussi con il Padre che, nel frattempo, fortunatamente, non si era dato per vinto e nonostante la sua decisione di non riprendere in mano il lavoro a causa della sua malattia, aveva rimaneggiato ed arricchito la sua bozza del 1971. Mi sottopose un progetto generale dell’opera: la sua prima parte avrebbe compreso un prologo e cinque capitoli, la mia seconda parte avrebbe offerto anch’essa cinque capitoli in modo che il volume risultasse abbastanza equilibrato. [11]

    La lettura della versione rimaneggiata del manoscritto mi spinse ad esprimere al Padre «la mia riconoscenza per aver attenuato la severità del (suo) giudizio su Romain Rolland, pur mantenendo il nucleo essenziale delle (sue) riserve». Nella prima versione, infatti, avevo trovato eccessive le sue critiche alla grande biografia di Péguy scritta da Rolland.

    Ciò che mi colpì furono soprattutto le aggiunte, «ad esempio le pagine superbe sull’anarchismo di Péguy o sul suo atteggiamento verso Tolstoj. Nel capitolo III, ho apprezzato particolarmente quando Lei mostra l’unità profonda di Péguy ed anche la nota 88, nella quale sottolinea, con grande perspicacia, la nozione di conversione attraverso l’idea di rivoluzione tipica di Péguy». [12]

    Ma c’era anche una riscrittura del capitolo V, nel quale Padre de Lubac sviluppava un’apologia vigorosa del cattolicesimo di Péguy contro tutte quelle interpretazione affrettate a proposito di un certo protestantesimo dell’autore del Mistero della carità di Giovanna d’Arco. Lo stesso Claudel da principio ne fu tratto in inganno, anche se le affermazioni del Laudet lo avevano subito rassicurato. [13]

    Quella messa a punto del Padre comprendeva inoltre il prolungamento del capitolo IV nel quale analizzava le rispettive posizioni di Giovanna e di Madame Gervaise nei confronti della Chiesa. Egli sottolineava giustamente che Péguy poteva essere riconosciuto tanto nel secondo quanto nel primo personaggio. Non è causale che gli altri due Misteri saranno interamente posti sulle labbra di Madame Gervaise e che è da una figura della Chiesa ufficiale che Giovanna riceverà il messaggio della fanciullina speranza e dei santi innocenti.

    Ci accordammo sul titolo

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