Che torni la Democrazia Cristiana ma con uomini rinnovati e giovani
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Anteprima del libro
Che torni la Democrazia Cristiana ma con uomini rinnovati e giovani - Salvatore Sottile
SOTTILE SALVATORE
Presenta:
- CHE TORNI LA DEMOCRAZIA CRISTIANA MA CON UOMINI
RINNOVATI E GIOVANI! -
Youcanprint Self - Publishing
Titolo | Che torni la Democrazia Cristiana ma con uomini rinnovati e giovani
Autore | Salvatore Sottile
ISBN | 9788891135322
Prima edizione digitale: 2014
© Tutti i diritti riservati all’Autore
Youcanprint Self-Publishing
Via Roma 73 – 73039 Tricase (LE)
info@youcanprint.it
www.youcanprint.it
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INDICE
INDICE
CENNI BIOGRAFICI dell’AUTORE
PREFAZIONE
ISPIRAZIONE DEMOCRATICA
POESIA DEL PADRE
ANIMA
NELLA LA MIA VITA
LA POVERTÀ È PERDERE LA LIBERTÀ.
DEMOCRAZIA E ANGELI
UOMINI DI BUONA VOLONTÀ
AMICO
NOI VIVIAMO
INTERESSE PUBBLICO E INTERESSE PRIVATO
DEMOCRAZIA CRISTIANA
LIBERTÀ PERDUTA
SCOPO
ABBONDANZA D’INFORMAZIONI NON GARANTISCE L’ESATTEZZA
PENSIERI
VIA DELLA LUCE
CONCETTI ANTICHI E MODERNI
AMORE DA PATRIA
DISCERNIMENTO SOCIALE E ORGANIZZATIVO
CON LA DEMOCRAZIA CRISTIANA PER RINCONQUISTARE LA SOVRANITÀ DEL POPOLO
C’ERA UNA VOLTA
--CRISTIANITÀ E LIBERTÀ DEI POPOLI--
-STATO E CITTADINO-
SENZA DEMOCRAZIA CRISTIANA L’ITALIA NON HA UN GOVERNO DA GIUSTIZIA SOCIALE
FEDE E GIUSTIZIA
LAVORO
CENNI BIOGRAFICI dell’AUTORE
( A cura di Sottile Salvatore.)
Sono nato una domenica mattina, a MAZZARINO, prov. di Caltanissetta, il 04 02 1962.
Sono il quinto di undici fratelli.
Mio padre era contadino, come lo erano suo padre e i suoi avi.
Egli era il quinto dei fratelli: Salvatore, Andrea, Filippo, Luigia e infine mio padre. Egli occupava dei piccoli fazzoletti di terra ereditati da suo padre, in comunione con i suoi fratelli: SALVATORE, ANDREA e FILIPPO.
Essi vivevano nel quartiere Santa Croce situato alla periferia del paese. Quando mio padre si sposò, anch’egli, dopo un vagare in varie residenze nelle tenute di campagna attorno al paese, si stabilì nello stesso quartiere dove vivevano ancora i suoi. Era nato in quel quartiere, suo padre prima di lui, e in quel quartiere nacqui io.
Dopo la morte di mio nonno Luigi, i fratelli avevano diviso l’eredità lasciando a mia nonna la casa che un giorno sarebbe divenuta di mio padre.
Tra i piccoli terreni ereditati, io ricordo le vigne di TREONA, dove sin da bambino conduceva me e i miei fratelli a mostrarci come si lavora la terra con la zappa. Il primo lavoro della mia vita fu la terra.
Mia madre accudiva la casa, badava a tutti noi e i suoi compiti erano innumerevoli.
Possedeva una mezza dozzina di capre da latte. Queste le accudiva mia madre con l’aiuto di mio fratello Luigi, primogenito.
Mia madre era quindi una pastorella, virtuosa e premurosa con noi; una grande donna di casa e famiglia. La mia era una famigliola che cercava di cavarsela con un lavoro duro e onesto, e si accontentava di quel che c’era. Ai nostri genitori, noi fratelli mai abbiamo avanzato, che ricordi io, richieste capricciose; ci siamo accontentati sempre di quel che c’era.
Tempi duri per tutte le famiglie povere, e non solo per la mia: chi si sapeva accontentare almeno viveva in armonia
. Così si diceva dentro le mura di quelle case dei quartieri poveri dove quasi tutti avevano gli stessi problemi, a dire del mio vecchio. Case vecchie, fatte in pietra, senza pavimenti, senza bagni, mura stonacate e vecchie travi nelle solette e nei tetti che si vedevano da dentro. Un interno simile alle strade e alle vie di tutti i quartieri poveri; strade non asfaltate, dissestate e piene di buche. Quartieri poveri, abitati da buone persone: pastori, contadini ecc… Tutti gli abitanti del quartiere si conoscevano tra loro e molti dei problemi che avevano erano problemi simili a quelli degli altri. Forse per questo familiarizzavano tra loro con affetto e comprensione; per questo condividevano le cose belle, le cose brutte e quel poco che avevano.
Le persone semplici e gentili nei modi, timorate di Dio, vivevano in pace se si accontentavano, o altrimenti dovevano emigrare, e tanti lo facevano. Tante erano le famiglie che non accettavano un’esistenza così miserabile, per questa ragione emigravano a nord, o all’estero, in cerca di fortuna e di un futuro migliore.
Questa era la moda dei poveri, così anche per tutti i miei parenti, o gran parte di essi. Le famiglie vivevano nella semplicità, si accontentavano di quel poco che avevano e di quel poco che riuscivano a conquistare. Per mezzo del duro lavoro cercavano di farsi bastare quel poco che ne ricavavano. Si accontentavano. Questa era la regola dell’arrangiarsi, e valeva per tutti. Famiglie tradizionaliste, incapaci di offendere, capaci solo di abbassare la testa e rendere grazie al cielo di ogni cosa e della sorte che veniva da quella terra arsa dal sole. Quel luogo in cui la terra brucia, il vento soffia e l’acqua manca sempre faceva comprendere com’era e quel che era all’epoca passata: un luogo abbandonato, una terra abbandonata. In Sicilia il significato della parola abbandono era spiegato e mostrato in tutta la sua totalità. Poi in seguito con gli anni dal quartiere di periferia ci spostammo e ci trasferimmo nel quartiere delle case popolari, nei pressi del campo sportivo. Io ricordo solo il trasloco, e questo non potrei dimenticarlo mai. Credo di aver avuto quattro anni. Ricordo che il trasloco è stato fatto sul classico carretto siciliano con l’asino attaccato davanti. Il carro era imballato di tutte le cose di casa e di famiglia. Non ricordo quale dei miei fratelli fu a dirmi (forse mia sorella maggiore ma non ricordo bene): Tieniti forte, non staccarti fino a quando arriviamo e cammina forte, stai attento, se ti stacchi ti perdi.
E mentre mi spiegava, mi faceva stringere forte con le mani dietro il carro. E feci così. Fu una partenza veloce; rimasi attaccato con le mani mentre guardavo per terra la via che mi passava sotto i piedi cercando di mantenere la stessa velocità del carro. (Forse fu mio fratello Luigi a dirmi questo, ma non credo, forse furono insieme a parlare, erano tutti vicini.)
Io con la testa bassa, e con lo sguardo fisso a terra, vedevo la strada che camminava veloce sotto ai piedi, e ne evitavo le piccole buche che di tanto in tanto mi mettevano in difficoltà. Comunque tenendomi forte all’asse dietro il carretto, cercavo di camminare veloce per mantenere il passo. Scoprii presto il significato della parola fatica, e che cosa significa quando non ce la fai più e devi trovare lo stesso la forza di farcela, perché nessuno ti può aiutare, sei solo, completamente solo, perché gli altri sono poco più grandi, o piccoli come te. E anche se sentivo scoppiarmi il cuore dentro il petto, dovetti trovare la forza di farcela, perché ognuno aiutava se stesso.
In definitiva, per farla breve, il carretto era più veloce dei miei passi, ed io per mantenere il passo e l’andatura dovetti correre più di quanto riuscissi, e sopraggiunse la stanchezza: non ce la facevo più. Mi scoppiava il cuore. Ma dovetti farcela lo stesso, sapevo che se mi fossi staccato avrei perso il carro e forse mi sarei smarrito; questa sensazione di abbandono mi squarciava l’anima. Giunse il carro nella nuova casa e si fermò. Nella nuova casa arrivai stanco e tra lacrime e disperazione. Non dimenticherò mai quanto fu lunga quella strada, non finiva mai e non si arrivava mai. Quel giorno è ancora oggi davanti ai miei occhi, e non lo dimenticherò mai, fu terribile. Luigi dice che io piansi per tre giorni, ma questo non lo ricordo. Il trasloco resterà impresso nella mia mente per tutta la mia vita.
Così ci stabilimmo nel nuovo quartiere denominato "il quartiere delle