Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Quale domani…per me?
Quale domani…per me?
Quale domani…per me?
E-book234 pagine3 ore

Quale domani…per me?

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

La vita di Pietro, il giovane protagonista di questo racconto, non ha mai conosciuto spensieratezza e serenità. Fin da bambino infatti violenza e comportamenti ambigui delle persone a lui care hanno caratterizzato un’esistenza mai libera da tensioni e paure. I soprusi del padre nei confronti della madre non trovano un inizio nella sua memoria in quanto essi sono sempre stati presenti nella vita del giovane. Tutto ciò non significa per forza abituarsi a queste situazioni drammatiche, anzi! Pietro si rivela un vero combattente pronto a tutto per il bene suo ma soprattutto per quello della madre, l’unica persona con la quale vorrebbe vivere. Purtroppo però i suoi tentativi di scuotere la donna nel mettere termine alle angherie subite non riescono a trovare la risposta desiderata, quella cioè di dare un taglio netto, una svolta definitiva al dramma omologato di tutti i giorni. Pietro cerca così disperatamente un aiuto anche in altre persone, ma i suoi tentativi risultano del tutto vani. La nonna, figura omertosa e resa succube dalla televisione, con la sua meschinità finirà per non rendersi altro che complice delle malefatte del padre-padrone. Francesco, l’unico amico di cui Pietro si sente di potersi fidare, si rivelerà troppo debole per poter affrontare quello che il giovane protagonista della vicenda gli chiede e cioè di sostenerlo e appoggiarlo sia moralmente sia a livello materiale. Sarà l’infatuazione (del tutto imprevista e per certi tratti assurda) dell’amico nei confronti di una ragazza a far allontanare i due. È così che Pietro entra in un vortice sempre più profondo e oscuro di soluzioni estreme, a suo parere le uniche ormai a poter risolvere la situazione insostenibile della sua esistenza.

La figura di Pietro e la sua vicenda vuole essere un’allegoria dei rapporti sociali nel nostro paese così come possono essere vissuti al giorno d’oggi dalle nuove generazioni o almeno da alcuni rappresentanti di esse.
LinguaItaliano
Data di uscita4 ott 2014
ISBN9788891158444
Quale domani…per me?

Correlato a Quale domani…per me?

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Quale domani…per me?

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Quale domani…per me? - Devis Bellimbusto

    profondissimo.

    Torino, 2001

    Capitolo 1

    La solita routine, i soliti discorsi

    La sveglia continuava a suonare insistente e arrogante ma il giovane rimase sdraiato sul suo adorato materasso con il volto accarezzato dal morbido cuscino facendo finta di nulla per più tempo possibile, fino a quando non si dovette arrendere a quel tormento per le proprie orecchie e per i propri pensieri ormai non più liberi di fluttuare nell’aria. E allora si decise a riattivare per prime le braccia, che sentiva più pronte ed energiche delle gambe e della testa, che allontanarono il busto dal caldo e confortevole materasso; poi si girò roteando il bacino verso sinistra appoggiando la parte destra del fianco e mise uno dopo l’altro i piedi giù dal letto cercando le ciabatte per andare a fermare la rompiscatole con batterie zinco-carbone che strategicamente aveva deciso di mettere sulla televisione per obbligarsi a levare le natiche ma non prima di avergli tirato qualche anatema ricamato su misura (più o meno era sempre lo stesso). Cosa avrebbe dovuto fare quel giorno? Nulla di particolare, le solite cose: colazione, pullman, scuola, pullman, pranzo nella prima parte della giornata, probabilmente compiti, sicuramente svago, cena e ancora svago nella seconda parte. La solita routine insomma. Non c’erano in vista delle verifiche quindi nessun particolare sforzo mentale era richiesto in quella anonima grigia mattina di fine autunno. Come tutte le mattine l’augurio che si faceva tra sé e sé era che nel tragitto il quale liturgicamente l’avrebbe portato dalla sua camera alla cucina nessuno, e ripeto nessuno, fisicamente o sonoramente, avesse interrotto quella delicatissima fase della giornata che concerne la condizione di dormiveglia post-risveglio che sarebbe dovuta durare il più possibile e cioè almeno fino alla chiusura della porta di casa dietro le spalle per uscire e andare giù ad aspettare l’autobus alla fermata in fondo alla strada. Il ché non accadeva praticamente mai. Ma a parte un piccolo imprevisto di un mezzo inciampo con la ciabatta contro il lenzuolo pendente dal letto nel tentativo di togliersi il pigiama caldo che sembrava vivo per mettersi una serie di indumenti freddi come cadaveri (in ordine di successione: maglietta blu, jeans dei più classici che non si può, maglioncino a righe orizzontali grigio bianco blu) tutta la procedura andò a buon fine così che lasciò la casa ancora piena di tre corpi dormienti con un non disprezzabile umore e una previsione per il resto della giornata abbastanza positiva.

    Aveva calcolato le tempistiche come sempre alla perfezione, abituale ritardo dell’autobus compreso, così che alle 07.23 era davanti alla fermata e non dovette aspettare a lungo prima di salire e sedersi su un posto ancora caldo e sformato dal sedere che lo aveva occupato fino a poco prima. Rannicchiato dentro il bomber nero guardava fuori dal vetro del finestrino la strada che scorreva portandosi via alberi, marciapiedi e qualche vecchio rompiscatole a piedi o in bici il quale si era sicuramente svegliato presto apposta per andare ad intoppare la fila a qualche sportello in Comune o al poliambulatorio. «Bastardi... » pensava il giovane dentro di sé. Arrivato in stazione delle corriere aspettò che tutti i passeggeri si fossero alzati e incominciassero a scendere disordinatamente, poi all’ultimo momento contemporaneamente prese lo zaino e si alzò di scatto, scese con passo deciso i due gradini che lo riportarono sulla terra ferma del marciapiede e si incamminò verso la scuola.

    Davanti all’edificio di fresca costruzione (uno di quelli dove i vetri hanno il sopravvento sui muri esterni) ma dentro il cortiletto anteriore, lo aspettavano i soliti compagni, quelli più mattinieri di lui e non per vocazione ma per obbligo dettato da una maggiore distanza tra la propria abitazione e l’Istituto il che comportava la gioia di alzarsi dal letto come le galline. Non era mai stato il primo ad arrivare, ma neanche l’ultimo. Al contrario, come andamento scolastico era sicuramente tra i migliori, anzi il migliore, forse non in tutte le materie ma tutto sommato lo era, e ne aveva consapevolezza. In lui coerenza e costanza abbondavano per tutta la classe tanto che suscitava ammirazione e gelosia le quali a volte andavano a braccetto nell’animo pieno di spensierata energia adolescenziale di qualche suo compagno. «Tutt’apposto Peter?» gli fece Ivan che stava appoggiato con la schiena al muro tenendo una gamba sollevata e le mani in tasca con quel suo modo scherzoso che raramente era fuori luogo o eccessivo. «Sì, tu?» rispose ermetico come lo era sempre o quasi sempre Pietro praticamente senza guardarlo. «Bene, grazie caro... » chiuse la breve ma significativa conversazione tra i due. Tra i due c’era rispetto, tanto; entrambi riconoscevano la profonda diversità l’uno dell’altro e per questo sapevano che esistevano dei limiti ben precisi che non si dovevano oltrepassare se si voleva mantenere una buona convivenza in classe. Uno non doveva scherzare troppo o non doveva farlo in maniera inopportuna, l’altro non poteva pretendere di essere troppo serio nei discorsi. Si poteva definire quella un’amicizia? Pietro a volte ci aveva pensato su senza però trovare una risposta definitiva o totalmente soddisfacente e tutto sommato gli andava bene così. Non litigavano e questo gli sembrava già un ottimo risultato. Qualche cenno di intesa o un saluto formale con gli altri ragazzi ma non pacche sulle spalle o modi troppo espansivi di alcun genere: non era il tipo a cui ci si poteva rivolgere in quella maniera e lo si riconosceva a chilometri di distanza. Da cosa? Dall’andatura del passo, dritto e deciso, dallo sguardo mai laterale se non per un motivo specifico e mai banale, dalla scarsa predisposizione nel parlare che trasmettono le persone che girano a testa bassa e guardano come nel vuoto la strada che si sta percorrendo a un metro abbondante davanti ai propri piedi. Questa era l’immagine di Pietro che chiunque avrebbe potuto notare in qualsiasi momento dell’anno: insomma, la classica persona che ama farsi gli affari suoi. Driiin!!! L’irritante suono della stramaledetta campanella che rompeva gli indugi (oltre che i coglioni, avrebbe aggiunto il nostro affezionatissimo) e invitava gli studenti a raggiungere le proprie classi le quali si andavano così via via riempiendo di voci e rumori di sedie e banchi assestati per accogliere meglio le energie momentaneamente a riposo dei teenager dell’Istituto. Seguirono i lenti passi di alti professoroni altrettanto lenti nel parlare e nello svolgere il programma scolastico e lo sgambettare di non più giovani professoresse in miniatura che lasciavano dietro di sé lunghe scie di fragranze d’ultima generazione che cozzavano un poco con l’età di chi se le spruzzava addosso. Le porte si chiusero tutte una dopo l’altra, la maggior parte sbattendo.

    Sa bene chi ha frequentato le scuole superiori con classi di soli maschi che tra un’ora di lezione e l’altra, a meno che non ci sia sempre la stessa materia, si usa scambiare quattro parole di rito per scaricare la tensione se si è in vicinanza di un’interrogazione o si chiedono dei consigli del più vario genere (dal cosa fare per conquistare una ragazza desiderata a quale marmitta mettere nel motorino per far guadagnare quei 5 km/h in più per umiliare gli amici nei garini pomeridiani) o ancora si continuano dibattiti interminabili sul risultato della squadra del cuore che aveva giocato la sera prima. Pietro in genere partecipava di malavoglia a queste discussioni e il perché era semplice: per lui erano inutili. Di motorini si interessava poco e l’unica cosa che considerava importante era che questi cosi di ferro e gomma non ti lasciassero a piedi in mezzo alla strada quando sei a 15 chilometri di distanza da casa, i tuoi sono a lavorare, sei senza una lira in tasca, hai il cellulare scarico e quindi non ti rimane che appellarti ad un tuo personalissimo rosario di bestemmie dei colori più vivaci e sgargianti che farebbero aprire la bocca in segno di incredulità alle proprie orecchie anche alle statuine del presepe permanente di Tortona (pecore dei pastori comprese). Di ragazze al mondo ce n’erano tante e tutte troppo uguali per poter dire quella è una topa da paura! come usava dire saltuariamente l’allupato di turno che sembrava non aver mai visto in precedenza un essere umano privo di genitali maschili (forse). Gli scandali calcistici che periodicamente si verificano come da calendario nel campionato italiano lo avevano allontanato dalla passione per il pallone, gli bastava sapere i risultati, la maggior parte truccati, giusto per accertarsi che non fosse cambiato nulla. Per quanto riguardava il timore per una verifica o un’interrogazione beh... anche quella era inutile. Perché? Semplice: bastava studiare! Ripeteva dentro di sé sicuro che la serenità dello spirito andava cercata nelle risposte alle possibili domande delle verifiche e non nel perenne ozio pomeridiano che si impadroniva della maggior parte dei suoi compagni. Dio, non che fosse il classico secchione brufoloso e occhialuto tutto studio, è solo che non sopportava i piagnistei e le inutili apprensioni. «Chi è causa del suo male del resto... e così sia» pensava spesso. Insomma era quello che nello slang giovanile si può definire un cazzuto e i suoi compagni per questo lo rispettavano.

    Quella mattina in classe si aprì una discussione totalmente differente dalla solita trafila di parole pronunciate un giorno da uno, un giorno dall’altro compagno; fu un dibattito di quelli che solo a volte potevano accendersi tra le teste giovanili obnubilate da sforzi onanistici e passioni innate sui più vari tipi di cannabinoidi come erano quelle della maggior parte dei membri dell’allegra brigata della classe di Pietro. Il discorso interruppe la noia armoniosa mattiniera come se un fulmine fosse penetrato dalla finestra centrale dell’aula illuminata a neon per arrivare come una scarica elettrica dritta dritta nel cervello di Pietro attraverso le orecchie. Si commentava una notizia di cronaca resa pubblica il pomeriggio precedente a cui tutti i giornali, le televisioni e la rete avevano dato grosso risalto mettendo in secondo piano tutte le varie evoluzioni degli altri fatti importanti del periodo: una ragazzina di 15 anni era stata indotta ad avere più volte rapporti sessuali con un famoso politico nazionale con il beneplacito della madre che sperava di trarre vantaggi personali dalla ghiotta occasione capitatale. Uno scandalo insomma, un obbrobrio nazionale (in un paese normale) venire a sapere che un rappresentante del popolo aveva sfruttato la propria posizione per abusare di una ragazzina minorenne e ancora peggio con il favore di un genitore della stessa che addirittura organizzava gli incontri e indicava alla figlia il giusto atteggiamento da assumere per arrivare a formulare le opportune richieste pecuniarie. Il fatto era venuto a galla tramite le intercettazioni telefoniche che erano state ordinate da un famoso magistrato da sempre osteggiato per il suo lavoro dal partito del quale il politico in questione era esponente di spicco. Era una di quelle notizie che causavano un esplosione dentro Pietro come se il suo stomaco fosse in realtà una testata nucleare e nel processo di deflagrazione i fumi e le fiamme, risalendo su per il collo, facessero schizzare via gli occhi dalle orbita e incendiassero il cervello distruggendo ogni tipo di pensiero silenzioso e moderato. Per Pietro non esisteva alcuna discussione riguardo notizie di questo tipo: il disprezzo doveva essere totale e condiviso da tutti: nessun ma, nessun però. Purtroppo il campanello d’emergenza dentro la sua testa, che si azionava ogni qual volta nei paraggi vi era un’ingiustizia che tentava di vivere indisturbata tra le persone stupide e dormienti, quella mattina suonò facendo sanguinare i sensibilissimi timpani del giovane.

    Il primo commento partì da un compagno che era considerato da Pietro tra i più sordidi della classe in quanto privo di alcuna morale o principio sano. Era il classico arrivista che considerava solo soldi, successo, belle ragazze e divertimento in ogni quando e in ogni dove quali gli unici elementi rilevanti della vita. Il suo nome era Tommaso e di professione da grande avrebbe fatto sicuramente il figlio di puttana, come dipendente, libero professionista o imprenditore questo non importa, in un settore o nell’altro dell’economia nazionale. Il suo debutto fu di quelli che lasciano subito il segno e cioè: «La figa fresca ha estimatori di tutti i tipi, eh?! ‘Sto onorevole vecchio porcellone!» dicendolo con quel sorrisetto che avrebbe meritato un pugno dritto dritto sugli incisivi. Ed era questo che Pietro aveva desiderato in varie occasioni e che avrebbe sicuramente fatto se non ci fossero state delle stupide e ingiuste leggi che glielo avessero impedito. I compagni che continuarono il dibattito degno di un simposio tra alti intellettuali formarono un semicerchio con al centro l’iniziatore Tommaso che poggiava le natiche sulla parte inferiore della guida scorrevole della finestra più a destra dell’aula. In tutto partecipavano circa una dozzina di commentatori di ogni tipo: dal riflessivo che interveniva facendo le doverose domande per cercare di approfondire l’argomento togliendo più dubbi possibili: «Ma lei però era consenziente? Perché se era d’accordo... cioè mettetevi nei panni del politico! Riuscireste voi a dire di no?», al classico goliardico e un po’ rassegnato: «Alla figa non si comanda!», al politologo simpaticone di turno: «Se fossi stata la madre però le avrei consigliato un atteggiamento bipartisan, perché si sa che in una democrazia anche i partiti d’opposizione devono avere voce in capitolo!» e così via. Pietro rimase seduto apparentemente imperturbabile al suo banco in fondo all’aula dalla parte opposta da dove stava svolgendosi il dibattito tra i grandi eruditi della sua classe; era curvo su un quaderno intento a correggere eventuali errori in un esercizio di matematica. In realtà era, volente o nolente, attento ad ogni parola che veniva scambiata dai suoi compagni ed ogni frase lacerava un po’ di più il suo stomaco già segnato da innumerevoli cicatrici mai completamente rimarginate. «Trattieniti... stai calmo... fregatene... » ripeteva dentro di sé pur sapendo che ad ogni parola detta veniva lentamente sbriciolato quell’immaginario muro protettivo che lo isolava dal resto del mondo. Progressivamente si faceva sempre più viva in lui quella tensione adrenalinica che nasce e cresce nel momento in cui ci si immagina di risolvere con un proprio intervento una situazione che sta prendendo una brutta piega rimettendo così le cose al loro posto saecula saeculorum come se si fosse un Salomone mandato dal cielo a sentenziare su una determinata vicenda. (La convinzione di rendere facile ciò che sembra tale, ma che in realtà purtroppo non lo è mai, fa parte di quella serie di atteggiamenti che spesso muovono sentimenti di benevolenza e di ammirata se non nostalgica incoscienza da parte delle persone più navigate nelle vicissitudini della vita quotidiana nei confronti dei giovani pieni di belle speranze ancora non scalfite dalle numerose cocenti sconfitte, ma che presto o tardi avrebbero fatto i conti con la realtà. Era solo una questione di tempo).

    Se normalmente vi era una profonda ma ancora tollerabile distanza di vedute tra lui e la stragrande maggioranza dei suoi compagni di classe se non di tutte le persone con cui si frequentava in un contesto o nell’altro, Pietro non riusciva, non poteva e non voleva essere in nessun modo conciliante con gli altri quando si alimentavano concetti che riteneva malsani per un andamento regolare della vita in comune nella società. Inconcepibilmente per Pietro mancava una moralità condivisa dai più. E non perché ce n’erano di diverse che battagliassero tra loro. Proprio non ce n’erano! Gli sembrava di vivere in uno di quei quadri pieni di figure demoniache in stile gotico dove in ogni buco spunta un corpo straziato dal dolore, ma che allo stesso tempo trasmette una strana felicità nel doverlo sopportare quel dolore in quanto cosa desiderata più di ogni altra (insieme ovviamente ad ogni tipo di peccato consumabile). E allora si sentiva solo, isolato, ma rabbioso. Soprattutto si sentiva nel giusto, e per questo non riusciva a tacere in situazioni come quella in cui si era trovato di fronte quella tipica mattina grigia dove la foschia non lascia mai del tutto le strade delle città del nord Italia. Non c’era niente da fare. Fu così che incominciò ad attendere il momento più opportuno per intervenire con qualche breve frase legnosa che avrebbe avuto tanto il suono di monito solenne al quale tutti si sarebbero dovuti sottomettere ammettendo i propri peccati di immaturità. Il momento buono gli sembrò quello di lanciare una breve frecciata generale proprio quando il discorso sembrava potersi dissolvere nell’aria come se nulla fosse stato detto. Le ultime battute scambiate erano state sentenziate da due dei personaggi più anonimi della classe; i loro nomi dovevano essere più o meno Simone e Marco, ma neanche i loro genitori se lo sarebbero ricordati con certezza dato che tutti li chiamavano per cognome abbreviato, anche i genitori stessi.

    «Beh, se fosse capitato a me, non mi sarei di certo tirato indietro... » disse il primo,

    «..magari anche la madre è bona e un pensierino di fare tutta una cosa in famiglia ci può stare no?» ribatté l’altro.

    Ecco il momento buono. Rimanendo seduto e muovendo soltanto la testa alzandola come se fosse stata una pistola tirata fuori dalla fondina verso la propria vittima Pietro gli chiese sardonico e provocatorio: «Magari potresti proporre tua sorella o tua madre, così chissà quanti soldi ci faresti!?». A queste parole Marco, che stava tornando a sedersi al proprio banco, rimase sorpreso e rigido sulla schiena come se qualcuno gli avesse tirato una secca bastonata di media potenza sui lombari mentre Pietro continuava a fissarlo negli occhi in attesa dello svolgere degli eventi, assaporando l’odore di polvere da sparo che si era alzato nell’aria.

    Dopo qualche secondo di assoluto ascetico silenzio interruppe Ivan che come al solito tendeva a rimediare scherzosamente ogni possibile attrito tra due elementi dell’allegra (ma non troppo) combriccola, forse anche quando non avrebbe dovuto. Ivan era il tipico ragazzotto napoletano di origine normanna e cioè alto, magro con carnagione chiara, biondo con gli occhi azzurri che sarebbe riuscito a sdrammatizzare anche la morte di un proprio genitore il giorno del suo funerale; disse con quell’accento romanesco che utilizzava spesso per scherzare: «A Marchì te ce vedo a fa’ er pappone de tu sorella!». Marco però non fece una piega al tentativo di Ivan di farlo ridere e rimase ancora un po’ incredulo a guardare Pietro seduto, immobile, granitico. Tutti rimpallavano le proprie attenzioni prima sull’uno, poi sull’altro, cercando di non perdere la più minima frazione dell’evento in corso. A un certo punto Marco decise di aprire bocca per dire qualcosa di semplice e immediato: «Che cazzo dici?». Si era evidentemente offeso e ora non sapeva bene se pretendere delle scuse o attaccare il compagno impertinente nei suoi confronti. Pietro cercò velocemente dentro di sé l’eventuale risposta da dargli ricamata su misura per metterlo ko nel più breve tempo possibile così che la sorte del casuale malcapitato fosse presa come esempio da tutti gli altri. Perché in fondo non ce l’aveva in particolare con lui, era solo uno, uno dei tanti. Anonimi. «... che cazzo dici? Come ti permetti?», continuò con aria sempre più minacciosa Marco agitando la mano destra a grappolo come segno accusatorio. Pietro non si turbò e guardò attentamente e in maniera

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1