Tutti sul tetto
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L’incontro con un uomo più anziano, che riporta alla memoria un passato dimenticato, e il grave incidente del figlio, con il quale aveva un rapporto conflittuale, lo fa ridestare da una vita vissuta sottotono.
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Anteprima del libro
Tutti sul tetto - Daniele Semplici
14
1
Il palmo della mano ferma sul vetro, quasi a voler toccare, sentire fisicamente quell’ostacolo che li separava. Non come un insetto che sbatte ripetutamente contro il vetro di una finestra non rendendosi conto della sua presenza. Lui sì che vedeva quello che li stava dividendo. Adesso che veramente qualcosa di fisico era lì, reale, a creare una barriera tra di loro, proprio adesso avrebbe voluto potergli parlare. Costruire barriere quando non ce ne erano di reali sembrava essere diventato da tempo la cosa più facile da fare. In quel momento, purtroppo, di ostacoli veri ce ne erano, e parecchi. Rimaneva immobile a guardare dentro la stanza. Lo vedeva disteso, con gli occhi chiusi. L’espressione sembrava serena, come se stesse dormendo e si dovesse svegliare da un momento all’altro.
La madre era seduta vicino a lui. Su una sedia, curva, con la testa tra le mani. I medici erano stati chiari, a costo di sembrare insensibili. Visite brevi e, soprattutto, solo una persona alla volta nella camera. Adesso c’era lei. A Giulio bastava anche stare fuori a guardarlo attraverso il vetro. Anna, la madre, non riusciva a non entrare nella stanza quando era in ospedale. Poteva restare a casa anche un’intera giornata senza vederlo ma quando era in ospedale doveva sedersi accanto al figlio. Ogni tanto gli accarezzava la mano nella speranza che la sua presenza potesse servire a qualcosa. Il padre passava almeno un paio di volte al giorno, la mattina presto e la sera, gli bastava vederlo anche solo per pochi minuti.
Ad intervalli regolari entrava un’infermiera. Controllava l’andamento della terapia, scriveva qualcosa su una cartella ed usciva. Ogni volta che si apriva quella porta un forte odore di medicinali sembrava scuotere Giulio dal suo torpore, lo colpiva al naso come fosse un pugno. Erano ormai diversi giorni che stavano in ospedale ma non ci aveva fatto ancora l’abitudine.
La situazione del ragazzo era critica, i medici avevano deciso di mantenerlo in coma farmacologico.
Anna si girò verso il vetro, certa di incontrare con lo sguardo gli occhi del marito. Giulio la vide. Accennò un movimento con le dita della mano ferma al vetro, come un saluto. La mano si era mossa d’istinto. Per un automatismo aveva risposto con quel cenno alla moglie senza neanche pensarci.
D’improvviso sentì vibrare in tasca il cellulare, toglieva la suoneria non appena entrava nell’ascensore dell’ospedale. Lo prese velocemente. Prima di rispondere guardò per qualche secondo il telefono che visualizzava Bruni
e poi decise di rispondere.
Pronto
rispose con voce bassa.
Tutto tranquillo? C’è bisogno che ci vediamo? Hai qualcosa da dirmi?
chiese velocemente l’uomo al telefono.
No, non si preoccupi.
rispose Giulio cercando di chiudere la conversazione.
Mi raccomando, sai che puoi chiamami in qualunque momento.
Adesso la devo salutare, sono in ospedale
spinse con il pollice il tasto di fine telefonata con particolare forza restando a guardare il cellulare nella sua mano. Poi lo strinse e lo rimise in tasca.
Era già la seconda telefonata che gli aveva fatto quel giorno. Sapeva benissimo che a quell’ora di sera sarebbe stato in ospedale ma non gliene importava niente. Il signor Bruni, come lo chiamava Giulio nonostante i tanti anni di lavoro insieme, era abituato a mettere se stesso sempre prima di tutto il resto. Qualsiasi cosa, anche la più delicata o importante, passava in secondo piano rispetto alle sue esigenze. Valutava gli altri e le situazioni sulla base del metro della sua convenienza personale. Anche Mario, nonostante la sua età avanzata, dimostrava di essere più sveglio. Aveva cercato di aprirgli gli occhi e di dargli dei consigli ma non era servito a niente. A certe cose bisogna arrivare da soli, anche se qualcuno te le indica per fartele vedere in lontananza, il percorso va fatto da soli. Giulio non era pronto per affrontare in quel momento le sue paure, quello che era accaduto a suo figlio non aveva certo migliorato la situazione. In questo momento era particolarmente vulnerabile. Una persona accanto come Mario gli sarebbe stata di aiuto per affrontare quella situazione.
2
Giulio era seduto alla sua scrivania e stava riempiendo dei moduli. Cercava di trovare dei codici da inserire in un ordine che avrebbe già dovuto essere stato inviato da un paio di giorni. Non sopportava questa parte amministrativa e rimandava sistematicamente queste incombenza fino al momento in cui si trovava alla scadenza. Allora si chiudeva nella sua stanza, minacciando chiunque volesse entrare per parlargli, riprendeva tutta la documentazione da compilare, ne faceva delle piccole pile per argomento e via via procedeva con calma alla compilazione. Era successo diverse volte che avesse fatto in ufficio anche le dieci di sera quando, a forza di rimandare, era arrivato al limite massimo di tempo concessogli.
Suonò il telefono. Giulio alzò un paio di documenti prima di trovare il telefono e rispose Pronto
.
Sono Bruni.
Senza particolari convenevoli arrivò diretto allo scopo della sua chiamata Come stiamo andando con il nuovo modello? Siamo decisamente indietro.
Mi scusi. In questo momento ho un cliente in ufficio. Siamo impegnati in un preventivo. Ci dobbiamo sentire più tardi. La richiamo io
.
Giulio cercò di prendere tempo. Non aveva voglia di sentire le lamentele del signor Bruni sul suo lavoro. Sapeva benissimo che le parole preventivo e cliente l’avrebbero sicuramente tranquillizzato. Ripeteva sempre che la sua regola era il cliente prima di tutto
e, quindi, questo valeva anche per la sua telefonata.
Almeno così poteva rimandare. E poi un preventivo non è una vendita. Era stato attento a non utilizzare quel termine.
Il signor Bruni era a capo di una serie di concessionarie di auto. In una di queste lavorava Giulio, praticamente da tutta la vita. Aveva visto tutti i periodi, dagli anni del boom del settore, quando, come diceva, le auto si vendevano da sole, ai periodi di crisi che ciclicamente si ripresentavano ma ai quali erano sempre riusciti a sopravvivere.
Questo periodo, però, sembrava più nero degli altri o, comunque, particolarmente difficile. Le vendite erano calate drasticamente. Gli elementi c’erano tutti, la forte crisi del settore unita ad una concorrenza agguerrita. Non ultima una certa stanchezza di Giulio. Non che fosse mai stato quello che si poteva definire un venditore di successo. Le sue vendite erano quelle sicure, famiglie che volevano cambiare l’auto ormai vecchia, padri che comprano l’auto al figlio. Non era uno di quelli che forzava la mano al cliente. Complice anche la zona di famiglie e pensionati, per i quali l’auto non è un lusso ma una necessità e che non guardavano ai modelli di moda.
Per quel giorno aveva ancora parecchio lavoro da fare per finire di riempire quei documenti. Alle vendite avrebbe pensato il giorno successivo. Anche perché non aveva grandi possibilità per concludere qualche affare.
Telefonò a casa per avvertire la moglie che avrebbe fatto tardi, le disse di non aspettarlo per la cena perché avrebbe mangiato un panino per non perdere tempo.
Giulio guardò l’orologio. Era veramente tardi. Non si era accorto del tempo passato, così impegnato come era con i moduli da riempire. Si stropicciò gli occhi. La stanchezza si faceva sentire. Chiuse il fascicolo e decise che era arrivato il momento di andare a casa. Mentre chiudeva la porta dette un’occhiata alla scrivania ancora piena di fogli e sconsolato pensò che l’avrebbe trovata tale e quale al suo rientro il giorno successivo.
Non c’era traffico. La strada verso casa era stranamente libera. La percorse premendo più del solito sull’acceleratore della sua auto. Solo un paio di volte incrociò i fari di un’altra macchina. Arrivò a casa. Finalmente chiuse dietro di sé la porta. Era un gesto che aveva un grande valore per lui. Quando chiudeva la porta di casa riusciva a lasciare fuori tutto quello che non riguardava la sua famiglia. Il suo lavoro non entrava, non era mai entrato in casa sua e nella sua famiglia. Giulio era abituato così, come se fosse qualcosa che non riguardava quel suo mondo. I problemi sembravano rimanere fuori, sembrava che riuscisse a scrollarseli di dosso sulla soglia come quando si puliscono le scarpe sullo zerbino prima di entrare. In realtà era come se vivesse due vite separate, nella convinzione che potesse riuscire a gestirle separatamente. La sua famiglia era