Innocente condanna
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Cresciuta tra abusi e violenza in una famiglia arida, è ora succube di un marito autoritario e adultero. L’improvvisa morte della madre la costringerà a tornare nella città natia e affrontare i fantasmi di un’adolescenza che aveva cercato di dimenticare. Lì incontrerà Angelo, un misterioso ragazzo che la trascinerà in una surreale avventura, portando alla luce un legame nato cinquecento anni prima nella Venezia del XVI secolo e una maledizione che solo lei potrà spezzare.
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Anteprima del libro
Innocente condanna - Giordana Ungaro
Giordana Ungaro
Innocente condanna
EDITRICE GDS
Giordana Ungaro Innocente condanna
©EDITRICE GDS
EDITRICE GDS
di Iolanda Massa
Via G. Matteotti, 23
20069 Vaprio d’Adda (MI)
tel. 02 9094203
e-mail: edizionigds@hotmail.t ; iolanda1976@hotmail.it
Illustrazione in copertina da ©FOTOLIA "Cuople in love. Happy loving couple. Darkbackground ©Barelko.com
Progetto copertina di ©Iolanda Massa
Collana ©AKTORIS
Il romanzo è frutto della fantasia dell’Autrice. Oogni riferimento a fatti, persone e/o luoghi realmente esistenti e/o esistiti è puramente casuale.
…A mio padre
La travolgente forza ispiratrice dell’amore è
contemporaneamente in grado di elevare l’individuo
o disperderlo nell’abisso della frammentazione.
L’amore è alla base di ogni forma di illuminazione,
come di ogni forma di autodistruzione
Claudio Marucchi
Nota dell’autrice
Innocente condanna è un romanzo al quale sono in particolar modo legata, pur essendo il quinto lavoro pubblicato è stato il primo da me scritto e con cui si è spalancata la porta della mia creatività letteraria Rileggendolo molti anni dopo, pur rendendomi conto della sua acerba semplicità, ho deciso di non metterci mano e lasciarlo così com'è perché credo che ogni storia debba rispecchiare un proprio momento, per quello che è, per le emozioni che le hanno dato vita e per come è stata scritta.
Prologo
Venezia, settembre 2010
Giulia Mancini era seduta per terra sulla riva degli Schiavoni. Rivolta verso la laguna, con la schiena poggiata al marmo di una panchina, godeva del tiepido sole di fine settembre. Teneva poggiato sulle ginocchia il blocco per gli schizzi dove aveva accennato a matita il profilo dell’isola di san Giorgio dinnanzi a lei. Lucky, il suo cane, le sonnecchiava accoccolato a fianco.
Si era ormai trasferita lì, a Venezia, dove era nata e cresciuta, e aveva passato gli ultimi mesi a dipingere ogni scorcio di quella meravigliosa città. Aveva affittato il magazzino ereditato dalla madre, e quell’entrata mensile, aggiunta al ricavato dalle vendite dei quadri, le davano il denaro necessario per vivere. La porta della cripta segreta era svanita d’incanto, al suo posto vi era ora solo muro di pietra grezza, come se tutto ciò che era successo fosse stato soltanto un sogno. Giulia sapeva che non era così, erano passati nove mesi ma il ricordo di quell’avventura, in lei vivo e intenso, non l’avrebbe mai abbandonata.
Stette a guardare il volteggiare dei gabbiani e i bagliori del sole riflessi sulla superficie dell’acqua. Tornò a concentrarsi sul disegno, riparata dal riverbero luminoso dalla tesa larga del cappello.
D’un tratto avvertì la presenza di qualcuno accanto a lei, Lucky si drizzò in piedi scodinzolando. Una mano carezzò il cagnolino ritto sulle zampe posteriori. L’uomo si accucciò, sfilò gli occhiali da sole e le sorrise. Giulia arrossì intimidita dal suo sguardo intenso, incuriosita dal quel volto sconosciuto eppur così familiare. Ricambiò il sorriso e in quel momento percepì nell’aria un lieve profumo di muschio selvatico.
1
Venezia, novembre 2009
Giulia girò la chiave, la serratura scattò e la porta si aprì con un cigolio. Entrò in casa, cercò l’interruttore palpando il muro. La luce dell’atrio si accese.
Era tutto come ricordava, la madre, da donna conservatrice che era, non aveva cambiato nulla. Poggiò la valigia sul pavimento e si chiuse la porta alle spalle. Da quanto tempo non rimetteva piede lì dentro? Cinque, sei anni, forse, da quando si era sposata andando a vivere con Michael in terraferma, in una casa di periferia circondata dalla campagna.
Il viaggio era durato un paio d’ore, passate a preoccuparsi delle noiose pratiche burocratiche che avrebbe dovuto affrontare. Districarsi in quella situazione da sola, senza Michael al suo fianco, la rendeva nervosa. Si tolse scarpe e giacca. Aveva abolito i tacchi alti da un bel pezzo ma per quella città, anche i suoi texani non erano abbastanza comodi. Erano le otto di sera, si sentiva stanca, affamata e infreddolita dall’aria umida della laguna.
Attraversò il corridoio oltrepassando le stanze buie e dando loro solo una rapida occhiata. Un profondo disagio calò su di lei, i ricordi aleggiavano come spettri tra le mura di quella casa, un luogo dove non aveva mai provato alcun calore, solo gelo e indifferenza.
Scacciò quei pensieri. Non era più una bambina ormai, era una donna. Non si sarebbe fatta intimorire dal fantasma del passato.
Arrivata in cucina aprì la dispensa, trovandola ancora piena. Sua madre era morta da quindici giorni e lì non aveva più messo piede nessuno, lei era l’unica erede.
Si preparò un tè caldo e spalmò qualche fetta biscottata di marmellata. Accese la tv e si sedette a tavola guardandola distrattamente.
Quando ebbe finito si accorse che, sazia, si sentiva meglio. Alzò il termostato e la vecchia caldaia si accese. Andò in bagno e aprì l’acqua calda per riempire la vasca. Mentre aspettava provò a chiamare Michael. Il telefono squillò più volte ma lui non rispose. Il tarlo della gelosia cominciò subito a roderla, cercò di scacciare l’idea che potesse essere con un’altra donna ma non ci riuscì, era successo già troppe volte.
Giulia aveva sempre saputo tutto ma non aveva mai avuto il coraggio di affrontarlo. Ingoiava il dolore piangendo in silenzio, rannicchiata nel suo angolo del letto, sentendosi sola in quel matrimonio divenuto ormai arido, ma incapace anche solo di pensare a una vita senza di lui.
Si tolse i vestiti ed entrò nella vasca godendo del calore dell’acqua. Pian piano la tensione si allentò.
Immerse la testa, lasciandone fuori solo il volto, e rimase lì ad ascoltare i suoni ovattati. Dopo alcuni minuti il cellulare cominciò a suonare, era lui. Rispose, ansiosa di sentirne la voce. Quell’uomo, nonostante tutto, rappresentava l’unico punto fermo della sua vita.
Pronto. Michael?
Hey piccola
.
Mi manchi, non sai quanto, qui è tutto così… vuoto
, disse sperando in una parola di conforto.
Non starai cercando di farmi sentire in colpa vero? Ti ho detto che avevo dei clienti importanti, non potevo lasciare l’ufficio
, rispose seccato.
Quelle parole la ferirono.
Hai ragione, ma non ci siamo mai separati in questi anni e stare qui senza di te è … strano
.
Sono solo un paio di giorni Giulia!
, esclamò facendola sentire una sciocca, in fin dei conti aveva ragione. Ora sono a una cena di lavoro, non posso rimanere al telefono, devo riattaccare, piccola. Ci sentiamo domani con calma, un bacio.
Sì certo ma io volevo solo…
Inutile, parlava già a un telefono muto.
Quella freddezza non poté che suscitare in lei il solito terribile dubbio. Si chiese se Michael l’amasse ancora ma non osò darsi una risposta. Giulia dipendeva da lui in tutto e per tutto, ben consapevole del gusto amaro che quel rapporto malato, morboso e ossessivo, le lasciava in bocca.
Cercò di non pensarci, rimuginare non sarebbe servito a nulla. Stette ancora un po’ nella vasca, dopo di che ne uscì, si asciugò e si soffermò a osservare la sua immagine allo specchio. Aveva quasi ventotto anni, più passava il tempo e più assomigliava a sua madre. Cresciuta da quella donna fragile e insicura era finita per diventare come lei, a indossare costantemente una maschera per compiacere gli altri. Non le piaceva ma non riusciva a trovare il coraggio di reagire.
Si infilò il pigiama, spense la luce e andò nella sua vecchia camera da letto. Cambiò le lenzuola e vi si raggomitolò. Era morta da due settimane e lei non aveva provato nulla, nessun dolore, nessun senso di lutto, solo rabbia, una rabbia intensa che si portava dentro fin da bambina. Come si può amare