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La soffitta
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E-book143 pagine2 ore

La soffitta

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Weird - romanzo breve (110 pagine) - La soffitta è un mondo nascosto che racchiude segreti che possono portare allo squilibrio...


Un fabbro si reca da un’anziana donna per ripararle la serratura guasta della soffitta; un lavoro che gli riserverà una serie di scoperte delle quali avrebbe fatto a meno. Scoperte che lo aiuteranno a conoscere meglio se stesso e sua moglie, e a ritrovare l’armonia in famiglia… perché chi entra in contatto con il mondo nascosto nella soffitta se la trova sempre incrinata a causa di segreti talmente pesanti da far rischiare la follia.


Alexandra Fischer è nata il 12 novembre 1971 a Stoccarda, ma si è trasferita in Italia a partire dai tre anni di età; suo padre è tedesco, sua madre italiana, ed ambedue conoscono bene lingue straniere come inglese e francese. Lei stessa lavora per una ditta di Alba come traduttrice e interprete, oltre che addetta alla gestione di ordini. Nel novembre 2018 si è classificata al primo posto come Migliore Lettrice nel Torneo IoScrittore della Gems (pseudonimo: Underduinken). Nel luglio 2018 ha pubblicato il romanzo urban fantasy L’alamaro color cenere con la casa editrice Nulla Die. Nel marzo 2019 ho pubblicato il romanzo fantasy Le due porte gemelle con la casa editrice Delos Digital. Nel luglio 2012 ha tradotto dall’inglese alcuni capitoli della biografia di Joe Strummer di Chris Salewicz per il regista di cortometraggi Simone Lajolo. E nell’aprile 2011 ha tradotto per lui dal francese il libro Non ho mai fatto nulla da solo di Isabelle Daniel sul regista marsigliese Robert Guédiguian.

LinguaItaliano
Data di uscita8 giu 2021
ISBN9788825416633
La soffitta

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    Anteprima del libro

    La soffitta - Alexandra Fischer

    9788825408478

    1

    La serratura arrugginita resistette a lungo ai giri di chiave, malgrado la forza del fabbro.

    La donna alle sue spalle insistette: − La apra, per cortesia. Io non ne posso più, signor Cerruti.

    Lui sospirò e raddoppiò gli sforzi: − Guardi, è la prima volta che mi capita. Deve essersi rotta la molla.

    La porta cedette e rivelò una stanza rischiarata a malapena da un finestrino a filo del muro.

    C’erano molte scatole impilate e un odore di chiuso mischiato a quello di un profumo dolciastro andato a male.

    Il fabbro si girò verso la donna con la chiave in mano: − Ecco. Io se fossi in lei non la richiuderei più.

    La vide stringersi nell’abito grigio di cotone a maniche lunghe e fare un cenno di assenso prima di dirgli: − Sì, farò come mi ha consigliato.

    Il fabbro riprese: − Dovrebbe anche farle prendere aria. Se vuole, posso aprire io quel finestrino.

    Lei tese le mani rugose: − No, lo farò io, non si disturbi.

    Fulgenzio Cerruti uscì dalla casa con la testa che gli girava; ricordava appena la mancia che la Dagno aveva aggiunto alla somma pattuita.

    Guidò a fatica, deciso a rincasare il prima possibile.

    Strano, quando sono venuto qui oggi non c’erano tutte queste curve. E le scale mi sembravano molto meno ripide. Accidenti, meno male che questo è l’ultimo lavoro della giornata.

    Vide una figura nera e gibbosa tagliargli la strada e inchiodò; si accorse che si trattava di un uomo curvo per l’età abbigliato con un tabarro nero e cominciò a sudare.

    Quel che lo terrorizzò non fu tanto l’abbigliamento fuori stagione e antiquato dello sconosciuto, ma l’atteggiamento di questi: era rimasto sulla strada a fissarlo e gli si avvicinò a passi lenti; infine, bussò al finestrino del furgone e il fabbro lo abbassò, ipnotizzato dallo sguardo magnetico del vecchio.

    Il malore gli passò di colpo così come gli era venuto; c’era qualcosa di familiare in quell’uomo e per un attimo gli tornarono in mente le parole del suo defunto suocero, Giovanni.

    Nello Dagno non è un uomo cattivo, ma bisogna impicciarsi dei suoi affari il meno possibile, è bizzarro in tutto, dal modo di vestire alle abitudini. Eh, ma io lo capisco, vive con una cugina molto solitaria.

    Nel dubbio circa l’identità dell’uomo che aveva di fronte, si costrinse a usare il tono più cortese che gli riuscì: − Cosa c’è? Vuole un passaggio?

    L’altro scosse la testa e gli sussurrò: − Non andare più da Amelia.

    Il fabbro strinse le mani al volante: − Senta, è una cliente e se le serve un lavoro, io ci vado.

    Il suo tono, però, era smentito dalle mani sudate sul volante; si augurò di non dover caricare quel vecchio.

    Notò che aveva macchie verdognole sulla mano ancora appoggiata al finestrino e lo vide scoprire i pochi denti gialli in un sorriso malriuscito: − Lo dicevo per te, Fulgenzio. Conoscevo tuo suocero.

    Il vecchio staccò di colpo la mano dal finestrino e riprese la strada con la stessa andatura lenta di prima.

    Il fabbro lo seguì con lo sguardo fisso nello specchietto e lo vide incamminarsi verso la casa di Amelia Dagno.

    Allora sei proprio Nello Dagno, ma guarda tu. Non si può dire che tu abbia un bel carattere.

    Accelerò e si accorse che la strada era tornata identica a quando l’aveva percorsa all’arrivo e quando fu a casa, la sua prima azione fu di farsi un paio di docce, per togliersi di dosso la spossatezza e l’odore di chiuso misto a profumo vecchio che si sentiva ancora addosso.

    Sua moglie era a letto girata di fianco dalla parte dell’uscio: − Non hai quasi mangiato niente e ora ti sei chiuso in bagno per un’eternità. Si può sapere cos’hai?

    Fulgenzio si mise il pigiama e si stese dall’altro lato; si voltò dall’altra parte: − Sono stanco, Ada. Va bene? E ora lasciami dormire.

    La moglie lo toccò sulla spalla: − Sei andato dalla Dagno? Di’?

    Lui si voltò con un’espressione stanca: − Sì. Mi ha pagato bene. E ora in quella casa è tutto a posto.

    La moglie annuì e spense la luce sul comodino: − Voglio sperarlo. Mi ha stancata con quelle sue telefonate. Sembrava che avesse la casa distrutta.

    Si avvolse nella coperta e si chiuse in un mutismo che aveva il potere di esasperarlo.

    La scosse: − Ada. Cosa c’è?

    Lei si mise a singhiozzare: − Cosa hai visto in quella casa?

    Lui la tranquillizzò: − Solo una soffitta con delle scatole chiuse. E ti dico che non tornerò più.

    Alle parole aggiunse un paio di carezze sulla schiena: − Su, Ada, ora calmati. Dimmi piuttosto perché le sue telefonate ti hanno dato tanta noia.

    Ada accese la luce e prese un fazzoletto dal cassetto del comodino, si soffiò il naso e la spense di nuovo: − Ho solo dei brutti ricordi di quando mi ha venduto i locali per la cartoleria. C’era tanto disordine. Avrei voluto aiutarla ma lei non ha voluto.

    Fulgenzio l’abbracciò: − Su, su, in fondo ti ha risparmiato un lavoro noioso. Per il resto, come va con il negozio, tutto bene?

    Lei, con voce ferma replicò: − Sì, grazie. Ora, scusa, mi è venuto sonno.

    Fulgenzio rimase sveglio fino a quando udì il respiro regolare della moglie.

    Ti sei addormentata, almeno tu. Io credo di capire perché quella donna ti ha innervosita. Nessuno la vede quasi più in paese.

    Il suo sonno fu disturbato dall’incontro con l’uomo in tabarro nero, così simile nel volto alla Dagno da poter essere scambiato per un parente di lei.

    Quelle macchie e quel volto consumato non posso solo essere un segno dell’età. Avranno una malattia ereditaria? E io che credevo che la Dagno non avesse più parenti in vita. E quell’avvertimento a non andare più da lei. Perché?

    Si rigirò un paio di volte nel letto.

    Spero tanto di non vederlo più. Ha davvero uno sguardo da rettile e in quel suo tabarro, chissà cosa nasconde.

    2

    Fulgenzio aprì gli occhi, assonnato e aspirò con piacere il profumo del caffè; si lavò e vestì subito e andò in cucina; la moglie aveva lasciato la caffettiera panciuta di vetro sull’apposita piastra ed era a tavola, intenta a sorbire la propria parte da un tazzone a motivi di spighe.

    Lui le si avvicinò e le accarezzò i capelli castani; con suo grande stupore si accorse che le striature grigie erano scomparse, allora passò a fissare il volto della donna e lo trovò privo di rughe e con le lentiggini alla radice del naso e sotto gli occhi.

    Pareva fosse ringiovanita di colpo di diversi anni e rimase attonito, benché felice di quel che vedeva.

    Forse è il troppo sonno e l’essere stato in quella casa. Ma tanto, chi ci tornerà più?

    Sorrise alla moglie: − Ada. Vorrei un caffè.

    Lei contraccambiò e gli passò il tazzone di sempre, blu a pois bianchi, infine gli mise davanti la solita scatola di biscotti alle mandorle: − I tuoi preferiti.

    Fulgenzio le sorrise: − Grazie.

    E i suoi occhi andarono alla fascia di spugna bianca a righe rosse da tennis al polso sinistro della moglie.

    Volle chiederle come mai la portasse, ma l’istinto gli sigillò le labbra.

    Il caffè era più amaro del solito e i biscotti mollicci e con un sapore di mandorle e pezzi di arancia candita andati a male.

    Associò quei cattivi sapori all’odore di profumo andato a male nella soffitta della Dagno.

    È da ieri che mi ha rovinato il gusto. Mi dispiace per la zuppa di funghi, patate dolci e zenzero. E anche per la birra scura.

    Posò il tazzone e vide nel manico l’impronta del proprio pollice.

    Guardò la moglie mangiare e bere di gusto, proprio come la sera prima e si ripromise di restare leggero a pranzo.

    Uscì per aprire il negozio e passò accanto al furgone e la vista della macchia verdognola sul finestrino lo colpì come uno schiaffo.

    Allora ricordò l’incontro con il vecchio in tabarro e si guardò intorno impaurito, quasi l’uomo fosse potuto tornare a sorprenderlo attirato da quel segno sul vetro.

    Andò in garage e prese l’alcol denaturato insieme a un panno ocra e passò la macchia più volte, fino a ridurla a un alone.

    Fissò l’opera e inclinò la testa, soddisfatto a metà; poteva andare, ma restava il problema del panno, sul quale si erano trasferite macchie verdognole e un odore di alcol e muffa nauseabondo.

    Guardò la strada e vide che non era molto trafficata, qualche auto, qualche passante, il solito autobus di scolari e pendolari.

    Si avvicinò al platano con la panchina e il cestino di rifiuti ma ci ripensò, colto da un terrore improvviso.

    Nessuno deve vedere questo strofinaccio.

    Il pensiero che potesse avvenire gli mise addosso una paura terribile; guardò le finestre vicine, illuminate per rischiarare il grigio della mattina presto e si sentì circondato da spie con le macchie verdi sulle mani e gli occhi da ramarro.

    Allora tornò nel garage, appallottolò lo strofinaccio e lo chiuse una scatola da scarpe dove teneva viti che non usava più e un paio di chiavi inglesi arrugginite che non si decideva mai a buttare via.

    3

    Ada guardò il marito uscire dal garage e dirigersi verso il negozio; certo non era un’azione usuale, e lei ne fu incuriosita.

    Dalla finestra del bagno aveva potuto vedere il lavoro sul vetro e ne era rimasta stupita.

    Cos’ha avuto, un piccolo incidente? Perché non me lo ha detto?

    Scese in garage e sentì un profumo di fiori provenire dall’angolo delle scatole, allora le aprì una per una fino ad arrivare all’ultima.

    Chissà perché l’ha nascosta qui sotto. Cosa ci sarà?

    Guardò la porta del garage e quella sul retro, quasi suo marito si fosse appostato nei paraggi per farle uno scherzo.

    Che sciocca sono, è già andato in negozio e di certo avrà voluto farmi una sorpresa. Bene, vorrà dire che le darò un’occhiata e poi rimetterò tutto a posto. Per una volta, non se ne accorgerà.

    Quando sollevò il coperchio, tuttavia, i suoi buoni propositi svanirono: il foulard a motivi di glicini verdi su sfondo marrone era troppo bello per essere lasciato lì ed emanava un profumo talmente delizioso che sarebbe stato davvero un peccato lasciarlo lì a svanire, inoltre, sotto il tessuto si indovinava la forma di una scatola rettangolare.

    Toccò la stoffa.

    Seta purissima, dipinta a mano e sotto c’è un’altra sorpresa. Strano, non è neppure il nostro anniversario, ma io prenderò lo stesso questi regali.

    Si ricordò del ritardo del marito dal lavoro e le venne in mente anche il fatto che le avesse detto del generoso pagamento della signora Dagno.

    Ecco perché si è disturbato tanto. Voleva festeggiare con

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