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L'autunno più lungo
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E-book265 pagine3 ore

L'autunno più lungo

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Info su questo ebook

Il progetto di Giovanni, protagonista della storia, è quello di ripercorrere la sua vita narrando momenti vissuti. In questa specie di resoconto, il protagonista non segue schemi precisi, perché ritiene che legarsi ad uno schema sia riduttivo.
I pensieri, i ricordi, le circostanze vanno lasciati liberi di vagare per poi essere afferrati quando la fantasia e la realtà possono arricchirli.
Rimane comunque dominante nello spirito del racconto la consapevolezza del susseguirsi delle stagioni della vita. Prima che l'ultima foglia lasci, nel tardo autunno, il suo albero, c'è sempre un attimo, un attimo di speranza, e quell'unico attimo è pur sempre un momento della vita.
LinguaItaliano
Data di uscita6 dic 2013
ISBN9788868557263
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    L'autunno più lungo - Giuliano Graziosi

    vecchio…

    PARTE PRIMA

    Capitolo primo

    Sedici anni

    Quando il sole sfiorò l’orizzonte, il cielo indossò i colori di un tramonto estivo.

    Uno spettacolo unico. Ancora una volta la Natura stava dando una dimostrazione inconfutabile della sua arte.

    Giovanni, dallo scoglio dove era seduto, guardò la lunga striscia di riflessi sull’increspatura dell’acqua e pensò che era ora di rientrare.

    Ancora qualche minuto - bisbigliò tra sé e allungò le gambe cercando una posizione più comoda - Una volta tanto mi concedo un ritardo.

    Dopo una giornata afosa, la brezza della sera gli procurava un inebriante piacere ed egli ne respirava a pieni polmoni, tonificando di ossigeno e di iodio la corrente del suo sangue resa un po’ pigra dall’età.

    Alcuni gabbiani volteggiavano attorno con movimenti quasi impercettibili, simili a quelli delle piccole onde che sciabordavano contro la scogliera.

    Bello questo tramonto… ma pur sempre un tramonto!

    Questo pensiero lo infastidì e cercò di distrarsi come ormai era abituato a fare quando gli accadeva di pensare a cose che lo rattristavano.

    Negli ultimi tempi, sempre più spesso, le cose gli si presentavano in una dimensione nuova, quasi sempre sfumata di grigio.

    Puttana di una troia! Gustati il bello che stai vedendo anche se sai che tra pochi minuti non ci sarà più.

    La vecchiaia si giustificò. Questa lurida, assassina vecchiaia che ti incalza senza scampo, come una fiera affamata che sente l’odore della preda.

    Mah! Si alzò adagio facendo bene attenzione a non cadere e con un leggero balzo si lasciò andare sulla rena. Fece qualche passo verso il mare e guardò ancora una volta con viva ammirazione l’orizzonte che ormai confondeva mare e cielo in un unico colore azzurro cupo.

    A dire il vero, vecchio non era, ma essendo già nonno, si crogiolava di definirsi tale.

    A oriente la notte avanzava con prepotenza e a occidente alcune tenui sbavature di nubi, ancora sfumate di rosso, avvertivano che il giorno stava per finire.

    Giovanni guardò l’orologio e si affrettò a lasciare quel po’ di arenile che era rimasto dopo l’ultima mareggiata e prese la via di casa.

    Era più tardi di quanto avesse pensato, forse si stavano preoccupando.

    Allungò il passo. Meno male che il passaggio a livello era aperto, altrimenti avrebbe perso altri minuti preziosi.

    Quando fu all’altezza del tabaccaio tirò un sospiro di sollievo: era quasi arrivato.

    La luce esterna della villetta era già accesa.

    Contrariato pensò alla giustificazione che avrebbe dovuto dare per un ritardo che non aveva niente di anormale se non fosse stato per quella sua pignola puntualità che a ogni appuntamento lo costringeva ad arrivare sempre con qualche minuto di anticipo.

    Aprì la porta e, dando uno sguardo in giro, si accorse subito della tensione che c’era in casa.

    Salve ragazzi…

    Ciao nonno.

    Alessandro e Francesca sollevarono appena gli occhi dai giornalini che stavano sfogliando e dall’espressione imbronciata dei loro visi era chiaro che qualcosa girava storto.

    Cosa avete combinato stavolta?

    Noi non c’entriamo, la mamma ha le trombe per conto suo.

    Per qualche minuto di ritardo non era poi il caso di prendersela troppo. Avrebbe messo subito le cose a posto.

    Si affacciò in cucina e lanciò uno sguardo interrogativo a Maria, un’anziana signora che veniva ad aiutare Giulia e che, in quel momento, sfaccendava intorno ai fornelli.

    Maria scosse la testa e allargò le braccia. Questa gioventù - disse - non sono ancora svezzati e pretendono di fare ciò che vogliono… certo, ai nostri tempi...

    Sì, sì Maria - la interruppe Giovanni, ormai consapevole che, data l’età, non poteva certamente essere lui la gioventù cui Maria si riferiva e che pertanto non era il suo ritardo ad essere sotto accusa - ma, cosa è successo?

    È successo che Leonardo non è ancora rientrato e sua figlia è fuori della grazia di Dio.

    Era estate e non erano ancora le nove; sì un po’ di ritardo c’era, d’altronde anche lui era rientrato più tardi del solito, ma questo non giustificava l’umore nero che c’era in giro.

    Sentì Giulia scendere le scale e la vide entrare in soggiorno.

    Ciao Giulia, scusa il ritardo. Sai, ero giù al mare e c’era un tramonto così bello che mi sono concesso qualche minuto di spettacolo in più.

    Giulia non rispose, si rivolse ad Alessandro e Francesca e li sollecitò ad andare a lavarsi le mani per la cena.

    C’è qualcosa che non va Giulia?

    Troppe cose non vanno papà e comincio a essere stufa.

    Giovanni non si aspettava una reazione così e rimase un po’ spiazzato. Si riprese subito però, conosceva bene i repentini cambiamenti di umore di sua figlia.

    Fece un cenno d’intesa a Maria e cominciò ad apparecchiare.

    Mi vuoi dire la prima delle troppe cose che non vanno?

    Giulia guardò suo padre e l’espressione tesa del viso si addolcì un poco. Gli voleva bene e sapeva che anche lui gliene voleva, ma sentiva i suoi genitori lontani, specialmente lui, non era sicura se faceva bene a metterli sempre al corrente delle sue preoccupazioni.

    Il comportamento di Leonardo non mi lascia tranquilla - disse tuttavia - non so cosa abbia quel benedetto ragazzo. È da un po’ che non riesco a dialogare con lui, mi evita, elude le mie domande, sembra quasi che snobbi il mio interesse per le sue cose…

    Giovanni, nelle parole di sua figlia, più che preoccupazione avvertì amarezza. Capì di essere di fronte all’eterno problema generazionale tra la consapevolezza di un distacco inevitabile da una parte e la presa di coscienza del desiderio d’indipendenza dall’altra. La natura stava applicando con inesorabile puntualità una delle sue indiscutibili leggi.

    Giulia non credo di dover essere io a dirti che Leonardo sta crescendo. Non pensi magari che lui consideri questo tuo interessamento come un freno, uno stargli col fiato sul collo…?

    Ma quale fiato sul collo papà, è uscito di casa alle due, non so dove è andato, sono le nove e ancora non è tornato. Ho telefonato mezz’ora fa a casa di Martina e neppure lei era tornata. Carlo non ha telefonato… ti pare che con tutto quello che succede ogni giorno non abbia di che preoccuparmi?… Ci fosse qui almeno la mamma, avrei potuto sfogarmi con lei.

    Giulia stai esagerando. Sai bene che la mamma ci raggiungerà domani, dopotutto non poteva lasciare a metà un lavoro che si era impegnata di terminare per una cliente che si è sposata ieri!

    E tuo marito? Cosa c’entra Carlo? È rimasto in città per ragioni di lavoro, arriverà sabato e non è detto che debba telefonare ogni momento. Ha telefonato ieri e tutto andava bene e mi pare che avesse detto che sarebbe stato molto impegnato per tutta la giornata di oggi… potrebbe telefonare anche più tardi…

    Un attimo di pausa quindi riprese: È invece di Leonardo che dobbiamo parlare. Quel ragazzo ha sedici anni e i suoi sedici anni non sono i tuoi sedici anni, né tanto meno i miei. Oggi a sedici anni si è più maturi, più responsabili…

    Smettila papà. Giulia aveva ripreso quell’espressione tirata e preoccupata di poco prima. Non dire cose alle quali tu pure non credi e che dici soltanto per tranquillizzarmi. Un rumore di passi interruppe la discussione.

    Leonardo entrò e per un attimo guardò sua madre e suo nonno, capì al volo che stavano parlando di lui, li oltrepassò e con aria assente disse di non aver fame e di voler andare in camera sua.

    Giulia represse uno scatto d’ira. Lanciò a suo padre uno sguardo carico di rimprovero.

    Ecco i sedici anni dei ragazzi di oggi, ma ora mi sente!

    Giulia ! La voce di Giovanni aveva assunto un tono fermo.

    Scusa Giulia, non credo che sia la soluzione migliore quella di fare una scenata. Si calmò un attimo quindi proseguì: Ti dispiace se salgo io? Tu intanto puoi dare la cena ai ragazzi. Neppure io ho molta fame. Vi raggiungerò subito.

    Salì con calma le scale - quel maledetto ginocchio aveva ripreso a dolergli - e bussò alla porta di Leonardo.

    Posso entrare Leonardo?

    Entra pure nonno.

    Leonardo aveva la voce strozzata.

    Giovanni lo trovò disteso sul letto visibilmente agitato.

    C’è qualcosa che posso fare per te? O preferisci rimanere solo e magari ne parliamo domani mattina?

    Leonardo guardò suo nonno con un’espressione carica di affetto, si alzò adagio e lo abbracciò con tanta tristezza.

    Nonno - gli disse con gli occhi umidi di pianto - ho saputo che Martina si droga.

    Com’erano lontani i suoi sedici anni!

    La guerra era finita da poco e la voglia di ricostruire e tornare alla normalità era scoppiata prepotente. Ci si dava da fare affinché gli stenti patiti in tanti anni diventassero il più presto possibile soltanto un ricordo.

    Il pane che non c’era e che, in casa sua, veniva sostituito con patate bollite che sua madre gli dava con un filo di marmellata spalmata sopra come se fosse stata la più grande leccornia di questo mondo.

    Le ricordava bene quelle patate, come ricordava altrettanto bene i fiaschi di quel disgustoso olio di fegato di merluzzo che suo padre riusciva a procurarsi da un amico farmacista. Con suo fratello quando andava a tavola doveva assoggettarsi a inghiottire, tra comprensibili smorfie di disgusto, un cucchiaio di quell’intruglio schifoso.

    Non fate gli schizzinosi - li rimproverava la madre - non sapete quanta salute c’è in quel ricostituente.

    Sarà stato pure vero, ma era altrettanto vero che per l’intera giornata i ritorni di stomaco rendevano di sapore unico qualsiasi cibo si riuscisse a ingerire. E che sapore!

    Ancora oggi, a distanza di tanti anni, il solo vedere delle sardine diventava per lui una vera tribolazione.

    I ricordi andarono ai suoi amici di seconda liceo, all’aula del vecchio, decadente stabile che sembrava più un accampamento di disperati che una scuola. Un rudere che si portava ancora addosso tutte le ferite dei bombardamenti. In seguito Giovanni si era chiesto se fosse mai stato fatto un sopralluogo per verificarne la stabilità.

    I topi grossi come gatti.

    Con un pezzetto di formaggio ben piazzato, uscivano al momento giusto dalle enormi crepe dei muri e avanzavano senza alcuna paura fino alla cattedra mandando in escandescenza la professoressa di latino che, terrorizzata e bianca come un cencio, era costretta a rinviare le interrogazioni a tempi meno pericolosi.

    Lo scherzo indimenticabile di Alberto.

    Lui non si vergognava di nulla. Successe alla scuola media.

    Uno scherzo che si era ripetuto più volte fintanto che non era stata sbagliata la scelta della ragazza alla quale doveva essere indirizzato.

    Le conseguenze furono pesanti. Alberto evitò il peggio soltanto grazie a non poche mediazioni di parenti e amici. Dovette tuttavia subire una bella lavata di capo e una perentoria diffida da parte dei genitori della malcapitata, nonché rinunciare anche - cosa che lo afflisse maggiormente - alla bicicletta da corsa che i suoi genitori gli avevano promesso per il suo compleanno.

    Lo scherzo consisteva nel chiedere a un’amica del gruppo di prendergli una matita dalla tasca dei pantaloni perché lui non poteva farlo avendo le mani sporche di’inchiostro. La malcapitata accondiscendeva non sapendo che le mani erano state artatamente sporcate in precedenza. Quello che la ragazza trovava nella tasca di Alberto non era la matita, ma, fatto passare attraverso un buco della fodera, c’era il membro di Alberto nella sua forma migliore.

    L’immancabile urlo di orrore faceva sganasciare dalle risate gli amici, mentre le ragazze assumevano un comportamento offeso e distaccato. Tale comportamento non aveva però mai convinto nessuno. Infatti tutte le precedenti volte che Alberto

    aveva ripetuto lo scherzo, non era mai mancata la disponibilità di una loro amica a prestarsi alla burla anche se, immancabilmente, veniva sempre ostentata una ingenuità così male espressa da far scoppiare l’ilarità generale.

    La sua città di mare.

    D’estate il mare era la sua casa.

    Di solito con gli amici andava in una spiaggetta molto bella ai piedi del monte. Vi si accedeva per un sentiero scosceso che la rendeva quasi inaccessibile, perciò poco frequentata.

    In alternativa andava a nuotare nell’acqua alta e l’acqua alta voleva dire il molo nord del porto.

    C’era, in una rientranza del molo, un circolo privato chiamato La vela rigorosamente vietato ai non soci.

    Con un amico, massimo due per non dare nell’occhio, Giovanni ci andava via mare. Nascondevano gli abiti tra gli scogli e, a nuoto, raggiungevano la piattaforma di legno che galleggiava ancorata al piccolo molo del circolo.

    Di fronte, a circa duecento metri, stazionava in permanenza una nave americana in disarmo, uno dei tanti residuati bellici di cui in quegli anni abbondava sia il porto che la stazione ferroviaria.

    La nave era diventata il banco di prova della loro bravura nelle gare di tuffi. Giovanni ricordava ancora quando suo fratello si era tuffato dal ponte più alto della nave ed era entrato in acqua malamente rischiando la pelle.

    Nel tragitto a nuoto dalla piattaforma alla nave si univano spesso ai soci del circolo e fu in una di queste nuotate che conobbe Chiara.

    Nuotava seguendo un’amica e si capiva che era la prima volta che faceva la traversata e aveva paura.

    Giovanni rallentò il ritmo di nuoto lasciando che i suoi amici andassero avanti e le si affiancò.

    Procedevano adagio e ogni tanto le sorrideva e le indirizzava qualche battuta spiritosa.

    Quando arrivarono alla scaletta della nave la ragazza si riposò un poco, quindi salì. Sul ponte si tolse la cuffia, gli occhiali da mare e gli sorrise.

    Ti ringrazio, mi sei stato veramente di aiuto; vedendoti così sereno ho pensato che non c’era nulla da temere, potevo farcela anch’io. Mi chiamo Chiara, sei al circolo anche tu?

    Giovanni non aveva mai visto due occhi di un azzurro così dolce e intenso. Rimase imbambolato e sentì che qualcosa gli si stava sciogliendo dentro.

    Giovanni, piacere. Pronunciò il suo nome con la stessa confusione di chi cerca un oggetto in uno scatolone di cianfrusaglie e non lo trova.

    Sono con degli amici continuò poi, eludendo la domanda di lei.

    Chiara lo investì con un sorriso frizzante come l’aria di primo mattino, lo salutò con un ciao sbarazzino e raggiunse l’amica.

    Quella notte Giovanni dormì poco e male.

    Si rigirava nel letto con un solo pensiero fisso: doveva rivedere Chiara. Quegli occhi, quel sorriso gli turbinavano nella mente come fiocchi di neve nella tormenta e non riusciva a pensare ad altro.

    Accidenti che sbandata! Ma cosa mi sta succedendo? Si poneva la domanda, ma conosceva già la risposta: si era preso una bella cotta.

    Rivide Chiara due giorni dopo del tutto casualmente.

    La sua squadra di pallacanestro doveva incontrare la squadra del rione della fettina, così soprannominato perché era il rione bene dove i quattrini circolavano più disinvoltamente che in altri rioni della città.

    La vide sulle gradinate che rideva e scherzava con alcuni amici.

    La sua spigliatezza lo investì e il suo cuore si fermò. Si riprese quando l’allenatore urlò il suo nome per sollecitarlo a entrare in campo.

    Vinsero la partita per un pelo: un canestro che aveva fatto proprio lui allo scadere del tempo.

    Era stata una brutta partita, nervosa e scorretta; le due squadre avevano fatto un gioco pesante e c’erano andati di mezzo un ginocchio di un compagno di Giovanni e una caviglia di un giocatore della squadra avversaria.

    Mentre raccoglieva la sua roba per andare negli spogliatoi si sentì chiamare.

    Chiara stava andando verso di lui.

    Complimenti… nuoto, pallacanestro, che altro? In acqua come gentilezza te la cavi meglio.

    Forse perché oggi in squadra non c’eri tu.

    Risero insieme della battuta.

    Quell’estate fu per Giovanni il primo dei tanti pioli che avrebbero formato la scala della sua vita. La prima piccola fetta di esistenza che aveva fatto gustare ai suoi sedici anni il sapore dolce della gioia piena e lo sconcerto di un amaro risveglio da un sogno troppo bello.

    Vedeva Chiara ogni giorno.

    All’inizio la conoscenza di amici comuni aveva agevolato le cose.

    La spiaggetta sotto il monte, il molo dell’acqua alta, il chiosco della piazza, l’arena Spiaggia d’oro, la pista da ballo a due passi dal mare costituivano lo scenario su cui la comitiva si muoveva tra risate, lazzi e acerbi struggimenti d’amore.

    Chiara arrivava sempre assieme a Massimiliano, il fratello gemello.

    Giovanni aveva conosciuto Massimiliano agli incontri scolastici di pallacanestro. Tra i due c’era un antagonismo forte. Massimiliano giocava nella squadra del liceo classico, Giovanni in quella dello scientifico. Consapevoli entrambi l’uno della bravura dell’altro, non si risparmiavano battute acide e pesanti.

    Quando la comitiva decideva di fare i proverbiali quattro passi era inevitabile la selezione in gruppetti e coppie.

    Una specifica, individuale attrazione, sollecitata dalla complicità della natura che si diverte a giocare con la prorompente età dei giovani, determinò le scelte.

    Col passare dei giorni Giovanni e Chiara si vedevano sempre più spesso. Pur restando inseriti nella comitiva e partecipando a ogni iniziativa comune, approfittavano di ogni momento libero per incontrarsi. A volte bastava soltanto uno sguardo, qualche parola, lo scambio di un oggetto perché quell’inesplicabile stato d’animo che porta i ragazzi a galleggiare fra cielo e terra, fosse appagato.

    Scoprirono di stare bene insieme e questo li spingeva a ricercare, sempre più spesso, attimi tutti per loro.

    Restavano sotto l’ombrellone quando gli altri facevano il bagno, seminavano le altre coppie durante la passeggiata per il viale, all’arena facevano in modo di sedersi vicini manovrando abilmente l’occupazione dei posti.

    Una sera decisero tutti insieme di andare a ballare alla Conchiglia verde, un locale all’aperto. La pista, che dava sul mare, era sovrastata da un pergolato che in un angolo (lo chiamavano il tunnel per il buio che vi regnava) era così folto da annullare quella poca luce che il gestore del locale mandava in pista quando l’orchestrina attaccava motivi lenti e sentimentali.

    Nel tunnel Giovanni strinse a sé Chiara e fece in modo che gli appoggiasse il viso sulla spalla.

    Il profumo della pelle di lei lo inebriò, reclinò leggermente il capo e con le labbra le sfiorò il viso. Chiara si voltò lentamente, le sue labbra si unirono alle labbra di lui in un bacio lieve, timido come un soffio di brezza che scivolando sul mare, va a lambire il fianco riarso della collina.

    Se quella gioia che entrambi provarono era amore, ebbene l’amore era veramente la cosa più bella del mondo.

    Più i giorni passavano e più Giovanni sentiva la felicità scorrergli dentro: un’emozione intensa dell’animo che non riusciva a dominare e a cui si abbandonava in un trasporto completo che occupava i suoi pensieri in ogni momento della giornata.

    Chiara ricambiava quell’affettività di lui e avvertiva che ogni sentimento per Giovanni si arricchiva ogni giorno di più di emozioni che la rendevano enormemente felice.

    Stavano vivendo la loro estate; l’estate certamente più bella e ricca d’affetto che avessero mai potuto desiderare.

    Una sera, si era ormai verso la fine di agosto, stavano tornando da una passeggiata sul lungomare quando lei gli si appoggiò contro come smarrita.

    Scusami - gli disse - mi è venuto un capogiro, mi fa male la testa.

    L’aria cominciava già a rinfrescare. Il temporale

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