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Gioco proibito: Harmony Collezione
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Gioco proibito: Harmony Collezione
E-book162 pagine1 ora

Gioco proibito: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Sono attratti l'un l'altro, ma entrambi restii a lasciarsi andare. Almeno per ora.



Toni George ha assoluto bisogno di un lavoro per estinguere i debiti che suo marito le ha lasciato in regalo, così non può permettersi di rifiutare quello che le offre Steel Landry. Anche se conosce bene la sua reputazione.

Steel è intrigato e attratto fin da subito dalla bella Toni, ma sa perfettamente che lei è off-limits. Il fatto però che sia così nervosa ogni volta che lui si trova nelle sue vicinanze significa che nemmeno lei è immune dal suo fascino come invece vuole fare intendere.
LinguaItaliano
Data di uscita10 dic 2018
ISBN9788858991398
Gioco proibito: Harmony Collezione
Autore

Helen Brooks

Helen è nata e cresciuta in Nuova Zelanda. Amante della lettura e dotata di grande fantasia, ha iniziato a scrivere storie sin dall'adolescenza. A ventun anni, insieme a un'amica, partì in nave per un lungo viaggio in Australia, che da Auckland l'avrebbe condotta a Melbourne.

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    Anteprima del libro

    Gioco proibito - Helen Brooks

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Beautiful Widow

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2011 Helen Brooks

    Traduzione di Sonia Indinimeo

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-139-8

    1

    Steve Landry stava perdendo la pazienza. Già sopportava poco gli sciocchi, ma dover passare un’intera mattinata per cercare di risolvere quello che si poteva definire un vero disastro commerciale era davvero troppo. Da quando la sua attività tentacolare si era espansa in decine di città inglesi, era stato costretto ad affidarsi ai collaboratori che aveva assunto nei vari uffici sparsi per il paese. Avrebbe voluto essere dovunque, ma non aveva il dono dell’ubiquità. Uno dei suoi manager aveva ignorato degli obblighi contrattuali, gettando discredito sul nome della Landry Enterprises. Gli ci era voluto un paio d’ore solo per quantificare i danni e anche se la falla era stata tappata, gli era rimasto l’amaro in bocca. Considerando che non aveva quasi chiuso occhio per tutta la notte, che il cognato lo aveva chiamato per avvertirlo che sua sorella era in ospedale dopo una minaccia d’aborto, che la sua segretaria gli aveva comunicato che si sarebbe trasferita negli Stati Uniti per seguire il marito, gli si prospettava una gran bella settimana!

    Guardò i sandwich al salmone che la segretaria gli aveva portato per pranzo e chiamò l’ospedale per la seconda volta in venti minuti. Ricevette la stessa risposta. La signora Wood sta bene, compatibilmente con la situazione, il che voleva dire, in gergo ospedaliero, che stava soffrendo le pene dell’inferno.

    Appena suo cognato Jeff lo aveva chiamato, Steve aveva contattato l’ospedale e preso accordi perché Annie avesse una camera privata e perché fosse assistita dal primario. Comunque, decise di cancellare tutti gli impegni del pomeriggio per andare a controllare di persona. Jeff era un bravo ragazzo, innamorato pazzo di Annie, ma era il tipico accademico assorbito dal suo lavoro di astronomo ed esperto di comunicazioni satellitari presso un’agenzia spaziale. Non si poteva certo dire che avesse molto senso pratico.

    Presa la decisione, controllò la sua agenda. Non c’era niente che non potesse aspettare. Oh, no! Nel tardo pomeriggio doveva fare il colloquio a una candidata per il posto di progettista d’interni, l’unica che James gli avesse mai raccomandato di persona. Come si chiamava? Ah, sì! Tory George. Guardò il suo Rolex. Erano le tre e la signora George sarebbe arrivata alle cinque e trenta.

    Steve contrasse le spalle muscolose e ruotò la testa per alleviare la tensione del collo. La clinica era a un paio di isolati dal suo appartamento e lui non aveva nessuna voglia di affrontare il traffico dell’ora di punta per tornare in ufficio. Accese l’interfono sulla sua scrivania. «Joy, per il colloquio a Tory George. Vedi se riesci a contattarla e a convocarla nel mio appartamento anziché qui in ufficio. Per quell’ora dovrei essere uscito dall’ospedale. Fallo subito, per favore.»

    Due minuti dopo, la sua segretaria bussò e fece capolino dalla porta. «Tutto sistemato» gli confermò. «Anche se all’inizio è sembrata un po’ perplessa. Ho dovuto spiegarle che lei era in clinica da sua sorella e non avrebbe fatto in tempo ad attraversare la città. Ha detto che non c’è nessun problema.»

    Scrutò Joy con uno sguardo divertito. Non aveva nemmeno ipotizzato che la signora George potesse temere qualche secondo fine? Forse avrebbe dovuto farlo. Si alzò e prese la giacca dalla sedia. «Grazie» disse brevemente. «Oh... fai le mie congratulazioni a Stuart per la promozione.»

    «Sarà fatto.» Joy lo guardò con simpatia. Sapeva che era preoccupato per sua sorella, anche se difficilmente trasparivano emozioni su quel bel viso. Aveva lavorato per lui per quattro anni e non solo era il capo più generoso che avesse mai avuto, ma anche quello più attraente. Se non fosse stata innamorata di suo marito, sarebbe caduta ai piedi di Steve, pensò per l’ennesima volta. Forse ne era un po’ innamorata... ma lui era sempre stato così professionale e corretto nei suoi confronti, che le era stato facile nasconderlo.

    All’esterno, l’afa polverosa di giugno stringeva la città in un abbraccio soffocante, ma quando Steve salì sulla sua Aston Martin nera e accese il condizionatore, si rilassò e tornò a respirare. Gli piaceva guidare e quell’auto era un sogno. Docile e grintosa tra le sue mani esperte, riusciva a divertirlo anche nel peggior ingorgo di Londra. Si diresse verso la clinica, con la mente rivolta ad Annie. Lei e Jeff stavano tentando di avere quel bimbo da molto tempo. Da quando si erano sposati, circa tre anni prima. Annie aveva ventisei anni, dodici meno di lui, e Steve si era occupato di lei da quando i loro genitori erano morti in un incidente stradale, lasciandola orfana a sei anni. Era stato sul punto di rinunciare all’università, ma per fortuna aveva trovato un lavoro part-time che, insieme alla metà del gruzzolo lasciato in banca dai suoi genitori, gli aveva permesso di continuare a pagare l’affitto della casa dove vivevano. Annie aveva già perso i genitori e lui non voleva che fosse costretta a lasciare la casa in cui era cresciuta e che le era familiare. Aveva depositato in banca la parte di soldi che le spettava, vincolati fino al compimento della maggiore età. Con gli interessi, Annie aveva ricevuto una discreta eredità.

    Alla fine ce l’avevano fatta. Tornò con la mente all’infanzia di Annie. I loro nonni paterni erano già morti, ma quelli materni avevano colmato il vuoto prendendosi cura della bambina ogni giorno dopo la scuola, fino a quando lui andava a prenderla. Anche i vicini e gli amici si erano stretti intorno a loro, dandogli un aiuto prezioso. Ora Annie era una donna bella e ben inserita nella società e lui aveva un’azienda di successo. Era indipendente, non doveva rispondere a nessuno e nessuno dipendeva da lui.

    Non che gli fosse pesato prendersi cura di Annie, pensò subito, come se qualcuno gli avesse posto quella domanda insidiosa. Lui lo aveva fatto perché voleva farlo. Tutto qui. Solo che i lunghi anni prima che lei incontrasse Jeff gli avevano insegnato qualcosa. Non sarebbe mai più stato responsabile per un altro essere umano. Voleva una vita priva di responsabilità e obblighi affettivi. Voleva andarsene come e dove gli pareva, in qualunque momento. Senza impedimenti, senza spiegazioni, senza impegni. Aveva avuto a che fare con queste cose per troppi anni. Ora che aveva recuperato la sua libertà, intendeva godersela.

    Aveva avuto molte relazioni, fin da ragazzino. Alcune erano durate a lungo, altre poche settimane. Era sempre stato deciso a rimanere single e col tempo aveva finito con privilegiare donne sofisticate, ossessionate dalla carriera. Donne simili a lui, che vedevano l’impegno come il fumo negli occhi. Per anni, aveva funzionato a meraviglia, fino a quando la sua ultima amante, un’intelligente avvocatessa fiera della sua indipendenza, aveva deciso di trasferirsi da lui.

    Il ricordo di Barbara gli balenò nella mente. Calda, voluttuosa, con uno sguardo felino a cui era difficile resistere. La loro separazione non era stata proprio amichevole. Era successo da qualche settimana, e anche se gli mancava il suo corpo provocante nel letto, non aveva dubbi di aver fatto la cosa giusta, mettendo fine alla loro relazione.

    Con la mano si toccò la guancia, ripensando allo schiaffo che lei gli aveva mollato. Era stato così forte che gli aveva fatto girare la testa e ci era mancato poco che gli incrinasse le ossa del collo. E dire che, dai suoi accalorati discorsi, pareva che considerasse la locuzione per sempre quasi blasfema!

    Donne... Strinse le belle labbra sensuali. Sono proprio una specie a parte. Non che se ne potesse fare a meno... E comunque Barbara era stata un’eccezione. Di solito, le sue relazioni erano finite senza lacrime, scenate, recriminazioni. Era ancora in ottimi rapporti con la maggior parte delle sue ex e questo voleva pur dire qualcosa. Era sempre stato onesto, mettendo le cose in chiaro fin dal primo appuntamento. Niente promesse. Solo due esseri umani che condividevano la vita e il letto per qualche tempo. Diretto. Come piaceva a lui.

    Quel giorno, il traffico era da incubo e gli ci era voluta quasi un’ora per raggiungere l’ospedale. Mentre parcheggiava, si sentì afferrare dall’ansia per ciò che l’aspettava, una volta entrato. No, a parte Annie, non voleva nessun altro di cui preoccuparsi...

    Steve prese il mazzo di rose gialle e fresie bianche che si era fermato a comprare e uscì dall’auto.

    A Tory tremavano le mani. Non era il modo migliore di presentarsi a un potenziale datore di lavoro. Da quello che sapeva di Steve Landry, lui si sarebbe aspettato un approccio professionale e distaccato.

    Tory cercò di calmarsi. Inspira... Espira... Inspira... Espira... Aveva letto da qualche parte che funzionava nei momenti di tensione.

    Ma non funzionò. In compenso, ora le girava anche la testa ed era dieci volte più terrorizzata. Che cosa avrebbe pensato Steve Landry se gli fosse svenuta ai piedi?

    Alzandosi dal bordo del divano dove si era arroccata, si diresse verso la vetrata e guardò la strada caotica, tre piani più giù. Il doppio vetro di eccellente fattura riduceva il rumore del traffico e della folla sui marciapiedi. Solo un impercettibile brusio filtrava a disturbare l’ambiente lussuoso. Molto lussuoso...

    Si voltò e si guardò intorno nella favolosa stanza dove una donna piccola e vivace, che si era presentata come la cameriera di Steve Landry, l’aveva fatta accomodare dieci minuti prima, quando aveva suonato alla porta del fantastico appartamento di South Kensington. Il salotto, color crema e tortora, era arredato con divani in pelle morbida, tavolini di vetro e legno di acero chiaro. Sui lati del grande camino di marmo c’erano delle ampie nicchie, dove trovavano posto due librerie cariche di volumi. Diverse ciotole di fiori freschi sparse qui e là profumavano la stanza.

    Era una casa studiata per impressionare, ma a Tory sembrava un po’ fredda. Era come se la persona che viveva lì non volesse rivelare niente di sé. Il che collimava bene con quel poco che sapeva di Landry.

    Non ebbe altro tempo per riflettere. La porta si aprì e un uomo alto, bruno entrò a grandi passi nella stanza. «Mi dispiace di averla fatta attendere, ma ho dovuto rispondere a una chiamata urgente che non poteva aspettare. Steve Landry» si presentò. «E lei dovrebbe essere Tory George? Si sieda, prego. Maggie sta portando il caffè» aggiunse, stringendole la mano.

    Tory fu felice di poter affondare in uno di quei divani. James le aveva descritto Steve come un bell’uomo e non aveva esagerato. Quell’aria tenebrosa e i lineamenti marcati erano decisamente attraenti, ma furono gli occhi a lasciarla senza fiato. Erano di un azzurro chiaro e intenso, quasi metallico e le folte ciglia nere li incorniciavano in modo spettacolare. Molti modelli avrebbero pagato una fortuna per avere occhi come quelli, pensò banalmente. Non sembrava giusto che la natura li avesse concessi a un solo uomo.

    Stava per sciorinare il più classico degli esordi, è un piacere fare la sua conoscenza, ma il signor Landry la precedette. «Vuole darmi la giacca?»

    Tory si alzò e, mentre lui l’aiutava a sfilare la giacca, colse una lievissima traccia della sua colonia al legno di cedro e rabbrividì. Per fortuna si era girato per appoggiare la giacca sullo schienale di un divano e non ci fece caso. Tory era alta circa un metro e settantasette, ma si accorse che lui la sovrastava di un bel pezzo e questo la mise in soggezione.

    Quando alla fine si trovarono seduti l’uno di fronte all’altro, Tory recuperò qualche grammo del suo sangue freddo. «Grazie per avermi incontrata oggi, signor Landry» gli disse con calma. «So quanto lei sia impegnato e spero che sua sorella stia meglio.»

    Lo vide corrugare la fronte e capì che forse non era stata la cosa migliore da dire.

    «Mia sorella è incinta e le cose non stanno andando per il meglio» tagliò corto Steve, con un tono che non lasciava spazio a ulteriori commenti.

    Tory sapeva di essere arrossita, ma cercò coraggiosamente di passare oltre. «Ho portato il mio portfolio con un elenco dei precedenti datori di lavoro ai quali, se lo desidera, potrà chiedere referenze. Io...»

    Steve fermò la tiritera della donna con un gesto perentorio della mano. Si

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