La scatola del tempo
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Un affermato e ricco professionista si rende conto di avere tutto ciò che un uomo possa desiderare. Tutto, tranne una cosa, forse la più preziosa: il tempo. La sua tenacia e un imprevisto legame ritrovato con sua figlia lo porteranno a creare una macchina in grado di cambiare la sua vita e quella di tutta l'umanità. Ma non sempre tutto va come previsto.
"Fai del bene o fai del male?"
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Anteprima del libro
La scatola del tempo - Luca Frediani
La scatola del tempo
Luca Frediani
Hai mai pensato di poter recuperare tutto il tempo che hai sprecato e di poterlo impiegare per seguire le tue passioni? Che forma ha il tempo?
Un affermato e ricco professionista si rende conto di avere tutto ciò che un uomo possa desiderare. Tutto, tranne una cosa, forse la più preziosa: il tempo. La sua tenacia e un imprevisto legame ritrovato con sua figlia lo porteranno a creare una macchina in grado di cambiare la sua vita e quella di tutta l'umanità. Ma non sempre tutto va come previsto.
Fai del bene o fai del male?
Copyright - 2017 Luca Frediani
Tutti i diritti riservati
La scatola del tempo
«Una da dieci» disse un uomo sulla cinquantina con molta fretta. M. stava dall'altra parte del bancone, sorrise «gliela porto subito» e si diresse lentamente nel retro del negozio. Il cliente restò in attesa tamburellando nervosamente con le dita. I suoi anelli d'oro producevano un ritmico toc-toc
sulla superficie di legno del bancone.
Il negozio di M. era tutto interamente di legno, quel bel legno marrone scuro della case di una volta. M. non aveva mai voluto riammodernarlo nonostante gli incassi fossero più che ottimi. Non era per una questione di soldi, solo che M. alla domanda perché non rendi questo posto più moderno?
rispondeva semplicemente ho altro da fare
.
Ricomparve dopo pochi minuti dal retro tenendo con due mani una scatola esagonale, di legno grezzo che sembrava appena uscito dalla bottega di un falegname. Dal modo con cui M. la portava, questa sembrava molto pesante oltre che estremamente preziosa.
La scatola fu appoggiata delicatamente sul bancone, il cliente lanciò spazientito i soldi verso M., afferrò il contenitore con foga e rapidamente si dileguò fuori dal negozio sbattendosi la porta alle spalle.
M. prese lentamente il denaro, lo pose nel cassetto che richiuse con calma, senza rumore. Nemmeno fece caso che anche al termine di quella giornata di lavoro l'incasso era già sufficiente a coprire un anno di spese di tutto il negozio.
Lentamente, M. si tolse il pesante grembiule, lo appese al solito gancio arrugginito, si diresse verso la porta di ingresso e la chiuse a chiave proprio mentre accorrevano due clienti trafelati. Colpirono la porta con pugni e urlarono, ma M. non ne volle sapere di aprire. Erano le 12 e 30 e il negozio a quell'ora chiudeva. Fece di no con la testa e quei due strillarono più forte: «Facci entrare!», «Solo una scatola! Piccola!»
M. abbassò la tendina e si allontanò senza una parola. Diede una sommaria spolverata al laboratorio sul retro, tolse qualche truciolo di legno e, come tutti i giorni, appoggiò una mano sulla macchina che riempiva le scatole, la accarezzò, fece un lungo sospiro e disse malinconicamente rivolto ad essa: «Fai del bene o fai del male?»
M. spense la luce e si diresse al piano di sopra, dove viveva. I due clienti non avevano ancora smesso di prendere a pugni la porta, sarebbero rimasti lì ancora chissà quanto. Appena entrato nell'appartamento diede uno sguardo al telefono e trovò le prenotazioni per l'indomani. Ogni giorno aumentavano sempre di più. Ogni giorno M. rispondeva nel solito modo a tutti: «il negozio è aperto dalle 8 e 30 alle 12 e 30». Non ascoltava suppliche né faceva eccezioni: quello era il suo orario di lavoro e niente al mondo lo avrebbe fatto lavorare anche un solo minuto di più. Ne aveva fatto una ragione di vita, voleva continuare ad essere di esempio per tutti, nonostante quello che stava accadendo. Quattro ore di lavoro al giorno, cronometrate, e poi tutti fuori dagli uffici, dai negozi, tutti a dedicarsi a qualcosa di diverso dalla rincorsa al guadagno. Era per questo che aveva inventato le Scatole del Tempo.
Il lavoro di M.
Sei anni prima, M. era l'amministratore di una grande azienda, una multinazionale fra le più importanti del mondo. Lui era uno degli uomini più ricchi e importanti del paese, un vero esempio per tutti gli imprenditori e per tutti coloro che desideravano intraprendere una carriera come la sua.
Stava sempre nel suo ufficio, per lui non esistevano orari se non quelli dei suoi appuntamenti con clienti e partner. Lui era l'azienda e l'azienda era lui, un binomio inscindibile. Si sentiva indispensabile, era certo che senza di lui tutto sarebbe crollato, l'azienda non avrebbe potuto proseguire nella sua attività e nessuno avrebbe potuto sostituirlo. M. non conosceva riposo, ogni giorno si alzava alle cinque del mattino e si recava in ufficio. Era il primo ad arrivare, prima anche della ditta delle pulizie. Accendeva le luci, l'aria condizionata o il riscaldamento per tutto il piano e si metteva al lavoro nella completa solitudine. Lui iniziava a lavorare, gli altri erano a casa ancora a dormire. «Lavativi» diceva sottovoce osservando le scrivanie vuote.
Per pranzo qualunque piatto pronto che potesse essere consegnato direttamente alla sua postazione andava bene, non c'era tempo da perdere per mangiare. «Lavativi» diceva sottovoce mentre i colleghi andavano al bar di fronte per la pausa pranzo.
La sera alle sette, quando tutti tornavano a casa, M. si fermava ancora una o due ore per finire il lavoro e preparare la giornata seguente. «Lavativi» diceva sottovoce guardando tutti gli impiegati che alle sette meno cinque minuti stavano già preparando le loro borse e telefonavano a casa per avvisare del loro rientro.
Spesso, se non sempre, nel fine settimana, dalla strada guardando in alto verso l'ultimo piano del palazzo, si poteva scorgere una luce accesa: era M. intento a completare qualche pratica. Da solo in tutto l'edificio.
Era fermamente convinto che una sua assenza, anche solo di qualche ora, potesse bloccare tutto il processo produttivo dell'azienda e che impiegati e operai non avrebbero saputo come andare avanti o comportarsi anche nelle situazioni più semplici. Sentiva su di sé tutto il peso di una multinazionale come quella, ma ne era lusingato e gratificato. Lui era la persona più importante di tutto il palazzo, lui era il motore di tutto. Questo gli dava la spinta per lavorare con ancora maggiore impegno impiegando ancora più tempo al raggiungimento degli obbiettivi aziendali. Quella era la sua ragione di vita. In qualunque momento del giorno e della notte lui era operativo, col telefono acceso, sempre pronto a rispondere e a scattare ad ogni necessità. Era sempre lì al suo posto e in una sola giornata si sobbarcava carichi di lavoro che nemmeno tutti gli impiegati insieme sarebbero riusciti a svolgere in un' intera settimana.
Quando aumentavano le necessità dell'azienda, per questioni di bilanci o periodi particolarmente impegnativi, M. era capace di aumentare il tempo alla scrivania come se niente fosse. Non era mai stanco di lavorare, non sembrava mai attendere l'orario per tornare a casa e invece, quando era a casa, attendeva con impazienza l'orario per tornare al lavoro.
Quando qualcosa andava male nell'azienda, M. era nervoso. Al contrario, quando qualcosa andava nel verso giusto, M. sprizzava gioia. Gioia effimera. Non si concedeva infatti più di qualche minuto di soddisfazione per la fretta di rimettersi ad inseguire nuovi obbiettivi. Viveva in simbiosi con la sua postazione, si nutriva di calcoli e delle sue carte da compilare alle quali aggiungeva sempre più massicce dosi di psicofarmaci contro l'ansia. Ogni giorno era un tormento: e se l'azienda non ce l'avesse fatta? E se gli impiegati si fossero rivelati per quei lavativi che lui era certo che fossero? E se qualche fornitore avesse tentato di imbrogliarlo? Tutti erano contro di lui, solo lui muoveva l'azienda e la conduceva nella giusta direzione, solo lui si impegnava anima e corpo per i risultati dell'azienda. Era solo, nessuno lo aiutava e nessuno aveva a cuore il suo posto di lavoro. Se doveva prendere farmaci, era colpa di tutti quelli che bivaccavano nel palazzo anziché lavorare e produrre. Con questi pensieri si addormentava a notte fonda.
La sciabola
Una sera M. rientrò a casa particolarmente stanco, non vedeva l'ora di farsi una bella dormita per ricaricarsi e tornare il giorno successivo pieno di energia alla sua postazione.
Aprì la porta di casa, le luci erano già spente, tutti dormivano, come sempre quando rientrava dall'ufficio. Regnava il silenzio più assoluto. Fece due passi verso l'interno e nella debole luce proveniente dai lampioni della strada scorse l'ombra di un uomo che usciva dalla cucina.
M. fu preso dal panico, si gettò di lato proprio dietro ad una colonna di marmo. Non serve a niente
aveva sempre pensato di quell' ingombrante pezzo d'arredamento che in quel momento gli stava salvando