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La luna a scacchi
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E-book292 pagine2 ore

La luna a scacchi

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Info su questo ebook

ITA:
La Luna a Scacchi è un romanzo nero come le unghie di un morto e profumato come un fiore. Protagonista è Alida, donna affetta da un morbo risalente alle culture europee di età medievale. Alida è un licantropo ed è sposata con un uomo affetto dalla stessa malattia, l’avvocato Luca Menozzatti. Conducono una vita serena finché Luca, in piena metamorfosi, non viene ucciso da Manuel Bracconieri. Cosa succede a un licantropo dopo essere morto? Torna umano e la polizia non potrà che arrestare Bracconieri per omicidio, senza sapere che il lupo lo ha ferito infettandolo. Riuscirà Alida a evitare che l’assassino di suo marito si trasformi all’interno del carcere in occasione della prossima luna piena? Esiste una cura contro il morbo di cui è schiava? E l’amore? L’amore si chiama Riccardo. Un uomo normale, lontano dagli orrori a cui è abituata Alida. Ma cos’è la normalità in una città, Roma, dove gli assassini camminano per strada e i mostri si chiudono in casa per proteggere gli altri da loro stessi?

ENG:
The Checked Moon is a novel as black as the fingernails of a dead man and as scented as a flower. The protagonist is Alida, a woman suffering from a disease dating back to the cultures of middle-ages Europe. Alida is a werewolf and is married to a man suffering from the same disease, the lawyer Luca Menozzatti. They lead a peaceful life until Luca, in full metamorphosis, is killed by Manuel Bracconieri. What happens to a werewolf after death? He reverts back to human, so the police can only arrest Bracconieri for murder, not knowing that the wolf has wounded and infected him. Will Alida be able to prevent the murderer of her husband to transform inside the prison at next full moon? Is there a cure for the disease enslaving her? Is it love? Love is called Riccardo. A normal man, far from the horrors to which Alida is accustomed. But what is normality in a city, Rome, where murderers walk along the street and monsters lock themselves in their houses to protect others from themselves?

LinguaItaliano
Data di uscita2 set 2012
ISBN9788865781531
La luna a scacchi
Autore

Filip Fromell

Filip Fromell è nato in Svizzera e vive a Roma, dove scrive romanzi e sceneggiature per il cinema.

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    La luna a scacchi - Filip Fromell

    Filip Fromell

    La luna a scacchi

    La luna a scacchi

    Copyright © 2012 Zerounoundici Edizioni

    ISBN: 978-88-6578-153-1

    In copertina: Immagine a cura di

    Davide Rossetti

    «Non difendete i mostri!»

    «Perché mostri? Quando nasce un cieco, un idiota, un omicida,

    questo ci sembra disordine, come se l’ordine ci fosse noto,

    come se la Natura agisse secondo un fine!»

    (Gustave Flaubert, Bouvard et Pécuchet)

    I’m a howlin’ wolf

    I’ve been howlin’ all ‘round your door

    I’m a howlin’ wolf

    I’ve been howlin’ all ‘round your door

    I see your smilin’ face

    You won’t hear me howl no more

    (Muddy Waters, Howlin’ Wolf)

    A mio padre

    La luna a scacchi

    Bianca. Finalmente la stanza sarebbe tornata a essere bianca.

    Le indagini della polizia non avevano provato nulla e anche se la Scientifica non aveva chiarito la causa dei solchi sul muro, il caso era stato archiviato come suicidio.

    Non correva più nessun pericolo, ma non se la sentiva di chiamare il pittore.

    Nessuno doveva entrare nella stanza. Non ancora, almeno.

    L’avrebbe fatto da sola. Era abituata a fare le cose da sola.

    Aveva predisposto tutto il necessario sul pavimento: vecchie lenzuola, carta di giornale, rulli, pennelli e barattoli di colore.

    Bianco.

    Amava il bianco.

    Una scala. Per il soffitto.

    Le macchie erano arrivate a quattro metri d’altezza, ma non era nulla in confronto alle pareti. Non sembrava neanche più sangue, tanto era scuro e rappreso.

    Sorrise.

    Di solito si parte dal basso. Una carriera inizia dal basso, un grattacielo si costruisce dal basso, lei stessa era partita dal basso, da molto in basso, ma una stanza si imbianca dall’alto.

    Ed è da lì che iniziò.

    Il rullo fu inghiottito dalla vernice con un denso gorgoglio e pensò che avevano fatto tutti la stessa fine.

    Erano spariti tutti.

    L’unica cosa che adesso importava era ridare alla stanza il suo bianco naturale.

    Perché il bianco non fa domande.

    Il bianco avrebbe coperto le macchie.

    Poi c’era da pensare alle sbarre. Di certo non ce l’avrebbe fatta a toglierle da sola.

    Ma prima il sangue.

    Il sangue andava tolto subito.

    15 giugno – 19:02

    Alida chiamò Luca sul cellulare quattro volte prima di preoccuparsi seriamente.

    Il caldo che i notiziari annunciavano dall’inizio della settimana era arrivato silenzioso come una nube di gas, ma non per quello aveva la fronte e i palmi delle mani umidi e appiccicaticci.

    Perché non rispondeva?

    Nell’elegante appartamento all’ultimo piano di viale Romania, a un isolato da viale Parioli, il silenzio era rotto soltanto dal televisore acceso. Nessuno lo stava guardando. Alida era troppo tesa per starsene in poltrona.

    Dopo aver percorso una quindicina di chilometri per tutta casa riducendo lo stress sgranocchiando una serie infinita di grissini, entrò scalza in cucina e aprì l’agenda alla lettera D. Prima di far partire la chiamata contemplò il cordless, sperando fino all’ultimo di sentirlo squillare.

    Era una donna razionale, moderata, sapeva quanto Luca apprezzasse il suo equilibrio, ma discrezione non significa totale disinteresse nei confronti del proprio compagno.

    Il telefono non suonò e nessuno alleviò le sue pene informandola che era rimasto bloccato nel traffico del Muro Torto.

    Alida guardò di nuovo l’ora.

    La possibilità che Luca se ne fosse dimenticato le provocava violente palpitazioni al centro del petto che la indussero a odiarlo.

    Perché doveva stare così male?

    Perché doveva farla stare così male?

    Tornò in salone, spense il televisore e fissò lo schermo sul quale si rifletteva la sua esile figura vestita di bianco.

    Il bianco era entrato nella sua vita insieme ai conigli.

    Si vestiva così per loro, in segno di rispetto dal giorno in cui la loro carne era diventata indispensabile.

    Era stata un’idea di Luca. Una proposta che inizialmente aveva disapprovato, ma che adesso, ripensando a quanto le aveva giovato, considerava l’intuizione più azzeccata mai uscita dalla testa di suo marito.

    I conigli funzionavano da sedativo. E non solo. Facevano anche in modo che la notte passasse più in fretta.

    Guardò il telefono e pensò che se Luca voleva cacciarsi nei guai era libero di farlo. Almeno avrebbe imparato la lezione.

    Certo, brava Alida, bravissima! E poi?

    Le conseguenze sarebbero state catastrofiche. Le passò in rassegna una dopo l’altra e con sgomento realizzò che conducevano tutte allo stesso epilogo.

    Sarebbero risaliti a lei nel giro di poche ore.

    Finalmente si decise. Fece partire la chiamata e avvicinò il cordless all’orecchio.

    Primo squillo.

    Stamattina gliel’ho ribadito due volte…

    Secondo squillo.

    Non posso impazzire ogni volta che non rientra in tempo…

    Terzo squillo.

    Possibile che se ne sia scordato?

    Quarto squillo.

    Devo sentire la sua voce.

    Invece udì quella della segretaria dell’ufficio legale De Santis, ancora vispa malgrado l’ora. Le chiese di parlare con Luca Menozzatti. Si presentò come sua moglie.

    «Il dottore è uscito un’ora fa. Aveva un appuntamento» la informò con prontezza la donna.

    «Un appuntamento così tardi?» chiese Alida meno convinta.

    «Così è segnato sull’agenda, ha provato sul cellulare?»»

    «Ancora no, lo farò adesso, grazie.»

    Attaccò senza attendere il saluto. La infastidiva che un’estranea intuisse il suo stato d’ansia. Per questo le aveva mentito. Anche se stava svolgendo il suo lavoro, la seccava che quella donna potesse ficcare il naso negli appuntamenti di Luca mentre lei, che era la moglie, era tenuta all’oscuro di tutto.

    Percorse un tratto del corridoio e si fermò davanti alla porta di casa. Le pesanti chiusure di sicurezza baluginavano nella penombra. Decise che se Luca non fosse tornato in tempo avrebbe trovato la porta serrata con i chiavistelli supplementari.

    Oh sì! Stavolta non entri nemmeno a cannonate. Per quanto mi riguarda puoi attaccarti al campanello fino a scorticarti il dito.

    Alida si esaminò le unghie. Crescevano sempre troppo in fretta. Decise di spuntarle, almeno si sarebbe distratta un po’. Andò in bagno, ma si paralizzò sulla porta.

    Vide Luca sdraiato sul lettino di un’ambulanza lanciata nel traffico al suono lancinante delle sirene. In nessun caso, neanche se fosse stato vittima di incidente, potevano correre il rischio che trascorresse la notte fuori. Cercò di razionalizzare. Se fosse successa una tragedia del genere sarebbe stata la prima a saperlo e se non altro qualcuno avrebbe risposto al cellulare.

    Dileguò la tensione rovistando nella vetrinetta del mobile del bagno, prese il beautycase e si sistemò sul terrazzo della sala da pranzo, approfittando della luce della sera per fare quello che in condizioni normali avrebbe fatto una volta a settimana.

    15 giugno – 20:48

    Il cellulare squillò di nuovo.

    «Si può sapere chi è?» domandò la ragazza nell’Audi all’uomo vestito di lino blu seduto al volante.

    Erano parcheggiati in una strada senza uscita nelle campagne di Labaro, alle porte di Roma.

    «L’ufficio» rispose Luca sistemandosi i pantaloni. Poi tolse la suoneria al cellulare e lo posò nel vano portaoggetti vicino al cambio.

    Alida avrebbe continuato a chiamarlo finché non fosse tornato a casa ed era quello che avrebbe fatto se Giada l’avesse lasciato andare senza discutere.

    A metà pomeriggio, durante lo studio di alcune pratiche, il bisogno fisico di lei era stato irrefrenabile. Aveva ordinato alla segretaria di aggiornare l’agenda inventandosi un appuntamento ed era uscito chiedendosi se avesse notato il rigonfiamento dei pantaloni.

    Dai, puoi dirlo. Non sei riuscito a dire di no a una scopata in macchina. Che male c’è, a parte che sei sposato da dieci anni?

    Quando Luca si rese conto che una sveltina sul ciglio della strada non rientrava nemmeno tra le sue esperienze di ventenne l’ansia di tornare a casa si fece pesante come un cappotto bagnato.

    Oltretutto il cielo si stava rabbuiando velocemente.

    «Giada, mi stanno continuando a chiamare, dobbiamo andare.»

    La ragazza lo guardò di sbieco. Odiava che fosse sempre lui a decidere. Neanche il tempo di fumarsi una cazzo di sigaretta.

    «Dobbiamo? Sei tu che vuoi andare. O meglio, devi.» Dalla camicetta slacciata si intravedevano le punte erette dei seni perfetti.

    Era più giovane di Alida di quindici anni. Una differenza da cui derivava una personalità imprevedibile, burrascosa. Peggio di un’adolescente.

    Con un gesto improvviso del braccio Giada staccò le chiavi della macchina dal cruscotto.

    «Mi sono rotta le palle di farmi trattare come una puttana che ti scopi ogni volta che hai voglia» disse aggressiva.

    «Non ho intenzione di iniziare a discutere adesso, ridammi le chiavi» ribatté Luca riallacciandosi i bottoni della camicia.

    «E quando vuoi discutere? Sono tre mesi che ci frequentiamo e sempre come fa più comodo a te. Non solo scegli i giorni, calcoli anche le ore.»

    Luca aprì la bocca, ma Giada lo ammutolì. «Guardi l’orologio ogni dieci minuti, il che vuol dire che pensi a tua moglie, perché è lei che ti sommerge di domande se non arrivi per cena. Ti senti libero di usarmi come ti pare e solo in questo schifo di macchina.»

    Luca cercò di non farlo, ma non si trattenne. Guardò di nuovo l’orologio. Fortunatamente Giada non se ne accorse, guardava fuori dal finestrino.

    «Quante volte l’abbiamo fatto in un letto?» chiese con un velo di tristezza.

    Luca ignorò la domanda. La notte stava per divorare ogni luce del giorno. Doveva sbrigarsi. «Vuoi ridarmi le chiavi della macchina?»

    «Ti ho fatto una domanda.»

    «Credi che non lo sappia? Mai, non l’abbiamo mai fatto in un letto, che ci posso fare se vivi con…»

    «Non ti ho chiesto di venire da me e non pretendo neanche di salire a casa tua. Però lo sforzo di prendere una stanza potresti farlo. Un hotel qualsiasi. Ogni cosa è meglio che scopare un’altra volta in mezzo alla campagna, anche il cesso di un autogrill, almeno avrei qualcosa con cui pulirmi.»

    Luca era nervoso e faceva fatica a nasconderlo.

    Perché è così difficile strappare qualcosa dalle mani di una donna? Doveva riprendere le chiavi, riprenderle subito e riaccompagnare Giada a casa. E iniziare anche a pensare una buona scusa per Alida.

    Sei proprio così sicuro di ritornarci da Alida?

    «Può sembrarti una stupidaggine, ma non ti piacerebbe cenare insieme in un posto carino?» chiese Giada accantonando il risentimento per usare un tono quasi infantile, ingenuo.

    Luca vide uno spiraglio e ci si tuffò a occhi chiusi.

    «Ma certo, anzi, sai che facciamo? Domani prenoto alle Finestre, è il ristorante di un mio amico, ci sei mai stata? Fanno pesce.»

    «Mi fa cagare il pesce!» sbottò Giada riannuvolandosi immediatamente. Con una rapidità inaspettata aprì lo sportello, fece il giro dell’auto e in piedi davanti al finestrino studiò Luca come un animale in gabbia.

    «Torna dentro!» urlò lui battendo il gomito sul vetro.

    Ispezionando le chiavi della macchina Giada notò che attaccato al portachiavi c’era un altro mazzo.

    «Suppongo che con queste ci apri casa» disse mostrandole a Luca che non rispose.

    «Pensi che non sappia dove abiti? chiese Giada con un sorrisetto Via Matano 14. O è il 12?» si interrogò. «Non importa, riconoscerei il cancello. Verde, di ferro, davanti a una scuola elementare. Ti ho seguito più di una volta e ti ho anche suonato quando non partivi al semaforo. Sei proprio un idiota, Luca.»

    «Giada! Non ti azzardare…»

    «A fare che? Due chiacchiere con tua moglie? La troverei annoiata davanti al televisore, le farebbe solo piacere parlare con qualcuno visto che suo marito, a sentir lui, è sempre impegnato a lavoro. Queste puoi anche tenertele» disse staccando le chiavi della macchina e lasciandole cadere per terra.

    «Non ti chiudo nella tua merdosa Audi a riflettere su quanto sei stronzo solo perché non ti voglio sulla coscienza. Mi allontano per chiamare un taxi, qui non prende un cazzo.» Giada si dileguò nel crepuscolo sventolando il cellulare.

    Luca aprì lo sportello della macchina, raccolse le chiavi e guardò oltre il parabrezza.

    Ancora nulla, ma era questione di minuti.

    Come aveva fatto a essere così stupido?

    Per nessuna ragione al mondo doveva trovarsi lì.

    Tirò un’altra gomitata al finestrino ottenendo solo l’effetto di moltiplicare le stelle del cielo di Roma.

    15 giugno – 21:18

    Potevano trovare centinaia di modi per riferirsi a lei con più fantasia, ma la chiamavano sobriamente la stanza.

    Durante la settimana la porta della stanza rimaneva ben chiusa e sia Alida che Luca, quando ci passavano davanti per andare in bagno, non apparivano minimamente turbati dal fatto che quel luogo di sangue si trovasse a meno di tre passi dalla loro camera da letto.

    Quando Alida entrò nella stanza i conigli la guardarono immobili. Nei loro sguardi non lesse se erano spaventati o sereni, se erano stanchi del solito cibo o se desideravano acqua più fresca nelle vasche di plastica. Non si intuiva nemmeno se erano consapevoli che molti di loro ben presto non sarebbero più esistiti.

    Alida e Luca non si erano mai preoccupati di dare una rinnovata al pavimento e alle pareti e lo stato di usura dell’ambiente era senza precedenti. Che senso aveva ristrutturare la stanza se quando vi si chiudevano dentro una volta al mese i loro sensi erano talmente alterati che si sarebbero trovati a loro agio anche in fondo a una discarica?

    Solo Alida vi metteva piede di tanto in tanto. Giusto il tempo di riempire con acqua e cibo le vasche dei conigli e accertarsi che nel frattempo non ne fosse morto nessuno.

    La stanza era completamente spoglia.

    I muri, oltre a solchi profondi come se qualcuno li avesse squarciati con un punteruolo, presentavano schizzi di sangue rappreso proveniente non solo dai conigli sbranati, ma anche dalle ferite che, per sedare i loro tormenti, Alida e Luca si procuravano da soli.

    Le zone in cui l’intonaco era più insozzato corrispondevano ai punti dove, a un metro da terra, robuste catene fuoriuscivano dalle pareti una dirimpetto all’altra. Terminavano con un collare metallico rivestito in gomma per evitare escoriazioni e la loro lunghezza era stata calcolata affinché non arrivassero a più di 60 centimetri l’una dall’altra.

    Il parquet era rivestito in pavinil come la corsia di un ospedale e la porta, blindata, poteva serrarsi ulteriormente con cerniere e chiavistelli più pesanti. Le prese della corrente erano rese inutilizzabili da placche di ferro e agli angoli del soffitto un paio di grate facilmente scambiabili per condotti di aerazione erano altoparlanti collegati allo stereo del salone.

    Alida, oltre ai conigli, amava anche la musica.

    Una lampada schermata da una protezione plastificata pendeva al centro del soffitto, la sola parte della stanza che conservava intatto, tranne per qualche sporadico schizzo, il bianco originario della vernice.

    Alida si fece largo tra i conigli e lo individuò tra la vaschetta dell’acqua e quella del cibo. Si chinò e lo prese in braccio con la tenerezza di un giovane dottore che aiuta a venire al mondo il suo primo bambino. Non era la prima volta che aveva la sensazione che quel coniglio possedesse qualcosa di speciale. A renderlo diverso dai suoi simili non era soltanto la macchiolina nera sulla testa, ma una specie di assopita forma di intelligenza che si intravedeva nel fondo delle pupille scure come praline di cioccolata.

    Quanto tempo aveva trascorso nella stanza? Due mesi? Alida aveva perso il conto del tempo. Incredibile come riuscisse sempre a sopravvivere. O avendo imparato dalle carneficine a cui andavano incontro il resto dei compagni si teneva a debita distanza per tutta la notte, oppure proprio Alida, inconsciamente, lo risparmiava sentendosi inspiegabilmente attratta.

    L’accarezzò dolcemente e si avvicinò alla finestra protetta dalla pesante grata di ferro. Oltre le sbarre le macchine scemavano lentamente, ma nessuna entrò nel cancello del palazzo.

    Estrasse il cellulare e chiamò Luca per l’ennesima volta.

    Il telefono era spento.

    15 giugno – 21:44

    Giada detestava il posto dove Luca aveva deciso di appartarsi. Era dall’altra parte di Roma e la faceva sentire sporca, di poco valore. A meno di un chilometro da lì, su via Flaminia, prostitute di tutte le età combattevano il freddo d’inverno e le zanzare d’estate ogni notte dell’anno.

    Era scesa la notte e da lontano Roma sembrava una distesa di schegge di vetro su un mare di petrolio.

    Si fermò sotto un lampione. Il ciglio della strada affacciava sui campi ed era costeggiato dai pini tipici della zona, quelli che più ti avvicini al mare, più crescono incurvati per via del vento. Un tratto di terreno aveva subito uno smottamento e si era creata una spaccatura che precipitava su un campo scuro disseminato dai tralicci dell’alta tensione.

    Giada tornò con lo sguardo su via di Torre Annunziatella, forse una delle più lunghe strade della capitale, senza sbocco. Chi ci finisce per sbaglio non immagina che nel giro di tre chilometri sarà costretto a innescare la retromarcia a meno che non abbia intenzione di raggiungere via di Grottarossa a piedi attraverso i campi.

    Tranne un paio di case con piccolo giardino, alcune macchine parcheggiate davanti ai vialetti d’ingresso e i piloni che s’innalzavano spettrali, intorno a Giada non c’era nient’altro. Mosse un passo e per poco non si forò un piede con un chiodo sporgente da un’asse di legno. Quando le diede un calcio spedendola in mezzo alla strada, la luce del lampione vacillò fino a spegnersi del tutto.

    Non ci badò.

    Stava pensando alla minaccia che aveva fatto impallidire Luca. Aveva mentito. Era chiaro che non se ne sarebbe andata in quel modo. Oltretutto che taxi avrebbe preso coi dieci euro scarsi che aveva nella borsetta? Aveva voluto spaventarlo solo perché capisse che era arrivato il momento di giocare di meno e trasformare le loro scopate in qualcosa di più concreto. Se credeva in loro due.

    Altrimenti era meglio finirla lì una volta per tutte.

    In ogni modo la storia che sarebbe andata a raccontare tutto alla moglie aveva funzionato alla grande, la faccia che aveva fatto Luca era stata uno spasso e la gomitata al finestrino doveva avergli fatto un male cane. Che cretino!

    Decise di fargli uno scherzo. Qualcosa per stemperare la situazione, come sbucare di colpo dal finestrino dell’auto. Soffocò una risata al pensiero del salto che avrebbe fatto sbattendo la testa sul tettuccio.

    All’improvviso, dalla borsetta, partì la suoneria che aveva associato alle chiamate di Luca.

    Voleva chiederle di tornare indietro.

    Che sfigato!

    Non si era neanche dato la briga di scendere dalla macchina per andarla a cercare.

    Che aspetti pure, il coglione, rifletté Giada accendendosi una Merit mentre Luca guardava con irritazione il cellulare scarico. Le telefonate di Alida gli avevano prosciugato la batteria.

    Mise in moto l’auto, fece manovra e ridiscese lentamente via di Torre Annunziatella sobbalzando sui rigonfiamenti delle radici dei pini che premevano per liberarsi dall’asfalto che le imprigionava.

    La vide a pochi metri da una curva. Serena e tranquilla. Fumava una sigaretta come fossero le undici del mattino e aspettasse l’autobus.

    Accostò, tirò il freno a mano e abbassò il finestrino.

    «Come puttaniere non sei male. Elegante, bella macchina. Salirei al volo» disse Giada esalando una densa nuvola di fumo che si sparse nell’Audi.

    «E allora sali!» ordinò Luca.

    «Perché non scendi tu?» lo stuzzicò lei sbottonandosi la camicetta.

    «Giada, non sto scherzando. Non c’è più tempo!» gridò, strangolando il volante tra le dita.

    Per la prima volta Giada si accorse che l’agitazione di Luca non era dovuta alla sola apprensione di tornare da sua moglie.

    C’era qualcos’altro.

    I suoi occhi erano diversi.

    Brillavano.

    Era come se tremassero, simili alle luci lontane di Roma che aveva ammirato poco prima.

    Per una frazione di secondo le ricordarono quelli di un cane spaventato.

    Occhi di animale.

    Giada fece un passo in avanti. «Stai bene? Hai una faccia…»

    «Ti prego, sali!» gridò Luca.

    Giada sporse la testa oltre il finestrino.

    «Ma che hai fatto? Sei tutto sudato, perché non prendi un po’ d’aria?»

    «Non mi sento bene, voglio andare a casa e mettermi a letto. Credo di essermi preso qualcosa.»

    «Che noioso! A me invece era venuta voglia di farlo qui fuori, sul cofano. Non ti ispira l’idea?»

    «Ti ho detto che mi sento male. Perché non la fai finita? Che cazzo ti costa?»

    «Tra tutti i nostri problemi, quello principale disse Giada facendo scattare la maniglia dell’Audi è che sei vecchio, vecchio e noioso. Non so come faccia tua moglie a sopportarti. Poveraccia. Sarebbe stata una scopata meravigliosa! Cazzi tuoi. Adesso portami a casa se ci tieni tanto!» Giada si accostò allo schienale e afferrò la cintura.

    Luca alzò la frizione e l’Audi prese a scivolare come uno squalo in scure acque, finché uno scoppio improvviso lo obbligò a fermarsi.

    «Merda!» imprecò.

    «Cos’era?» chiese Giada.

    Luca scese dall’auto e si avvicinò alla ruota anteriore destra forata dall’asse chiodata. Giada restò in macchina, sbuffando come a una lezione di algebra. Dopo un po’ abbassò il finestrino e sporse la testa. Luca era accucciato davanti al parafango.

    «Tutto bene?»

    Non rispose. Sembrava essersi addormentato con la testa reclinata tra le ginocchia e le mani appoggiate sul cofano. Lo chiamò un’altra volta, poi aprì lo sportello, lo raggiunse e gli posò una mano sulla spalla. La ritrasse immediatamente. La giacca di lino era madida di sudore e scottava come se fosse stata sotto il sole per ore.

    «Che problema c’è? Se non hai una ruota di scorta chiamiamo un carro attrezzi» disse Giada afferrandolo per un braccio.

    Luca si liberò con uno strattone. Lottava contro il proprio corpo come chi cerca di sedare un violento attacco di panico. Aveva caldo. Sempre più caldo.

    «Fai come ti pare. Resta lì se ti piace tanto» disse Giada alzando lo sguardo al cielo mentre gli occhi le si illuminavano come di fronte a una collana di diamanti. Raramente aveva visto una luna così grande e lucente.

    Luca si mosse e stavolta non fu lui a comandare i movimenti.

    «Allora? Che si fa con quella gomma?» la voce di Giada gli arrivò da molto lontano. Avrebbe voluto gridarle di scappare, ma dalla laringe che andava gonfiandosi l’unico suono che produsse fu un turbinio basso, costante, come

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