Diario di una guerra quasi giusta: Desert storm sui giornali
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Info su questo ebook
Pubblicato nel 2003, alla vigilia della seconda guerra del Golfo, il presente volume racconta il primo atto di quella guerra, Desert storm, attraverso una raccolta di notizie tratte dai giornali dell’epoca. Si tratta perlopiù di estratti o trafiletti che fanno da contorno alla cronaca della guerra vera e propria. Riportano episodi di volta in volta tragici, comici, surreali, o, più spesso, tutte le tre cose insieme. Fatti marginali nell’economia del conflitto, ma che rendono bene l’atmosfera in cui è stata vissuta la prima guerra postmoderna e aiutano a comprenderne il secondo atto.
"Il più grande spettacolo del mondo
È durata 45 giorni, più o meno come i mondiali di calcio. L’abbiamo vista in tv, ad orari fissi. All’inizio ha avuto altissimi indici di ascolto, calati poi nella fase intermedia e risaliti nel finale. Hanno partecipato più di trenta nazioni, da diversi continenti, da un paio di settimane è finita ed è già entrata nella memoria…: un grande spettacolo che ha fatto un po’ di paura, qualche pietà e un mare di chiacchiere.
…una guerra, una guerra vera e indolore, un kolossal grande quanto una finale all’Olimpico, più drammatica ma di altrettanto pronto consumo. Non resta che ringraziare tutti coloro che hanno fatto in modo che sia andata così, pregando, ciascuno chi vuole, che non ci si ricordi domani di questa guerra come di un film. Solo questo l’Occidente ha visto e vissuto: un film coi buoni sicuramente buoni e cattivi certamente cattivi. In questa fetta di mondo si è realizzato il delitto perfetto: la guerra giusta e indolore. Ce la siamo goduta in tv, tutto sta a non abituarsi." (Repubblica)
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Anteprima del libro
Diario di una guerra quasi giusta - Giovanni Messina
Giovanni Messina
Diario di una guerra quasi giusta
Desert storm sui giornali
OMBand Digital Editions
1. Alberto Camì, Breve matrimonio di Benito, e morte
2. Enrico Quarto, Le maschere
3. Pavel I. Smirnov, Il mio regno non è di questo mondo
4. Enrico Quarto, Il sogno del prete
5. Giovanni Messina, Elogio del paradosso
6. Michel de Montaigne, Il piacere di vivere
7. Serena Bianchi, Cliccare Obbedire Combattere
8. Giovanni Messina, I nove comandamenti
9. Giovanni Messina, Lo scrittore Heinrich
10. Giovanni Messina, Diario di una guerra quasi giusta
11. Giovanni Messina, Storia di un ristorante italiano in Cina
12. L’esprit (Le più belle massime della letteratura francese)
13. François Rabelais, Lode al debito
14. Voltaire, L’abc della filosofia
15. Enrico Quarto, Diamanti
16. Anatole France, Nel giardino di Epicuro
17. Duca de Saint-Simon, Questa puttana mi farà morire
18. Giovanni Messina, Intervista alla Stupidità
19. Giovanni Messina, Delocalizziamo la vita
20. Italo Svevo, La novella del buon vecchio e della bella fanciulla
21. Italo Svevo, L’assassinio di via Belpoggio
22. Octave Mirbeau, La vacca picchiettata e altre strane storie
23. Luigi Pirandello, Così è (se vi pare)
24. Luigi Pirandello, Il berretto a sonagli
25. Luigi Pirandello, Il giuoco delle parti
26. Luigi Pirandello, Pensaci, Giacomino!
27. Luigi Pirandello, Liolà
28. Carlo Goldoni, La bottega del caffè
29. Carlo Goldoni, Le smanie per la villeggiatura
30. Le più belle poesie di Gabriele D’Annunzio
31. Carlo Goldoni, La Locandiera
32. Italo Svevo, Corto viaggio sentimentale
33. Luigi Pirandello, Tre atti unici
34. Federigo Tozzi, Con gli occhi chiusi
35. Luigi Pirandello, Sei personaggi in cerca di autore
36. Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila
37. Luigi Pirandello, Enrico IV
38. Carlo Goldoni, Il servitore di due padroni
39. Dino Campana, Canti Orfici
40. Vittorio Alfieri, Della tirannide
In copertina:
The Black Idol (Resistance) di Frantisek Kupka
© 2012 – Tutti i diritti riservati
Presentazione
In un’intervista al Corriere del 22 gennaio il sociologo tedesco Ulrich Beck illustra quelli che sono i due punti centrali di un suo saggio di recente pubblicazione, Make law, not war
: il continuo ricorso alla guerra preventiva porterà al crollo dell’impero americano; l’atteggiamento degli Stati Uniti, tradotto in termini di diritto nazionale, equivale a quello di una persona che sporga denuncia, giudichi ed esegua la sentenza.
Mettendo da parte il primo punto, se non altro, discutibile, c’è nel secondo un’efficace formulazione del quadro internazionale contemporaneo. Nel mondo di oggi manca un sistema normativo adeguato che regoli i rapporti internazionali e manca soprattutto un organismo capace di far valere quelle norme. L’Onu, lungi dall’essere tale organismo, appare piuttosto il riflesso anacronistico di un mondo fondato sulla supremazia di pochi stati. L’Iraq non è il primo paese, e non sarà l’ultimo, ad aver ignorato le sue risoluzioni. Israele, per rimanere in zona, non le tiene in maggiore considerazione. Ma questo non sorprende: in mancanza di un’autorità mondiale credibile, lo stato o gli stati di volta in volta più forti vi suppliscono facendo valere la propria legge. Come se in una nazione, mancando magistratura e forza pubblica, alcuni cittadini si arrogassero il diritto di giudicare e condannarne altri.
La conseguenza più elementare di un sistema basato sulla forza è che deve di continuo far ricorso alla forza per esistere. Una guerra preventiva ne precede un’altra. Come del resto lo stesso Bush ha preannunciato. Oggi il pericolo viene da Baghdad. Domani sarà la Corea del Nord, sarà l’Iran, il Sudan, la Somalia… La questione non è tanto la guerra imminente, che forse molti di coloro che la osteggiano accetterebbero pure se rappresentasse l’inizio di un modo nuovo di intendere le relazioni internazionali, quanto quelle che già si profilano all’orizzonte. Ma è davvero pensabile progettare per il terzo millennio un ordine mondiale basato sulla forza? C’è qualcuno veramente convinto che un esercito, per quanto efficiente e tecnologico, possa soffocare la ribellione di chi non attribuisce valore alla propria vita, fino al punto di farsi saltare in aria o di schiantarsi contro un grattacielo pur di eliminare quello che percepisce come nemico? O non è più probabile, stando a quanto già accaduto, che gli alleati di oggi si trasformino in nemici domani? Gli stessi Saddam e Bin Laden, come risaputo, hanno servito gli Stati Uniti, e prima di diventare nemici sono stati loro strumenti. Non a caso la battuta attualmente più gettonata sui media americani dice che gli Stati Uniti sono certi degli armamenti di Baghdad perché hanno conservato le ricevute.
Veniamo al nostro paese. Nell’infiammarsi dei dibattiti televisivi, equivalente italiano di quello che negli Stati Uniti o in Gran Bretagna è la mobilitazione dei riservisti, ricorre con insistenza il parallelo tra il dittatore iracheno e Hitler. Parallelo immancabilmente usato per giustificare un intervento militare. Se nel 1939 Francia e Inghilterra, e Stati Uniti dopo, non fossero intervenuti, si dice, l’Europa non avrebbe riacquistato la libertà. Giusto. Peccato, però, che questi analisti non approfondiscano il discorso fino a dire da dove proveniva il dittatore tedesco. Fin quando l’umiliazione di Versailles non fu evidente, infatti, Hitler non raccolse più del 3% dei voti. Solo quando la crisi del 1929 fece sentire gli effetti del torto inflitto dai vincitori alla Germania dieci anni prima balzò al 20%. E ancora alla vigilia