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Soprattutto coraggio e onore. Adolescenza, giovinezza e primi anni di guerra di Wilhelm Tanne
Soprattutto coraggio e onore. Adolescenza, giovinezza e primi anni di guerra di Wilhelm Tanne
Soprattutto coraggio e onore. Adolescenza, giovinezza e primi anni di guerra di Wilhelm Tanne
E-book678 pagine16 ore

Soprattutto coraggio e onore. Adolescenza, giovinezza e primi anni di guerra di Wilhelm Tanne

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Info su questo ebook

Perchè si diventava nazisti nella Germania degli anni '30 del XX secolo? Wilhelm Tanne era nato nel 1911 e la fame e la miseria del primo quarto di secolo se le aveva dovute digerire tutte. Ai suoi occhi Adolf Hitler apparve come un condottiero capace di guidare il popolo tedesco in una nuova età della rinascita economica e culturale e, come molti suoi coetanei, Wilhelm gli consacrò la propria esistenza. Il Condottiero lo ripagò con sette durissimi anni di guerra e alla fine lasciò Wilhelm, e tutti quelli che come lui avevano creduto, soli e sconfitti. Ma all'inizio dell'ascesa del Nazionalsocialismo Wilhelm Tanne era un giovanotto romantico, pieno di sogni e di ideali, per il quale la parola di Hitler valeva più di quella di Dio. Wilhelm Tanne non fu sempre un Eroe, nè il suo Onore gli impedì di compiere azioni discutibili, ma non mancò mai al solenne giuramento fatto al suo Führer e alla sua Patria. I giudici di Norimberga lo avrebbero condannato a morte, o al carcere a vita. Ma oggi è opinione diffusa tra molti storici che il processo di Norimberga andava evitato (vedi a tale proposito:"Le 10 criticità del Processo di Norimberga"). Il primo tra tutti fu lo statista inglese Winston Churchill, che tentò di opporsi al processo, e alla fine ne stigmatizzò il giudizio con la famosa frase: "Vuol dire che la prossima guerra la si dovrà vincere a tutti i costi!" Aveva capito subito che, per i perdenti, esiste solo il banco degli imputati e, alla fine, il cappio del boia.
LinguaItaliano
Data di uscita22 mag 2020
ISBN9788831676526
Soprattutto coraggio e onore. Adolescenza, giovinezza e primi anni di guerra di Wilhelm Tanne

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    Anteprima del libro

    Soprattutto coraggio e onore. Adolescenza, giovinezza e primi anni di guerra di Wilhelm Tanne - Emilia Anzanello

    Prefazione

    Ancora oggi, a distanza ormai di novant'anni, si discute sul perché un paese civile come la Germania abbia permesso la nascita, la crescita e l'adesione in massa ad un movimento come il Nazionalsocialismo e, subito dopo, si sia lanciata in uno dei più devastanti conflitti che ha coinvolto l'intero pianeta, provocando quasi settanta milioni di morti ¹ .

    Si discute, e gli storici avanzano le loro ipotesi, pontificando dalle loro cattedre, ma tutto il loro battibecco è sterile, perché è frutto di una visione a posteriori e al di fuori della realtà quotidiana.

    Infatti, è fin troppo facile dire: fu colpa del trattato di Versailles oppure Fu colpa di quel pazzo fanatico di Hitler o ancora peggio, come piaceva tanto ad Eisenhower, affermare: I Tedeschi sono bestie e come tali vanno trattati ² .

    Si può dire quel che si vuole, tanto, chi mai verrà a contestare?

    Per capire veramente la nascita del Nazionalsocialismo, il suo dilagare tra le masse, la spinta bellica della Germania e la fede cieca nella vittoria finale bisognerebbe calarsi fisicamente e realmente nella vita di un cittadino medio dell'inizio degli anni '30 in Germania, e viverne in prima persona le difficoltà, le frustrazioni e le aspettative disattese, e ancora non basterebbe, perché descrivere la disperazione priva di speranze e parlare di fame non equivale mai a sentirne i crampi dentro lo stomaco, nè è sufficiente dire: si faceva la fame per capire cosa prova un uomo con la responsabilità della famiglia sulle proprie spalle nel rientrare in casa senza portare con sè un soldo e ritrovandosi davanti le facce smunte dei figlioletti, che lo guardano con gli occhioni sgranati, in attesa di ricevere dal genitore un pezzetto di pane.

    Un padre è disposto ad ammazzare, per sfamare i figli, altro che Nazionalsocialismo !

    All'epoca della nascita del movimento nazionalsocialista vi erano sei milioni di disoccupati, in Germania. Bene o male Hitler diede a tutti un lavoro e un salario e non solo: riuscì a infondere a tutti la visione di una Grande Germania, la 'Grossdeutschland', e il popolo credette in lui e lo seguì fin dentro il baratro.

    Perciò, se volete avere una vaga idea di come molte persone vivevano in Germania, prima del Nazionalsocialismo, fate tacere le ragioni della storia, digiunate per una settimana e, se è inverno, uscite senza cappotto e state in casa senza accendere il riscaldamento.

    Allora potrete cominciare a capire, ma ancora solo lontanamente, perché quando la fame, anzi, l'appetito, si farà prepotente, avrete sempre il vostro frigorifero strapieno, e quando il freddo vi farà tremare ininterrottamente, avrete l'àncora di salvezza della caldaia, che accenderete solo premendo il pulsante, e voi rientrerete subito nel benessere, e non sarete più dei poveracci affamati e infreddoliti, senza lavoro e senza prospettive.

    Il protagonista di questo libro visse in un'epoca nella quale non c'erano molte alternative alla disperazione e dopo, non ci furono alternative alla guerra, nè ve ne furono all'Onore e alla Lealtà, una volta scelta la strada delle armi.

    Wilhelm Tanne fu solo uno tra migliaia.

    Non fu sempre un Eroe, nè il suo Onore gli impedì di compiere azioni discutibili, ma non mancò mai al solenne giuramento fatto al suo F ü hrer e alla sua Patria.

    Secondo il senso della morale odierna alcune delle sue azioni sono da condannare, ma io proprio non me la sento di farlo, dato il contesto nel quale tali azioni sono scaturite.

    Leggendo il brano che descrive una feroce rappresaglia tedesca contro i partigiani greci, il lettore potrebbe essere spinto a condannare senza appello l'operato tedesco e, nello stesso tempo, a giudicare eccessiva, inverosimile e frutto delle mie più sadiche fantasie la condotta dei partigiani greci.

    Non è così: nel descrivere la bestiale efferatezza greca, che si spinge al punto di seviziare, mutilare e uccidere i prigionieri SS caduti nelle mani dei partigiani, io ho solo preso spunto dalle azioni compiute dai titini (i partigiani jugoslavi seguaci di Tito) che non esitarono a infierire persino sulla popolazione civile, in Istria, dopo l'8 settembre 1943, non risparmiando nè uomini, nè donne e neppure le ragazzine. E se qualcuno volesse approfondire l'argomento, non deve far altro che guardare lo sconvolgente film del regista Maximiliano Hernando Bruno.Red Land (Rosso Istria) del 2018, che narra un episodio realmente accaduto e, se non bastano i titini, ci possiamo aggiungere i soldati sovietici dell'Armata Rossa, penetrati in Prussia, le cui torture e mutilazioni sono state immortalate dalla macchina fotografica. a imperitura memoria di ciò che è capace di compiere un uomo in preda all'odio cieco.

    Esistono purtroppo decine di rapporti del Comando Tedesco che citano episodi nei quali i soldati, ma soprattutto gli ufficiali tedeschi, caduti nelle mani dei partigiani, sono stati poi ritrovati uccisi e orrendamente mutilati.

    Ed esistono altrettanti ordini, da parte dell'Alto Comando, firmati dall'allora Feldmaresciallo Wilhelm Bodewin Johann Gustav Keitel, capo dell 'Oberkommando della Wehrmacht, nei quali si spronavano soldati e graduati a condurre una serrata rappresaglia nei confronti dei partigiani, uomini, donne e bambini! ³ .

    Tali ordini costituirono una parte delle accuse che vennero imputate a Keitel nel corso del processo di Norimberga, e che ne decretarono, alla fine, la condanna a morte.

    Ma io la ritengo una condanna ingiusta, anche se con una tale affermazione so di scatenare le scandalizzate ire sia a sinistra e sia nelle fila dell'A.N.P.I.

    Fu condanna ingiusta perché, all'epoca della Seconda Guerra Mondiale, i partigiani comunisti o di qualsiasi altro colore erano equiparati ai moderni terroristi: essi erano 'banditen', gruppi armati senza alcun riconoscimento militare da parte del nemico, e al di fuori da qualsiasi riconoscimento da parte della Convenzione di Ginevra, dunque, erano solo bande armate di fuorilegge, contro i quali i comandanti dell'Esercito Italiano e di quello tedesco si ritenevano liberi di usare qualsiasi mezzo per debellarle, senza preoccuparsi se, nel reprimerle, avrebbero compiuto un crimine di guerra o contro l'umanità.

    E, in ultima analisi, affermando l'ingiustizia di tutto il circo messo in atto a Norimberga, io ho il sostegno autorevole persino dello statista inglese Winston Churchill, il quale tentò di opporsi a quella farsa, non per pura magnanimità, ma perché temeva di scatenare un pericoloso precedente, sapendo bene che i connazionali erano sempre stati tra i persecutori più spietati dei popoli sottomessi , e alla fine, arresosi allo strapotere degli Statunitensi e dei Sovietici, il buon Winsto n stigmatizzò il giudizio emesso a Norimberga con la famosa frase:

    Vuol dire che la prossima guerra la si dovrà vincere a tutti i costi!

    Aveva capito subito che, per i perdenti, esiste solo il banco degli imputati e, alla fine, il cappio del boia...

    Emilia Anzanello

    Treviso, 29 Febbraio 2020

    A tutti gli Eroi dimenticati

    persino dal proprio Paese,

    che li aveva mandati

    a combattere e a morire

    INFORMAZIONE PER I CORTESI LETTORI

    In questo libro, come nei due precedenti, a volte ho inserito nel testo un canto o una ballata in lingua tedesca (con traduzione italiana). Alcuni di questi sono a mio parere molto belli e poichè si rifanno ad un'epoca da molti vituperata, difficilmente si trovano (integri) nella rete di internet perché censurati dai social e da Youtube. A suo tempo, prima di tutta questa recrudescenza censoria, io li salvai nel mio computer: sono originali dell'epoca (forse l'audio non è dei migliori, ma almeno è autentico e uncensured!).

    Per tutti coloro che, leggendo i miei libri, desiderassero udire il sonoro dei canti da me citati nel testo, potrà farlo liberamente accedendo a

    http://www.eanzanello.it/canti-citati-nei-romanzi/

    è il mio sito personale, assolutamente politicamente scorretto , privo di censura e del tutto privo di quella invenzione americana che si chiama pubblicità.

    Ai curiosi, auguro un buon ascolto (i brani si posson scaricare liberamente, non è richiesta nessuna iscrizione, nè indirizzo personale nè indirizzo mail nè impronte digitali:

    è tutto libero e gratuito.

    Prima della lettura

    Nel corso del romanzo spesso si fa riferimento a Reggimenti, Compagnie e Plotoni.

    Per agevolare il lettore, ecco, per somme linee, una sintetica descrizione:

    Il REGGIMENTO detto anche Brigata (si componeva di un numero variabile di uomini - 1500/3000 uomini - a seconda della quantità di Battaglioni che raggruppava ed era comandato da un generale di Brigata con tutto il suo staff)

    il BATTAGLIONE (composto all'incirca da 500/1000 uomini era comandato da un Ufficiale Superiore, un Tenente Colonnello oppure un Maggiore , coadiuvato dal suo piccolo Stato Maggiore). Il Battaglione era a sua volta suddiviso in:

    Le COMPAGNIE (ognuna con circa 100/200 uomini e comandata da un tenente o da un capitano, coadiuvato dai suoi sottufficiali, dal sottotenente ai caporali. La Compagnia poteva essere suddivisa in Plotoni, o Truppe o Gruppi.

    Il PLOTONE (era l'unità militare da 20 a 50 effettivi comandata da un ufficiale inferiore - tenente o sottotenente - o da un maresciallo. Più plotoni formavano una Compagnia

    All'interno del Plotone gli uomini potevano essere suddivisi in

    SQUADRE la Squadra era la più piccola delle unità militari, composta da 10/15 effettivi comandati da un Caporal maggiore o un sergente, più squadre formano un plotone

    Infine, un CORPO D'ARMATA riuniva in sé più Divisioni (la Divisione era una unità militare che contava solitamente dai 10.000 ai 20.000 soldati ), a volte con un numero di effettivi che sfiorava il mezzo milione di uomini, sotto il comando di un Generale di Corpo d'Armata con tutto il suo Stato Maggiore.

    Per riportare l'elenco di cui sopra alla più concreta lettura del libro, si dirà che il protagonista, il SS-Sturmscharführer Wilhelm Tanne, durante la Campagna di Polonia, sua prima vera esperienza di combattimento, comandava un Plotone di circa 40 uomini, il quale Plotone si trovava all'interno della

    2.Compagnia (che raggruppava altri 4 plotoni, comandati da altrettanti SS-Sturmscharführer e che

    la 2.Compagnia, insieme ad altre 3 Compagnie si trovava a sua volta all'interno del

    Battaglione I. LeibstandarteSS Adolf Hitler, il quale, con altri 2 Battaglioni (il II. LeibstandarteSS Adolf Hitler e il III LeibstandarteSS Adolf Hitler formava la complessa e articolata

    Divisione LeibstandarteSS Adolf Hitler: la primigenia delle Divisioni SS, nata principalmente come guardia del Führer e poi ingrossatasi nel corso degli anni fino a trasformarsi in Divisione combattente (Waffen, dal 1940)

    SCHEMA SINTETICO della

    Divisione LeibstandarteSS Adolf Hitler

    quando fu creata come Divisione, dopo la campagna nei Balcani, essa comprendeva:

    - Battaglione I. LeibstandarteSS Adolf Hitler

    costituito da:

    1.Compagnia

    2.Compagnia che comprendeva almeno 5 Plotoni, suddivisi ognuno in Squadre

    3.Compagnia

    4.(MG)Compagnia

    - Battaglione II. LeibstandarteSS Adolf Hitler

    costituito da:

    5.Compagnia

    6.Compagnia

    7.Compagnia

    8.(MG)Compagnia

    - Battaglione III. LeibstandarteSS Adolf Hitler

    costituito da:

    9.Compagnia

    10.Compagnia

    11.Compagnia

    12.(MG)Compagnia

    13.(IG)Compagnia

    14.(Pz.Jg.)Compagnia Panzerjäger (Compagnia cacciatori di carri armati)

    15.(Kradsch.)Compagnia K radschützen (Compagnia Motociclisti)

    Panzersp ä h-Zug Treno (insieme) dei Panzersp ä h

    Pionier-Zug (insieme) dei Pionieri

    Leichte-Inf-Kol. (Fanteria Leggera)

    Negli anni, questo schema venne rielaborato numerose volte, ampliato e modificato sia nei quadri di comando che per quanto riguardava i singoli effettivi, anche a causa delle numerose perdite in battaglia, tanto di soldati che di ufficiali e poi perché vene trasformata in Divisione Corazzata.

    I relativi comandanti di Battaglione, Compagnia e Plotone sono via via citati nel racconto, laddove lo rende necessario la narrazione.

    Per ulteriori informazioni e approfondimenti consiglio di fare riferimento ai testi dello studioso

    Massimiliano Afiero:

    Leibstandarte SS Adolf Hitler 1933 -1943

    Totenkopf vol I

    Totenkopf Vol II

    tutti editati da Rittenkreuz

    Parte Prima

    1. BAD TÖLZ, 1935

    Il ventiquattrenne Wilhelm Tanne scese dal pullman col passo baldanzoso di colui che sbarca sulla terra che è sua e si appresta ad attraversarla senza timore.

    Con lui scesero altri giovanotti: indossavano tutti la nuova divisa nera di SS-Verfügungstruppe, adottata da poco, in sostituzione di quella bruna, che era stata quasi identica a quella delle vecchie SA.

    Un sergente della Wehrmacht li riunì tutti in duplice fila, al bordo della strada.

    Molti di loro arrivavano, come Wilhelm, da caserme di Berlino, ma altri giungevano da altri luoghi e da caserme diverse e avevano tutti sulle spalle ormai due, o tre e qualcuno anche quattro anni di servizio militare nel Reichswehr, che era appena stato rinominato Wehrmacht: le nuove forze armate tedesche. Ma ora, tutti quei giovani militari avevano scelto di far volontariamente parte di quel nuovo corpo: le Schutzstaffel, le 'Squadre di Protezione', istituite dieci anni prima e passate dai pochi individui del 1925 ad ormai più di 200 mila membri.

    Wilhelm veva fatto una rapida conoscenza con i suoi nuovi compagni di accademia, una trentina di giovanotti, durante il viaggio in pullman e ora era in riga, tutto orgoglioso di entrare a far parte della nuovissima SS Junkerschule di Bad Tölz, l'accademia militare che forgiava i futuri ufficiali delle SS.

    Perfettamente allineati, i giovani militari a passo di marcia, seguendo il sergente, si misero in cammino verso l'imponente edificio che si scorgeva a un centinaio di metri di distanza, la cui mole occupava tutto il fronte: una lunga costruzione chiara, costellata di finestrelle quadrate, col tetto spiovente, nel quale si aprivano, a intervalli perfettamente regolari, degli abbaini e con due possenti torri circolari ai lati e, nel mezzo, un largo varco, a sesto acuto ribassato.

    Più che una scuola, sembrava una enorme caserma, ma Wilhelm e i suoi compagni di viaggio, abituati da anni alle caserme, la trovavano tutti un bell'edificio e persino civettuolo, per quanto era nuovissimo e ben costruito.

    Davanti al portale di ingresso, li stavano aspettando una dozzina di giovani che indossavano la loro stessa divisa, e che si unirono alla squadra, portando la piccola compagnia a una quarantina di SS-Verfügungstruppe.

    La squadra di nuovi allievi passò sotto l'ampia volta d'entrata, giungendo sul piazzale, che aveva al centro un enorme prato di erba verde, appena rasata e, sul lato destro e su quello sinistro, degli alberi di conifere, che certo erano stati appena piantati, perché si vedeva la terra ancora smossa, ai piedi. Davanti a uno dei lati più lunghi della costruzione erano parcheggiate, in perfetto ordine, alcune automobili, tutte nuove e lustre da parere appena lucidate.

    I giovani vennero diretti verso uno degli edifici e, prima di entrare, il sergente si fece consegnare, da ognuno di loro, il libretto militare: apertolo, controllò che la foto corrispondesse al giovane che gli stava davanti, ne mandò a mente il nome, inserì il libretto, spalancato alla pagina contenente i dati, in un ampio registro che teneva in mano poi, sempre incolonnati, li guidò a passo di marcia, all'interno della struttura.

    I quaranta nuovi cadetti, sotto la guida del sergente, attraversando un breve porticato aperto sul lato sinistro, raggiunsero un magazzino, dentro il quale si misero in fila indiana e sfilarono davanti un tavolo, dietro il quale li aspettavano altri giovani che indossavano la divisa della Wehrmacht e che, sotto la supervisione di un sottufficiale, con un solo colpo d'occhio, li munirono, uno dopo l'altro, di adeguato abbigliamento adatto alla loro taglia: giacca, con la banda da braccio ricamata SS-Schule Tölz, e pantaloni, due camicie, biancheria personale, cravatta, scarpe, stivali, scarponcini, scarpini da atletica, calzoncini corti neri, canottiera da ginnastica bianca con la scritta SS cerchiata in nero sul petto, berretto a navetta, elmetto.

    Così equipaggiati, il sergente li accompagnò lungo un interminabile corridoio e poi su per una scala, fino al piano superiore, dove li fece entrare, in gruppi di quattro, in quelle che sarebbero diventate le loro camere, e dove ognuno dovette riporre il proprio nuovo corredo nell'armadietto personale, in perfetto ordine e, subito, preparare il letto, sotto gli occhi attentissimi del sergente, e c'era un sergente della Wehrmacht in ogni camera, che li controllava a vista, pronto a rilevare anche la minima mancanza. Nel corridoio principale, impettito sull'attenti come un antico prussiano, il sergente che li aveva accolti si teneva sottobraccio il registro, contenente tutti i libretti dei nuovi cadetti.

    Wilhelm si ritrovò in camera con Kurt Greim, Arn Moltke, e Joachim Bohm.

    I giovani si misero subito, attenti e indaffaratissimi, a preparare il proprio letto, come avevano imparato da soldati, in caserma, con le lenzuola tesissime, la coperta senza una piega e perfettamente rimboccata, il tutto sotto la scritta che campeggiava sul muro: SS - Meine ehre heisst treue - SS tra la pittura di un'aquila nazionalsocialista che reggeva negli artigli la corona d'alloro con la croce uncinata, e un quadro con la riproduzione di una qualche battaglia storica e, sopra tutto questo, la foto incorniciata di Adolf Hitler, di tre quarti, in camicia bruna, pugno sul fianco, con i capelli neri accuratamente pettinati di lato, con lo sguardo che pareva scrutare i quattro giovanotti che si stavano affaccendando attorno ai propri letti, e guardandoli con gli occhi penetranti che sembravano trapassare chiunque da parte a parte e l'espressione seria e soddisfatta di chi ha compiuto il proprio dovere e ne ha ricevuto la giusta ricompensa.

    Poi, tutti e quattro, si misero in rispettosa attesa, sull'attenti, ognuno davanti il proprio letto, e il sergente passò dall'uno all'altro, controllando prima il giaciglio e poi, aprendo un armadietto dopo l'altro, verificando se i nuovi cadetti avevano riposto tutto in ordine.

    Il sergente non si trattenne neppure dallo spostare le canottiere, le mutande e le calze, per vedere se erano ripiegate bene, e che nessuna fosse piegata in maniera diversa da quella che stava sopra o sotto.

    Wilhelm se ne stava tutto impettito, senza alcuna preoccupazione, perché sapeva di essere pignolo e preciso, fino a rasentare l'ossessione, e infatti il sergente, che a occhio e croce non aveva molti più anni di quanti ne aveva Tanne, gli si parò davanti e lo apostrofò:

    Tutto soddisfatto Wilhelm si raddrizzò ancor più, rispondendo:

    Davanti l'armadietto di Greim il sergente invece non fu altrettanto benevolo e, visto che non tutto era ripiegato correttamente, tirò fuori quasi la metà della biancheria, le camicie, le calze e sciorinò e sparpagliò tutto sul letto:

    Sull'attenti, Kurt rispose a voce alta:

    Kurt era stato sotto le armi già per tre anni, ma mai gli era stato mosso tale rimprovero. Evidentemente questo sergente era proprio un fanatico! pensò il giovanotto. Ma si tenne le proprie elucubrazioni per sè.

    Anche Joachim non passò immune l'ispezione, e anch'egli dovette riordinare l'armadio. Arn, invece, sembrò essersela cavata abbastanza bene.

    Gli allievi ricevettero l'ordine di rimettersi in fila, a loro si unirono altri cadetti, usciti dalle varie camere e, dal corridoio, scesero tutti in una delle aule a pianterreno, dove entrarono in una vasta stanza, che odorava ancora di pittura fresca, con i banchi scolastici di legno perfettamente allineati e dove venne distribuito, a tutti gli allievi, un quaderno e una penna e tutti vennero fatti sedere ai loro posti.

    Un Oberleutnant della Wehrmacht entrò, salì sulla pedana, davanti a loro, protese il braccio nel saluto nazionalsocialista e si presentò:

    e, avvicinatosi alla lavagna, cominciò a scrivere velocemente col gessetto: lunedì dalle 10,00 alle 12,00: lezione in aula, arma corta da fianco in dotazione; martedì dalle 11,0 alle 12,00 : fucile d'ordinanza; mercoledì dalle ore 8,00 alle ore 10,00 esercitazione al poligono di tiro; giovedì dalle 14,00 alle 15,00 lezione in aula: le armi personali e avanti così, fino a riempire tutta la lavagna ed esaurire i giorni della settimana.

    Gli allievi scrivevano diligentemente sul loro quaderno, sforzandosi di star dietro alla velocità e al tono secco del loro insegnante e scattando poi in piedi sull'attenti e col braccio teso, quando il Oberleutnant si congedò, uscendo dall'aula.

    Al suo posto entrò un ufficiale piuttosto avanti negli anni, che prese posto dinanzi a loro, li salutò in maniera nazionalsocialista, com'era doveroso, ed esordì:

    Kurt Greim, indisciplinatissimo, si permise di far udire la sua voce:

    L'insegnante si limitò a girare il capo nella direzione da cui era venuta la voce e a rispondere:

    Greim fu costretto ad alzarsi in pedi e, non proprio sull'attenti, rispose:

    Nel medesimo tono e col medesimo atteggiamento di un attimo prima, Kurt rispose:

    Rendendosi conto che il suo interlocutore, pur in tono cortese, non stava scherzando, Kurt si raddrizzò subito sull'attenti, e assunse il più marziale degli atteggiamenti che gli riuscì di trovare:

    questo significava cancellare la possibilità di ogni pur minima concessione di libera uscita, almeno per due mesi, e le spalle del cadetto Greim crollarono tristemente in giù, abbattute per la punizione appena ricevuta.

    Il Rittmeister chiese:

    Senza più velleità di spiritosaggini Kurt rispose, a bassa voce:

    ma l'insegnante, con voce stentorea, quasi gli abbaiò:

    E Kurt fu costretto a ripetere, a voce ben alta, gonfiando il petto:

    E quella breve conversazione fu, per tutti i quaranta giovanotti presenti, più utile e chiara di un lungo insegnamento sui libri.

    Dopo il Rittmeister Brandmeier si susseguirono una dozzina di altri ufficiali, tutti insegnanti di una o di più di una delle numerose discipline oggetto dei corsi, che costrinsero gli allievi a riempire tutto il quaderno con gli orari delle lezioni: Wilhelm alla fine si rese conto che, tra attività sportive, tattiche di guerra, esercitazioni e quant'altro, le sue giornate erano diventate zeppe di lezioni, dalle otto di mattina alle sette di sera e, in qua e in là, c'erano persino lezioni notturne, soprattutto di tattica sui carri armati e di tecniche di sopravvivenza!

    Dopo le attività sportive, o le lezioni di equitazione, di scherma o di manutenzione dei veicoli, i cadetti avevano il permesso di fare la doccia quotidiana.

    A mezzogiorno e alle sette di sera c'erano il pranzo e la cena, nel vasto, ordinato e luminoso refettorio, nel quale erano allineati i tavoli da otto posti, attorno ai quali si riunivano i cadetti di quel nuovo corso, e anche i quaranta cadetti che stavano terminando il corso precedente, e che presto avrebbero ricevuto i loro nuovi gradi di sottufficiale SS.

    La sveglia era per tutti alle sei e trenta: ci si recava alle latrine e ai lavatoi, dove ci si lavava faccia, collo e orecchie, braccia e ascelle, restando in piedi davanti ai bianchi lavandini rettangolari, e ci si rasava, perfettamente! ci si vestiva, e di corsa si scendeva al refettorio, dove i tavoli erano già pronti con la tovaglia, i tovaglioli, le tazze, i piatti e le posate.per la colazione.

    Il primo pasto della giornata era sempre abbondante e vario: non meno di cinque larghe fette a testa di buono e saporitissimo pane misto di farine bianche e di segale, con noci tritate e semi di zucca, di sesamo e di cumino, appena sfornato, che a Wilhelm sembrava quasi un dolce, ma c'era anche sempre un piatto con un intero panetto di burro a disposizione degli otto occupanti la tavola, da spalmare sul pane e anche un altro piatto, colmo di almeno due diversi tipi di confettura di frutta, con certi bei pezzi di polpa, saporita, dolce e gelatinosa, che a casa propria Wilhelm non aveva mai mangiato, neppure nei giorni di festa.

    E volendo, si poteva chiedere anche del formaggio, per lo più l'Odenwälder Frühstückskäse e l'Allgäuer Emmentaler, che veniva portato in tavola accompagnato da ulteriori fette di pane di segale appena tostato, altro burro e che mettevano l'acquolina in bocca, soprattutto nelle ore fresche del mattino quando, dalle finestre del refettorio, tutte spalancate, entrava nella sala il tonificante frizzichìo dell'aria delle Alpi bavaresi, la cui temperatura non superava mai i cinque o sei gradi, insieme con il profumo dei pascoli vicini e, di quando in quando, si udiva lo scampanio di una vacca al pascolo.

    I camerieri, che erano soldati della Wehrmacht in giacchetta bianca attillata, ma che indossavano i pantaloni militari, portavano sui tavoli grossi bricchi bianchi contenenti latte caldo e caffè bollente e, se qualcuno ne faceva esplicita richiesta, anche le teiere per il tè.

    Poi, di nuovo di corsa, si tornava in camera, per mutare d'abito e vestirsi secondo quanto era indicato dalla prima lezione della giornata: in tenuta da atletica, con la canottiera, i calzoncini corti e gli scarpini leggeri, oppure con la divisa da lavoro in fustagno, oppure in divisa completa, con tanto di giacca e cravatta, se la lezione si teneva in aula, o da equitazione, o da scherma, e si andava tutti nel locale preposto, a passo sostenuto, o al poligono, o all'officina dei mezzi militari, o in piscina, o dove altro si doveva andare, e incominciava una nuova, impegnativa giornata.

    Il mezzogiorno era l'ora del pranzo in refettorio, e c'erano sempre almeno tre portate: una zuppa di pasta o riso o semola, una pietanza di carne o pesce, e un abbondante contorno di verdure e sempre le patate, e sempre cotte in modo diverso e di cui tutti quei giovani erano ghiotti, soprattutto se la mattinata era stata impegnata in attività fisiche.

    La sera, venivano imbandite prelibate salsicce, o Blutwurst, il sanguinaccio tedesco, o braciola di maiale affumicata, oppure uova al piatto o formaggio e ancora patate e tè zuccherato.

    Wilhelm si sentiva coccolato e viziato, nonostante che la vita da cadetto non fosse facile e, fin dal primo momento, gli istruttori avessero lasciato chiaramente intendere, a ogni allievo, che pretendevano da ognuno di loro il meglio del massimo che erano in grado di dare e che erano intenzionati a far sputare a tutti quanti il sangue e, se non bastava, l'intera anima, per fare di loro i migliori uomini, i migliori soldati, i migliori ufficiali che la Germania avesse mai avuto in tutta la sua gloriosa storia militare.

    Wilhelm, anche se non glielo avessero fatto capire, era già intenzionato di suo, a dare tutto il meglio di sè in quell'impresa e vi si gettò a capo fitto, di slancio, col proposito di superare ogni giorno se stesso, per ricompensare il suo Führer che gli aveva concesso quella grande opportunità.

    E rimase quasi scandalizzato, quando si rese conto che non tutti erano animati dal suo stesso ardore, nonostante fossero tutti volontari. Qualcuno cercava di scansare, quanto più era possibile, ogni genere di fatica, e c'erano, addirittura, cadetti che si lamentavano, borbottando il loro malcontento tra i denti.

    Erano più che altro figli di papà che erano entrati a Bad Tölz per i più svariati motivi, non molto per convinzioni ideologiche, quanto perché l'Esercito normale stava loro stretto; oppure erano giovanotti che, come Arn Moltke, lo avevano fatto per sfuggire a una famiglia soffocante o a una vita che non era di loro gradimento.

    Arn Moltke, per esempio, aveva un padre che, pur non essendo un militare, comandava tutti a bacchetta, come un generale prussiano, a cominciare dalla moglie e i figli, fino ai domestici, per finire con i dipendenti del proprio calzaturificio.

    L'anziano signor Moltke, insignito del cavalierato per meriti di lavoro, aveva visto lievitare felicemente il giro di affari della propria ditta, dopo aver ottenuto, a un prezzo competitivo, la fornitura delle calzature per l'Esercito, anche a costo di far lavorare i propri dipendenti come schiavi.

    Arn, che era un figlio animato da tutte le migliori qualità e da un vivo senso della giustizia sociale, aveva tentato di contestarlo, e s'era preso subito un bel po' di manrovesci paterni e, un giorno, persino un violento calcio nel sedere, nonostante avesse già compiuto diciassette anni e si avviasse a diventare un uomo adulto.

    Un simile trattamento aveva convinto il giovane Arn dell'opportunità di togliersi dalla ingombrante presenza paterna, anche a costo di rinunciare a una parte dei propri ideali di giustizia, eguaglianza e fraternità.

    Arn, senza dir nulla ai genitori, appena raggiunta la maggiore età, s'era arruolato nell'Esercito e, in quella occasione, il vecchio genitore aveva solo potuto tapparsi la bocca e ingoiare il rospo.

    Solo che, dopo neppure un anno, avvalendosi delle ottime relazioni che intratteneva con i vertici militari, il cavaliere Moltke aveva ottenuto il trasferimento del figlio vicino a casa, e non perdeva occasione per andarlo a trovare e rimbrottarlo su ogni questione che gli veniva in capo.

    Quando il soldato Arn Moltke, innamorato, aveva portato nella casa paterna una graziosa ragazza, per presentarla ai genitori, il vecchio cavaliere del lavoro l'aveva squadrata da capo a piedi, notando il modesto abbigliamento di lei e, una volta accomodati tutti nell'elegante salotto, sulle costose poltrone damascate, aveva chiesto alla giovane:

    La ragazza, un po' intimidita dalla prepotente presenza dell'anziano Moltke e dallo sfarzo della casa nella quale l'aveva condotta il suo innamorato, aveva risposto, con un filo di voce:

    Il cavaliere del lavoro era balzato in piedi:<Commessa!> aveva pensato, scandalizzato dall'impudenza del figlio che gli aveva portato in casa una pezzente!

    Aveva afferrato per un braccio la povera ragazza, l'aveva trascinata per tutto il salotto, e poi attraverso l'atrio, sordo alle suppliche del figlio, che lo seguiva quasi implorandolo, come un cane bastonato, e a quelle della moglie, che gli andava dietro torcendosi le mani.

    Il signor Moltke aveva spalancato la porta di casa e aveva sbattuto letteralmente fuori, in giardino, la poveretta. Poi era tornato sui propri passi, spingendo violentemente da parte Arn, che tentava in tutti i modi di arginare tanta nefanda irruenza, aveva preso il cappotto che la ragazza aveva lasciato sulla poltrona, un cappottino semplice semplice, senza pretese, era tornato nell'atrio, aveva nuovamente spalancato la porta e le aveva tirato il cappotto attraverso il giardino, sbattendo poi il portoncino d'ingresso.

    Arn gli si era parato davanti, tentando una protesta:

    ma non aveva potuto aggiungere altro, perché il padre, ancora una volta, lo aveva schiaffeggiato ripetutamente, urlandogli in faccia:

    Il giorno dopo, Arn aveva fatto domanda di entrare nelle SS e, subito, nella scuola ufficiali, per scavare, tra sé e il genitore, il più profondo baratro possibile.

    Con tutto ciò, egli si voleva davvero impegnare a diventare un buon ufficiale, ma certe abitudini un po' molli, acquisite negli anni vissuti nella casa paterna, ogni tanto gli tornavano alla mente, e si rammaricava di non poter indugiare in una comoda vasca colma di profumati sali da bagno, a fantasticare su una ragazza, o sulla comodità di una colazione servita a letto, non prima delle nove del mattino, con cioccolata e quei buffi, deliziosi cornetti che i francesi chiamavano " brioche".

    Anche Kurt Greim sarebbe stato un po' scansafatiche, non per cattiva volontà, bensì perché la sua attività prediletta, nella vita, era la caccia alle gonnelle, ed egli approfittava di ogni momento libero per dedicarvisi e, quel che era peggio, vi si dedicava anche quando non era munito di permesso di libera uscita. Allora si inventava degli incredibili castelli di frottole, per sgattaiolare via, alla ricerca delle sue prede preferite. Poi, quando tornava, aveva la testa così svagata che, il giorno seguente, seguiva le lezioni distratto dal ricordo delle proprie conquiste e faceva irritare gli insegnanti.

    Joachim Bohm, per sua fortuna, non aveva avuto un padre tiranno, come Arn Moltke, né era afflitto dall'ossessione per le ragazze che tormentava Kurt, ma aveva un carattere irruento, irascibile e permaloso e attaccava briga con chiunque a lui sembrasse lo aveva guardato storto, tanto che venne punito numerose volte, senza per questo modificare la propria tendenza a litigare col prossimo.

    Con tutto ciò, erano tutti e quattro dei bravi Tedeschi, intenzionati a diventare prodi combattenti e validi ufficiali.

    Poichè gli sfaticati e gli indisciplinati non li vedeva solo Wilhelm Tanne, ma anche gli istruttori li individuarono, e assai prima di quando se ne accorgesse lui, cominciarono a piovvere le punizioni e, dopo poco, tre cadetti vennero espulsi dalla scuola, e la mannaia dei primi esami ne eliminò altri cinque, nei mesi seguenti, così che dopo poco tempo, dei quaranta cadetti iscritti, ne erano rimasti trentadue. Ma quei trentadue, visto il destino degli espulsi e dei bocciati, si misero immediatamente in riga, e si dettero un gran daffare, per riconquistare la benevolenza degli insegnanti.

    A metà del corso, per sostituire in parte i cadetti eliminati, arrivarono quattro nuovi allievi, che dovettero impegnarsi come forsennati, per mettersi in pari con gli altri, ma che trovarono, in tutti gli altri cadetti già presenti nella scuola, un solidale spirito cameratesco, per aiutarli.

    Wilhelm aveva stretto una forte amicizia con i compagni di stanza e, dopo pochissimo, a lui, Kurt, Joachim e Arn, s'erano aggiunti anche Heinrich Witt, Maximilian Mendl, Gregor Haase e Hasso Eckert, che occupavano la camera di fronte alla loro e con i quali condividevano il tavolo in refettorio. Gli otto divennero amici per la pelle.

    Si legarono così tanto l'uno all'altro che, di comune accordo, decisero di fondare un loro circolo privato, di dargli un nome e una finalità, e persino di sottoporre ognuno dei membri che volevano farne parte, ad una prova di coraggio.

    Ci furono molte riunioni, prima di giungere alla formulazione del nome del Circolo, perché ognuno proponeva un motto particolare, o una sola parola, e mai nè il motto e nè la parola soddisfaceva pienamente l'assemblea degli otto cadetti. Finchè una sera, terminata la cena, e tutti riuniti nella stanza di Kurt, Joachim, Wilhelm e Arn, poco prima che suonasse la tromba per mandarli tutti a dormire nei propri letti, Gregor Haase, che era un giovanotto tranquillo e taciturno quasi come Wilhelm, si alzò in piedi ed esclamò:

    guerrieri coraggiosi">

    Sembrava un nome banale, ma riassumeva, in due parole, tutto quello che gli otto cadetti volevano essere nella loro vita, e così il circolo ricevette il suo battesimo.

    Non restava che attribuirgli un motto speciale, e quale motto avrebbe potuto essere più adatto che: "Von allem Mut und Ehre , prima di tutto coraggio e onore"?

    Bene, non restava che stabilire la prova di coraggio, per essere ammessi.

    I giovani studenti si scatenarono in una nuova ridda di proposte.

    In verità, se avessero voluto imitare i riti di passaggio dei primitivi, avrebbero dovuto sottoporsi a un tatuaggio, che era severamente vietato dalla scuola, perché l'unico tatuaggio che un SS poteva esibire sul proprio corpo, era quello che ognuno di loro aveva già ricevuto: un minuscolo marchio, all'interno del braccio sinistro, in alto, vicino all'ascella, che recava il numero di matricola dell'interessato e il suo gruppo sanguigno.

    Oppure avrebbero dovuto soggiacere a una mutilazione, o una scarificazione, pure questa malvista dalla scuola, oppure una circoncisione, aborrita per ovvi motivi: perché li avrebbe equiparati, fisicamente, a un giudeo, e sbattuti istantaneamente fuori sia dalla scuola che dalle SS.

    Per cui si avanzò l'idea dell'immersione nell'acqua gelida o del contatto col fuoco.

    L'acqua gelida venne accantonata, perché l'unico lago, in quel periodo dell'anno, le cui sponde erano un po' gelate, era il Starnberg, ma era troppo distante dall'accademia, e gli studenti non avrebbero potuto recarvisi tutti insieme senza destare sospetti negli insegnanti, che quasi certamente avrebbero potuto impedire ai loro studenti di fare stupidaggini.

    Wilhelm, col suo consueto animo sognatore, aveva perorato la scelta del lago più che aveva potuto perché, cinquant'anni prima, nello Starnberg era stato ritrovato il corpo senza vita del re Ludwig II di Baviera, e il re, in seguito, era stato associato al Re Pescatore della leggenda arturiana.

    Ma, a parte Arn, che sarebbe stato lieto di condividere la scelta di Wilhelm, tutti gli altri amici, digiuni di storia patria e di leggende arturiane, votarono per la prova del fuoco.

    E così si decise: a turno, ognuno di loro, avrebbe tenuto in mano un tizzone ardente, recitando a voce alta il motto del circolo.

    La sera stabilita si riunirono tutti in un'unica camerata : Arn, Wilhelm, Joachim, Kurt, Heinrich, Maximilian, Gregor e Hasso.

    Joachim aveva procurato un paio di rami secchi di abete, Kurt aveva abilmente sottratto un secchio dal locale delle docce, nel quale accesero un fuoco, davanti la finestra spalancata, e vi bruciarono i rami fatti a pezzi.

    Gli otto fecero tutti cerchio attorno al secchio, continuando a fissare i legni che pian piano si tramutavano in braci incandescenti, ognuno con in mente un pensiero diverso, ma tutti chiedendosi se sarebbero stati capaci di superare la prova.

    Dopo quasi un'ora dacchè i rami bruciavano, quando ormai i tizzoni s'erano fatti brillanti, rossi e la loro luce sembrava intermittente, Joachim chiese:

    Il primo, sarebbe stato colui che si sarebbe sicuramente fatto più male di tutti, perché il tizzone era ardente, mentre l'ultimo avrebbe sofferto un po' meno di tutti, perché le mani di coloro che lo avevano preceduto ne avrebbero spento, almeno in parte, l'incandescenza.

    Poichè questo pensiero era nella mente di tutti, Wilhelm, che voleva mostrarsi il più coraggioso, rispose:

    e nello stesso tempo immerse la mano nel secchio e afferrò un legno ardente, sollevandolo in alto, perché tutti lo vedessero.

    Subito, sentì come se le fiamme gli bruciassero tutta la mano, risalendogli lungo il polso e su per il braccio e fu costretto a stringere i denti, facendo una smorfia di dolore, obbligandosi a non urlare.

    Ma non bastava non lamentarsi; doveva recitare il motto del Circolo.

    Ansimando, a denti stretti, si sforzò di dire, tutto d'un fiato:

    < Von allem...> ansimò più forte e strinse di nuovo le mascelle, perché un urlo gli era salito dallo stomaco ed egli dovette cercare con tutte le forze di resistere e terminare:

    Lasciò cadere il tizzone nel secchio e si guardò la mano ustionata, mentre tutti i cadetti presenti gli toccavano il braccio o la spalla, complimentandosi con lui:

    La mano gli doleva in maniera terribile, e non poteva muovere le dita nè stringerle, ma gli amici, pur vedendone la sofferenza, non indietreggiarono e, uno dopo l'altro, compirono quel rito di coraggio.

    Poi spensero il fuoco, coprendo i tizzoni con l'acqua contenuta nella brocca e, sfiniti più dalla tensione nervosa che dal dolore, si stesero tutti nelle loro brande, con la loro mano destra abbandonata lungo il fianco, la palma in alto, che sentivano pulsare e dolere come se stesse bruciando.

    Però, meno di un'ora dopo, tutti erano in preda alla febbre, e a qualcuno la temperatura era salita fino ai 40 gradi e Witt e Moltke, nei loro letti, avevano cominciato a delirare, tanto che Gregor Haase si spaventò e nonostante anch'egli si sentisse male, e nonostante gli altri cadetti, ora timorosi della severa reazione degli insegnanti, cercassero di convincerlo di non avvisare nessuno, Haase corse, come potè, a pianterreno, fino all'infermeria, dove c'era sempre il medico, anche durante la notte. Bussò alla porta, usando gomiti e ginocchia, finchè il medico gli aprì e tutto assonnato gli chiese:

    Il medico raccolse in fretta la sua valigetta e seguì di corsa Haase.

    Solo che, quando si trovò davanti ai primi quattro cadetti, stesi nei loro letti, tutti febbricitanti e tutti con gli stessi sintomi e la stessa mano ustionata, rimase allibito e volle subito sapere:

    c'era, nella camera, ancora un lieve odore di legna bruciata, e di fumo, nonostante i cadetti avessero lasciata spalancata la finestra, e ora nella stanza regnasse un freddo polare, perché era autunno e sui monti vicini aveva già nevicato.

    Haase tentò di spiegare, quasi balbettando, perché solo ora si rendeva conto dell'enormità della sciocchezza che tutti loro avevano commesso:

    Il medico gli fissò gli occhi addosso, incredulo:

    Haase andò a prendere, a testa bassa, il secchio che conteneva ancora i legni bruciati immersi nell'acqua e glielo mise davanti, confessandogli, tutto mogio, come un ragazzino che ha compiuto una marachella e che ora si trovava davanti al padre nell'atto di sfilarsi la cinghia dei pantaloni, per una sonora strigliata:

    Il medico, inorridito, più che incollerito, requisì il secchio col suo contenuto, medicò tutti gli otto ustionati, somministrò a Moltke e a Witt un analgesico e, reggendo il secchio sottobraccio, senza attendere che si facesse giorno, andò di filato a fare il suo rapporto al direttore SS-Sturmbannführer Dieckmann.

    Otto Adolf Dieckmann era un giovanissimo ufficiale, temporaneamente designato da Heinrich Himmler quale direttore dell'accademia di Bad Tölz e aveva già fama di essere severo e inflessibile, così, quando gli otto coraggiosi, il mattino dopo, si presentarono a rapporto, gran parte del loro coraggio s'era già dissolto.

    Davanti al SS-Sturmbannführer cercarono tutti di assumere un contegno militare, anche se erano prostrati dalla notte insonne e seriamente impauriti, nonostante che la loro mano dolorante e tutta fasciata, gli testimoniasse ad ogni momento che erano uomini coraggiosi.

    Sulla scrivania, Dieckmann aveva davanti a sè il famigerato secchio, e l'ufficiale sporse un poco il capo, guardando all'interno, immerse la mano e ne tirò fuori un legno nero e tutto gocciolante, che protese verso gli otto giovani, quasi avesse voluto indicarglielo quale corpo di un reato, poi lo lasciò ricadere in acqua, facendo sollevare un piccolo schizzo.

    Gli otto erano tutti sull'attenti, ma non riuscivano proprio a tener alto il mento, troppo vergognosi, davanti al loro direttore, per quell'epilogo della loro prova di coraggio, e tutti tenevano la testa un po' bassa, e gli occhi incollati a terra, in un atteggiamento colpevole.

    Dieckmann esordì, con un tono di voce più che mai tonante e severo:

    e da qui in poi la sua voce assunse una tonalità in crescendo: e urlò loro addosso la parola manicomio come un colpo d'arma da fuoco, protendendo minacciosamente verso di loro la faccia, tanto che gli otto coraggiosi sussultarono, davanti a quella frase, urlata da un SS-Sturmbannführer, e cominciarono a tremare, letteralmente, perché non era una minaccia, ma una reale possibilità, e tutti si videro ormai ingabbiati in una camicia di forza e internati al Tiergartenstrasse 4 di Berlino, la sede e quartier generale dell'Ente pubblico per la salute sociale, dove si tenevano, già dal 1933, i programmi T4 e EU-Aktion e E-Aktion, che nessuno sapeva che cosa fossero, ma dai quali nessuno era mai tornato a casa, e che solo alla fine della seconda guerra mondiale si seppe che si era trattato di nomi in codice, per designare i programmi di eutanasia, chiamati anche morte per compassione delle persone affette da inguaribili malattie mentali.

    Dieckmann continuò:

    ordinò, ma nessuno si mosse, perché nessuno voleva accusare un camerata. Alla fine, Bohm, facendosi forza, fece un passo avanti e ammise:

    Il SS-Sturmbannführer Diekmann non lo diede a vedere, ma si sentì soddisfatto dalla risposta e, con un tono lievemente meno aggressivo, ma pur sempre duro, continuò, ironico:

    Bohm, rinfrancato dal fatto che il direttore gli aveva fatto un'altra domanda, ma in tono che sembrava più amichevole, rispose pronto:

    e si tirò su, più dritto. alzando il mento con fierezza.

    Dieckmann andò davanti al cadetto Maximilian Mendt, che era il primo della fila e gli fissò gli occhi addosso, ma il giovanotto assunse la più perfetta postura militare e si lasciò fissare senza mostrare alcuna traccia di cedimento, guardando risoluto davanti a sè e così fu per Heinrich Witt e per ognuno di loro. Finchè Dieckmann, dopo averli passati tutti in rassegna, tornò dietro la propria scrivania, incrociò le braccia sul petto in un atteggiamento di onnipotente superiorità e rimase ad osservarli, lasciando trascorrere lunghi e, per gli studenti, ansiosi minuti di attesa.

    Il SS-Sturmbannführer Diekmann aveva già in mente che fare, di tutti loro.

    Al giovane ufficiale, ardente nazionalsocialista, era piaciuta la prova di coraggio di quegli allievi ufficiali: erano uomini che non sarebbero indietreggiati di fronte alle prove più ardue: egli, che pure si riteneva coraggioso e audace, non era sicuro che sarebbe stato capace di arrivare al punto di afferrare e tenere in mano un tizzone rovente, per dimostrare a un camerata che non aveva paura!

    Quegli otto esaltati impavidi sarebbero diventati dei prodi difensori del Führer e della Germania, e il fatto che nessuno si fosse fatto avanti per cercare di discolparsi, scaricando la responsabilità dell'accaduto sulle spalle di un altro allievo, a Dieckmann era piaciuto anche di più!

    Certo, una punizione, bisognava infliggerla, perché la disciplina non era da meno del coraggio e della coesione tra camerati, ma il SS-Sturmbannführer decise che non era necessario infierire, e così decretò:

    tenne la frase in sospeso, per creare un minimo di ansia nei suoi studenti e terminò: e si sentì soddisfatto, vedendo le facce stralunate e gli occhi inutilmente imploranti dei cadetti: c'erano non meno di 150 finestre su ogni piano del corpo principale degli edifici della scuola, tanto a nord, quanto a sud! il che significava che ognuno degli otto coraggiosi, avrebbe dovuto accollarsi la pulizia di almeno venti finestre, durante le ore di libera uscita della settimana seguente, e che durante gli otto giorni di consegna a regime duro, anziché pane, burro, marmellate, salsicce e patate arrostite, l'unico cibo che avrebbero ricevuto sarebbe stato del pane secco e dell'acqua: tutti quanti avrebbero preferito essere puniti venendo frustati a sangue!

    Dieckmann concluse:

    Gli studenti protesero il braccio, nel saluto nazionalsocialista, e Dieckmann, vedendosi davanti quelle otto mani tese, tutte fasciate, per poco non scoppiò a ridere, ma mantenne il contegno e anch'egli salutò nel medesimo modo:

    Lo scopo del famigerato circolo, la cui prova di coraggio era costata così cara agli otto membri, era la stretta solidarietà, che li avrebbe spinti a coprirsi l'un l'altro, in caso di bisogno, in ogni frangente, perfino nei confronti degli istruttori, se nesessario e anche, all'occorrenza, nei confronti di piccole necessità economiche o mettendo a disposizione le capacità di ognuno.

    Era per esempio il caso di Arn Moltke o di Wilhelm Tanne, che venivano interpellati da Kurt Greim, se voleva far colpo su una ragazza, con un romanticissimo biglietto amoroso, o da Joachim Bohm, quando voleva scrivere all'amata fidanzata Elisabeth, che lo aspettava trepidante a Berlino.

    Per la verità, essendo tutti cadetti squattrinati, talvolta Joachim Bohm, completamente a secco di denaro, chiedeva dei piccoli prestiti, per acquistare i francobolli da incollare sulle buste delle sue lettere pressocchè quotidiane, che erano in realtà dei biglietti, contenenti semplici frasi, ma che il giovane innamorato inviava spesso alla fidanzata, più per il desiderio di riceverne lunghe sentimentali risposte, che Joachim poi leggeva e rileggeva, per una intera serata.

    Nè Kurt nè Joachim avevano studiato molto: s'erano arruolati giovanissimi, interrompendo gli studi, ai quali non erano per nulla affezionati.

    Arn, invece, s'era laureato in lingua e letteratura tedesca, perché aveva continuato a studiare anche quando era andato sotto le armi e, poichè l'onnipresente genitore insisteva perché il figlio diventasse ingegnere, Arn, per ripicca, s'era scelto una laurea umanistica!

    Wilhelm invece, aveva dovuto interrompere ogni attività scolastica appena dopo i 14 anni, quando gli era morto il padre, ed era stato costretto a fare il falegname, e poi, perduta prematuramente anche la madre, si era arruolato nell'Esercito tedesco, l'allora Reichswehr, ma era stato un ragazzo pieno di curiosità e di buona volontà: aveva studiato per conto proprio, con l'aiuto serale del maestro di scuola prima e, subito dopo, s'era impegnato per ottenere il diploma liceale e poter fare domanda di entrare in una scuola ufficiali dell'Esercito.

    Ma al Reichswehr, in base al trattato di Versailles, erano concessi solo 100.000 uomini e solo 4.000 di questi potevano essere ufficiali, perciò le selezioni erano severissime e le scuole ufficiali dell'Esercito Tedesco avevano subito scartato il soldato Wilhelm Tanne.

    Tanne, terribilmente deluso e ferito nel proprio amor proprio, nel 1933 s'era iscritto al NSDAP, aveva praticamente mandato a memoria il Mein Kampf e subito era entrato nel SS-Verfügungstruppe, la novella truppa da combattimento del Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori e, immediatamente, aveva richiesto di entrare in una scuola ufficiali.

    Questa volta, finalmente, era stato ammesso, con sua grande soddisfazione.

    Il giovane Tanne era un testardo che avanzava a testa bassa, nella vita, pur di raggiungere i propri obiettivi, e non si fermava finché non li aveva raggiunti: il suo motto avrebbe potuto benissimo essere quello di Vittorio Alfieri: " Volli, sempre volli, fortissimamente volli", perché era un tiranno di se stesso, che non si concedeva alcuna tregua, fintantoché non aveva raggiunto il suo scopo. E, subito dopo, era capace di porsene un altro, ancora più ambizioso.

    Wilhelm era un giovanotto silenzioso, dall'animo inquieto, ma romantico e sognatore come una fanciulla quindicenne e un po' malinconico, che spesso se ne stava sulle sue, ma questa tendenza gli aveva fatto guadagnare la simpatia degli altri cadetti, che trovavano in lui un amico sempre disposto ad ascoltare le loro confidenze, e che spesso dava consigli sensati, persino fin troppo sensati, per la sua giovane età.

    In particolare Kurt Greim si era legato a lui, perché la mente svagata di Kurt, la sua tendenza a ridere di tutto, il suo buonumore, trovavano in Wilhelm Tanne una valida contrapposizione, e quasi un punto di riferimento, e il carattere scoppiettante di Greim era un salutare tonico per l'amico, fin troppo serioso.

    Kurt Greim spesso sollecitava le confidenze di Wilhelm, lanciandosi in lunghi, particolareggiati

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