Gli uomini che hanno detto di no a Hitler
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Info su questo ebook
Durante i suoi ultimi giorni di vita, trascorsi nascosto in un bunker, Adolf Hitler si convinse di essere stato tradito dall’interno. Non aveva tutti i torti. Nel 1945 le sue armate erano state sconfitte su tutti i fronti, il regime era collassato e i suoi uomini più fedeli si erano dati alla fuga per sottrarsi alle conseguenze dei loro atroci crimini. In un racconto sorprendente e inedito, Paddy Ashdown rivela come ai vertici del sistema gerarchico nazista ci fossero uomini disposti a tutto per impedire la vittoria di Hitler. Documenti solo recentemente venuti alla luce, infatti, testimoniano la presenza di un vero e proprio complotto volto a trasmettere i piani e le strategie chiave del Führer agli Alleati e persino a eliminare Hitler. Alcune figure di massimo livello dello Stato tedesco usarono ogni mezzo possibile – cospirazione, assassinio, spionaggio – per salvare la reputazione del loro Paese e garantire la sopravvivenza dei valori liberali e democratici. E perché ciò accadesse, a Hitler non poteva essere permesso di vincere la guerra.
La storia inedita dell’opposizione tedesca interna al regime nazista, che ha lavorato in silenzio per la caduta di Hitler
«Ha il ritmo di un thriller, ma è tutto vero.»
Sunday Express
«Senza dubbio ci sono molti altri libri sulla guerra, ma spero che questo diventi un modello.»
Daily Telegraph
«Paddy Ashdown è riuscito a separare i fatti dai miti ed è riuscito a scrivere un saggio affascinante e con un punto di vista molto personale.»
Independent
Paddy Ashdown
(1941-2018), barone Ashdown di Norton-sub-Hamdon, è stato un politico e un diplomatico britannico. Dopo aver prestato servizio nei Royal Marines e come ufficiale dell’intelligence del Regno Unito, è stato eletto al Parlamento britannico. Durante la sua carriera ha ricevuto numerosi riconoscimenti nazionali, come la nomina a Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine di San Michele e San Giorgio e come Membro dell’Ordine dei Compagni d’Onore. La Newton Compton ha pubblicato L'operazione militare segreta che ha cambiato la storia e Gli uomini che hanno detto di no a Hitler.
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Anteprima del libro
Gli uomini che hanno detto di no a Hitler - Paddy Ashdown
683
Titolo originale: Nein! Standing up to Hitler 1935-1944
Copyright © Paddy and Jane Ashdown Partnership 2018
Paddy Ashdown asserts the moral right to be identified
as the author of this work.
All rights reserved
Traduzione dalla lingua inglese di Lucilla Rodinò e Rosa Prencipe
Prima edizione ebook: gennaio 2020
© 2020 Newton Compton editori s.r.l., Roma
ISBN 978-88-227-4039-7
www.newtoncompton.com
Edizione elettronica realizzata da Corpotre, Roma
Paddy Ashdown
con Sylvie Young
Gli uomini
che hanno detto di no a Hitler
Nuove rivelazioni inedite
sull’opposizione interna al Führer
marchio%20front.tifNewton Compton editori
Indice
Introduzione
Personaggi principali
Prologo
1. Carl Goerdeler
2. Ludwig Beck
3. Wilhelm Canaris
4. Madeleine e Paul
5. La Germania sotto il segno della guerra
6. Gli emissari
7. «Tutti i nostri bei piani»
8. La follia di marzo
9. In marcia verso la guerra
10. La Svizzera
11. Halina
12. Sitzkrieg
13. Avvertimenti e premonizioni
14. Felix e Leone Marino
15. I Tre Rossi
16. Belgrado e Barbarossa
17. Il Generale Inverno
18. Il grande dio di Praga
19. Rilancio
20. Codici e contatti
21. Di spie e capi di spie
22. Sbagli, errori di valutazione, fallimenti
23. Cambia il vento
24. La fine di Dora
25. Entra Stauffenberg
26. Valchiria e Teheran
27. Delusione, sconvolgimento, disperazione
28. La punta dell’iceberg
29. Giovedì, 20 luglio 1944
30. Calvario
31. Epilogo
32. I sopravvissuti
Postfazione. Pasticcio o cospirazione?
Nota per il lettore
Ringraziamenti
Note
Bibliografia
Indifeso sotto la notte
Giace attonito il nostro mondo;
Eppure, sparsi ovunque,
Ironici punti di luce
Lampeggiano là dove i giusti
Si scambiano messaggi:
Possa io, composto come loro
Di Eros e polvere,
Assediato dalla stessa negazione e disperazione,
Mostrare una fiamma affermativa.
Da W. H. Auden, 1 settembre 1939
«L’unica salvezza per l’uomo onesto è la convinzione che i malvagi sono pronti a qualsiasi scelleratezza… È peggio della cecità fidarsi di un uomo che ha l’inferno nel cuore e il caos nella testa. Se non vi attende altro che sciagura e sofferenza, almeno fate una scelta che sia nobile e onorevole e che conceda un po’ di consolazione e conforto nel caso la situazione dovesse volgere al peggio».
Barone von Stein a Federico Guglielmo
iii
perché si opponesse a Napoleone nel 1808
Introduzione
Questo libro tratta di chi, al vertice della Germania nazista, cercò di impedire la seconda guerra mondiale, compì reiterati tentativi di assassinare Hitler, fece tutto ciò che poteva per garantirne la sconfitta, lavorò per una tempestiva pace con gli Alleati e alla fine morì in modo terribile per la propria causa.
La maggior parte dei miei libri tratta di eventi o personaggi singoli. La trama di questo, invece, abbraccia ogni settore della società tedesca durante la guerra; la saggezza politica a livello internazionale – o la sua mancanza – nelle capitali, da Berlino a Londra, a Washington e a Mosca; le battaglie combattute dalle sponde del Volga ai piedi dei Pirenei; e le reti di spionaggio attive a Ginevra, Zurigo, Parigi, Amsterdam, Istanbul e oltre.
Ora che l’ho scritta, mi sorprende scoprire che un’opera che avrebbe dovuto raccontare la storia della seconda guerra mondiale attraverso altri occhi si è rivelata anche una storia su un argomento a cui mi capita spesso di tornare: come si comportino gli esseri umani di fronte alle sfide della guerra, ma soprattutto come, di fronte alla malvagità e al pericolo personale, scelgano tra sottomissione e opposizione, tra lealtà e tradimento.
È mai possibile essere al contempo traditori e patrioti? Tradire lo Stato, se non farlo significa tradire la propria umanità, può considerarsi tradimento? Anche se il tradimento non cambia niente, bisogna correre comunque il rischio di essere un traditore dinanzi alla malvagità, se è l’unico modo per alleviare la colpa che ricadrà sui propri figli e i futuri compatrioti? Come si fanno simili scelte? Come ci si comporta dopo averle fatte?
Dietriche Bonhoeffer – assassinato a causa del ruolo avuto nella resistenza contro Hitler – disse: «L’azione responsabile ha luogo nella sfera della relatività, completamente avvolta dal crepuscolo che la situazione storica getta sul bene e il male. Ha luogo nel bel mezzo delle infinite prospettive da cui si osserva ogni fenomeno. L’azione responsabile deve decidere non solo tra giusto e sbagliato, ma tra giusto e giusto e sbagliato e sbagliato».
E in questo caso è proprio così. Non ci sono bianchi e neri, solo scelte tra neri più neri e bianchi più bianchi. Non ci sono doti personali né esiti vincenti. Solo individui deboli che, al tempo che Bonhoeffer definiva «crepuscolo morale», si sentirono costretti a fare la cosa giusta secondo loro. È una vittoria forse minore di quanto potremmo auspicare in tempi di pericolo, ma fu allora – ed è ora – probabilmente l’unica vittoria che ci si può ragionevolmente aspettare.
Questa storia è una tragedia e come tutte le grandi tragedie implica debolezze umane, errori di valutazione dei potenti e un destino malevolo. Ci sono pietà individuale e sofferenze, e una buona dose di stupidità.
Ma – ed è qui che diventa storia
– poiché si trattava di esseri umani di una certa importanza, le loro decisioni influenzarono vite ed eventi ben al di là della loro cerchia e del loro tempo.
Le due domande che si pone questo libro sono semplici: la seconda guerra mondiale doveva proprio scoppiare? E se sì, doveva proprio concludersi con una pace che asservì l’Europa orientale?
Il mio scopo non è fornire risposte definitive, ma piuttosto presentare fatti che sono poco noti – o se non altro poco considerati – e contrapporli alla visione tradizionale delle origini, sviluppi ed esiti della seconda guerra mondiale.
Nel leggere questo libro, potreste rimanere colpiti, come sono stato io nello scriverlo, dalle analogie tra gli eventi che prepararono la seconda guerra mondiale e l’epoca in cui viviamo attualmente. Allora come ora, erano in ascesa nazionalismo e protezionismo e la democrazia pareva aver fallito; la gente ricercava spasmodicamente il governo di uomini forti; chi aveva sofferto maggiormente del crollo economico si sentiva estraniato e si affidava a soluzioni semplicistiche e voci stridenti; le istituzioni pubbliche, la politica tradizionale e il vecchio establishment suscitavano ovunque sfiducia e scetticismo; il compromesso era fuori moda; il centro crollava a vantaggio degli estremi; il normale ordine delle cose non funzionava; il cambiamento – la rivoluzione persino – attirava più dello status quo, e le fake news
create attorno a una convincente menzogna avevano maggior peso nel dibattito pubblico degli argomenti razionali e i fatti verificabili.
A quei tempi, dipingere una bugia sul fianco di un autobus e girarci per tutto il paese sarebbe stato assolutamente normale.
Ciononostante, scrivere questa storia mi ha ispirato. Mi ha dimostrato che, persino in quei terribili giorni, c’erano persone pronte a opporsi, anche se la causa era senza speranza e anche a costo della vita.Spero che anche voi possiate trovarvi la medesima ispirazione.
mappa.p.13_fmtmappa.di.p.14_fmtPersonaggi principali
Anulow, Leonid Abramovich, alias Kolja
: rezident
sovietico in Svizzera prima di Radó
Attolico, Bernardo: ambasciatore italiano a Berlino
Bartik, maggiore Josef: capo dei servizi segreti cecoslovacchi nel 1938
Beck, generale Ludwig: capo dello Stato Maggiore dell’Esercito tedesco finché non fu congedato da Hitler nel 1938. Leader militare del complotto contro Hitler
Bell, George: teologo e vescovo anglicano di Chichester
Beneš, Edvard: presidente cecoslovacco dal 1935 al 1938
Beurton, Leon Charles, noto come Len: amico di Alexander Foote, operatore radio della Rete Dora
Bihet-Richou, Madeleine: amante di Erwin Lahousen. Servizi segreti francesi
Blomberg, feldmaresciallo Werner von: comandante in capo dell’Esercito tedesco finché non fu congedato da Hitler nel 1938
Bock, feldmaresciallo Fedor von: zio di von Tresckow. Comandante del Gruppo d’Armate Centro
Bolli, Margrit, alias Rosy
: operatrice radio dei Rote Drei
Bonhoeffer, Dietrich: teologo tedesco, pastore e uno dei principali cospiratori
Bonhoeffer, Karl: padre di Dietrich. Prese parte alla cospirazione del settembre 1938
Bosch, Robert: industriale tedesco. Fondatore dell’impero industriale Bosch. Sostenitore di Goerdeler
Brauchitsch, feldmaresciallo Walther von: comandante in capo dell’Esercito tedesco fino alla sconfitta di Mosca nel 1941
Cadogan, sir Alexander: capo del Foreign Office
Canaris, Erika: moglie di Wilhelm
Canaris, Wilhelm: capo dell’Abwehr finché non venne congedato nel 1944
Chojnacki, capitano Sczcęsny: capo di rete spionistica polacca con base in Svizzera
Ciano, Galeazzo: ministro degli Esteri italiano
Colvin, Ian: corrispondente per l’Europa centrale del «News Chronicles» di Londra. Organizzò la visita di von Kleist-Schmenzin in Gran Bretagna nel 1938
Daladier, Édouard: primo ministro francese
Dansey, sir Claude: vicecapo dell’MI6 e fondatore dell’Organizzazione Z. Noto come Colonnello Z
Dohnányi, Hans von: avvocato dell’Abwehr e uno dei principali cospiratori
Donovan, maggior generale William Wild Bill
: capo dei servizi segreti statunitensi (oss)
Duebendorfer, Rachel, alias Sissy
: agente della Rete Dora
Dulles, Allen: rappresentante dell’oss a Berna
Eden, Anthony: ministro degli Esteri britannico
Farrell, Victor: capo dell’MI6 a Ginevra
Fellgiebel, generale Fritz Erich (noto come Erich): capo delle comunicazioni dell’Esercito tedesco e uno dei principali cospiratori
Foote, Alexander, alias Jim
: operatore radio della Rete Dora
Franck, Aloïs: spia cecoslovacca, contatto di Paul Thümmel
François-Poncet André: ambasciatore francese a Berlino al tempo di Monaco
Fritsch, colonnello generale Werner von: comandante in capo dell’Esercito tedesco finché non fu congedato con false accuse di omosessualità nel gennaio 1938
Gabčik, Josef: agente cecoslovacco dell’Operazione Anthropoid
Gersdorff, Rudolf-Christoph von: ufficiale di Stato Maggiore di Henning von Tresckow; si propose come volontario per assassinare Hitler con un attentato suicida il 21 marzo 1943
Gibson, colonnello Harold Gibby
: capo della sede dell’MI6 di Praga
Gisevius, Hans Bernd: l’«eterno cospiratore» dell’Abwehr. Cospiratore chiave della prima ora e tramite tra Canaris e Halina Szymańska
Goerdeler, Anneliese: moglie di Carl Goerdeler
Goerdeler, Carl: principale cospiratore della prima ora. Ex sindaco di Lipsia
Groscurth, tenente colonnello Helmut: ufficiale di collegamento di Canaris con l’esercito a Zossen
Guisan, generale André: capo dell’Esercito svizzero
Haeften, tenente Werner von: aiutante di von Stauffenberg
Halder, colonnello generale Franz: capo dello Stato Maggiore tedesco sotto von Brauchitsch
Halifax, lord Edward: ministro degli Esteri britannico sotto Chamberlain e principale sostenitore dell’appeasement
Hamburger, Ursula: nata Kuczynski, nome in codice Sonja
. Spia sovietica arrivata in Svizzera nel 1936
Hamel, Olga ed Edmond: operatori radio della Rete Dora
Hassell, Ulrich von: ambasciatore tedesco in Italia prima della guerra. Collegamento tra Beck e Goerdeler
Hausamann, capitano Hans: fondatore del Büro Ha, agenzia privata di intelligence con sede in Svizzera
Heinz, tenente colonnello Friedrich: capo del commando che doveva assassinare Hitler nel 1938
Henderson, sir Nevile: ambasciatore britannico a Berlino prima del 1939
Hoare, sir Samuel, membro del parlamento: uno dei principali sostenitori dell’appeasement
Hoehenlohe von Langenberg, principe Maximilian Egon: spia freelance. Amico di Dulles, Canaris e Himmler
Jelinek, Charles e Antoinette: proprietari del negozio di rigattiere De Favoriet a L’Aia
Keitel, feldmaresciallo Wilhelm: capo dell’Alto Comando delle forze armate tedesche
Kleist-Schmenzin, Ewald von: emissario tedesco dell’opposizione a Hitler; incontrò Churchill a Londra nell’agosto 1938
Kluge, feldmaresciallo Günther von: comandante del Gruppo d’Armate Centro. Restio cospiratore.
Kordt, Erich: capo dell’ufficio di Ribbentrop a Berlino
Kordt, Theo: fratello di Erich. Funzionario presso l’ambasciata tedesca a Londra
Kubiš, Jan: agente cecoslovacco dell’Operazione Anthropoid
Lahousen, maggior generale Erwin von: capo dell’Abwehr austriaco e poi alto ufficiale di quello tedesco. Vicino a Canaris e uno dei principali cospiratori. Amante di Madeleine Bihet-Richou
Manstein, feldmaresciallo Erich von: comandante del Gruppo d’Armate Sud e cervello dell’offensiva di Kursk
March, Juan: uomo d’affari di Maiorca attivo in Spagna; contatto di Canaris e dell’MI6
Masson, Roger: capo dei servizi segreti svizzeri
Mayr von Baldegg, capitano Bernhard: membro dell’intelligence dell’Esercito svizzero; vice di Waibel
Menzies, sir Stewart: capo dell’MI6
Mertz von Quirnheim, colonnello Albrecht: amico di Stauffenberg; coinvolto nella cospirazione del luglio 1944
Moltke, conte Helmut von: fondatore del Circolo di Kreisau
Morávec, colonnello František: capo dei servizi segreti cecoslovacchi
Morávec, Václav: capo della Resistenza a Praga
Mueller, Josef: spia di Canaris in Vaticano
Navarre, Henri: spia dell’intelligence francese, contatto di Madeleine Bihet-Richou
Niemöller, Martin: pastore luterano oppositore di Hitler
Olbricht, generale Friedrich: Uno dei principali cospiratori. Coinvolto nel golpe del 20 luglio
Oster, colonnello Hans: principale organizzatore del tentato golpe del 1938. Capo della Sezione Z a Tirpitzufer
Pannwitz, Heinz: ufficiale dell’sd incaricato di trovare la Rete Dora
Payne Best, capitano Sigismund: ufficiale dell’MI6 catturato a Venlo
Puenter, Otto: agente di Dora
, in contatto anche con l’MI6
Radó, Sándor: capo della rete di spionaggio Dora
Ribbentrop, Joachim von: ambasciatore tedesco a Londra, poi ministro degli Esteri di Hitler
Rivet, colonnello Louis: capo dei servizi segreti militari francesi (sr)
Roessler, Rudolf, nome in codice Lucy
: fornitore
privato di informazioni in Svizzera
Sas, Gijsbertus Jacobus: addetto militare olandese a Berlino; contatto di Oster e Waibel
Schacht, Hjalmar: ministro tedesco dell’Economia e presidente della Reichs-
bank
Schellenberg, Walter: protetto di Heydrich e cervello di Venlo
Schlabrendorff, Fabian von: avvocato tedesco. Collegamento tra Tresckow in Russia e Beck a Berlino
Schneider, Christian, alias Taylor
: uomo d’affari svizzero. Personaggio secondario che faceva da tramite tra Roessler e la Rete Dora
Schulenburg, Friedrich-Werner von der: ambasciatore a Mosca prima della guerra e tra i primi oppositori
Schulte, Edouard: uomo d’affari tedesco e agente di Chojnacki
Sedláček, Karel, alias Charles Simpson
. Ufficiale dell’intelligence cecoslovacca a Berna
Stauffenberg, colonnello Claus Schenk, Graf von: ideatore e autore dell’attentato del 20 luglio 1944
Stevens, maggiore Richard: ufficiale dell’MI6 catturato a Venlo
Suñer, Serrano: ministro degli Esteri spagnolo
Szymańska, Halina: moglie dell’addetto militare polacco a Berlino prima della guerra. Tramite usato da Canaris per trasmettere informazioni a Menzies
Thümmel, Paul: diversi pseudonimi. Agente A54 dell’MI6. Importante spia durante la prima parte della guerra
Timoshenko, maresciallo Semyon: comandante delle forze sovietiche a Mosca, Stalingrado e Kursk
Tresckow, Henning von: capo di Stato Maggiore del Gruppo d’Armate Centro; uno dei principali cospiratori
Trott zu Solz, Adam von: avvocato tedesco, diplomatico e attivo oppositore
Vandel Heuvel, conte Frederick: capo dell’MI6 a Berna dopo il 1941
Vansittart, sir Robert: capo del Foreign Office prima della guerra
Waibel, capitano Max: ufficiale dei servizi segreti svizzeri
Weizsäcker, Ernst von: capo del ministero degli Esteri tedesco e uno dei principali cospiratori
Wilson, sir Horace: consigliere personale di Chamberlain. Sostenitore dell’appeasement
Witzleben, generale Erwin von: comandante della guarnigione di Berlino e capo di fatto del golpe del settembre 1938
Young, A. P.: una delle spie
di Vansittart in contatto con Goerdeler
Zaharoff, Basil: direttore di Vickers e famoso mercante d’armi
Prologo
Per i milioni di persone il cui voto aveva contribuito a fare di lui il cancelliere della Germania, Adolf Hitler era l’eroe che avrebbe riscattato il paese dall’umiliazione del Trattato di Versailles e dal caos che ne era seguito.
John Maynard Keynes, che aveva partecipato alla conferenza di pace del 1919, aveva in seguito condannato Versailles in termini duri e sinistramente profetici: «Se miriamo all’impoverimento dell’Europa centrale, la vendetta, mi permetto di dire, non tarderà. Niente potrà rinviare a lungo le forze della reazione e i disperati spasmi della rivoluzione, che faranno impallidire gli orrori dell’ultima guerra tedesca e distruggeranno, chiunque sarà il vincitore, la civiltà e il progresso della nostra generazione»¹.
Keynes non era l’unico a capire che nelle condizioni punitive imposte dal Trattato di Versailles si trovavano i germi di un’altra esplosione di militarismo tedesco. Altri la definirono «la pace costruita su sabbie mobili».
Secondo la clausola 231 del Trattato, la clausola di «colpevolezza di guerra», la Germania era spogliata di tutte le sue colonie, dell’80 per cento della flotta prima della guerra, di quasi metà della produzione di ferro, del 16 per cento della produzione di carbone, del 13 per cento del territorio (compreso il grande porto tedescofono di Danzica) e di più di un decimo della popolazione. Oltre a queste condizioni umilianti, i vincitori collocarono sotto ciò che restava dell’economia tedesca anche una micidiale bomba a orologeria: delle riparazioni di guerra che ammontavano a circa 32 miliardi di dollari, da pagare in gran parte in forniture di carbone e acciaio.
Nel 1922, quando la Germania si trovò inevitabilmente a essere inadempiente, le truppe francesi e belghe occuparono il centro di produzione tedesca del carbone e dell’acciaio nella valle della Ruhr. Dinanzi al crollo dell’economia nazionale, il governo tedesco cercò di rimediare stampando moneta, con l’inevitabile conseguenza di un’inflazione galoppante. Nel 1921, un dollaro americano valeva 75 marchi tedeschi. Due anni dopo, ogni dollaro era valutato 4,3 trilioni di marchi. Nel novembre 1923, con 100.000 marchi, i risparmi di una vita², si acquistava a malapena una pagnotta.
Nei mesi immediatamente successivi all’armistizio, un’insurrezione armata ispirata da Lenin e dalla rivoluzione russa si concluse nel 1919 con la rimozione del Kaiser e le elezioni del primo governo democratico della Germania, battezzato Repubblica di Weimar dal nome della città in cui si tenne la prima assemblea. Divampò tutto con una fiammata di speranza per precipitare ben presto nelle liti e nelle disfunzionalità. Instabile, lacerato da coalizioni mutevoli, gravato dalle riparazioni di guerra, incapace di affrontare le sfide della depressione globale, il nuovo governo e i politici di ogni tendenza e colore divennero ben presto oggetto di derisione e persino di odio. Il compromesso era considerato un fallimento, facili slogan sostituivano politiche razionali, l’élite era guardata con sospetto e l’establishment veniva inondato di accuse di corruzione e arricchimento indebito.
Diffuso dalla destra tedesca cominciò a circolare un nuovo mito, quello della pugnalata alle spalle
. Esso attribuiva ai politici la colpa della sconfitta del 1918 e delle susseguenti umiliazioni di Versailles. Si sosteneva che l’esercito tedesco non era stato sconfitto, ma era stato tradito dai politici a Berlino che avevano firmato l’armistizio. Non ci volle molto perché al tutto venissero aggiunti gli ebrei e si cominciasse a parlare di una cospirazione internazionale che mirava a distruggere la Germania. La leggenda della pugnalata alle spalle
era talmente radicata nella psiche tedesca anteguerra che avrebbe trattenuto gli oppositori interni di Hitler e influenzato i termini di pace degli Alleati fino alla fine della guerra imminente.
Tra il 1924 e il 1929, l’economia tedesca si stabilizzò, in gran parte grazie ai prestiti americani, e seguì un periodo di grande rinascita artistica. Berlino, che risuonava dei talenti di Thomas Mann, Bertolt Brecht, Max Reinhardt, Marlene Dietrich e degli artisti e architetti del movimento Bauhaus, divenne la capitale culturale del mondo.
La speranza si era appena riaccesa che venne nuovamente infranta da una seconda crisi economica, stavolta causata dal crollo di Wall Street dell’ottobre 1929. Nel 1932, i disoccupati arrivavano a sei milioni e chi aveva perso il lavoro ammontava al 20 per cento della popolazione tedesca.
C’era nuovamente aria di rivolta. Per le strade si scatenavano lotte tra comunisti e squadre d’assalto di Hitler. Un commentatore tedesco di quegli anni scrisse: «Di [questi] tempi, i principi sono convenienza e slealtà, calcolo e paura regnano supremi»³.
Erano condizioni perfette per la germinazione delle forme più radicali di estremismo. Animato da una fede mistica e deformata nella rinascita morale della Germania, non sfiorato dal dubbio, incurante delle convenzioni, alimentato dall’odio, armato di complotti e slogan e guidato da un leader messianico, che univa il carisma a un’incredibile abilità a smuovere le masse, il Partito nazista aveva trovato il suo momento. Nelle elezioni del 1928, il Partito democratico nazionalsocialista – noto anche come nazista
– non era altro che un minuscolo partito che aveva ottenuto solo il 2,6 per cento dei voti. Quattro anni dopo, nel luglio 1932, il partito di Hitler ottenne 13,7 milioni di voti diventando, con il 37 per cento, il primo partito del Reichstag tedesco. Altre elezioni nazionali, nel novembre dello stesso anno, videro una flessione dei nazisti. Ciononostante, dopo un periodo di stallo parlamentare, l’anziano presidente Paul von Hindenburg nominò Hitler cancelliere nel 1933, ritenendo fosse il miglior modo per controllarlo. «L’abbiamo coinvolto a nostro vantaggio», disse l’ex cancelliere Franz von Papen, uno dei grandi della politica tedesca. «Nel giro di due mesi, Hitler starà a squittire in un angolo»⁴.
A causa di queste errate valutazioni, la nazione di Beethoven e Schiller, di Goethe e Schubert fu ceduta, armi e bagagli, alla più primitiva, distruttiva e primordiale forza barbarica che l’Europa avesse mai visto dal Medioevo.
Mentre la maggior parte dell’élite considerava Hitler un innocuo eccentrico che si poteva controllare e non sarebbe durato a lungo, molti tedeschi comuni, anche quelli che non lo avevano votato, credevano potesse rappresentare un nuovo inizio e meritasse una possibilità: dopotutto, sostenevano in molti, peggio di così non poteva andare.
Ma tutti lo avevano mal giudicato.
Adolf Hitler era notevole sotto molti aspetti. Pensava sempre l’impensabile, proponeva sempre ciò che era deplorevole, sceglieva sempre di scioccare invece che confortare, rifiutava sempre i limiti delle convenzioni, preferiva sempre il mito e l’azione bellica alla realtà, coglieva sempre le persone di sorpresa con il suo estremo radicalismo, si affidava sempre alla propria voce interiore piuttosto che ai fatti e alle opinioni degli altri. «Io affronto ogni cosa con una tremenda e glaciale mancanza di pregiudizi»⁵, dichiarò una volta. Perché se una cosa deve essere, sarà: era questa la dottrina di Hitler. Sull’altare di quest’assolutismo, incoraggiato dal suo tanto decantato trionfo della volontà
, Hitler avrebbe sacrificato mezza Europa.
Ma non erano queste caratteristiche maniacali che rendevano diverso Adolf Hitler. Quello che lo distingueva dai tanti altri leader fascisti dell’epoca, e dalla miriade di sedicenti profeti della storia, era il talento per l’azione politica: era un mistificatore che aveva una comprensione pratica del potere e di come servirsene per ottenere i suoi scopi.
Era questo, più di ogni altra cosa, che faceva sì che amici e nemici lo guardassero con uno stupore che generava adulazione, paura e rapita curiosità, a seconda di dove ci si situava in rapporto al suo potere.
Le capitali estere, con la miope speranza di domare la belva
, che non sarebbe stata domata, proposero il solito incentivo di accordi, patti, tangenti e concessioni nella vana speranza di contenere l’incontenibile. L’Europa intera era ipnotizzata – paralizzata quasi – da ciò che era avvenuto a Berlino. Un osservatore tedesco a Parigi notò tra i francesi la «sensazione di un vulcano che si è risvegliato nelle immediate vicinanze, la cui eruzione potrebbe devastare i loro campi e le città da un momento all’altro. Di conseguenza, ne osservano ogni minimo movimento con stupore e terrore. Un fenomeno naturale che sono costretti ad affrontare… inermi. La Germania di oggi è nuovamente la grande star internazionale che compare in tutti i giornali, in tutti i cinema, affascinando le masse con una miscela di paura e riluttante ammirazione… La Germania [sotto Hitler] è la grande, tragica, straordinaria e pericolosa avventuriera»⁶.
All’interno della Germania, non ci volle molto perché chi era in disaccordo con Hitler scoprisse che le cose potevano andare peggio. Molto peggio.
La prima opposizione clandestina ai nazisti nacque da una combinazione di raggruppamenti politici che alle elezioni si erano presentati contro Hitler: principalmente comunisti e socialdemocratici.
Compromessi dal legame con la fallimentare Repubblica di Weimar e, nel caso dei comunisti, dal rifiuto di costituire un’alleanza contro i nazisti durante le crisi economiche del 1930-33, gli oppositori democratici di Hitler furono facilmente sconfitti e piegati dalla sua spietata sete di potere.
Come molti altri in patria e all’estero, i partiti tradizionali tedeschi non seppero riconoscere l’unicità della natura diabolica di Hitler e supposero che la sua rivoluzione fosse solo un altro episodio nel normale ritmo del ciclo democratico. «I governanti spietati non durano a lungo»⁷, disse il presidente dell’ultimo grande raduno del Partito socialdemocratico a Berlino nel 1933.
Quest’apatia avrebbe avuto un costo terribile.
Il 22 marzo 1933, solo sette settimane dopo che Hitler era diventato cancelliere, il primo campo di concentramento aprì le porte per far entrare duecento prigionieri politici in una vecchia fabbrica di polvere da sparo e munizioni a Dachau, a sedici chilometri da Monaco, selezionata dal capo delle ss Heinrich Himmler. Il campo, con i cancelli che recavano la famigerata scritta Arbeit macht frei – il lavoro rende liberi
– sarebbe rimasto sinonimo di tortura, disumanità e sterminio di massa, finché non venne occupato dalle truppe americane l’ultimo anno della guerra. Entro la fine del 1933, ventimila oppositori politici di Hitler erano in carcere o facevano del loro meglio per sopravvivere alle brutali condizioni di Dachau e di altri campi di concentramento che spuntavano in tutta la Germania.
Malgrado le violente purghe anticomuniste, che cominciarono immediatamente dopo che Hitler divenne cancelliere, alcune cellule comuniste cominciarono a reimpiantarsi nelle fabbriche e nei posti di lavoro. Per la gran parte contavano non più di sei o otto membri ed erano collegate tramite un sofisticato sistema di corrieri ad altre cellule, dei cui membri ignoravano l’identità. Queste reti si estendevano ad altri paesi europei, dove erano attive soprattutto comunità di emigrati tedeschi. A tempo debito, dopo un breve periodo di quiescenza durante il patto di non aggressione tra nazisti e sovietici, e malgrado la violenta persecuzione da parte della polizia segreta di Hitler, la Gestapo, la rete clandestina dei comunisti tedeschi, avrebbe cominciato a sabotare lo sforzo bellico e a compiere azioni spionistiche, soprattutto tramite la grande rete di spionaggio russo, che in tempo di guerra operò in tutta l’Europa occupata, soprannominata dalle strutture di sicurezza di Himmler die Rote Kapelle (l’Orchestra Rossa)⁸.
Ciò che restava dell’opposizione a Hitler entrò in clandestinità. Tra i primi sostenitori della resistenza tedesca vi furono numerosi socialdemocratici e membri dei movimenti sindacali.
L’opposizione a Hitler non si limitava agli operai. Anche se alcuni industriali e finanzieri tedeschi, come Alfred Krupp, trovarono ottime ragioni commerciali per appoggiare Hitler, diversi altri, come il grande industriale Robert Bosch a Stoccarda, fornirono coraggiosamente aiuto attivo all’opposizione.
Con comunisti, liberali e socialdemocratici costretti alla clandestinità, toccò ad alcuni elementi della Chiesa tedesca incoraggiare l’opposizione popolare al nazionalsocialismo. Il sinodo di Barmen del maggio 1934 a Wuppertal riunì i luterani che condannavano apertamente il materialismo e l’irreligiosità del nazionalsocialismo, attirando decine di migliaia di persone da tutta la Germania per una manifestazione di protesta per ciò che stava accadendo. Nella St.- Annen-Kirche nel sobborgo berlinese di Dahlem, il ceto medio si accalcava per ascoltare i sermoni incendiari contro i nazisti tenuti dal pastore combattente
Martin Niemöller. Nelle città del sud, come Norimberga, Stoccarda e Monaco, i cristiani marciarono per le strade a sostegno del vescovo luterano Theophil Wurm e del suo collega Hans Meiser, vescovo di Monaco, posti agli arresti domiciliari per disturbo dell’ordine pubblico. Un saggio antinazista scritto da Helmut Kern, pastore luterano di Norimberga, vendette in breve tempo 750.000 copie: la più alta tiratura per un trattato religioso dai tempi di Lutero.
Malgrado l’ormai incontestato controllo degli strumenti dello Stato, Hitler rifuggiva da un aperto contrasto con i ranghi delle Chiese tedesche, protestante e cattolica. Cercò tuttavia di soffocare con ogni mezzo il dissenso. Niemöller venne arrestato e mandato in un campo di concentramento, da cui uscì solo dopo la fine della guerra. I pastori che creavano problemi furono arruolati in massa nell’esercito, le attività della Chiesa con i giovani vennero ridotte, furono sospesi i permessi didattici per chi insegnava teologia nelle università tedesche e negata l’autorizzazione alla pubblicazione di tutti gli opuscoli tranne quelli ammessi dal regime nazista. I nazisti riuscirono persino a manipolare le elezioni della Chiesa del luglio 1933 tanto che Hitler poté applicare la legge ariana
antisemita destituendo tutti i pastori che erano macchiati
da origini ebraiche o semi-ebraiche.
Il 14 marzo 1937, papa Pio xi pubblicò un’incisiva enciclica in cui condannava la nuova ondata di paganesimo
in termini talmente duri da renderla una vera e propria chiamata alle armi contro i nazisti. A questa seguì un aperto e violento contrattacco ai monasteri, guidato dal ministro della Propaganda di Hitler, Joseph Goebbels. In una purga degna di Enrico viii, alcuni furono requisiti per ospitare basi militari, altri ebbero il divieto di accettare novizi o di tenere processioni religiose.
Tra il 1933 e il 1945 migliaia di coraggiosi pastori e frati finirono nei campi di concentramento, dove in molti persero la vita martirizzati per la loro fede.
Per quanto alla fine Hitler riuscisse a porre un freno alla perfidia della Chiesa
, la religione e gli attivisti religiosi, tra cui il grande pastore, teologo e spia Dietrich Bonhoeffer, svolsero un grandissimo ruolo nel fornire ispirazione, sostegno morale e forze alla resistenza contro Hitler.
Disseminati tra queste strutture organizzate e semiorganizzate della resistenza tedesca c’erano numerosi individui che, di fronte agli eccessi e orrori sempre più evidenti, cominciarono a intraprendere lotte private e solitarie contro lo Stato nazista. Tra questi ci fu il falegname del Württemberg Georg Elser che, agendo completamente da solo, non assassinò Hitler per un soffio a causa della nebbia all’aeroporto di Monaco; Otto ed Elise Hampel, che distribuirono più di duecento messaggi anti-Hitler in tutta Berlino e vennero perciò ghigliottinati; e gli studenti della Rosa Bianca che, guidati dal loro insegnante, andarono incontro allo stesso destino per aver distribuito opuscoli a Monaco.
Questi individui eccezionali – gli ironici punti di luce di Auden – accesero fugaci fari di coraggio morale nell’oscurità. Ma non alterarono – né era in loro potere farlo – il corso della guerra.
Mentre questi, e molti altri che ignoriamo, passarono dal sostegno a Hitler a un’attiva opposizione, altri, nelle alte gerarchie dello Stato nazista, seguivano analoghi e individuali percorsi verso l’illuminazione.
Tra questi c’erano principalmente tre uomini: un civile che avrebbe potuto essere cancelliere al posto di Hitler, un generale che molti ritenevano destinato a guidare i suoi eserciti e il capo dei suoi servizi segreti esteri.
1. Carl Goerdeler
La luce del crepuscolo si riversava dalle finestre palladiane della sala da pranzo del National Liberal Club, il club del Partito nazionale liberale a Londra. Cadeva su una tovaglia di damasco apparecchiata con argenteria e porcellane in una nicchia appartata leggermente separata dagli altri tavoli. Tutt’intorno luccicavano pannelli in mogano scuro e l’ambiente risuonava dei mormorii dei commensali che si godevano la cena, malgrado lo sguardo severo della statua, delle dimensioni doppie del normale, di William Gladstone in fondo alla sala.
I sei uomini al tavolo della nicchia non erano allegri. Erano cupi in volto, parlavano a bassa voce e ascoltavano con attenzione uno di loro, un personaggio imponente di bell’aspetto e dall’aria fanciullesca, con incredibili occhi grigio chiaro, folte sopracciglia e una forte personalità. Il cinquantaduenne Carl Goerdeler era un uomo serio, abituato a essere preso sul serio. Ex sindaco della grande città tedesca di Lipsia, fino a poco tempo prima importante funzionario del governo di Adolf Hitler, già candidato al cancellierato, Goerdeler era un ospite che era più facile ascoltare che intrattenere in conversazione.
Nato il 31 luglio 1884 nella città di Schneidelmuehl¹, nella Prussia occidentale, Carl Friederich Goerdeler era figlio di un giudice distrettuale. Era stato un brillante studente a scuola, un brillante laureato in legge all’università di Tubinga e, a detta di tutti, un brillante avvocato prima di trovare la sua strada come economista e alto funzionario nel governo locale. Si dimostrò un amministratore efficiente e pieno di talento, la cui padronanza dell’economia, il carattere incorruttibile e il fascino vennero ben presto riconosciuti. Nel 1912, all’età di appena ventotto anni, Goerdeler venne eletto all’unanimità assistente principale (di fatto vice) del sindaco della città renana di Solingen nella Germania occidentale. Concluse il servizio militare sul fronte orientale nella prima guerra mondiale amministrando per un periodo un’ampia fascia di territorio nell’attuale Lituania e Bielorussia, che era stata occupata dalla Germania secondo i termini del Trattato di Brest-Litovsk del 1918. In quel frangente alle già note virtù aggiunse la fama di uomo umano e compassionevole.
L’armistizio del novembre 1918 cambiò ogni cosa per Goerdeler, e per la Germania. Come la maggior parte dei tedeschi, pensò che l’evirazione negli accordi di Versailles infliggeva al paese una profonda umiliazione e ingiustizia. Fu in quegli anni successivi alla guerra che cominciò a prendere forma il Goerdeler patriota e nazionalista. Offendeva la sua sensibilità di tedesco e di prussiano soprattutto la brutale amputazione di Danzica dalla madrepatria
per concedere alla Polonia, ora ampliata, un corridoio verso il mare. Mantenne un’aperta opposizione all’umiliazione di Versailles anche molto dopo che altri leader civili e militari se n’erano fatti una ragione. Questo dimostrava ammirevole coraggio ma anche stupidità strategica. Era il primo esempio di un caparbio rifiuto al compromesso, quando riteneva giusta la propria causa, che sarebbe diventato il leitmotif di tutta la sua vita.
A quel punto le opinioni politiche di Goerdeler si erano consolidate. Era per educazione un devoto luterano, e per convinzioni politiche un conservatore attratto dal monarchismo costituzionale. Era autoritario, patriottico, ossessionato dalla fede nella forza degli ideali politici e della democrazia (ma solo finché essi non interferivano con l’efficienza del governo). Dal punto di vista economico, credeva nella rettitudine finanziaria, nei rapporti con gli altri era puntiglioso, nelle abitudini era frugale e nella vita personale si faceva guidare da un rigido codice morale che arrivava persino a impedire l’ingresso in casa sua ai divorziati. Uno dei suoi amici, nonché futuro collega cospiratore contro Hitler, scrisse: «Goerdeler era un uomo lucido, schietto e onesto che non aveva niente di oscuro, irrisolto o enigmatico. Riteneva perciò che gli esseri umani in generale avessero bisogno solo di illuminazione e giuste direttive morali per superare i propri errori»².
Queste doti avrebbero fatto di Carl Goerdeler un grande uomo in qualsiasi epoca stabile, ma lo rendevano un ingenuo e incorreggibile utopista nella feroce era di tumulti e rivoluzioni in cui si trovò a vivere.
Dopo essere stato vicesindaco di Königsberg³ sulla costa del Baltico durante gli anni Venti, Goerdeler venne eletto Oberbürgermeister (sindaco) di Lipsia nel 1930, solo due mesi prima del suo quarantaseiesimo compleanno. Ora era una figura importante della ribalta nazionale. Quando assunse l’incarico, la Germania si trovava nel bel mezzo del suo secondo periodo di grande caos economico, seguito all’abnorme inflazione dei primi anni Venti.
Nel dicembre 1931, con l’aumento vertiginoso della disoccupazione, Goerdeler accettò l’invito del presidente Hindenburg di unirsi al governo in qualità di Reichskommissar (commissario di Stato) per il controllo dei prezzi⁴. L’abile gestione di questo delicato ruolo gli valse il plauso generale. Quando il cancelliere di Hindenburg, Heinrich Brüning, presentò le dimissioni nel maggio 1932, molti vedevano in Goerdeler il suo successore. Ma i disordini politici che seguirono non generarono un uomo retto e onesto, bensì Adolf Hitler, che divenne cancelliere della Germania il 30 gennaio 1933.
In principio, Goerdeler non si oppose a Hitler. Considerava il nuovo cancelliere un dittatore potenzialmente illuminato, che con i giusti consigli poteva diventare una forza del bene e dell’ordine dopo gli sconvolgimenti e i fallimenti degli anni di Weimar. Non ci volle molto perché al sindaco di Lipsia cadessero le bende dagli occhi.
Il 1° aprile 1933, quando le attività commerciali degli ebrei della città vennero minacciate dalle squadre d’assalto sa (Sturmabteilung) naziste durante il «giorno del boicottaggio nazionale», fu necessaria la comparsa del sindaco in tenuta di gala scortato dalla polizia, per evitare che la situazione precipitasse nella violenza e nel caos. Seguirono diversi episodi in cui Goerdeler dovette intervenire personalmente per salvare aziende di ebrei dal sequestro e dalle conseguenze della politica di arianizzazione
dell’economia tedesca.
Ma il peggio doveva ancora venire. Il 30 giugno 1934, Hitler organizzò il golpe interno diventato poi noto come la Notte dei lunghi coltelli⁵. Presunto obiettivo di questa carneficina era sterminare le paramilitari sa, da Hitler considerate una crescente minaccia al proprio potere. Ma l’azione si trasformò in una sanguinosa resa dei conti con i nemici del regime nazista. Tra gli ottantacinque uomini assassinati c’erano il generale dell’Esercito diretto predecessore di Hitler nel ruolo di cancelliere⁶, il segretario personale di un altro cancelliere⁷ e diversi leader politici cattolici. Era ormai chiaro a tutti che il governo di Hitler non aveva remore ad agire al di fuori della legge, in modo spregiudicato, criminale e senza minimamente rapportarsi ad alcun codice morale o giuridico. Fu per molti una svolta decisiva.
Ma non, malgrado la sua rettitudine morale, per Carl Goerdeler.
Il 5 novembre 1934, poco più di quattro mesi dopo la Notte dei lunghi coltelli, Goerdeler accettò l’offerta di Hitler di diventare, per la seconda volta, commissario per il controllo dei prezzi. In seguito avrebbe avuto difficoltà a spiegare la decisione di servire Hitler. Perché lo fece? La risposta fornisce le chiavi a due dei più enigmatici paradossi della complessa personalità di Goerdeler. Accanto a un’ossessiva convinzione di ciò che era giusto e sbagliato, compresa la disponibilità ad accettare qualsiasi sacrificio personale piuttosto che darsi per vinto, possedeva anche un’ignoranza quasi infantile della vera natura del male. Per questo motivo, malgrado la sua vasta preparazione in questioni di politica, governo ed economia, sopravvalutava enormemente la propria abilità a convincere con la ragione uomini malvagi a fare del bene.
La verità era che Goerdeler aveva accettato la nomina di Hitler perché pensava di poterlo cambiare. Le armi che scelse per farlo furono un fiume di lunghi (a volta lunghissimi) memorandum e relazioni sull’economia indirizzati al cancelliere, che venivano letti poco o niente. Dopo una serie di contrasti e dissensi sulle politiche pubbliche, l’inevitabile rottura tra i due uomini avvenne nel 1936, quando Goerdeler perse ogni potere e influenza nella cerchia di Hitler.
Era il momento che a Lipsia stavano aspettando i nemici nazisti del sindaco.
I primi di novembre di quell’anno, l’Oberbürgermeister fu invitato a parlare presso la Camera di commercio tedesco-finlandese di Helsinki. All’epoca Goerdeler era stato attaccato dal leader nazista locale⁸ per essersi rifiutato di rimuovere dalla sua sede davanti alla sala da concerti cittadina la statua di Felix Mendelssohn, il grande compositore ebreo tedesco. Indicando la statua a un visitatore, l’Oberbürgermeister lamentò: «Ecco uno dei miei problemi. [Le camicie brune] mi stanno addosso per togliere quel monumento, ma se mai lo toccassero qui ho chiuso»⁹. Alla figlia Marianne confidò che ciò che davvero lo offendeva era l’oltraggioso attacco non tanto a un ebreo quanto alla cultura tedesca: «Tutti noi abbiamo ascoltato i lieder di Mendelssohn con grande piacere e li abbiamo anche cantati. Negare Mendelssohn non è che un gesto assurdo e vile»¹⁰.
Prima di partire per Helsinki, Goerdeler strappò a Hitler e Himmler la promessa che avrebbero personalmente garantito la sicurezza della statua in sua assenza. Ciononostante, mentre era via i nazisti locali la demolirono. Rientrato a Lipsia su tutte le furie, Goerdeler pose l’ultimatum di sostituire immediatamente la statua perduta. Quando ciò non avvenne, con lo stile che lo caratterizzava, presentò le dimissioni. Va osservato che le sue dimissioni erano più una protesta contro la perdita della propria autorità che contro l’antisemitismo, perché le sue posizioni riguardo agli ebrei all’epoca erano quantomeno ambigue¹¹. Nondimeno, per questo atto di principio contro la tirannia e di protesta contro un’offesa alla cultura tedesca, Carl Goerdeler divenne da un giorno all’altro un eroe per molti tedeschi secondo cui aveva sacrificato la carriera pubblica pur di non avallare un’azione infamante.
In quanto latore di ciò che era buono e grande della cultura tedesca, dell’ordine e del rispetto della legge, Goerdeler, che non amava stare a lungo senza una missione, decise ora che la responsabilità personale e la coscienza esigevano che da quel momento in poi dedicasse ogni sua energia, abilità e intento morale a un unico scopo: la destituzione di Adolf Hitler.
Il suo primo compito era mettere in guardia il mondo sulla vera natura del dittatore tedesco e sulla minaccia che costituiva. Ma in che modo? Goerdeler, dopotutto, era non solo senza lavoro, ma anche senza passaporto, che gli era stato confiscato da un Gauleiter locale¹².
Per la sua nuova missione gli servivano soldi e riavere il passaporto.
I soldi arrivarono da Robert Bosch, capo dell’impero industriale Bosch e capo di un piccolo gruppo di democratici di Stoccarda ostili a Hitler. Bosch nominò Goerdeler (che aveva già rifiutato un posto da Alfred Krupp, uomo di opinioni politiche assai diverse) consulente finanziario e internazionale dell’azienda, fornendogli così sia un motivo per recarsi all’estero che un adeguato salario con cui vivere.
Goerdeler riebbe il passaporto da una fonte inattesa: Hermann Göring. Questi, all’epoca incaricato del programma di riarmamento tedesco, era sempre più preoccupato alla prospettiva di un’imminente guerra. Giocando abilmente su questo fatto (e probabilmente anche sul desiderio di Göring di creare una propria rete di informatori), Goerdeler propose di compiere un giro all’estero per riferire le opinioni che circolavano nelle capitali occidentali. All’idea, Göring fece i salti di gioia, provvedendo alla restituzione del passaporto di Goerdeler e dando ordine al suo nuovo emissario di ricordare sempre nei suoi viaggi di comportarsi «da patriota»¹³.
L’aspirante girovago lasciò Berlino il 3 giugno 1937 per una serie di viaggi all’estero che nel corso dei due anni successivi lo avrebbero portato in Belgio, Gran Bretagna (due volte), Olanda, Francia (due volte), Canada, Stati Uniti, Svizzera (due volte), Italia, Iugoslavia, Romania, Bulgaria, Algeria, Libia, Egitto, Palestina, Siria e Turchia.
Il suo messaggio era sempre il medesimo. Hitler era malvagio; il suo governo aveva compiuto azioni malvage e ne avrebbe commesse altre; non aveva freni morali né alcun tipo di scrupolo; il suo obiettivo era la guerra, e se non fosse stato contrastato, la guerra sarebbe stata inevitabile. L’unico modo per evitarlo era che le potenze occidentali gli si opponessero con fermezza, chiamando, secondo le sue parole, «il nero, nero e il bianco, bianco»¹⁴. Qualsiasi equivoco o concessione sarebbero stati considerati da Hitler una debolezza e avrebbero ulteriormente alimentato la sua megalomania. Se le potenze occidentali si fossero opposte con fermezza a Hitler, Goerdeler prometteva che lui e i suoi amici l’avrebbero eliminato dall’interno, anche a costo della vita.
Deve essere stato sconvolgente per i tranquilli gentiluomini inglesi seduti attorno al tavolo nella confortante normalità del National Liberal Club di Whitehall rendersi conto di essere messi a parte di un imminente colpo di Stato volto a destituire Hitler e a cambiare il governo della Germania.
Nella strada buia, fuori del club, dopo aver salutato l’ospite salito su un taxi, uno della compagnia commentò: «Ha deciso con encomiabile coraggio di mettersi in viaggio e condannare senza paura il regime di Hitler, incurante delle conseguenze personali»¹⁵.
I commensali di Goerdeler quella sera erano in sé tutt’altro che ragguardevoli. Consistevano di un ex pilota di caccia della prima guerra mondiale¹⁶, un industriale¹⁷, un noto pedagogista tedesco e un funzionario di livello medio¹⁸. Erano stati riuniti per l’occasione da Arthur Primrose Young. Questi (che preferiva essere chiamato A. P.
, piuttosto che qualsiasi appellativo in cui comparisse Primrose
) era un importante industriale nonché membro di un piccolo gruppo che occasionalmente raccoglieva informazioni riservate per sir Robert Vansittart, sottosegretario permanente al Foreign Office e stretto collaboratore di Anthony Eden, ministro degli Esteri. Ogni parola che era stata detta quella sera sarebbe stata riferita. Vansittart era l’invisibile settimo commensale della tavola di quella normale sera di luglio del ’37.
Molti dei sottosegretari permanenti del Foreign Office sono figure discrete, di secondo