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Il dolore degli altri
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E-book249 pagine3 ore

Il dolore degli altri

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Info su questo ebook

Da qualche mese abbiamo una nuova data sul calendario della storia, che sin da subito ha sconvolto tutto il mondo, con spettri e parole di cui, da 80 anni, si erano persi le traduzioni e i suoni. È il 24 febbraio 2022. Alle 4 del mattino le lancette della Storia sono state riportate indietro, al tempo dell’odio, delle stragi e degli olocausti. Quando il mondo si divise tra aggrediti ed aggressori. E, 80 anni fa, gli aggressori eravamo noi, ai fastosi dell’impero del duce, dell’uomo della provvidenza. Per gli altri, allora, il 6 Aprile 1941 ebbe lo stesso valore del 24 febbraio 2022, oggi, per gli ucraini. Mussolini quel giorno ordinò, di concerto con Hitler, di aggredire la terra vicina, quella a quel tempo chiamata Jugoslavia, vale a dire “terra degli slavi”. Da lì si arrivò alla cintura di Lubiana, ai massacri di luglio a Podhum e in tutta la terra slava occupata, alle foibe del ‘43 e a quelle del biennio ‘45/’47. Magari qualcuno conosce politicamente solo questa pagina, quella del crimine delle foibe comuniste, che cronologicamente vennero dopo. Ma si sa nelle foibe fu versato sangue italiano, prima fu sangue degli slavi. E come diceva Fabrizio De André: «E per tutti il dolore degli altri è dolore a metà». Ma noi siamo stati il “prima” e poi è arrivato il “dopo”. Prima siamo stati i carnefici, dopo le vittime. Cronologicamente dopo le vittime. Prima gli aggressori, poi gli aggrediti. Cronologicamente dopo gli aggrediti. Ma con un grande comune denominatore, sia prima che dopo: la guerra è solo ipocrisia, propaganda allo stato più criminale. E non esistono guerre giuste e guerre sbagliate. Non esistono vittime di serie A e vittime di serie B. Il dolore non conosce bandiere, non accetta confini e nemmeno distingue frontiere. Il dolore rimane sempre solo dolore.
LinguaItaliano
EditoreVentus
Data di uscita13 mag 2022
ISBN9791221333527
Il dolore degli altri

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    Anteprima del libro

    Il dolore degli altri - Rinaldo Battaglia

    INTRODUZIONE

    Un giorno, in un precedente libro, ho ripreso una frase di Dieter Hildebrandt, il grande studioso tedesco esperto di comunicazione e manipolazione delle masse, quando scriveva che «Crediamo soltanto a ciò che vediamo. Perciò, da quando c’è la televisione, crediamo a tutto». Concetto – questo – sulla cui verità sono sempre stato ampiamente convinto, oltreché altrettanto preoccupato.

    Quando ho iniziato, negli anni scorsi, a raccogliere documenti, notizie, libri sulla guerra nascosta e indicibile in Italia, della nostra aggressione alla ex-Jugoslavia – di cui Podhum rappresenta solo una punta dell’iceberg, niente di più – ho sempre integrato il libro, che stavo piano piano scrivendo, con molte foto storiche e frasi o lettere di quel particolare tragico momento.

    Alla fine ne è nato un altro libro, molto più visivo, più facile da vedere come fossimo tanti San Tommaso, ma – credo – con medesimo messaggio: l’ipocrisia e la vergogna di quanto, da noi italiani, commesso e provocato in quel periodo infame. E il vuoto che abbiamo creato, da subito attorno, fa parte di questa ipocrisia e vergogna. Un silenzio che parla, si potrebbe in altre parole sintetizzare.

    Se vogliamo è un percorso tracciato, un sentiero da camminare, nella memoria nascosta del nostro Paese.

    Parte da lontano, dal settembre 1920 con i primi comizi del futuro Duce nelle nuove terre annesse all’Italia dopo la Prima Guerra Mondiale, prosegue col discorso del carro dell’agosto ‘34 quando Mussolini – al massimo del consenso politico, dopo 12 anni di dittatura e violenta repressione di chiunque fosse contro – indica chiaramente e senza tanti artifizi la necessità di fare guerra agli altri, alle razze deboli, ai popoli vicini, che limitavano il nostro spazio vitale.

    A Berlino, un suo allievo stava facendo lo stesso, nelle parole e nei fatti.

    Come andò a finire lo sappiamo bene. Come sappiamo altrettanto bene, poi, che a pagare il conto non furono i gerarchi del fascio o i generali che, talvolta più fascisti del Duce, sul campo si erano macchiati dei peggiori crimini contro le popolazioni civili, peraltro in modo non molto diverso dai loro colleghi nazisti.

    L’odio verso gli italiani – ben alimentato sul fronte orientale dal vincitore Tito e dai suoi comunisti – si tradusse nelle terribili foibe soprattutto del ‘45/’47 e nell’altrettanto terribile esodo giuliano/dalmata. Esodo, come tutta le vicende che ci hanno visto sia come carnefici che come vittime, totalmente non compreso dalla maggioranza degli italiani, perché non informata. Nessuno riusciva a capirne le vere cause e, quindi, a offrire ai nostri connazionali, cacciati dalle loro case, un minimo di aiuto e supporto. La vergognosa giornata del 18 febbraio 1947 ne è solo un esempio. Ma anch’essa è poco conosciuta, nascosta, dimenticata e chiusa nel grande armadio del silenzio, con tanto di giro di chiave, affinché mai nessuno sapesse nulla. Non conveniva.

    Un altro grande silenzio che parla o, peggio, urla.

    Winston Churchill nelle sue memorie sulla guerra – che gli valsero nel 1953 il premio Nobel per la letteratura – più volte usò il concetto che la Prima e la Seconda Guerra Mondiale non fossero altro che la stessa guerra, con un primo e un secondo tempo – come quasi una normale partita di calcio – durata ben 30 anni.

    Noi, che siamo arrivati dopo, possiamo persino dire che forse Churchill si sbagliava, in quanto quella guerra iniziata, a seguito dell’attentato di Sarajevo del 28 giugno 1914, si può definire chiusa solamente nel dicembre 1995 con gli Accordi di pace di Dayton, dopo le guerre di disgregazione della ex-Jugoslavia. Ossia 80 anni dopo.

    Churchill sosteneva fortemente che se volevi conoscere la Seconda Guerra Mondiale dovevi necessariamente studiare per bene la Prima e, parimenti, se volevi capire la guerra del ‘14/’18 non potevi non ritornare alla catastrofe della successiva.

    Nel mio piccolo, mi permetto ora – molto umilmente – di scrivere che i miei due libri che parlano della guerra italiana in Jugoslavia - e di cui Podhum resta, giova ribadirlo, solo un tragico punto di partenza per iniziarne lo studio – sono anch’essi un tutt’uno: A Podhum io scrivevo sui muri verrà meglio compreso se integrato da Il dolore degli altri. Analogamente il secondo avrà maggior risalto, se inserito nel tema e sulla scia del primo libro.

    Ognuno – così almeno io spero – vive di luce propria, ma avrà maggior significato se abbinati assieme. Cambiano le forme, il modo di presentare le vicende, ma sostanza non cambia. E resta sempre la medesima: l’ipocrisia della guerra, il rischio del seminare l’odio e coltivarlo giorno per giorno, la coercizione delle masse, la manipolazione delle menti. È medesimo pure l’obiettivo: generare domande affinché ognuno cerchi poi le risposte, dentro e fuori di sé. Che forse è il motivo per cui si scrive e si legge. Dare voce al silenzio, insomma.

    Tutto il resto viene dopo, tutto il resto non conta.

    «Una delle menomazioni spirituali dell’umanità del nostro tempo è l’aver smarrito il senso della Storia.»

    Antonio Scurati

    A Podhum il tempo si è fermato al 12 luglio 1942, il grande giorno degli uomini (?) del Duce, Benito Mussolini.

    «L’angelo sterminatore agì con fermezza, precisione e meticolosità…»

    Sacra Bibbia

    LA STRADA CHE CONDUCE A PODHUM

    «Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava…non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone.

    «I confini dell’Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani.»

    Benito Mussolini, Pola, 22 settembre 1920

    «Un partito che governa totalitariamente una nazione è un fatto nuovo nella Storia. Non sono possibili riferimenti o confronti».

    Benito Mussolini da suoi scritti nella sua Dottrina del fascismo

    «Potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli. Potevo sprangare il parlamento e costituire un governo composto esclusivamente di fascisti. Potevo, ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto».

    Benito Mussolini, 16 novembre 1922: discorso alla Camera dei Deputati per ottenerne la fiducia passato alla Storia come il discorso del bivacco.

    «La nostra propaganda sarà fascismo fascismo e fascismo; e per i duri di orecchio dichiariamo che il manganello potrà funzionare a meraviglia»

    Pietro Bolzon: membro della direzione del Partito nazionale fascista, 8 dicembre 1922

    «Al fascismo non bastava più piegare i corpi: voleva anche le anime.»

    da Renzo De Felice, Breve storia del fascismo, Mondadori, pp. 41-45

    Con la circolare del 5 gennaio 1927, i prefetti, da rappresentanti super partes dello Stato, diventarono «rappresentanti del regime e chiamati non più a distinguere tra onesti e disonesti, ma tra cittadini fascisti e cittadini antifascisti».

    «Bisogna cominciare dal migliorare, con opportune selezioni, il bestiame elettorale. Poi bisognerà sopprimere il criterio di uguaglianza fra i membri di codesto bestiame. Mettere in discussione insomma il suffragio universale, altrimenti definibile come la suprema mascherata della democrazia».

    Benito Mussolini ,2 luglio 1922, articolo sul Popolo d’Italia

    Nelle elezioni libere del 25 marzo 1934, il votante doveva solo decidere quale scheda votare e quale consegnare all’uscita. Si ricorda che, dopo le leggi fascistissime del 1925/1926, chi non era fascista non poteva lavorare

    Risultati delle elezioni del 25 marzo 1934

    Risultati delle precedenti del 24 marzo 1929

    «Quando tutti pensano allo stesso modo, nessuno sta pensando.»

    Gunther Anders

    «La Nazione deve essere pronta alla guerra non domani, ma oggi.»

    Benito Mussolini

    24 agosto 1934: discorso ai Tre Poggioli, chiamato «Preludio della Nazione Armata» e passato alla Storia come il discorso del carro armato.

    «Tutte le dittature governano attraverso la menzogna e la forza, ma una volta che la menzogna è stata scoperta devono fare affidamento esclusivamente sulla forza.»

    George Orwell

    L’incendio di Ustje

    «Tutte le guerre sono combattute per denaro.»

    Socrate

    «Sei un comunista?»

    «No, sono un antifascista.»

    «Da molto tempo?»

    «Da quando ho capito il fascismo».

    Ernest Hemingway

    Il patto d’acciaio

    Nel paese addormentato del Ma ha fatto anche cose buone oppure del La colpa è stata solo di Hitler, traduzione vigliacca del detto i tedeschi erano cattivi, gli italiani buoni, mai si parla del PATTO D’ACCIAIO (Stahlpakt) firmato a Berlino il 22 maggio 1939, pochi mesi prima dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Anzi, da quella firma la guerra ebbe il suo battesimo.

    Sarebbe opportuno analizzare in modo approfondito il significato dell’art. 3 e art. 5.

    Se uno dei due Paesi entra in guerra (entra sia come attaccante o come attaccato) l‘altro Paese immediatamente lo seguirà (quindi il 10 giugno 1940 era una pura formalità e si era in ritardo...). Nessuno dei due Paesi potrà procedere con una pace separata o un armistizio, senza il consenso dell’altro. Se avvenisse (per noi sarà il 3 settembre 1943, ufficializzato l’8 settembre) quel Paese sarà traditore del Patto e ne subirà le conseguenze.

    L’oroscopo di quel che avvenne, agli ebrei italiani o ai nostri soldati e alle nostre città, prima e dopo l’8 settembre, era già stato scritto anni prima, in un lunedì sera a Berlino.

    Nell’ignoranza totale, presente e futura, degli italiani.

    Con una importante nota però: Mussolini il 22 maggio ‘39 impegnava l’Italia fascista (terza riga del testo ufficiale), ma l’Italia dopo il 25 luglio 1943 era ancora l’Italia fascista? o, meglio, con la firma del 3 settembre dell’armistizio di Cassibile la nuova Italia del post-Mussolini aveva tradito o meno il Patto?

    Alla Storia l’ardua sentenza.

    Sua Maestà il Re d’Italia e di Albania, Imperatore d’Etiopia, e il Cancelliere del Reich tedesco, ritengono giunto il momento di confermare con un Patto solenne gli stretti legami di amicizia e di solidarietà che esistono fra l’Italia fascista e la Germania nazionalsocialista. Il popolo italiano e il popolo tedesco, strettamente legati tra loro dalla profonda affinità delle loro concezioni di vita e dalla completa solidarietà dei loro interessi, sono decisi a procedere, anche in avvenire, l’uno a fianco dell’altro e con le forze unite per la sicurezza del loro spazio vitale e per il mantenimento della pace. Su questa via indicata dalla storia, l’Italia e la Germania intendono, in mezzo a un mondo inquieto e in dissoluzione, adempiere al loro compito di assicurare le basi della civiltà europea.

    Sua Maestà il Re d’Italia e di Albania, Imperatore d’Etiopia: Il Ministro degli Affari Esteri Conte Galeazzo Ciano di Cortellazzo (Italia), Il Cancelliere del Reich Tedesco; Joachim von Ribbentrop (Germania)

    Art. 1. - Le Parti contraenti si manterranno permanentemente in contatto allo scopo di intendersi su tutte le questioni relative ai loro interessi comuni o alla situazione generale europea.

    Art. 2. - Qualora gli interessi comuni delle Parti contraenti dovessero esser messi in pericolo da avvenimenti internazionali di qualsiasi natura, esse entreranno senza indugio in consultazione sulle misure da prendersi per la tutela di questi loro interessi. Qualora la sicurezza o altri interessi vitali di una delle Parti contraenti dovessero essere minacciati dall’esterno, l’altra Parte contraente darà alla Parte minacciata il suo pieno appoggio politico e diplomatico allo scopo di eliminare questa minaccia.

    Art. 3. - Se, malgrado i desideri e le speranze delle Parti contraenti, dovesse accadere che una di esse venisse a essere impegnata in complicazioni belliche con un’altra o con altre Potenze, l’altra Parte contraente si porrà immediatamente come alleata al suo fianco e la sosterrà con tutte le sue forze militari, per terra, per mare e nell’aria.

    Art. 4. - Allo scopo di assicurare per il caso previsto la rapida applicazione degli obblighi di alleanza assunti coll’articolo 3, i membri delle due Parti contraenti approfondiranno maggiormente la loro collaborazione nel campo militare e nel campo dell’economia di guerra. Analogamente i due Governi si terranno costantemente in contatto per l’adozione delle altre misure necessarie all’applicazione pratica delle disposizioni del presente Patto. I due Governi costituiranno, agli scopi indicati nei summenzionati paragrafi 1 e 2, Commissioni permanenti che saranno poste sotto la direzione dei due ministri degli Affari esteri.

    Art. 5. - Le Parti contraenti si obbligano fin da ora, nel caso di una guerra condotta insieme, a non concludere armistizi e paci se non di pieno accordo fra loro.

    Art. 6. - Le due Parti contraenti, consapevoli dell’importanza delle loro relazioni comuni colle Potenze loro amiche, sono decise a mantenere e a sviluppare di comune accordo anche in avvenire queste relazioni, in armonia cogli interessi concordati che le legano a queste Potenze.

    Art. 7. - Questo Patto entra in vigore immediatamente al momento della firma. Le due parti contraenti sono d’accordo nello stabilire in dieci anni il primo periodo della sua validità. Esse prenderanno accordi in tempo opportuno, prima della scadenza di questo termine, circa il prolungamento della validità del Patto.

    Berlino, lì 22 maggio 1939, Anno XVII dell’Era Fascista.

    ***

    COMANDO V° CORPO D’ARMATA E R. PREFETTURA DEL CARNARO (PER I TERRITORI ANNESSI)

    PROCLAMA ALLE POPOLAZIONI DEL GORSKI KOTAR (TERRITORI ANNESSI ALLA PROVINCIA DEL CARNARO E TERRITORI CROATI COMPRESI ENTRO IL PERIMETRO HRELJN-LIC FERROVIA LIC-DELNICE -BRODNA KUPIN). (LOCALITÀ COMPRESE)

    Considerata la necessità di adottare provvedimenti di carattere eccezionale per il ripristino ed il mantenimento dell’ordine pubblico nei territori predetti

    D I S P O N I A M O

    1) a partire da oggi, nei territori sopradetti: - sono soppresse tutte le tessere di frontiera e qualsiasi permesso di circolazione dei nuovi territori (territori annessi alla provincia del Carnaro); - sono soppresse tutte le autocorriere; - è vietato il movimento con qualsiasi mezzo di locomozione, fra centro abitato e centro abitato; - è vietata la sosta ed il movimento, tranne che nei centri abitati, nello spazio di un chilometro dai due lati delle linee ferroviarie. (Sarà aperto senz’altro il fuoco sui contravventori); - continueranno soltanto i movimenti e i lavori in corso che si svolgano per conto e sotto la protezione dell’Autorità Militare o degli organi di polizia (territori annessi alla provincia del Carnaro); - sono soppresse tutte le comunicazioni telefoniche e postali, urbane ed interurbane.

    2) A partire da oggi nei territori sopradetti, saranno immediatamente passati per le armi: - coloro che faranno comunque atti di ostilità alle autorità e truppe italiane; - coloro che verranno trovati in possesso di armi, munizioni ed esplosivi; - coloro che favoriranno comunque i rivoltosi; - coloro che verranno trovati in possesso di passaporti, carte di identità e lasciapassare falsificati; - i maschi validi che si troveranno in qualsiasi atteggiamento - senza giustificato motivo - nelle zone di combattimento.

    3) A partire da oggi nei territori sopradetti, saranno rasi al suolo: - gli edifizii da cui partiranno offese alle autorità e truppe italiane e croate; - gli edifizii in cui verranno trovate armi, munizioni, esplosivi e materiali bellici; - le abitazioni in cui i proprietari abbiano dato volontariamente ospitalità ai rivoltosi o si siano comunque allontanati (anche in parte) per unirsi ai ribelli.

    Sapendo che fra i rivoltosi si trovano individui che sono stati costretti a seguirli nei boschi, ed altri che si pentono di aver abbandonato le loro case e le loro famiglie, il Prefetto della Provincia del Carnaro e il comandante del V Corpo d’Armata garantiscono salva la vita a coloro che, prima del combattimento, si presentino alle truppe italiane e consegnino loro le armi.

    Le popolazioni che si manterranno tranquille, e che avranno contegno corretto rispetto alle autorità e alle truppe italiane e croate, non avranno nulla a temere, né per le persone, né per i loro beni.

    Addì 15 luglio

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