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Mikedem
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E-book351 pagine4 ore

Mikedem

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Info su questo ebook

La misteriosa sparizione di manufatti risalenti all’antico Egitto induce le forze dell’ordine a riunire una task force di scienziati, per valutare se vi sia un collegamento fra gli eventi e scoprirne i responsabili.
Il consesso è l’occasione per confrontare diversi saperi ed arrivare così ad una serie incredibile di scoperte archeologiche.
Le rivelazioni sono di tale portata da mettere in crisi l’ordine mondiale e condurre l’umanità sull’orlo di un conflitto tra civiltà.
LinguaItaliano
Data di uscita10 gen 2014
ISBN9788868855420
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    Anteprima del libro

    Mikedem - Oreste Chiarion

    ORESTE CHIARION

    MIKEDEM

    al mio papà,

    a Paola

    che ha passeggiato intorno allo scarabeo

    e a Rita

    che così è arrivata.

    "Carissimi telespettatori, immagino il legittimo stupore nel vedere il vostro inviato preferito, qui nella fredda Vancouver, con una antica statuetta egizia tra le mani. Ebbene, pare che oggi la leggendaria maledizione di Tutankhamon sia tornata e abbia colpito proprio qui, nella capitale della Columbia Britannica.

    L’interminabile sequenza di eventi infausti legati alla scoperta della tomba del faraone della diciottesima dinastia, universalmente nota come la maledizione di Tutankhamon, ebbe inizio nel novembre del 1922 con la morte del canarino dello scopritore della tomba, Howard Carter, divorato da un cobra, che già allora fu interpretato come segno di pessimo presagio. Di lì a poco si verificò una serie di eventi luttuosi, che coinvolse persone in qualche modo collegate alla tomba. Il più noto fra questi fu la morte del finanziatore della spedizione archeologica Lord Carnarvon, che iniziò a sentirsi male, pare, dopo essersi trattenuto a lungo nella tomba. Ebbe inoltre una grande eco la scomparsa del direttore della sezione antichità egizie, che morì nel giorno in cui fece trasferire il corredo funerario del faraone in Inghilterra per una mostra. Risonanza mondiale ebbero anche le vicissitudini che dovettero affrontare lo storico Frayling e il regista della serie televisiva da lui ideata sul faraone ragazzo. In questo caso non si verificò alcuna tragedia, ma gli accidenti furono innumerevoli: dall’avaria all’impianto di illuminazione proprio nel momento dell’apertura di una delle teche che custodivano il tesoro, alla precipitevolissima discesa dell’ascensore con a bordo lo storico ed il regista, arrestata qualche attimo prima dello schianto dal sistema di autobloccaggio, dopo dieci piani di caduta libera.

    Oggi siamo a raccontare l’ultimo episodio di una drammatica sequenza di incidenti che hanno coinvolto, negli ultimi giorni, opere d’arte risalenti al periodo di Tutankhamon, e che ha costretto tutti noi giornalisti a riaccendere i riflettori sulla curiosa ed inquietante maledizione. La ricomparsa della maledizione si è manifestata con i gravi danni causati ad importanti monumenti e ad alcuni reperti custoditi al Museo Egizio, in occasione della rivolta che ha portato alla caduta del regime. Ancora, una decina di giorni orsono, la perdita del carico di una nave con a bordo una serie di preziosi frammenti di un tempio ha fatto ripensare alla maledizione.

    Fino alla mattinata di oggi, quando la rottura di un cavo d’acciaio ha fatto precipitare una stele granitica dai 25 metri di altezza della gru che la stava movimentando, qui a pochi metri da dove mi trovo, nel porto di Vancouver.

    Il preziosissimo reperto, un pezzo unico per la chiarezza delle iscrizioni geroglifiche che vi erano incise, si trovava in questo luogo per una mostra temporanea. Solamente grazie ad una fortunosa coincidenza non ci sono stati danni alle persone, ma il reperto, come detto, unico nel suo genere, è stato irrimediabilmente danneggiato. Il direttore del museo, proprietario del pezzo, ha affermato che si tratta di una drammatica fatalità, deridendo il cronista che gli ha rammentato il famigerato maleficio che porta il nome del faraone ragazzo.

    Sicuramente avrà ragione il direttore, ma il vostro inviato, che pur non ha mai ceduto alle tentazioni della superstizione, vi assicura che questa sera, andando a casa, sarà molto attento prima di attraversare la strada, non si sa mai che il nefasto anatema si abbatta anche su qualche malcapitato giornalista, che avrebbe come unica colpa quella di avervi raccontato i fatti. E con questo il vostro inviato preferito vi saluta, incrociando le dita, con un quanto mai sentitissimo: arrivederci al prossimo appuntamento".

    La voce ben impostata e il parlato ritmicamente cadenzato del telegiornalista accompagnavano Francesco nel quotidiano rituale della prima colazione. Le tre fette biscottate artigianali erano pronte per essere morbidamente ricoperte dalla sua amatissima marmellata ai fichi, anch’essa di fattura artigianale.

    La stesura di quel tipo di marmellata sulla fragilissima fetta biscottata, a causa della generosa presenza di grandi tranci di frutto, richiedeva cautela ed una certa perizia. L’eccessiva pressione sul coltello avrebbe potuto infatti provocare l’improvvisa irreparabile rottura del fragile supporto.

    L’attenzione dell’uomo era completamente assorbita dalla delicata procedura.

    In quella luminosa mattina di maggio, l’aria già tiepida si faceva largo tra i candidi tendaggi svolazzanti che morbidamente l’accarezzavano e ondeggiando ritmicamente, diffondevano e riflettevano lo sfavillante chiarore primaverile in tutta la stanza.

    Le parole scaturite dalla televisione furono sentite, ma non ascoltate; scivolarono addosso a Francesco come la fresca e rapida acqua di un torrente che in primavera disigilla, lambisce e avvolge i ciottoli, senza smuoverli.

    Mai avrebbe potuto immaginare che quella notizia, così apparentemente leggera, tipica di un’edizione mattutina di un telegiornale estivo, avrebbe potuto cambiare di lì a poco la storia della sua vita e di milioni di altre vite.

    Maledizione di Tutankhamon … sussurrò e sorrise, pensando che si trattasse delle ricorrenti e infondate voci sulla iattura più famosa del mondo.

    L’improvvisa rottura della fetta biscottata lo ridestò. Si accorse che il dubbio lo aveva distratto.

    E se in qualche modo il danneggiamento riguardasse anche reperti importanti? Magari coinvolti nei suoi studi?

    Gli interrogativi si impossessarono di Francesco, che resosi conto dell’ora tarda, procedette con i suoi scanditi appuntamenti mattinali.

    Una volta uscito dalla casa che utilizzava nei giorni in cui si tratteneva nella città piemontese per i suoi impegni universitari, un appartamento al 1° piano di una palazzina all’estremità nord del Parco del Valentino, era solito incamminarsi verso la facoltà, a passo svelto. L’andatura sostenuta gli era necessaria più per mettere in pace la sua coscienza di sedentario impenitente, che per reali esigenze di puntualità. Il tragitto normalmente seguito non era il più breve: subiva una cospicua deviazione che lo portava fino a Piazza San Carlo, dove lo aspettava l’immancabile appuntamento con il calore, il vapore, il rumore e il dolce profumo di paste appena sfornate, al bar Torino.

    Il provvidenziale caffè, perfettamente denso, amaro, morbidamente ricoperto dalla soffice crema color terra di Siena e un paio di gomitate, penitenza inflitta a tutti coloro che quotidianamente tentano di approvvigionarsi del prezioso infuso, fecero pian piano risvegliare il cervello di Francesco. Cominciò in effetti a prendere coscienza del fatto che la notizia che lo aveva così poco interessato durante stesura della marmellata di fichi, poteva essere invece molto importante. Uscì immediatamente dal bar, non senza le normali difficoltà che un simile accumulo di persone comporta, e si incamminò speditamente verso il Dipartimento di Scienze Antropologiche, Archeologiche e Storico Territoriali, ansioso di verificare se quei fatti potessero riguardare opere a lui note o potenziali oggetto di studio.

    Mentre a passo sostenuto, quella volta non tanto per vezzo podistico, percorreva il tragitto che automaticamente lo conduceva al lavoro, ripeteva tra sé le parole dette dal giornalista, per ascoltarle, dopo averle solamente udite. Continuava a ripetersele, per mantenerne intatta la carica emotiva che gli avevano appena suscitato.

    La sua attenzione però prese a concentrarsi sulla locuzione opere d’arte, utilizzata dal giornalista in riferimento ai reperti archeologici.

    Rifletté Francesco sulla opportunità di quella definizione.

    Noi oggi le definiamo così, perché non riuscendo più a coglierne il vero originario significato, percepiamo quasi esclusivamente il fattore esteriore, estetico, la componente manifatturiera. Ma in realtà non si può parlare di opere d’arte. Esse sono, per larga parte, manufatti votivi, intensamente e profondamente intrisi di religiosità. Di quella necessità di trascendenza che ha catalizzato tutte le energie e le risorse di un popolo, di una civiltà avanzatissima e ricchissima. La bellezza artistica era importante, ma non in sé. Essa era un mezzo per aumentare la carica evocativa dei ritratti, delle incisioni, delle parole scolpite nella roccia. Il primario valore di quelle realizzazioni dell’ingegno e del talento umano era quello trascendente. Rituale. Magico.

    Opere d’arte. Condizione necessaria, sebbene naturalmente non sufficiente, per cui un manufatto possa essere ritenuto un’opera d’arte, pensò, è che sia stata concepita come tale da colui che lo ha realizzato. Oppure qualsiasi opera dell’ingegno umano può essere considerata artistica, prescindendo dalla volontà dell’artefice?

    Vale a dire, può essere sufficiente che un manufatto possieda delle caratteristiche tali per cui sia in grado di comunicare delle idee, suscitare delle emozioni o semplicemente essere ritenuto gradevole ai sensi, perché un’opera di un uomo debba essere considerata un’opera d’arte?

    E’ forse necessario che vi sia la volontà di chi l’ha realizzata, ideata, concepita, di avere realizzato, ideato, concepito un’opera d’arte?

    Quando infine gli sovvenne la frase che gli diceva sempre suo padre e cioè che l’arte é tutto ciò che l’uomo crea senza bisogno di un ingegnere, era giunto a destinazione.

    Gli si affiancò uno dei suoi giovani assistenti, al quale si rivolse senza nemmeno un buongiorno:

    l’artista deve essere consapevole di esserlo?.

    Il giovane ricercatore, pronto al fiume di sollecitazioni che abitualmente il professore gli rivolgeva, dimostrò di avere la mente accesa:

    l’opera d’arte è tale se l’artista ne è consapevole realizzatore. Non v’è dubbio, professore

    E’ condizione necessaria, non sufficiente ribatté Francesco.

    Solo necessaria, professore. Deve infatti sussistere anche la condizione che il risultato sia un oggetto in grado di produrre quella misteriosa alchimia di emozione, comunicazione e bellezza si precipitò a completare il giovane, sperando di aver compiaciuto Francesco, che però lo liquidò seccamente:

    Bravo ragazzo, vai ad accendere i computer.

    * * *

    Quella mattina, sulla breve e ripida scalinata di ingresso al Dipartimento, Francesco incontrò Ikhlâs, intento nel suo lavoro di pulizia. Il giovane maghrebino, come usava fare quotidianamente, si premurò di recitare una frase in italiano per far vedere i progressi fatti nell’apprendimento della lingua, grazie agli insegnamenti del professore.

    Ma quella mattina Francesco era particolarmente immerso nei suoi pensieri e, tra opere d’arte e maledizioni risuscitate, non degnò Ikhlâs di uno sguardo.

    Buongiorno signor studente, oggi c’è qualcuno che lo aspetta … cominciò il giovane, sillabando ad alta voce, con un’inconfondibile cadenza nordafricana. Francesco si voltò senza arrestare la sua svelta camminata e lo corresse:

    "la aspetta, Ikhlâs, la non lo. Oppure ti, ti aspetta. Poi, al limite, io sono uno studioso, non uno studente. Lo studente è uno che deve i suoi errori agli insegnanti, lo studioso è perfettamente in grado di sbagliare da solo…" disse e sorridendo soddisfatto, proseguì.

    Ikhlâs, preso dal tentare di capire quello che il professor Malatesta gli aveva appena detto, si dimenticò di riferirgli che due persone, dall’aria un po’ strana, lo avevano cercato e lo stavano aspettando davanti al suo studio.

    Francesco arrivò alla porta dell’ufficio, estrasse le chiavi e non si curò delle due figure che lo stavano osservando da pochi passi. Mentre girava la chiave nella toppa, uno dei due gli si avvicinò e cominciò:

    Professor Malatesta? .

    Francesco interruppe immediatamente la rotazione della chiave mentre si voltava verso chi aveva parlato. Era un signore sulla quarantina, ben vestito e pettinato, con un’aria impettita e con un fisico decisamente robusto, che allungò la destra per offrirgli la stretta di mano. Francesco, dopo un’esitazione per dare un’occhiata anche all’accompagnatore, notò che la mano porta appariva come sincera, con le dita ben aperte, separate e il palmo leggermente rivolto verso l’alto. La strinse.

    Capitano Giuseppe Gallo, piacere, questo – disse indicando l’accompagnatore con un leggero cenno del capo - è il tenente Antico … di nome e di fatto

    si presentò il primo, con un ghigno per niente rassicurante dopo la triste battuta sul cognome del compagno, che in effetti aveva un ché di senescente, forse per la rada chioma precocemente ingrigita che gli celava a stento il cuoio capelluto.

    Siamo del Gruppo Operativo di Tutela Patrimonio Archeologico del Nucleo Polizia Tributaria ed avremmo bisogno di scambiare due parole con lei. Possiamo?

    Nel mentre, con fare deciso, mostrò per un attimo il distintivo e provò ad aprire la porta dello studio, che però era ancora chiusa. Allora Francesco, rallentando volutamente le operazioni di apertura, si prese il tempo per scrutare con curiosità e sospetto i due figuri.

    Voi siete del Nucleo della Polizia, che cosa? Quello che sapevo sulla sparizione del Professor Milano io l’ho già raccontato mille volte, che volete ancora da me!

    Francesco non ne poteva più di dover ripercorrere la dolorosa vicenda della sparizione improvvisa ed inspiegabile del suo maestro e predecessore professor Leonardo Milano. Troppi lunghi interrogatori privi di risultati concreti. Nulla. Il professore sembrò svanito nel nulla. Inghiottito dalla fumosa bruma di una congelata serata torinese.

    Non fece in tempo a completare la sua lamentazione che lo interruppe bruscamente il più grosso dei due:

    Guardia di Finanza! scocciato per l’imbranataggine di Francesco.

    E noi non siamo qui per Milano disse Antico.

    Lei ci deve aiutare riprese il quello che tra i due appariva come il capo, mentre cercava lo spazio per sedersi su una delle due sedie piene di libri, sistemate davanti alla scrivania.

    Francesco non fece spazio agli ospiti. Non avrebbe mai più ritrovato un documento se lo avesse spostato senza l’attenzione dovuta, perché nulla era al suo posto, ma era dove lui lo avrebbe ritrovato. Egli aveva infatti l’abitudine di non riporre alcun documento nella posizione alla quale era destinato. Sosteneva che l’ordine è nemico della qualità, perché chi impegna energie nel mettere ordine, ne sottrae al pensiero creativo. A difesa della sua cattiva abitudine utilizzava il poco convincente argomento sulla sua capacità di sapere esattamente dove si trovasse ogni singolo foglio e di poterlo reperire in caso di necessità in pochi secondi, anche in quel apparente disordine.

    Nei nostri archivi lei risulta come il massimo esperto in materia di antichità egizie ed ora il dottor Antico le spiegherà il motivo della nostra visita.

    Beh di antichità egizie non direi si schernì Francesco, pensando a quanto fosse inappropriato riferirsi ad un archeologo come ad un esperto di antichità, mentre il tenente Antico iniziò, con voce impostata, ma con tono basso da conciliabolo, come se non dovesse farsi sentire da possibili uditori estranei:

    Da qualche mese e con un’impennata di eventi nell’ultimo periodo, molti reperti archeologici, in varie parti del mondo, stanno subendo strani accidenti: improbabili affondamenti di navi, inspiegabili sparizioni, strani danneggiamenti, adesso anche incomprensibili atti di follia da parte di qualche pazzo. Ne è a conoscenza professore?

    No, io, ho solamente sentito che cominciò timoroso e sospettoso, che però fu subito interrotto da Antico:

    I reperti sono tutti o quasi risalenti allo stesso periodo: la Diciottesima Dinastia di sovrani dell’Antico Egitto.

    Ma io non ne so niente si premurò nel giustificarsi Malatesta, intuendo erroneamente una vena inquisitoria nelle parole del tenente, che infatti aggiustò il tiro e riprese:

    Professor Malatesta, mica pensiamo che sia colpa sua. Siamo qui perché lei è sicuramente il massimo esperto al mondo per tutto ciò che riguarda la XVIII Dinastia. Io sono certo che Lei ci può aiutare a trovare un collegamento tra essi, il filo che collega tutti questi eventi. Sino ad oggi, nonostante gli ingenti sforzi congiunti delle polizie archeologiche di vari paesi, non siamo riusciti a trovare nessuna pista investigativa credibile. Secondo noi però esiste una macchinazione dietro questo susseguirsi di eventi apparentemente casuali e noi, con il suo aiuto, vorremo scoprirla.

    … la maledizione di Tutankhamon?

    disse Francesco stringendosi tra le spalle, ma fu subito interrotto dal capitano Gallo:

    Malatesta iniziò con voce ferma, inchiodandolo con lo sguardo e scandendo bene le parole:

    Per favore. Professore. Ci dedichi un po’ del suo tempo.

    Riprese, con voce calma:

    Le metteremo a disposizione tutto ciò di cui ha bisogno: accesso immediato a tutti gli archivi, musei, biblioteche. In ogni parte del mondo. La faremo incontrare con chiunque lei desideri, colleghi, esperti di ogni tipo, di altre discipline.

    Francesco si calmò e intravedendo nella inaspettata proposta del capitano un’opportunità di avere accesso ad alcuni siti in cui, per un normale studioso sarebbe stato difficile anche solo avvicinarsi, si mostrò disponibile. Sollevò lentamente lo sguardo e con aria di sfida chiese:

    "Anche laggiù? Dove c’è una cassa di legno d’acacia, rivestita d’oro e riccamente decorata, con un coperchio d’oro con due cherubini alati, la cui costruzione fu ordinata da Dio a Mosè (¹) e che doveva contenere la manna, la verga di Aronne, le tavole della Legge, i Dieci Comandamenti scritti sulla pietra da Dio e donati a Mosè, sul monte Sinai? Segno visibile della presenza di Dio in mezzo al suo popolo?

    all’Arca? chiese Antico, sottovoce, dopo che mentre l’uomo parlava si era consultato con uno sguardo con il superiore.

    Gallo, non capendo, guardò dritto Antico per farsi spiegare di che cosa stesse parlando. Antico rispose prontamente:

    Ad Axum?

    Bravo tenente disse Francesco proprio ad Axum!

    Mi volete spiegare di cosa state parlando? ordinò Gallo ad Antico, che ligio rispose:

    Il professore chiede se lo possiamo condurre ad Axum, nella cappella che si trova nella città etiope, ove secondo il Patriarca della Chiesa ortodossa d’Etiopia Abuna Pauolos è custodita l’Arca dell’Alleanza. Probabilmente, per varie ragioni storiche, culturali, diplomatiche e politiche, è il sito archeologico più inaccessibile del mondo.

    Malatesta si compiacque per il disagio arrecato ai due ispettori ed avendo notato quell’attimo di esitazione che fa intendere che comunque per la mente dei due è balenata l’idea di valutare la fattibilità della folle richiesta, considerando i possibili sviluppi scientifici di una indagine di quel tipo, decise di aderire.

    Ok, ci sto. - disse - e comunque non mi interessa andare ad Axum. Tanto lì l’Arca lì non c’è!

    Il clima divenne subito disteso e i due militari, dopo un reciproco cenno di intesa, si concentrarono sul da farsi:

    Domattina alle otto in punto l’aspetterà sotto casa sua una delle nostre auto per condurla …

    cominciò il capitano, subito interrotto dallo studioso:

    Potremmo fare alle otto e trenta. Prima avrei da fare

    disse prontamente pensando alla sua imperdibile colazione. Il tenente Gallo acconsentì, stupito e rassegnato.

    Mentre Gallo fece per allontanarsi, Antico si avvicinò a Malatesta con circospezione per non farsi notare dal collega e sottovoce, con l’aria incuriosita di una bambino, gli sussurrò: L’Arca non è ad Axum?

    A-n-t-i-c-o ! Scandì a voce alta Gallo, riprendendo il sottoposto e facendogli chiaramente intendere di seguirlo.

    Francesco, simpaticamente coinvolto dal fare curioso dell’ispettore archeologo, facendo roteare in avanti l’indice della mano destra, gli fece capire che gli avrebbe svelato tutto l’indomani.

    * * *

    Al volante dell’auto che attendeva Malatesta c’era Antico, che dimostrò presto di essere tanto posato e maldestro nel modo di fare, quanto esperto e per niente timoroso alla guida. L’auto infatti scattò appena Francesco chiuse la portiera e proseguì la sua corsa ad una velocità che al posato professore pareva follemente sovradimensionata rispetto alle strade che andava percorrendo. Francesco se ne stava inchiodato al sedile da quella sensazione che si prova quando ci si trova sull’orlo di un precipizio. Mentre Antico, rilassato come un gitante domenicale, ruppe il silenzio, riprendendo il discorso interrotto il giorno precedente:

    Dove eravamo rimasti, professore? Mi stava raccontando ieri che l’Arca non si troverebbe ad Axum …

    Malatesta, sopraffatto dal timore della velocità, non degnò il militare del minimo ascolto, impegnato com’era nel controllare i movimenti del suo corpo, nel vano tentativo di assecondare le traiettorie repentine dell’auto.

    Professore? Non volevo essere indiscreto riprese Antico non avendo ottenuto alcun cenno di risposta dal compagno di viaggio.

    A Francesco uscì, tra i denti serrati, solamente un timido:

    Non è stato affatto indiscreto.

    Come? chiese con naturalezza l’ispettore, che a quel punto notò, voltatosi per un attimo verso il passeggero come si usa fare in normale conversazione tra compagni di viaggio, che era pallido e nervoso.

    Sta bene professore? Vuole che ci fermiamo un attimo?.

    Con un rapido cenno della testa il professore si oppose alla proposta del conducente e riprese a concentrare l’attenzione sulla velocità, che ahilui non accennava a diminuire.

    Antico, vedendo che il passeggero non pareva disponibile a lunghi dialoghi, si fece facilmente prendere dal desiderio di mostrare la sua ampia e appassionata erudizione in materia archeologica e cominciò:

    "Lei sostiene dunque che l’Arca non sarebbe ad Axum … Ma che l’Arca abbia viaggiato verso sud lo crede anche lei, vero? Non mi dica professore che anche lei è tra quelli che credono che i Lemba abbiano ragione!

    I Lemba. Io sinceramente penso che essi vogliano invocare la aliyah solamente per ragioni opportunistiche. La aliyah, la salita. Il diritto alla cittadinanza ebraica agli ebrei di tutto il mondo che vogliono far parte dello stato ebraico. Furbi!

    Ma come è possibile che uno sparuto gruppetto etnico di qualche decina di migliaia di persone, sia partito dalla Terra Promessa e nei secoli sia finito tra Sudafrica e Zimbabwe, ed abbia mantenuto intatte tradizioni e credenze religiose. E poi, mi perdoni la schiettezza, sono neri. Come fanno ad essere ebrei?

    Sì, pare che sia vero che nel loro DNA è scritto qualcosa che lascia intendere che un fondo di verità in quello che tramandano, ci possa essere. Il fatto che i maschi dei Lemba presentino la medesima frequenza della variazione del cromosoma Y dei discendenti della famiglia ebraica dei Cohen, è certamente una cosa da tenere ben presente. Significa che molto probabilmente condividono le origini con la casta dei Cohen, ma ciò non significa che sia certo al cento per cento. E soprattutto non dimostra che siano vere tutte le storie da loro raccontate sulle loro origini ebraiche. Né dimostra alcunché in merito alla veridicità dell’ipotesi secondo la quale l’Arca è stata portata verso sud, magari anche ad Axum, per impedire che il suo potere immenso potesse finire nelle mani sbagliate."

    Mentre Antico sproloquiava a ruota libera, i due giunsero dinanzi ad un cancello, che si stava già aprendo quando la macchina lo imboccò ad una velocità, che mai un automobilista normale si sognerebbe di mantenere in una simile circostanza, nemmeno con un’auto a nolo.

    A Francesco uscì solamente un sibilato, timido e tardivo:

    il cancello.

    L’auto finalmente arrestò la sua corsa frenetica, in un crepitante rumore di ghiaia smossa, davanti ad una bella casa di campagna. Vi erano altre due auto già parcheggiate, assolutamente identiche a quella utilizzata dai due.

    Malatesta, con la sua semplicità, si lasciò scappare la più ordinaria delle interrogazioni:

    Ma dove siamo?.

    Il capitano Gallo, che comparve sull’uscio per fare gli onori di casa, senza degnare di risposta il professore, prima di rivolgergli un caloroso benarrivato, riprese nuovamente Antico, che stava continuando nell’inopportuno bombardamento di parole nei confronti del malcapitato.

    I tre, guidati dal capitano, si addentrarono nella casa, che si presentava accogliente, ben curata, ricca di soprammobili e suppellettili che davano, nel complesso, una connotazione rurale di casa vissuta. Era circa l’ora di pranzo e un gradevole e delicato profumo di cucina avvolse Francesco, contribuendo a rendere l’atmosfera appena più amichevole. O solo meno sinistra.

    I tre giunsero in un ampio salone, con gli scuri socchiusi. Al centro vi era un grande tavolo ovale, sovrastato da un sontuoso lampadario, che concentrava la fiacca illuminazione sulle persone sedute, mentre lasciava in penombra altre due, che stavano in piedi, di poco scostate. Delle tre persone al tavolo, una giovane donna e un signore anziano sembravano notevolmente indispettite e confabulavano fittamente sottovoce, mentre la terza persona era un signore distinto, canuto, non vecchio, con un viso rassicurante e disteso. I due in penombra erano immobili e silenziosi.

    Malatesta accennò ad un timido saluto e fece come per presentarsi, ma venne subito interrotto dall’uomo che era seduto al tavolo. La sua aria sicura ed austera gli dava un ché di importante, ma anche rassicurante; sembrava essere padrone della situazione:

    "Benvenuto professor Malatesta, si accomodi qui vicino a me - disse facendo un cenno di invito verso il giovane professore - . Ora che ci siete tutti posso cominciare. Innanzi tutto permettetemi di procedere con le presentazioni. Il professor Francesco Malatesta, qui alla mia destra, è il più importante egittologo italiano. Egli, se vogliamo, è colui che incarna l’eredità della grande scuola italiana dei Belzoni,

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