Il Giro Del Mondo in 80 Ricette
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Anteprima del libro
Il Giro Del Mondo in 80 Ricette - Irene Cabiati
Ingordo
Tutto cominciò da un’operazione di marketing. L’editore Hetzel era a caccia di uno scrittore che sapesse raccontare le straordinarie avventure del XIX secolo, dalle scoperte geografiche alle strabilianti invenzioni. Pierre Jules Hetzel cercava un precursore di Piero Angela e quando lesse il manoscritto di Cinque settimane in pallone, capì che quell’uomo sarebbe stato Jules Verne.
All’epoca in cui informazione e alfabetizzazione procedevano a grandi passi, per soddisfare la richiesta di sapere occorreva creare il legame fra i due fenomeni, dare impulso alla divulgazione. Su questa direzione Hetzel indicò a Verne la via della celebrità. Era il 1862 e da allora i racconti dello scrittore hanno alimentato la fantasia di milioni di ragazzi, stuzzicato la curiosità di altrettanti adulti, ispirato ricercatori. Il romanziere rende accessibili a tutti i misteri della scienza insaporendoli con buone dosi di avventura. L’invenzione è fantastica ma non impossibile, il confine fra realtà e fantasia è impercettibile. Il canovaccio è vincente, ma così standardizzato che fa dire ai critici che, in fondo, l’autore ha scritto sempre lo stesso libro.
I suoi romanzi pubblicati a puntate divennero l’appuntamento fisso per le famiglie, molte delle quali però preferiva-no aspettare Capodanno quando il racconto completo usciva magnificamente illustrato. È risaputo che Verne si divertiva a immaginare il futuro arricchendolo di invenzioni. Sapeva che «un giorno si volerà con una macchina più pesante dell’aria» e, nella sua Ville idèale, la musica viene trasmessa in contemporanea nelle grandi città. Alle fiere, poi, le macchine producono prosciutti direttamente dai maiali vivi.
Anticipa anche una notevole sensibilità ecologica quando si preoccupa dell’esaurimento delle risorse, della minaccia alle specie animali e vegetali. In Ventimila leghe sotto i mari il fiociniere Ned vorrebbe colpire una balena australe, ma Nemo fa notare che sul Nautilus non c’è bisogno di olio di balena: «Che senso ha cacciare solo per distruggere? ... So che è un diritto concesso all’uomo, ma non amo simili svaghi sanguinari. Così facendo, finiranno con il far sparire dalla terra una classe intera di animali utili».
L’avidità degli uomini provocherà disastri ambientali. Ne Il mondo sottosopra un gruppo di inventori e affaristi pensa di spostare l’asse terrestre per far sciogliere i ghiacci del polo e sfruttare le sottostanti risorse minerarie. Una parte del pianeta verrebbe sommersa, milioni di persone morirebbero. Per fortuna il piano fallisce per un errore di calcolo. L’autore anticipa anche un tema oggi attualissimo: è convinto che la Terra finirà per diventare «nulla più che un freddo cadavere... inabitabile e...deserta come la luna che da gran tempo ha perso il calore vitale». Però ci saranno nuove fonti di energia. L’acqua sarà impiegata come combustibile per fornire luce inesauribile, più luminosa di quella prodotta dal carbone.
Un profeta dunque, che «ha dato ali alla scienza per farla volare». Ma se è vero che la fantasia gli fa attraversare spazi inesplorati, è indiscutibile il fatto che la sua immaginazione è generosamente alimentata dagli eventi dell’epoca, quando le esplorazioni si susseguono al servizio del progresso economico e dell’affermazione borghese.
Le esposizioni universali del 1867 e 1889, anno della costruzione della Torre Eiffel, mettono in vetrina macchine stupefacenti. Si pubblicano resoconti e riviste scientifiche. Il romanziere legge e si aggiorna continuamente. È curioso, avido di novità. «A volte – dice – studio più di quanto lavori» perché è convinto di «intravedere dei sistemi nuovi».
Talvolta si fa coinvolgere dalla politica. Scrive Bernardo Valli: «Aveva due anime, quella prudente, timorata del cittadino rispettoso delle istituzioni e quella dello scrittore lanciato a un galoppo sfrenato nelle giungle e nei deserti della fantasia, spesso dissacrante per i poteri costituiti, privi di immaginazione». Odia la guerra, dimostra sensibilità verso le cause dei popoli oppressi – ma non percepisce ancora le pulsioni della classe operaia – e ha un atteggiamento critico verso la religione. A un certo punto, prende le distanze anche dalla società. Nel suo mondo ideale l’uomo è ancora un esploratore, indomito e incapace di cedere alla disperazione. In Viaggio al centro della Terra il professor Lidenbrock s’infuria: «Gli elementi cospirano contro di me. Ma non cederò affatto, non indietreggerò di un passo e vedremo chi la spunta. Se l’Uomo o la Natura».
Jules Verne, capace di stupirsi di fronte a nuovi mondi e di descrivere accattivanti avventure, non è però un viaggiatore. Un giro in pallone di 24 minuti su Amiens (1873) è il suo spostamento più stravagante. Va in crociera in Scozia (1859), in Norvegia (1861) e in America, sul Great Eastern (1867). Fra i documenti esposti al Museo dedicato allo scrittore ad Amiens, c’è il menu (Collezione Jules Verne, Amiens Métropole) che ha conservato come souvenir durante una tappa in Germania della sua visita in Scandinavia. L’Hôtel de l’Europe il 5 luglio 1861 propone brodo con pasta, bue alla moda, piselli e patate, tinca al burro, insalata, composta, torta di ciliegie, burro e formaggio, dessert.
Alla vita frenetica di Parigi l’autore preferisce la provincia: Auteuil, il villaggio dei pescatori del Crotoy (1870), Amiens. Il viaggio più accattivante per lui è quello della fantasia con Edgar Allan Poe per compagno o a bordo dei suoi magnifici velieri, i Saint Michel, sulle coste frustate dall’Atlantico, in compagnia dell’amato fratello Paul o in Mediterraneo (1878 e 1884). Durante le crociere viene accolto con ammirazione e invitato a cena dal ministro portoghese, ai punch in suo onore a Gilbilterra, dalla Marina britannica e, a Orano, dalla Società di Geografia. A Skikda si intossica mangiando in una lurida locanda prima di essere accolto sul treno del Bey di Tunisi. In Italia viene ricevuto dal prefetto di Roma e dal Papa.
Tanti onori non gli bastano. Non è avido di guadagni. Alla sua morte il New York Times
sottolinea proprio questo aspetto quando intitola Morto Jules Verne, il romanziere che scriveva due libri all’anno per 4000 dollari. Lui vuole un apprezzamento letterario. Non titoli, come quello di cavaliere e poi ufficiale della Legione d’onore: «Sono stato l’ultimo a essere decorato sotto l’Impero – si rammaricava –. Due ore dopo la firma del mio decreto, l’Impero aveva cessato di esistere».
La sua meta è l’Académie française, il riconoscimento delle sue dote artistiche. Purtroppo quell’accesso gli è precluso. Per tutta la vita si è impegnato a creare e migliorare uno stile apprezzato dal pubblico, senza riuscire ad incontrare il favore degli intellettuali del momento. Forse per invidia, visto che vende più di tutti, è l’autore più tradotto e la gente corre a vedere le rappresentazioni delle sue opere a teatro. Il 9 marzo 1886 il nipote Gaston gli spara perché, dice, vuole «rendere noto il suo nome per farlo entrare all’Académie», ma c’è il sospetto che sia un gesto di rabbia perché lo zio gli ha rifiutato un prestito.
La frustrazione è alimentata anche dai sensi di colpa elaborati da giovane quando deluse il padre che lo avrebbe voluto avvocato: «Sarei un cattivo avvocato – gli rispondeva –, perché leggo sempre il lato comico ed artistico della realtà, mai quello serio». Quando riesce a emergere come scrittore non è soddisfatto, si sente imprigionato e si isola. Prova un forte senso di nostalgia verso l’occasione che il destino riserva a Robinson: che bello essere su un’isola e ricominciare tutto da capo, soprattutto con l’aiuto di un fedele servitore. E sulla Luna? «Un rifugio sereno, al di fuori di ogni miseria umana! Come potrebbero viverci bene, calmi e isolati, tutti i misantropi che odiano l’umanità, tutti quelli che detestano