Una notte su Monte Ceceri
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Anteprima del libro
Una notte su Monte Ceceri - Alberto Pestelli
633/1941.
I
Il famosissimo musicista russo Modest Petrovič Musorgskij[1 – vedi note al termine del romanzo] quando compose Una notte su monte Calvo[2]
sicuramente pensò o sognò – secondo il mio parere fu un incubo destato da chissà quale artificio – un’ordalia satanica.
Il risultato? Semplice! Fu un capolavoro unico, tanto che le sue note violente furono prese a prestito dalla Disney per la colonna sonora di Fantasia. Nacque il personaggio Chernabog[3] che fu forse considerato il più cattivo tra i cattivi creati da Walt Disney.
Adesso vi domanderete: ma cosa c’incastra tutto questo discorso con Monte Ceceri? Se avete un attimo di pazienza ci arrivo. Volevo solo fare un paragone un po’ bizzarro... ovvìa, dicevo...
Mi sono sempre chiesto se quella montagna, sua fonte d’ispirazione, il russo l’abbia vista realmente. Magari l’ha pure scalata. Chissà, dovrei consultare la Treccani o la Britannica, ma ho dei seri dubbi a proposito.
Un mio carissimo amico mi disse un giorno, per scherzo e per caso, mentre guardavamo alla tele una tappa del tour de France:
«Osserva il Mont Ventù[4]... la montagna calva e ventosa» – scusate se lo scrivo all’italiana, ma ignoro il francese – «Il musicista russo sarà andato lassù a cercar i su’ diavoli.»
Spinto dalla curiosità e dalla passione per il ciclismo e soprattutto dal fatto che la Provenza era ed è tuttora una delle mète preferite per le mie ferie, qualche tempo dopo visitai il luogo.
Ebbene, come allora anche oggi non mi sognerei mai e poi mai – nemmeno per tutto l’oro del mondo – di trascorrerci una sola notte, sul colle del tour de France.
Cosa che invece feci anni fa lassù su monte Ceceri[5], insieme al mio nonno paterno.
Ceceri? Suona strano questo nome, vero? Ma cosa vuol dire in effetti questa parola? Forse – e credo di esserne sicuro quasi al 91,99 per cento – nemmeno qualche fiesolano della mia età conosce il suo significato e ricorda la ragione per la quale è stato chiamato così questo poggio.
Adesso arrivo al nòcciolo della questione. Sempre che abbiate voglia di ascoltarmi.
Il nonno diceva: «Quando ero giovane, e ‘un mi faceva fatica andar lassù, dai cigni.»
Io non capivo allora. Lo seppi solo dopo aver trascorso – in età matura – quella benedetta notte al capanno diroccato delle vecchie cave di pietra serena[6] che hanno dato tanta fama alla città etrusca dominatrice – dall’alto, ovvio – della città gigliata.
E se da Fiesole si gode uno dei panorami più belli di Firenze, dal Monte dei Cigni[7], oltre al panorama fiorentino, ci si affaccia sulla sottostante vallata, dove si trovano le cave di Maiano.
Proprio dal punto dove il colle scende a precipizio sulla valletta, un bel giorno di qualche secolo fa, un bischero, un certo Zoroastro da Peretola[8] - dove nacque ci hanno fatto pure l’aeroporto di Firenze[9]... chissà se per caso o in memoria sua - si buttò di sotto con delle ali posticce.
Secondo varie dicerie, molti asserirono che nemmeno il leggendario Icaro fece di meglio; il Masini non si avvicinò al sole ma toccò subito la punta d’un leccio secolare rompendosi le gambe[10].
Insomma, per cercare di farla breve – dovete scusarmi ma avete già compreso che sono un gran chiacchierone – monte Ceceri è un luogo ricco di storia, e di storie sia famose sia sconosciute.
Le prime danno prestigio alla città, le seconde sono episodi di vita vissuta da gente comune, lavoratori, donne e uomini umili e spesso maltrattati.
E dalle sue rocce, da secoli se non da millenni, i Fiesolani, prima come Etruschi liberi, poi come Rasenna[11] soggiogati dai Romani ci cavano la pietra serena. Forse è meglio dire cavavano perché ormai è tutto abbandonato. Beh, non proprio. La zona è diventata un parco.
Quella che sto per iniziare è la storia di un cavatore che, per guadagnar di più, faceva anche lo scalpellino. Lui si definiva uno scalpellino fiesolano verace...
. E lo era sul serio. Più che cavarla, nonno amava scolpire, scalpellare, modellare, plasmare la pietra che estraeva dalla cava. Era un vero maestro anche se non era l’unico, ovvio!
Sento dire da qualcuno di voi che da un po’ di tempo tutti discutono di questo nobile e umile mestiere...
Sì, lo so, par che adesso sia di moda parlare degli scalpellini fiesolani. Lo stanno facendo un po’ tutti. Anche un signore caldinese che adesso vive in Francia da tanti anni ha scritto qualcosa su di un vecchio scalpellino che si chiamava Scheggia[12]. Mio nonno lo conosceva di vista e di fama, anche se non hanno mai lavorato insieme.
«Lo Scheggia morì