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Un Etrusco tra i Nuraghes - Volume III
Un Etrusco tra i Nuraghes - Volume III
Un Etrusco tra i Nuraghes - Volume III
E-book256 pagine3 ore

Un Etrusco tra i Nuraghes - Volume III

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Info su questo ebook

Ritorna Alberto Pestelli con questo testo, penultimo di una quadrilogia che vede impegnato il “Clan Fantini” in terra sarda, con casi investigativi le cui indagini ci portano in vari luoghi che l'autore, sardo per parte di madre, conosce molto bene, insieme alla cultura e all'enogastronomia locali. Anche in questi tre nuovi episodi l’autore riesce ad avvolgere e coinvolgere il lettore che, oltre ai casi oggetto di indagine da parte del “Clan Fantini”, si trova immerso nell’unicità e spettacolarità della Sardegna. Il testo, come gli altri della saga, che lo precedono, appare anche come una sorta di manuale geografico dei luoghi minori della Sardegna, quando all'azione si abbinano l'enologia e la gastronomia, che invitano ad approfondire la scoperta di questa terra affascinante.
LinguaItaliano
Data di uscita6 ago 2019
ISBN9788831634410
Un Etrusco tra i Nuraghes - Volume III

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    Anteprima del libro

    Un Etrusco tra i Nuraghes - Volume III - Alberto Pestelli

    proprietà.

    Personaggi del Clan Fantini

    Cosimo Fantini: ex maresciallo maggiore dei Carabinieri in forza al R.I.S. di Cagliari. Fiorentino di nascita, vive in Sardegna da quando aveva una ventina d’anni prestando servizio, dopo la laurea, nel reparto scientifico dei Carabinieri. Andato in pensione a 54 anni di età (con il grado di luogotenente ma preferisce farsi chiamare ancora maresciallo) dopo essere stato vittima di un attentato in Afghanistan, si occupa di giornalismo per una rivista on line di turismo enogastronomico.

    Carmen Mura: infermiera, ex sergente maggiore della Sanità militare. Coinvolta in un attentato in Afghanistan che l’ha resa invalida e in una vicenda risolta da Cosimo, diventa compagna e poi moglie dell’ex maresciallo Fantini.

    Laura Fantini detta Lalla: figlia di Cosimo Fantini avuta dalla prima moglie. È tenente dei carabinieri del Raggruppamento Investigativo Scientifico (R.I.S.) di Cagliari.

    Mariano Cappai: webmaster e giornalista della rivista on line di turismo enogastronomico. È il genero del maresciallo Cosimo Fantini avendone sposata la figlia Laura.

    Anna Ragonese: ex infermiera della sanità militare. Grande amica di Carmen e fidanzata e poi moglie del fratello di quest’ultima.

    Alessio Mura: fratello di Carmen. Già ingegnere informatico, è un ufficiale dei servizi di informazione dell’esercito.

    Michela Mura: sorella maggiore di Carmen e Alessio. Magistrato che lavora presso la procura della Repubblica di Lanusei.

    Alessandro Martinello: Magistrato della procura della Repubblica di Oristano. Grande amico e amante (in seguito compagno di vita) della collega Michela Mura.

    Mariella Marri: appuntato dei carabinieri originaria di Buonconvento (SI) in forza al R.I.S. di Cagliari.

    Fabrizio Brandini: ispettore capo della Polizia. Marito di Mariella Marri trasferitosi a Cagliari insieme alla moglie.

    Paolo Còntini: amico pescivendolo del mercato di San Benedetto di Cagliari di Cosimo Fantini.

    Carlotta Cappai: nipotina del maresciallo Fantini. Figlia di Laura Fantini e di Mariano Cappai.

    Lapo Fantini: figlio del maresciallo Fantini e di Carmen Mura.

    Antonio Ravalli: maresciallo dei servizi d’informazione dell’esercito a Roma.

    Il Generale: è il generale e basta… comandante dei servizi d’informazione dell’esercito italiano e caro amico del maresciallo Fantini.

    Prefazione

    A cura di Carmen Ferrari

    Ritorna Alberto Pestelli con questo testo, penultimo di una quadrilogia che vede impegnato il 'clan' Fantini in terra sarda, con casi investigativi le cui indagini ci portano in vari luoghi che l'autore, sardo per parte di madre, conosce molto bene, insieme alla cultura e all'enogastronomia locali.

    Intanto che la storia, o meglio, i tre casi si snodano nelle loro singolarità, il lettore è avvolto, insieme ai misfatti che il 'clan' Fantini indaga con perizia di particolari, dai paesaggi rocciosi o delle coste, degli stagni o delle campagne deserte, insieme ai personaggi che appaiono sulla scena dei crimini o anche lontano da essi, costringendo a spostare le investigazioni sul continente.

    I Fantini, famiglia allargata, con la loro abilità investigativa, che si avvale dell'aiuto di colleghi delle forze dell'ordine, di magistrati come anche d’informatici, danno al testo un'impronta di saga familiare che scorre nei volumi precedenti e continua anche qui, con un'accurata competenza lessicale in materia di indagini come altresì delle varie declinazioni del dialetto sardo.

    Il lettore si trova immerso nei luoghi, li attraversa con la narrazione tra paesi, strade, sentieri, opere d'arte, castelli, seguendo le indagini dove il racconto procede, a volte molto agilmente, come ne 'La sposa di Quirra', con le rovine del castello, che fu anche aragonese, fulcro dell'indagine, ma sempre, a tratti, con un pathos che avvolge gli eventi con una sequenza incalzante, non priva di colpi di scena.

    Il testo, come gli altri della saga, che lo precedono, appare anche come una sorta di 'manuale geografico' dei luoghi minori della Sardegna, quando all'azione si abbinano l'enologia e la gastronomia, che invitano ad approfondire la scoperta di questa terra affascinante.

    (novembre 2018)

    Carmen Ferrari

    L’ombra dei Giganti e delle Fate

    Il senso morale di una società si misura su ciò che fa per i suoi bambini.

    Dietrich Bonhoeffer

    Goni: i menhir di Pranu Mutteddu

    I

    Sogni o ricordi…

    Omissis…

    La casa degli orchi è sempre buia. Thomas si è lasciato convincere da me che nelle stanze, al piano di sopra, fosse come giù da noi, senza luce.

    A Suzanne, che è una fata, ci credo. Io non ho motivo di dubitare delle sue parole. Se dice che non esiste la luce anche al piano di sopra, anche il mondo intero è al buio… Io sono un gigante, come qualcuno mi ha definito, e i giganti non possono comprendere queste cose. Suzanne dice che non capisco a causa della mia altezza.

    Thomas è così buono e crede a tutto ciò che gli dico… per scherzo!

    A volte ho il dubbio che mia sorella mi prenda in giro. Quando le chiedo se scherza si mette a ridere… forse scherza sul serio.

    Abbiamo una fata per madre e un orco grande e grosso per padre. Lei ci sorride e ci accarezza quando lui non c’è… a volte gioca con noi. Quando lo sente arrivare scappa di sopra altrimenti sono urla di dolore…

    Omissis…

    Entrambi sappiamo di essere fratello e sorella, nati lo stesso giorno. Ma siamo così diversi.

    Lui, Thomas, è grande e grosso.

    Lei, Suzanne, è piccolina, quasi evanescente. Una bellezza diafana come un’antica bambola di porcellana ha detto qualcuno… ma non so che cosa significhi evanescente e diafana e non so chi l’abbia detto… so che cos’è la porcellana: se casca in terra si rompe!

    Mio fratello Thomas è forte per l’età che ha. Purtroppo non so dire quanti anni abbiamo.

    Mia sorella Suzanne tiene la sua forza dentro di sé. La usa solo quando è necessaria. Un poco alla volta, con parsimonia. In quei momenti non la ferma nessuno.

    Lui, anche se ci vede benissimo, brancola spesso nel buio. Io lo tengo per mano e lo guido nel mondo oscuro di questo ampio scantinato.

    Ma, sorellina, non sempre è nero. I raggi del sole, quando riescono a squarciare le nuvole, filtrano attraverso piccole finestrelle. Le ombre spuntano come funghi. A volte orribili a tal punto da rifugiarci nel segreto di un angolo color notte, che ci protegge da tutti i pericoli.

    Sì, è così, Thomas…, però altre volte le ombre sono simpatiche e divertenti. Inseguiamo quelle lame cercando di farci abbagliare e scaldare da quelle luci. E, per non dissipare quel calore, ci sediamo l’una accanto all’altro, stretti in un abbraccio, con il volto rivolto verso la mano del sole, come se fossimo due attori sotto il riflettore sul palcoscenico con un copione ancora tutto da scrivere. Poi ci guardiamo fissi negli occhi, sorridendo, toccandoci la fronte, le guance, il naso, le labbra… Perché dopo tanto buio non si è mai sicuri di come sono fatti i volti e i ricordi. Spesso possono ingannare, se appartengono a un passato lontano. Ma è con il tatto che ci convinciamo.

    Mi ricordo di te…, mi dice Suzanne quando il sole le offre il mio volto.

    Anch’io di te…

    §

    Omissis…

    Adesso abbiamo quattordici anni.

    Thomas ha trovato delle carte. C’è scritta la nostra età. Quattordici anni e ci ricordiamo di entrambi. Ma non siamo gli unici a ricordare.

    Anche l’Orco Gigante si ricorda di Suzanne. Credo che si sia accorto che si è fatta donna. Non riesco a impedire che se lo ricordi spesso…

    Che colpa ne hai, caro Thomas, lui è grande e grosso più di te. È forte. Tu la tua forza l’avrai un giorno e allora tutto si ribalterà… Un tempo c’era la fata, colei che chiamavi per errore Orco femmina. Lei riusciva, quando trovava la forza, ad affrontare la cattiveria di nostro padre. Ma spesso era debole, malata e sola.

    Omissis…

    È scomparsa. Non scende più da noi a portarci il pane, le uova da bere, i biscotti con il latte e a insegnarci a leggere e a scrivere, quando l’Orco Gigante si addormentava sotto gli effetti della birra.

    Non la sentiamo più da molto tempo. Suzanne, ricordi quando cantava? Succedeva raramente che fosse felice. I suoi strilli e le richieste di aiuto erano più frequenti. Spesso accompagnate da parole di rabbia di lui e di dolore di lei.

    Sì, un tempo era un concerto di passi, di oggetti scaraventati per terra e infranti. Come i nostri sogni. Io mi ricordo dei sogni da bambina…

    Adesso sentiamo l’Orco Gigante camminare pesantemente. Ogni passo è uno scricchiolio e uno strusciare continuo sulle assi di legno del pavimento, come se stesse trascinando il suo corpo reso deforme dall’adipe. Non sentiamo mai una voce…

    No, Thomas, ti sbagli… ogni tanto sentiamo l’uomo del latte che chiede di noi e di nostra madre. E l’orco dice: Lei e i gemelli sono andati in Austria… mi hanno lasciato solo…

    §

    Sedici anni… come passa il tempo.

    Omissis…

    Un giorno, nostro padre, l’Orco, è sceso nello scantinato e ci ha costretti a fare un gioco che ha sconvolto Thomas. L’abbiamo guardato in volto. Sembra un vecchio anche se non lo è. Il bere riduce l’essere umano a una poltiglia disgustosa.

    Omissis…

    Si è avvicinato a me. Ho immaginato che volesse incatenarmi al tavolo per potersi occupare meglio di Suzanne. Invece ha incatenato lei dopo averla fatta spogliare. L’Orco Gigante mi ha detto: "Forza tu, dimostra di essere un vero gigante. Prendi tua sorella, la fatina… giocaci!

    È stato quel giorno che ho capito quanto amo mio fratello Thomas. Si era rifiutato di giocare con me… Mio fratello è stato picchiato a sangue da nostro padre. Suzanne è mia sorella gemella, non posso, non posso… non voglio!. A ogni parola di rifiuto erano botte. Nonostante tutto, non si è lasciato sfuggire un lamento. È forte mio fratello. Quando l’Orco se ne è andato l’ho abbracciato, coccolato. Ho baciato le sue ferite. Ci siamo abbracciati nudi perché non avevamo più vestiti da molto tempo. L’ho sentito tremare.

    Suzanne, mentre mi abbracciavi ho sentito il tuo calore. Mi hai donato una nuova vita. Ti giuro che un giorno la pagherà cara.

    §

    Sono passati sette mesi da quel giorno. Nostro padre scende solo per portarci da mangiare. Ha portato anche dei nuovi vestiti. Non gioca più con Suzanne. Aspetta un figlio da lui.

    Omissis…

    Thomas, mi esce l’acqua… il bambino sta nascendo. Aiutami, aiutami, ti prego…

    È nato. Un maschietto. Non respira. Non so come ho fatto ma è venuto fuori. Continua a non respirare. Temo che sia morto. Mia sorella è svenuta. Sento il suo cuore battere. Il cordone ombelicale la unisce ancora con il bambino. Non so che cosa devo fare. Urlo. Chiamo a gran voce nostro padre. Faccio rumore. Ecco, mi ha sentito. Sento la porta blindata aprirsi. Si accende la luce e vedo la sua grossa figura scendere le scale di legno. Vede quel che è successo. Se lo aspettava… prende il bambino. Ormai è morto…, dice. Prende il suo coltello serramanico e taglia il cordone ombelicale. Prende il corpicino del neonato.

    Vado a seppellirlo in giardino…

    Aiuta Suzanne, sta male. Ho paura che muoia, gli dico. Non mi risponde. Allora, d’istinto mi avvicino a lui e lo colpisco alle spalle. Cade il bambino morto per terra. Cade il coltello a serramanico che ha in mano. Lo raccolgo e lo pianto nel suo polpaccio destro. Cade con un gran tonfo per terra. Tenta di rialzarsi ma io sono più veloce di lui. Gli punto il coltello alla gola e gli dico: Dov’è la mamma? Dov’è?. Lui risponde: In giardino…

    Suzanne è sveglia. Ha sentito quello che nostro padre ha detto. Mi vede su di lui con il coltello puntato alla gola.

    Uccidilo, Thomas, uccidilo…

    Gli taglio la gola e lo guardo… lo guardiamo morire. Vedo il suo sangue imbrattarmi la pelle. È morto… ho ucciso l’Orco Gigante.

    Thomas, cerca aiuto… sto male, tanto male.

    Salgo le scale dello scantinato. Non c’è buio come Suzanne mi diceva sempre. C’è luce. Tanta bella luce. Vedo la porta dell’ingresso. È aperta. Fuori c’è il giardino. Un uomo mi vede e mi osserva. È presso il cancello. È aperto. Entra e viene verso di me.

    Tu chi sei, da dove vieni… mi dice.

    Riconosco la voce. È l’uomo del latte. Io gli indico la casa. Non riesco a parlare. Sento il calore del sole sulla mia pelle sporca del sangue di mio padre.

    Ma tu… tu sei Thomas, il figlio di Herbert. Dov’è tuo padre? E tua madre? Dov’è la tua gemella… Suzanne, si chiama così, vero?

    Gli tendo la mano. La prende. Con lui torno in casa. Scendiamo lo scantinato. L’uomo del latte vede la tragedia accaduta qualche minuto prima.

    Aiuta Suzanne, sta tanto male, ti prego…, riesco a mormorare.

    L’uomo del latte risale le scale. Trova un telefono e chiama l’ambulanza e la Polizia. Dopo pochissimo tempo arrivano tutti a sirene spiegate.

    Dei dottori aiutano Suzanne. Adesso è su una portantina. La portano fuori. Io sono accanto a lei che le tengo la mano.

    Un poliziotto tiene in braccio il cadavere del bambino. Sento parlare l’uomo del latte con un signore che ha detto di chiamarsi Commissario. Gli sta consigliando di scavare in giardino. Ha intuito che scavando troverà il corpo di nostra madre.

    Omissis…

    Omissis…

    Thomas, non mi lasciare… non mi lasciare mai… mi supplica Suzanne.

    Qualcuno tenta di staccarmi da lei, ma non ci riesce. Mi lasciano salire sull’ambulanza. Ci porteranno in ospedale. Con noi sale anche una donna poliziotto. Prima che il portellone sia chiuso, getto uno sguardo alla casa, al cielo azzurro e al sole. Dopo dodici anni di vita nelle tenebre siamo ritornati al mondo…

    Una dottoressa accarezza Suzanne. Poi con una garza umida ripulisce il mio volto ancora sporco del sangue dell’Orco Gigante. Ci sorride dolcemente. Dice: Ma dove avete vissuto fino ad ora?

    È bella la voce della dottoressa. Assomiglia un po’ a quella della nostra mamma. Povera la nostra mamma… Non riesco a rispondere. Un groppo alla gola mi impedisce di parlare. Mi copro il volto con le mani e piango. È la prima volta che piango da quando mi strapparono al sole tanti anni fa…

    Suzanne, vincendo la sua paura, riesce a dire poche ma chiare parole: "Là sotto, nella casa delle Fate…

    No, sorellina, adesso è la Tomba del Gigante".

    ---

    Alla cortese attenzione del

    Dottor Giorgio Martinello.

    Estratto della doppia seduta di ipnosi

    a cui sono stati sottoposti i gemelli Pichler

    a un mese dalla loro liberazione.

    II

    Verso una nuova casa

    L’uomo si svegliò di soprassalto. Sentì delle gocce di sudore scivolare dalla fronte. Aprì gli occhi. Improvvisamente la sua testa iniziò a vorticare. Richiuse gli occhi, ma la sensazione che la stanza ruotasse intorno a lui peggiorò. Gli sembrava di dover cadere da un momento all’altro. Si aggrappò con entrambi le mani alla testata del letto matrimoniale. Si stirò. Poi, dopo che ebbe ruotato la testa a destra e a sinistra, la vertigine iniziò a svanire.

    Quando tutto fu passato, riuscì a ragionare con calma, riconducendo l'accaduto alla notte appena trascorsa. In effetti, aveva stentato a chiudere occhio rimanendo sveglio per molte ore. Un brivido gli corse lungo la schiena… conosceva decine di espedienti per rimediare a quell’inconveniente: osservare la proiezione della luce dei lampioni della strada sul soffitto della camera che scemavano d’intensità fino alle prime luci dell’alba. Oppure seguire il lento respiro della sua compagna di vita distesa accanto a lui. Il movimento del torace della donna era un ritmo regolare che lo rilassava e lo appagava dopo una faticosa giornata lavorativa. Di solito funzionava perfettamente. Ancora meglio quando lei gli permetteva di accarezzarle il seno. Ma sapeva che raramente otteneva quella speciale concessione. Quando succedeva, dopo si addormentava prima che il sole iniziasse il suo quotidiano viaggio apparente attorno al mondo.

    Non è naturale…, gli diceva lei, non possiamo… Le mie condizioni non me lo permettono…

    A volte si dimenticavano di quanto era stato scritto nei loro codici genetici e diventavano un uomo e una donna qualunque.

    Lentamente, chiuse e riaprì gli occhi di nuovo. Adesso si sentiva molto meglio. Cercò la donna al suo fianco ma non la trovò. Si era alzata prima del solito. Certo… lei ha dormito senza problemi tutta la notte…, ricordò.

    Era dall’inizio della settimana che si verificavano questi accadimenti. Il rovesciamento dei loro ritmi circadiani voleva dire solo una cosa: era arrivato il tempo di cambiare aria.

    La loro vita era come l’esistenza di una farfalla. Due farfalle nate in uno stesso bozzolo. Quando si trasferivano altrove, tornavano a essere bruchi. Si creavano un involucro esteriore, la crisalide, che gli permetteva di vivere serenamente in una città qualunque. Entrambi erano laureati. La loro intelligenza e voglia di imparare gli aveva permesso di bruciare velocemente ogni tappa. Avevano recuperato quello che avevano perso nella vita. Adesso erano due persone arrivate al traguardo prefissato. Ma non bastava mai.

    Non avevano avuto figli fino a quel giorno. Sin da piccoli erano vissuti l’una per l’altro in una specie di simbiosi all’interno del medesimo nido di seta.

    Durante la notte la crisalide si era lacerata lasciando riaffiorare i ricordi.

    L’uomo si mise a sedere sul letto. Sbadigliò. Aveva ancora sonno. Se non fosse stata l’ora di spiccare il volo, si sarebbe di nuovo messo a dormire.

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