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Le notti bianche + Memorie dal sottosuolo: Ediz. integrali
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Le notti bianche + Memorie dal sottosuolo: Ediz. integrali
E-book282 pagine3 ore

Le notti bianche + Memorie dal sottosuolo: Ediz. integrali

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Info su questo ebook

Le notti bianche” è un racconto giovanile di Dostoevskij, pubblicato nel 1848 sulla rivista “Annali patrii”. Il titolo prende spunto dal periodo estivo dell’anno in cui, nella Russia del nord, il sole tramonta dopo le dieci. Il protagonista è un sognatore romantico, smarrito all’interno della propria vita impalpabile. Gli accade di incontrare, durante una di queste notti, mentre si aggira tra le strade deserte e gli edifici, una ragazza triste e sola, che risveglia in lui l’amore. La narrazione si svolge nell’arco di quattro notti durante le quali i due giovani discorrono immersi ora nel sogno ora nella realtà.
Memorie dal sottosuolo” apparve per la prima volta sulla rivista Epocha (L’epoca) nel 1864. Si tratta di un capolavoro scritto in forma di monologo in cui il protagonista si confessa mettendosi a nudo, spiegandoci cosa sia il “sottosuolo” della propria coscienza corrotta. È un viaggio, in realtà, all’interno della coscienza umana intera. La cosa straordinaria che risulta dalla lettura è che la coscienza dell’uomo di Pietroburgo della seconda metà dell’Ottocento non è poi così differente da quella dell’uomo contemporaneo.
LinguaItaliano
EditoreCrescere
Data di uscita18 mag 2021
ISBN9788883378881
Le notti bianche + Memorie dal sottosuolo: Ediz. integrali

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    Anteprima del libro

    Le notti bianche + Memorie dal sottosuolo - Fëdor Dostoevskij

    Fëdor Dostoevskij

    image 1

    Le notti bianche

    +

    Memorie dal sottosuolo

    Edizioni integrali

    © 2021 LIBRARIA EDITRICE S.r.l.

    CRESCERE Edizioni è un marchio di

    Libraria Editrice S.r.l.

    http://www.edizionicrescere.it

    Tutti i diritti di pubblicazione e riproduzione anche parziali sono riservati

    Per approfondire: Le notti bianche || Memorie dal sottosuolo ed Autore - Link Wikipedia - Wikimedia Foundation Inc.

    A cura di Aleksei Bukowski

    Edizione cartacea disponibile isbn - 9788883379529

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    Indice dei contenuti

    LE NOTTI BIANCHE

    Notte prima

    Notte seconda

    Storia di Nàst’enka

    Notte terza

    Notte quarta

    Mattino

    MEMORIE DAL SOTTOSUOLO

    Parte prima

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    Parte seconda

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    Note

    LE NOTTI BIANCHE

    Romanzo sentimentale

    Le memorie di un sognatore

    ...era forse stato creato

    Per restare anche un attimo soltanto

    Accanto al tuo cuore?

    Ivàn Turgenev

    Notte prima

    Era una notte meravigliosa. Una di quelle notti che forse possono esistere soltanto quando si è giovani, caro lettore. Il cielo era così pieno di stelle e così luminoso che a guardarlo veniva da chiedersi: com’è possibile che sotto un simile cielo ci siano persone tanto colleriche e lunatiche? Anche questa è una domanda da giovani, caro lettore, proprio da giovani… ma che Dio possa farla sorgere più spesso nella tua anima! E parlando di persone lunatiche e colleriche non posso fare a meno di ricordare la mia nobile condotta durante tutta quella giornata. Fin dal mattino ero stato tormentato da un’insolita angoscia. Improvvisamente mi era parso di esser rimasto solo, abbandonato da tutti e che tutti mi evitassero. Ognuno, ovviamente, ha il diritto di chiedermi: ma chi sono questi tutti? Perché sono ormai otto anni che vivo a Pietroburgo e non sono riuscito a fare nemmeno una conoscenza. Ma a cosa mi servirebbe? Anche così conosco l’intera Pietroburgo: ecco perché mi era sembrato che tutti mi abbandonassero quando l’intera Pietroburgo aveva improvvisamente cominciato a fare i bagagli e a partire per la dacia [¹] . Avevo cominciato a temere di rimanere da solo e per tre giorni interi avevo vagato per la città in preda a una profonda malinconia, senza capire che cosa mi stesse accadendo. Sia che andassi sul Nevskj Prospékt [²] , sia che andassi al parco, sia che passeggiassi sul lungofiume non incontravo una sola di quelle persone che mi ero abituato ad incontrare per un anno intero in quegli stessi posti a una determinata ora. Esse, naturalmente, non mi conoscono, ma io le conosco. Io le conosco intimamente; posso dire di aver studiato le loro fisionomie e mi rallegro quando sono contente e mi rattristo quando sono inquiete. Ho quasi fatto amicizia con un vecchietto che incontro ogni santo giorno a una certa ora sulla Fontanka [³] . Ha un aspetto serio e pensieroso e borbotta sempre qualcosa tra sé gesticolando con la mano sinistra, mentre con la destra regge un lungo bastone nodoso con il pomo d’oro. Anch’egli mi ha notato e nutre una certa simpatia per me. Sono certo che se accadesse di non trovarmi a una certa ora allo stesso posto sulla Fontanka, sarebbe preso dalla tristezza. Ecco perché, a volte, siamo sul punto di salutarci, specialmente quando siamo entrambi di buon umore. Poco tempo fa è accaduto che non ci vedessimo per due interi giorni, e quando il terzo c’incontrammo, stavamo già per portare la mano al cappello con un moto di reciproca simpatia, ma ci riprendemmo in tempo abbassando la mano, mentre ci passavamo accanto. Anche le case sono mie conoscenti. Mentre cammino, sembra che ognuna di esse mi corra incontro per la strada, e mi guardi con tutte le sue finestre, quasi per dirmi: «Buongiorno, come va la vostra salute? Anch’io, grazie a Dio, sto bene, e nel mese di maggio mi alzeranno di un piano». Oppure: «Come va la vostra salute? Quanto a me domani inizieranno alcuni lavori di restauro». Oppure ancora: «È mancato poco che prendessi fuoco e ho avuto molta paura!», e così via. Tra di esse ho le mie predilette, le mie amiche intime. Una di esse ha intenzione di farsi curare quest’estate da un architetto. Andrò apposta a trovarla ogni giorno per controllare che, Dio non voglia il contrario, me la curino bene! Ma non dimenticherò mai ciò che accadde a una casetta molto carina di colore rosa chiaro. Era una casetta in pietra molto graziosa e che mi guardava davvero con tanta cordialità; squadrava con aria fiera le sue goffe vicine e il mio cuore si rallegrava ogni volta che mi capitava di passarle davanti. La settimana scorsa, d’un tratto, mi ritrovai a passare per quella strada e non appena alzai lo sguardo sulla mia amica udii un grido straziante: «Mi stanno dipingendo di giallo!». Scellerati! Barbari! Non hanno risparmiato nulla: né le colonne, né i cornicioni, e la mia amica è diventata gialla come un canarino. Ci è mancato poco che in quell’occasione mi venisse un travaso di bile, e fino ad oggi non ho ancora avuto il coraggio di andare a rivedere la mia poveretta sfigurata, dipinta del colore del Celeste Impero [⁴] .

    E così, caro lettore, capisci in che maniera io conosco tutta Pietroburgo.

    Ho già detto com’ero stato torturato dall’inquietudine per tre giorni interi, finché non ne scoprii il motivo. Stavo male per la strada (quello non c’è, quest’altro non c’è, dove è andato a finire quel tale?) e neanche in casa mi sentivo a mio agio. Per due sere mi sforzai di capire che cosa mi mancasse nel mio angoletto e perché mi trovassi così a disagio, e osservavo con perplessità le mie pareti verdi e annerite, il soffitto coperto di ragnatele, allevate con grande cura da Matrëna, e poi esaminavo tutto il mio mobilio e studiavo ogni sedia chiedendomi se per caso non fosse proprio quello il problema (infatti, se nella mia stanza anche una sola sedia non si trova al posto giusto, dove si trovava il giorno prima, io non sono più me stesso), guardavo la finestra, ma tutto invano... non provavo alcun sollievo! Mi saltò pure in testa di chiamare Matrëna e di farle una ramanzina per le ragnatele e, in generale, per la sua trascuratezza; lei, però, si limitò a guardarmi con stupore e poi se ne andò senza dirmi una sola parola, così che le ragnatele sono ancora lì, felicemente al loro posto. Finalmente soltanto stamane ho capito di che si tratta. Dannazione, se ne vanno tutti alla dacia! Perdonate l’espressione poco fine, avevo altro da pensare che allo stile elevato! Perché tutti quelli che si trovavano a Pietroburgo si sono già trasferiti o si preparano a partire per la dacia; perché ai miei occhi ogni rispettabile signore dall’aspetto decoroso, che noleggiava una carrozza, diventava immediatamente un rispettabile padre di famiglia che, dopo aver svolto le sue occupazioni quotidiane, partiva senza bagagli per recarsi in seno alla sua famiglia alla dacia; perché ogni passante aveva un’aria del tutto speciale, con la quale sembrava volesse dire a ogni persona che incontrava: «Noi, signori, siamo qui solo di passaggio, e tra un paio d’ore partiremo per la dacia». Se si apriva una finestra sulla quale prima avevano tamburellato delle piccole dita sottili e bianche come lo zucchero, e si sporgeva la testolina di una graziosa fanciulla che chiamava il fioraio carico di vasi di fiori, subito m’immaginavo che quei fiori venissero comprati non per godere di essi e della primavera nel soffocante appartamento cittadino, bensì per portarli con sé alla dacia, quando tra poco tutti vi si sarebbero trasferiti. Ma non solo: avevo già fatto tali progressi nel mio nuovo, particolare genere di scoperte che ero ormai in grado di stabilire senza errore, dal solo aspetto, in quale località di villeggiatura si trovasse la dacia di ciascuno. Gli abitanti delle isole Kàmennyj e Aptèkarskij oppure della strada di Petergòf [⁵] si distinguevano per la raffinatezza studiata delle maniere, per gli eleganti vestiti estivi e per le stupende carrozze con cui venivano in città. Gli abitanti di Pàgolovo e delle località da quelle parti a prima vista incutevano rispetto per il proprio aspetto decoroso e posato; il frequentatore dell’isola Krestòvskij si distingueva per il suo aspetto imperturbabilmente allegro. Se mi capitava di incontrare una lunga processione di carrettieri che procedevano pigramente con le redini in mano accanto ai loro carri carichi di montagne di mobili di ogni sorta, di tavoli, di sedie, di divani alla turca e non alla turca e di altre carabattole domestiche, in cima alle quali sovente si trovava una cuoca mingherlina che custodiva la roba dei padroni come la pupilla dei propri occhi… se vedevo barche cariche di suppellettili che scivolavano per la Nevà o la Fontanka in direzione di Čërnaja Rečka o delle isole, i carri e le barche si moltiplicavano per dieci, per cento ai miei occhi e mi sembrava che tutti se ne fossero partiti, che tutti si stessero trasferendo alla dacia; mi sembrava che tutta Pietroburgo rischiasse di diventare un vero deserto; allora, alla fine, cominciai a provare un sentimento di vergogna, di offesa e di tristezza. Non avevo alcun luogo verso cui andare, alcun luogo di villeggiatura, né un motivo per andarvi. Sarei stato pronto a partire con qualunque carro, ad andarmene via assieme a qualunque cittadino dall’aspetto rispettabile che avesse noleggiato una carrozza; ma nessuno, proprio nessuno, m’invitò; come se mi avessero dimenticato, come se per loro io fossi stato veramente un estraneo!

    Camminai molto e a lungo, tanto che riuscii a dimenticarmi, come mi capitava spesso, dove fossi, quando mi trovai, a un tratto, nei pressi della barriera del dazio. Di colpo mi sentii allegro, mi avviai oltre la barriera e mi misi a camminare in mezzo ai campi seminati e ai prati senza avvertire la stanchezza, ma sentendo al contrario, con tutto il mio essere, un fardello cadere dalla mia anima. La gente che passava in carrozza mi guardava così affabilmente che davvero sembrava che fossero sul punto di salutarmi; tutti erano così lieti per qualche cosa e tutti, senza esclusione, fumavano il sigaro. E anch’io ero felice come non mi era mai accaduto prima. Era come se a un tratto mi fossi ritrovato in Italia, tanto la natura aveva colpito me, cittadino mezzo malato e quasi soffocato tra le mura della città.

    C’è qualcosa di inesprimibilmente toccante nella nostra natura pietroburghese, quando all’arrivo della primavera rivela d’un tratto tutta la sua potenza, tutte le forze donatele dal cielo, e si riveste sfarzosamente di foglie, si fa variopinta di fiori... In un certo senso mi fa pensare involontariamente a una fanciulla gracile e malaticcia che talvolta si guarda con compassione, talvolta con una sorta di pietoso amore e che talvolta non si nota affatto, ma che all’improvviso, in un attimo, non si sa come, diventa indicibilmente, miracolosamente bella. E noi, colpiti, estasiati, ci chiediamo involontariamente: quale forza ha fatto brillare di un tale fuoco questi occhi tristi e pensosi? Che cosa ha fatto affluire il sangue in queste guance pallide e scavate? Che cosa ha inondato di passione i dolci tratti di quel viso? Per cosa palpita in tal modo questo petto? Che cosa ha fatto affluire improvvisamente la forza, la vita e la bellezza nel volto di quella povera fanciulla, facendolo brillare di un simile sorriso, animandolo di un riso così luminoso e scintillante? Ci si guarda attorno cercando qualcuno, ci si sforza d’indovinare... ma l’attimo passa. E il giorno successivo può capitare di nuovo di trovare lo stesso sguardo pensieroso e distratto di prima, lo stesso volto pallido, la stessa rassegnata timidezza nei movimenti e persino un pentimento, persino le tracce di un’angoscia e di un risentimento che gelano l’anima, per quell’entusiasmo passeggero... E dispiace che sia appassita così in fretta e irrimediabilmente, quella passeggera bellezza, che invano aveva brillato ingannevole dinanzi a noi e dispiace di non aver neanche avuto il tempo d’innamorarsene...

    E tuttavia la mia notte fu migliore della giornata! Ecco come andò.

    Tornai in città assai tardi ed erano già suonate le dieci quando arrivai nei pressi della mia abitazione. Camminavo sulla riva del canale sulla quale a quell’ora non s’incontra anima viva. Devo dire che io abito in una zona molto lontana dal centro della città. Camminavo e cantavo. Infatti, quando sono felice, canticchio qualcosa sottovoce, come fa qualunque persona felice che non abbia né amici, né intimi conoscenti e che quando è contenta non abbia nessuno con cui dividere la propria gioia. A un tratto mi accadde l’avventura più inattesa.

    In disparte, appoggiata al parapetto del canale, si trovava dritta una donna; aveva i gomiti appoggiati sulla ringhiera e fissava molto attentamente l’acqua del canale. Indossava un cappellino giallo assai grazioso e una civettuola mantellina nera. «È una fanciulla», pensai, «e sicuramente una brunetta». Ella parve non udire i miei passi perché non fece alcun movimento quando le passai accanto trattenendo il respiro e col cuore che mi batteva forte. «Strano!», pensai, «probabilmente è assorta in qualche pensiero», e all’improvviso mi fermai come inchiodato al suolo. Avevo appena udito un singhiozzo soffocato. Sì! Non mi ero ingannato: la ragazza piangeva e singhiozzava. Mio Dio! Mi si strinse il cuore. E per quanto io non sia timido con le donne, quello era un momento tale che... Mi voltai, feci un passo verso di lei e avrei certamente detto: «Signora!», se soltanto non avessi saputo che questa esclamazione era stata già pronunciata mille volte in tutti i romanzi russi sul gran mondo. Soltanto questo pensiero mi trattenne. Ma, mentre cercavo altre parole, la fanciulla tornò in sé e si guardò intorno; si ricompose, abbassò gli occhi e mi scivolò accanto proseguendo lungo la riva. Subito la seguii, ma ella indovinò la mia intenzione, allora abbandonò la sponda del canale, attraversò la strada e salì sul marciapiede. Io non osai attraversare la strada. Il mio cuore palpitava come quello di un uccellino catturato. A un tratto, però, il caso mi venne in aiuto.

    Sul marciapiede dirimpetto, non lontano dalla mia fanciulla, comparve improvvisamente un signore in frac, di età rispettabile, mentre non si poteva dire lo stesso della sua andatura. Egli camminava barcollando e appoggiandosi cautamente al muro. La ragazza, al contrario, procedeva diritta come una freccia, frettolosa e timida, come camminano di solito tutte le fanciulle che non vogliono che qualcuno si offra di accompagnarle a casa di notte e, naturalmente, il signore barcollante non l’avrebbe mai raggiunta se il mio destino non gli avesse consigliato di ricorrere a metodi straordinari. All’improvviso, senza dire una parola, il mio signore scattò e si mise a correre all’inseguimento della mia sconosciuta. Lei andava come il vento, ma il signore instabile si avvicinava sempre più, la raggiunse; la fanciulla lanciò un grido e... e io ringrazio il destino per l’eccellente bastone nodoso che in quell’occasione avevo nella mia mano destra. In un attimo fui dall’altra parte della strada, in un attimo l’importuno signore comprese cos’ero pronto a fare, prese in considerazione le conseguenze, tacque, arretrò e solo quando ci trovammo ormai molto lontani cominciò a protestare contro di me in termini molto energici. Le sue parole, però, ci giunsero appena.

    «Datemi il braccio», dissi alla mia sconosciuta, «e non si azzarderà più a darci fastidio». In silenzio lei mi diede il suo braccio ancora tremante per l’agitazione e lo spavento. O signore indesiderato! Come ti ho benedetto in quell’istante! La guardai di sfuggita: era una brunetta assai graziosa, avevo indovinato; sulle sue ciglia nere ancora scintillavano piccole lacrime del suo recente spavento oppure della sua passata pena, non lo so. Ma sulle sue labbra le brillava già un sorriso. Anche lei mi guardò in modo furtivo, arrossì leggermente e abbassò gli occhi.

    «Ecco, vedete, perché prima mi avete respinto? Se ci fossi stato io non sarebbe successo nulla...».

    «Ma io non vi conoscevo: pensavo che anche voi...».

    «Ora forse mi conoscete?».

    «Un pochino. Ecco, ad esempio, perché state tremando?».

    «Oh, voi avete indovinato al primo sguardo!», risposi estasiato per il fatto che la mia fanciulla fosse intelligente: questo non nuoce mai se viene insieme alla bellezza. «Sì, avete indovinato subito con chi avete a che fare. Proprio così, io sono timido con le donne e mi agito, non lo nego, non meno di quanto lo eravate voi un momento fa quando quel signore vi ha spaventata... Ora provo una specie di paura. Mi sembra un sogno, mentre io neppure in sogno mi sarei mai immaginato che un giorno avrei parlato con una donna».

    «Come? Davvero?».

    «Sì, se il mio braccio trema è perché mai finora è stato stretto da un braccio così grazioso e sottile come il vostro. Mi sono completamente disabituato alle donne, anzi non sono mai stato abituato a loro; vivo solo, infatti... Non so neppure come si parli con loro. Ecco, anche adesso non so se per caso ho detto qualche sciocchezza. Ditemelo sinceramente, vi avverto: non sono permaloso...».

    «No, per nulla, per nulla; al contrario. E se volete che sia sincera, vi dirò che alle donne piace questa timidezza; se poi volete sapere anche di più, vi dirò che essa piace anche a me e che non vi manderò via finché non saremo giunti fino a casa mia».

    «Se dite così, allora…», cominciai a dire mentre l’entusiasmo mi lasciava senza fiato, «smetterò subito di esser timido e… addio a tutte le mie strategie!».

    «Strategie? Quali strategie, a che scopo? Ecco, questo è di cattivo gusto».

    «Perdonatemi, non lo farò più, mi è sfuggito; ma come volete che in un momento come questo non vi sia in me il desiderio...».

    «Di piacermi, forse?».

    «Ebbene, sì; ma siate buona, per l’amor di Dio, siate buona. Giudicate un po’ chi sono io! Ho già ventisei anni e non ho mai conosciuto nessuno. Come potrei mai parlar bene, con disinvoltura e a proposito? Sarà più conveniente anche per voi se tutto si svolgerà con franchezza e apertamente... Io non sono capace di tacere quando in me parla il cuore. Ma non importa... Credetemi, neanche una donna, mai, mai! Neppure una conoscenza! E ogni giorno non faccio che sognare che finalmente una volta incontrerò qualcuno. Ah, se solo sapeste quante volte mi sono innamorato in questo modo!».

    «Ma come, dunque? Di chi?».

    «Di nessuno, di un ideale, di colei che appare in sogno. Nei miei sogni costruisco intere storie d’amore. Oh, voi non mi conoscete! Certo, non se ne può fare a meno, di sognare. Ho incontrato due o tre donne, ma che razza di donne erano

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