Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Ti sento
Ti sento
Ti sento
E-book589 pagine8 ore

Ti sento

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Primo volume della trilogia sugli Angeli di Cassidy McCormack

Alessandro ha ventitrè anni.
Quando lo studio e il lavoro glielo concedono, da qualche anno si ferma a scrivere una sorta di promemoria. Alessandro non è uno scrittore, non vuole neanche diventarlo, scrive solo per dimenticare.
Alessandro ha un passato turbolento alle spalle, i suoi incubi sono intrisi di un sangue che neanche le lacrime sono riusciti a lavare via dalla sua anima ferita. È convinto che la Vendetta sia l'unica soluzione.
Alessandro è consapevole del fatto che la propria famiglia è la causa del suo dolore. Farne parte è la sua unica colpa.
Infatti, Alessandro non è un ragazzo come gli altri. Per diritto di nascita è costretto a vivere realtà che un uomo comune non riuscirebbe ad immaginare neanche con la più fervida delle fantasie, perchè lui è un Angelo della Morte, un nocchiero di anime, e non è mai prudente, per un mortale, sfidare la morte.
LinguaItaliano
Data di uscita8 feb 2013
ISBN9788891104229
Ti sento

Leggi altro di Cassidy Mc Cormack

Correlato a Ti sento

Ebook correlati

Fantasy per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Ti sento

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Ti sento - Cassidy McCormack

    CASSIDY McCORMACK

    TI SENTO

    TI SENTO

    di Cassidy McCormack

    Copyright 2011 – Cassidy McCormack

    Copyright © 2013

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE)

    info@youcanprint.it

    www.youcanprint.it

    Titolo | Ti sento

    Autore | Cassidy McCormack

    Copertina a cura dell’autore

    ISBN | 9788891104229

    Prima edizione digitale 2013

    Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.

    A Riccardo Martino

    con immensa gratitudine

    1

    2010

    Non c’è niente di peggio di un telefono che si ostina a squillare ogni giorno alle sei. Scherzo beffardo e crudele di chi al mattino non ha di meglio da fare che interrompere il sonno altrui.

    Dovrò decidermi a cambiare la suoneria del cellulare, questa canzone ormai non la passano neanche più alla radio.

    Sì, sì, ho sentito, adesso mi alzo. Dammi solo un altro minuto.

    Ma dove ho messo gli occhiali? Sono certo di averli visti sul comodino ieri sera, dietro la videocamera. Che li abbia fatti cadere mentre dormivo? Diamo una sbirciata sotto il letto, non si sa mai. Ah, ecco dove sono finite le sigarette. Dio, quanta polvere qua sotto. Devo proprio prendermi un po’ di tempo per dare una pulita qua dentro.

    Sì, sì, adesso scendo, smettila di rompere! Che strazio che sei.

    Ma dove diamine sono finiti i miei occhiali?

    Brrr!

    Voglio la moquette. Voglio la moquette.

    Eccoti birbante! Volevi giocare a nascondino stamattina? Pessima idea, basto già io per fare ritardo.

    Beh, adesso va decisamente meglio. Questa luce mi acceca.

    Aggiungere alla lista: cambiare tende di mamma. Quel giallino è troppo femminile.

    A proposito, dovrei proprio passare a vedere come sta, è da un po’ che non la sento.

    Chissà se si è ricordata del vaccino, c’era il richiamo la settimana scorsa.

    Mi sa che non faccio in tempo a fare una doccia. Stavolta mi ammazza davvero, ho un ritardo mostruoso.

    Ha smesso di chiamare, brutto segno.

    Ha ragione mia madre: devo smetterla di lasciare i vestiti sparsi per casa quando mi spoglio, ci metto ore a ritrovare tutto quello che mi serve.

    Giubbotto o cappotto? Cappotto, non dovrebbe piovere anche oggi. Però così devo cambiare scarpe. Ma sì, minuto più, minuto meno, tanto la ramanzina mi tocca lo stesso.

    Camicia, maglione, jeans, cintura, calzini e scarpe uguali, cappotto, capelli ok, occhiali, portafoglio, cellulare. Mi sembra di avere preso tutto.

    Chiavi, chiavi, chiavi.

    Giusto! In bagno, sul ripiano dello specchio.

    Un’ultima rimirata? Perché no?

    Uff! Ancora?

    << Sto scendendo!>>

    << È da un’ora che aspetto!>>

    Ma che ti strilli? Chi te l’ha chiesto di presentarti a casa mia all’alba? << Scusa, non ho sentito la sveglia.>>

    << Muoviti!>>

    Possibile che sia perennemente incazzato quest’uomo?

    Acc…! Ma dove ho la testa stamattina?  Vabbeh, adesso è tardi per rientrare a prendere il libro di genetica. Tanto l’esame è saltato ormai. Me le sono già giocate le mie tre assenze.

    << Signora Simonelli, buongiorno! Scendo con lei se non le dispiace.>> Che stronza. Sempre con la solita puzza sotto il naso. Mai un cenno, un saluto. Vorrei vedere se faresti ancora tanto la preziosa se sapessi che tuo marito se la fa con la figlia del portiere del palazzo di fronte. Sei piacevole quanto un petardo nel sedere. Fattene una ragione, quell’uomo ti odia. Almeno è quello che dice Sofia.

    Ecco che ho scordato! La sciarpa. Che freddo che fa. Si sta meglio quando piove.

    Mmm, di male in peggio, è furioso.

    << È l’ultima volta che mi fai aspettare così!>>

    Ma rilassati << Buongiorno anche a te.>>

    << Fa’ poco lo spiritoso. Sono in ritardo.>>

    Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto…

    << Che fai lì imbambolato? Muoviti.>>

    Conto fino a dieci prima di risponderti che detesto te e odio questo lavoro, ma non ho voglia di litigare oggi, quindi è meglio che sto zitto <> dai, tira fuori il tuo solito taccuino. Dio! Come sei prevedibile. Sarebbe anche il caso di comprarne uno nuovo, ti pare? I fogli scarseggiano.

    << Tieni!>>

    << Tutto qui?>>

    << Giornata tranquilla oggi? Passi a prenderli tu? Ti aspetto in Agenzia.>>

    << Appuntamento nel primo pomeriggio? Ho la mattina libera quindi.>> ma allora perché cavolo mi hai svegliato a quest’ora?

    << Arriva in ritardo anche stavolta e…>>

    E…? Dai, continua. Tanto ti si legge in faccia che non mi digerisci. Mi stai stressando dal primo giorno in cui ho iniziato questo maledetto lavoro.

    << Ti trovo più bianchiccio del solito, ti senti bene?>>

    Non direi proprio << Ho un po’ freddo!>>

    << Capisco.>>

    No che non capisci.

    << Vai da qualche parte? Vuoi un passaggio in macchina?>>

    E questo che vuole?

    << Alessandro? Non ho tutto il giorno. Vuoi un passaggio o no? Ma che stai guardando?>>

    << Mi è sembrato che quel tipo là giù mi salutasse.>>

    << Lo conosci?>>

    Non mi sembra

    << No.>>

    << Sei certo che ce l’avesse proprio con te?>>

    E mica sono un visionario? Ci siamo solo noi due sul marciapiede, e tu gli dai le spalle. Ergo…

    << Sì.>>

    << Non ci pensare, è solo uno di quelli.>>

    Ah sì, e che vuole da me? Se ne vada per la sua strada

    << Dovrei preoccuparmene? Dovrei fare qualcosa?>>

    << Non dargli importanza. Non ne vale la pena con gente così.>>

    Addirittura!

    << Sì forse hai ragione tu.>>

    << Allora lo vuoi o no questo passaggio?>>

    Chissà dove va con quella fretta?

    << No, grazie, farò due passi fino all’università. Visto che ho la mattina libera vado a lezione.>>

    << Come ti pare.>>

    Oppure no, chissà se…

    << Alessandro?>>

    << Dimmi.>>

    << Stai ancora pensando a quell’uomo?>>

    << Mi ha incuriosito.>>

    << Non fare niente di stupido. Il capo ce l’ha già abbastanza con te per digerire un altro dei tuoi colpi di testa.>>

    E di che ti preoccupi? Cosa potrei mai fare?

    << Vorrei solo sapere chi è.>>

    << Pensa al lavoro piuttosto. E non ti dimenticare l’appuntamento di oggi. Ti sei segnato l’indirizzo?>>

    Uff! È successo una volta sola

    << Sta tranquillo.>>

    << A più tardi allora.>>

    << Non mancherò.>>

    << Non ti dimenticare di passare dall’Ingegnere. Per colpa tua abbiamo dovuto rimandare l’appuntamento di due settimane.>>

    E vattene!

    << Non mancherò ho detto.»

    2

    2010

    Inutile affannarti tanto, caro il mio professor Melluso. Per quanto tu possa mettercela tutta, quest’aula sarà sempre troppo grande per te.

    Se non fosse per il Branco in prima fila - che ti presta qualche attenzione per ottenere un trenta troppo scontato per risultare reale perfino a te – e qualche sadico avventuriero, saresti costretto a decantare la tua scarsa sapienza a duecento posti vuoti.

    Non credere che non l’abbia capito il tuo gioco. Vuoi tenermi incatenato a questo corso perché hai capito che già dal secondo anno ne so molto più di te. Eppure sarai costretto a concedermelo quest’esame prima o poi, ed io non ti darò tregua finché non ti stancherai della mia faccia. Diventerò il tuo incubo ricorrente. Ti sveglierai di notte urlando di non poterne più di me. Non puoi incastrarmi per sempre. Dovrai pur prendere di mira qualcun altro e lasciarmi andare. Tanto io non mollo. Sono paziente, aspetterò.

    Ah, ecco la piccola Denise. Tocca a te oggi la levataccia all’alba per correre a occupare i posti in prima fila per il tuo branco. E brava la piccoletta! Sarebbe anche ora che te li sistemassi quei capelli ogni tanto. Se li sciogliessi poi, non saresti neanche così poco gradevole come sembri ultimamente, nascosta sotto il multistrato di fondotinta che usi per nascondere la pelle bianchiccia che ti eviteresti se ti decidessi a prendere un po’ di sole.

    È la terza volta questa settimana che ti tocca venire ad aprire le porte. Poverina! Dopotutto a te tocca faticare un po’ più delle altre per quel trenta, giusto? Garantirti un posto nel branco per te è come arruffianarti il professore, una ruffiana fra i ruffiani. Se solo curassi un pochino di più il tuo aspetto come un tempo…

    Ammettilo, tesoro, avresti preferito rimanere a letto stamattina. Ma perché non lo fai allora? Ribellati al sistema! Fregatene di perdere il tuo sgabello al bar col professore. Tanto la lode non te la da. Non hai le caratteristiche genetiche fondamentali per questo. Perché mai un insegnante che da fondamento alla sua vita sulla genetica dovrebbe lodare proprio uno scherzo della natura come te? Smettila di studiare per tutti. Pensa a te stessa e abbandona il branco. Sei cento volte migliore di tutti loro messi assieme.

    Guardati, sei talmente attenta ai particolari da non accorgerti del mondo che ti vive intorno. Non potresti vedermi neanche se lo volessi davvero. Anche se continuassi a fissarti per le prossime due ore, tu continueresti a non accorgerti di me. Potremmo essere io e te soltanto in quest’aula oggi, potrei sedermi accanto a te - a uno dei posti che hai occupato con i fogli pieni dei tuoi appunti disordinati - e tu continueresti a non vedermi. E perché mai dovresti farlo? Sono anni che entri in aula senza concedere il tuo sguardo a niente che non sia un blocco per appunti, uno schermo di tela bianca per i lucidi o la faccia di uno qualunque dei professori. Sei patetica. Non so come facessi a ritenerti interessante l’anno scorso. Sembravi così diversa, così poco scontata. Ora sei banale, proprio il requisito che si richiede per far parte del Branco. Hai fatto presto a conformarti al gruppo, a impararne il linguaggio, le leggi.

    Che delusione vedere una mente così brillante offuscata dall’umiliazione. Non vince sempre il più forte, Denise. A volte – anche se devo ammettere che succede molto di rado – il più forte perde perché è troppo convinto che non possa accadere, e il perfido Ivan riesce a individuare lo spiraglio di luce dove poter puntare il proiettile della propria fionda.

    Tu non sei Golia, Denise, tu potresti mangiartelo vivo quel furbacchione di Ivan, ma allora perché sei ancora lì a fare la schiava?

    Ah, certo. Che sciocco! Quasi dimenticavo. Eccolo che si fa avanti con tutti gli altri, il tuo Adone. Marco Tosti, che di tosto ha soltanto il nome. Dì un po’, li hai ancora i segni della nostra ultima scazzottata. Non fai più lo strafottente quando te le suonano, non è vero? Peccato che i tuoi amici non abbiano potuto vedere come incassi bene. Eppure non credere che sia finita, ho ancora un conto in sospeso con te.

    Ma come fa a piacerti quella specie di sorcio, Denise. Perché continui a volerti così male? Per lui sei invisibile tanto quanto lo sono io per te. Non gli importa niente degli appunti che gli passi, dei favori che gli fai. Uno così non ha occhi che per se stesso. Come fai a non accorgertene? Che rabbia che mi fai!

    E questo qui che vuole? Va a sederti da un’altra parte. Ci sono centinaia di posti liberi davanti. Non l’hai notato che è dall’inizio dei corsi che qui dietro ci sto solo io? Ma… aspetta un attimo, tu non sei uno di noi. È la prima volta che ti vedo. Hai accompagnato qualcuno e vuoi startene qui ad aspettarlo in disparte? Hai l’aria sveglia, che ci fai qui, va a farti un giro. Non sprecare due ore della tua vita qui dentro, non ne vale la pena. Stai pensando alla mia proposta, vero? Ti mordicchi il labbro inferiore, pensieroso sul da farsi. Beh, te lo dico io cosa devi fare: vattene. Fuggi finché sei in tempo. Tanto fra due ore la ritroverai di nuovo lì seduta. Non la mangia nessuno. Va pure tranquillo, amico. Qui dentro solo la noia potrebbe farle del male.

    Ehi! Ma dove sei finita? Mi distraggo un istante e mi sparisci così? Non è per niente gentile da parte tua. Vediamo un po’! Il resto del Branco è tutto ai propri posti, solo il tuo è vuoto, anche se sulla sedia hai lasciato la Gucci nuova, regalo di papà per il compleanno della settimana scorsa. Com’eri tenera quando la sventolavi davanti alle altre ruffiane. Per una settimana l’hai protetta con fare maniacale, quasi fosse il più debole della cucciolata di accessori costosi piovuti per il tuo giorno speciale. Se l’hai abbandonata così significa che non sei lontana o che è diventata grande abbastanza da permetterti di occuparti di un nuovo nato. So che puoi tenerla d’occhio in qualunque momento, ma allora dove sei? Perché non riesco a vederti? Cosa è successo di tanto importante da costringerti ad abbassare la guardia sulla cucciolata? Forse il fatto che sia accanto a Marco ti rende stupidamente più tranquilla. Non riusciresti mai a credere che quel sorcio non alzerebbe un dito per salvarla, vero? Eppure è così, te l’assicuro.

    Mmm… c’è un movimento strano nell’aria. Cosa mi sono perso? Perché Melluso non ha ancora iniziato a dare sfoggio alla sua mediocrità? Non si aspetterà mica che arrivi qualcun altro? Ci vorrebbe un intervento divino per questo.

    No! C’è dell’altro, ne sono certo. C’è qualcosa che non va, ma che cosa?

    Ah, ecco dov’eri finita? Cosa sono tutti quei fogli?

    Ohhh! Ma certo. Che stupido! È la solita verifica a sorpresa. Come ho fatto a non arrivarci prima? Ho fatto proprio bene a venire oggi. Mi farò due risate.

    Guarda che occhi strabuzzati? Poveri novellini. Non immaginate neanche che da questa prova dipenderà tutto il vostro futuro. Avrei potuto avvertirvi all’inizio del corso. Informarvi che chi non supera questa verifica diventerà l’ennesimo nome sulla lista nera di quel maledetto. Quando toccò a me, nessuno si premurò di farmi notare questo insignificante particolare, quindi perché per voi dovrebbe essere diverso? Sono certo che rivedrò molte delle vostre facce al prossimo giro. Si da sempre una seconda possibilità. Sono proprio curioso di stare a vedere chi sarà di voi a resistere per più di due anni prima di mollare.

    Ti senti più sicura ora che sei tornata al tuo posto accanto a lui, vero? Non sembri minimamente preoccupata. E perché dovresti? Di certo voi del Branco eravate al corrente di questo colpo basso da settimane. Avrei dovuto accorgermene quando ti ha fatto posto accanto a sé. Ti concede l’onore solo quando in giro c’è puzza di verifiche.

    Continuo a non capire come fai a non vedere. Come fa a piacerti uno così? Non lo fai solo perché è un bel ragazzo, altrimenti noteresti me, che non passo di certo inosservato. Lo fai per i soldi? Lo fai perché sarebbe perfetto da presentare a mamma e papà?

    Che rabbia mi fai! Sciocca e arrivista.

    Ah! Ben ti sta. Ora ti tocca anche distribuire i compiti. Ti piace proprio il tuo ruolo di maggiordomo del Branco, vero? Poco ti importa se non avrai mai il loro rispetto. Ti basta farne parte e fare contento papà.

    Ti muovi fra i banchi e quasi sembri un fantasma. Sei dimagrita? Non me ne ero accorto, avvolta come sei in tutti quei vestiti sempre di un paio di taglie più grandi. A che cosa ti serve sfoggiare tutte quelle marche se non sei in grado di indossarle? È solo uno spreco di soldi. L’antitesi del buon gusto.

    Finito? Sembri sempre un po’ sperduta quando ti guardi intorno a quel modo. Come se non passassi quattro ore della tua vita in quest’aula quasi tutti i giorni da almeno due anni. Ti riscopri a guardarla ogni volta come se fosse la prima, cogli nuovi dettagli che prima ti erano sembrati insignificanti e li aggiungi al quadro della tua visuale contorta della realtà che ti circonda.

    E adesso che fai? Non ti sei mai spinta con lo sguardo oltre la settima fila. Cos’è che ti turba? Ti senti osservata da me? Non sarebbe la prima volta. Perché oggi è diverso allora?

    Ehi! Ma mi stai fissando davvero. O c’è qualcos’altro qui dietro che cattura la tua attenzione? No no, è proprio me che guardi adesso. Che c’è piccola? Tutto il mondo non ti basta? La BMW nuova non ti basta? Che te ne fai di uno come me?

    Sì, è proprio me che guardi. Sorridi al mio sorriso.

    Oh, no tesoro, non ho bisogno del compito io. Sono già stato marchiato da tempo. Potrei farlo a occhi chiusi ormai, potrei essere impeccabile, e non servirebbe a niente.

    Che strano! È la prima volta che oltrepassi il confine. Sta attenta! Il Branco potrebbe avvertire l’odore del nemico su dite e non riaccettarti nel gruppo. Rischi grosso continuando ad avvicinarti così. Torna da loro, è meglio per tutti.

    Che ti prende? Ti piacciono così tanto i miei occhi? È la prima volta che ti soffermi a fissare qualcuno negli occhi così a lungo, così sfrontatamente. Smettila! Mi metti a disagio.

    Riesco già a sentire l’aroma del tuo profumo costoso. Smettila di guardarmi. Smettila di guardarmi.

    << Ciao!>>

    Mi parli anche? Allora vuoi giocare. Piccola sfacciatella! << Tutto bene, cara?>>

    << Andrebbe molto meglio se la smettessi di fissarmi.>>

    Ah, ma allora non sono poi così invisibile. Devo ricredermi, non sei così poco attenta come immaginavo. È tutta finzione. Quello che mi sfugge è perché ti fai avanti proprio adesso, dopo tutto questo tempo. << Vorrà dire che mi sforzerò di guardare da un’altra parte se ti infastidisce tanto.>>

    << Sì, mi infastidisce.>>

    E allora perché sorridi ancora?

    << Signorina Marotti! Ritiene che si possa iniziare o ne ha ancora per molto?>>

    Mille grazie prof. Ti devo un caffè.

    << Sì, mi scusi.>>

    Ehi, ma che fai, arrossisci? Quell’impudente ti ha messo in imbarazzo? << Ehi, Denise!>> è un’impressione o ti ho davvero sentita fremere quando le mie dita si sono fermate sulla tua mano ancora poggiata sul foglio del test davanti a me << Mi dispiace tanto.>> sarò sembrato abbastanza sincero?

    Adesso ti ho imbarazzata io però. Non te l’aspettavi vero? Eh no! Non sei abituata a chi ti presti attenzione. Ti mette sempre a disagio.

    3

    2010

    Ha un certo fascino scoprire come l’intera esistenza di qualcuno possa essere influenzata da un dettaglio insignificante come il sorriso di uno sconosciuto.

    Quella mattina avevo fatto tutto proprio come in quell’ultimo anno della mia vita. Avevo brontolato un po’ prima di alzarmi, avevo fatto innervosire Massimo e – come quando non c’era lavoro – ero andato a lezione. Mi ero seduto all’ultima fila di banchi, quella evitata come un morbo contagioso da tutti quelli che prendono l’università un po’ più seriamente di me, che fin dall’inizio mi sono sempre sentito troppo al di sopra di quelle teste vuote per trovarle abbastanza interessanti da desiderare conoscerne qualcuna.

    Ho sempre guardato tutti dall’alto in basso. Lo ammetto. Eppure detesto quelli con la puzza sotto il naso, ma forse solo perché li ritengo inferiori a me.

    Ho scelto una facoltà scientifica perché mio padre insisteva affinché scegliessi Giurisprudenza. È stato un dispetto, ma almeno ho scoperto la mia vera passione: la Medicina.

    Non ho mai avuto alcuna difficoltà rilevante durante il mio corso di studi, mi veniva naturale, quasi studiassi cose che conoscevo già. Avevo meditato di cambiare ateneo la quarta volta che Melluso si rifiutò di farmi passare l’esame, ma – come con mio padre – ho preferito dichiarare guerra e stare a vedere quanto resisterà al mio assedio.

    Senza il suo esame, propedeutico, non posso frequentare i corsi dell’ultimo anno, lui lo sa e gli leggo negli occhi un’ardente soddisfazione ogni volta che incrocia i miei.

    Pezzo di m…. mmm… è meglio se non ci penso.

    Non ho mai saputo a che ora arrivasse in aula. Io di solito mi presento presto, visto che con Massimo tra i piedi, da un anno esco da casa sempre mentre il resto del mondo dorme.

    I cancelli vengono aperti alle 7:30 circa, ed io di solito sono già da mezz’ora in attesa seduto al bar di fronte. Non l’ho mai visto arrivare, eppure tutte le mattine, quando varco la soglia dell’aula lui è già lì, con la sua giacca pesante sullo schienale della sedia, il sigaro in mano, rigorosamente spento, e gli occhiali quasi in equilibrio sulla punta del naso, mentre affonda la testa in uno dei quotidiani in pila nell’angolo alto a sinistra della cattedra. Se ne sta così per ore, storcendo il naso di tanto in tanto a una brutta notizia o liberando una smorfia quasi sempre illeggibile. Le brutte notizie gli fanno venir voglia di fumare, lo si capisce perché tutte le volte che ne legge una, da un’annusata al sigaro fino a quando i tratti del suo viso teso si distendono per riassumere la forma della maschera inespressiva di sempre.

    Di certo è sposato. Il suo abbigliamento è sempre impeccabile. Abiti puliti, camicie stirate. Non credo viva ancora dai suoi. È un uomo piacente dopotutto e gli piacciono troppo le donne per non desiderarne una tutta per sé. Chissà se ha anche dei figli? Non ha ancora l’età per essere mio padre, ma ne ha abbastanza per avere un bambino che va già a scuola. Mi piacerebbe sapere se è uno da foto nel portafoglio.

    Se non fosse che mi disprezza senza motivo, non mi sembrerebbe così sgradevolmente irritante.

    Ma che ti ho fatto? Lasciami andare.

    È da due anni che conosco Denise. Frequentava il corso di chimica generale del primo anno ed io, al secondo, facevo da assistente al Professore. Tenevo i corsi pomeridiani per le esercitazioni in vista dell’esame scritto. Non è mai stata molto socievole. Sceglieva sempre la fila di banchi più vuota per essere certa che nessuno potesse distoglierla dai suoi doveri. Mi vedeva scrivere formule sulla lavagna, ma non mi guardava mai. Mi ascoltava spiegare la lezione, ma non mi sentiva. Viveva in un mondo tutto suo, fatto di appunti, libri, internet. Era capace di seguire i miei logorroici discorsi, prendere appunti e allo stesso tempo cercare approfondimenti sul pc portatile da tremila euro che si portava sempre dietro con noncuranza. Mi aspetto ancora di vederglielo lanciare sul banco come fosse un libro vecchio.

    Mi sforzavo meno allora di capirla che adesso. Nonostante le sue stranezze aveva un modus operandi molto elementare. Ogni suo gesto, anche banale, - o che fatto dai più sarebbe potuto risultare perfino… goffo - era aggraziato, perché spontaneo. Al contrario di adesso, che sembra inadeguata anche nel movimento più spontaneo, come camminare, respirare. Più cerca di sembrare interessante, affascinante, più finisce col diventare ridicola e grossolana.

    All’esame finale capitò con me. Lo scritto era il caos di formule e numeri che avevo sempre immaginato aleggiasse nella sua mente scombinata, ma nei risultati era stata precisa al millesimo. Mi ci volle un pomeriggio intero per capire il ragionamento applicato a ogni singola formula. Una metodica ragionata, non studiata, rese la correzione del compito una battaglia in campo aperto. Non seguiva nessuno dei miei schemi ed io davanti a quel compito mi sentivo come i primi giorni di università, quando cercavo di decifrare gli appunti nella speranza di capire il metodo applicato dal professore per svolgere determinati esercizi.

    Quando il professore mi chiese il giudizio sul suo compito feci un po’ lo stronzo. Mi sentivo poco coinvolto, come il docente che deve esaminare un candidato esterno. Che ci fossi stato o no, in aula in quei tre mesi, a lei non era interessato affatto.

    Dissi che l’esame era più che discreto – non volevo ammettere che fosse perfetto, e sapevo che il professore si fidava troppo di me per andare a controllare – però troppo caotico per una valutazione troppo soddisfacente. Optammo quindi per un ragionevole 27, che sapevo l’avrebbe mandata su tutte le furie. Si sarebbe chiesta dove aveva sbagliato, mandandola in totale confusione per una volta tanto.

    Il giorno dell’orale posò il libretto dal lato della cattedra dov’era seduto il professore. L’occhiataccia che mi lanciò mentre lo faceva era abbastanza chiara da farmi capire che aveva incassato il colpo come speravo.

    Non mi feci nessuno scrupolo neanche in quel caso. Chiesi al professore il permesso di esaminarla io – non avrebbe rifiutato mai di togliersi una di quelle rogne di torno -.

    Quando fu il suo turno, l’occhiataccia si fece più arcigna. Era stata una delle prime ad arrivare in aula, eppure io la chiamai per ultima. Il professore aveva altri due studenti da esaminare, e di solito non prestava attenzione ai miei.

    Si mise seduta con movimento pesante, giurerei d’averla sentita sbuffare. Non c’era la minima paura nei suoi occhi. Mi sfidava la sfacciata. Troppo sicura di sé per avere timore in un esito negativo.

    << Allora, signorina, >> dissi per stuzzicarla ancora << Ha con sé le sue relazioni di laboratorio? Posso vederle?>>

    Senza un attimo di esitazione, tirò fuori dalla sua borsa una cartelletta arancione. Me la porse senza troppi complimenti, ma nel farlo guardò il professore con la coda dell’occhio per assicurarsi che fosse distratto da altro.

    Mossa poco accorta la sua, perché me ne accorsi e sfruttai a mio favore quel briciolo di imbarazzo che sotto sotto covava, dopotutto.

    Mi sporsi leggermente in avanti facendole cenno di avvicinarsi e dissi piano, per non farmi sentire << Ceni con me stasera?>>

    Mi guardò impietrita.

    Io non riuscii a trattenermi dal sorridere divertito dalla sua espressione offesa.

    Fece no con la testa, ma non guardava me. Era troppo attenta a non insospettire il professore.

    Allora mi feci avanti di nuovo per farle capire che volevo parlarle ancora in privato << Perché no?>> stavo per scoppiare a ridere e mi si leggeva in faccia.

    << Non posso.>> sussurrò dopo aver riflettuto troppo per cercare una risposta abbastanza diplomatica da non costarle l’esame.

    << E allora ti boccio.>> dissi con una specie di ghigno.

    Si fece subito indietro facendo rumore con la sedia.

    << Qualcosa non va?>> chiese il professore al mio fianco. Mentre noi ci eravamo persi in quell’innocente preambolo lui aveva già quasi finito di esaminare il suo ultimo studente. Non che gli ci volesse molto, dato che si limitava a giudicare la preparazione di un esaminando con non più di due domande.

    Denise raggelò.

    << Nulla di grave professore!>> risposi << La ragazza è solo un po’ emozionata.>>

    << Su, su, signorina.>> cercò di spronarla << Non la mangia nessuno. Vorrei tornare a casa per ora di cena se non le dispiace.>>

    Arrossì talmente da farmi sentire perfino un po’ in colpa.

    << Su, su, signorina.>> infierii << dopotutto le cose o si sanno o non si sanno. Non ci faccia perdere altro tempo.>>

    Era furente. Imbarazzata e furente. Il mix perfetto per scatenare una crisi di pianto.

    Decisi di affondare il colpo di grazia solo quando sentii la sedia dell’ultimo candidato muoversi all’indietro. Il professore sbuffava mentre sul libretto tracciava con la penna nera un 18 strappato con le pinze.

    << Può andare a casa professore, se crede. Resto io con la signorina. La vedo un po’ agitata, sarebbe un peccato bocciarla solo per questo. Sono quasi certo che in quella testolina c’è molto più di quanto vuole farci vedere.>>

    Senza rispondere, il professore firmò la camicia e raccolse il giaccone dalla sedia accanto. Sbirciò ancora una volta quella tremolante figura sottile incollata alla sedia di fronte a me e, mugugnando qualcosa di incomprensibile, si avviò all’uscita.

    Il 18 stava riordinando le sue cose per andarsene, ma fui costretto a trattenerlo ancora qualche minuto. La mia vendetta era vincolata alla presenza di testimoni.

    << Allora>> dissi cercando di risultare il più odioso possibile << vuole farlo o no quest’esame?>>

    Annuì, nonostante una lacrima sfuggisse al suo controllo bagnandole la guancia. La maschera strafottente che aveva osato sfidarmi era finalmente sparita da quei lineamenti altolocati.

    Sorrisi. Avevo ottenuto quello che volevo. Ero stato carogna abbastanza.

    Il 18 sbuffò dal fondo dell’aula nel quale si era rifugiato ad ascoltare un po’ di musica nell’mp3

    << Mi dispiace.>> mormorai per essere certo che mi sentisse solo lei.

    Scosse la testa nel vano tentativo di recuperare un minimo di dignità.

    <> afferrai un pacco di fazzolettini dalla mia borsa e lo posai sulla cattedra invitandola a prenderne, se ne volesse <<È solo che non riesco a resistere a una sfida. È più forte di me, mi piace vincere.>>

    Continuava a stare in silenzio. Si vedeva lontano un miglio che lottava ferocemente con quel demone interiore che voleva staccarmi la testa a morsi.

    << Se sei pronta possiamo iniziare.>>

    L’esame durò meno del previsto. La sua testa non era poi così caotica quando si trattava di esprimere dei concetti a parole. Provai a prenderla in castagna più di una volta, ma riuscì sempre a farla franca. Era evidente che sapeva di cosa stavamo parlando.

    Avrei voluto rimediare alla carognata dello scritto, ma mi sentii ancora più carogna quando mi accorsi di non poterle dare la lode a causa di quel 27 <>

    Fece spallucce come a dire che non le importava granché, ma io sapevo che non era vero, lo dimostrava la collezione di 30 cum laude sul libretto.

    Nonostante si sforzasse però, la calma durò troppo poco. Appena le riconsegnai il libretto, infatti, si alzò di scatto. Rabbiosa. Se ne accorse perfino il 18 che nel frattempo si era appisolato sulla sedia.

    << Posso provare a parlare col professore.>> dissi << Non è nuovo a questo tipo di eccezioni.>>

    Fu un attimo << Vaffanculo, Alessandro!>>

    Ma come? Conosceva il mio nome? Questa nuova prospettiva mi stupì più di quanto avrei desiderato. Scavalcai la cattedra con un balzo- sotto gli occhi del 18 ancora assonnato - e la afferrai per un braccio per fermarne la corsa verso l’uscita. Sembravo pazzo perfino a me stesso mentre provavo a riesaminare dall’esterno quella mia reazione improvvisa e senza controllo.

    << Non mi toccare!>> strillò adirata.

    In quel momento entrò Salvatore, l’addetto alle pulizie del turno di pomeriggio. Mi guardò in cagnesco prima di indicarmi con la mazza dello spazzolone <>

    Mollai la presa << Certo che sì.>> risposi con lo stesso tono burbero che aveva usato lui.

    Il 18 uscì dall’aula senza badare minimamente a noi. Non lo odiai mai come in quel momento. Avrebbe anche potuto dire la sua, no? Aveva visto com’era andata. Perché scappare in quel modo? Farmi fare la parte del maniaco rientrava nei suoi piani di vendetta per averlo costretto a trattenersi più del dovuto?

    Denise non rispose niente, si limitò a seguire il ragazzo, ma non prima di affondare un’ultima volta il suo sguardo gelido nel mio. Ed effettivamente, per quanto mi sforzi di ricordare, credo proprio che quella fu l’ultima volta che mi guardò. L’ultima prima di quella stramba mattina di metà gennaio. Al contrario di me, che da quel giorno non le tolsi più gli occhi di dosso. Ossessionato d’averla ferita in modo irreparabile.

    4

    2010

    Alle scuse, quella mattina, avrei voluto aggiungere di stare attenta, di non commettere i miei stessi errori, ma dentro di me sapevo che non ne avrebbe avuto bisogno. Mi sforzavo di crederlo almeno. Forse era solo una scusa inconscia per trattenerla ancora un momento lì accanto a me. Il senso di colpa per quanto le avevo fatto mi bruciava dentro, vivo come il primo giorno. Quanto aveva influito il mio crudele comportamento sul suo cambiamento? Ero stato io a trasformarla nell’essere vuoto e frivolo che vedevo allontanarsi da me un passo dopo l’altro, con quell’andatura ondeggiante, incerta, innaturale… che non le apparteneva. Ero stato io a gettarla in pasto al branco? Non avrei mai potuto chiederglielo apertamente senza risvegliare in lei quell’ira furibonda nei miei confronti che l’aveva tenuta così distante in questi ultimi due anni. Però ero curioso di sapere cosa le avesse fatto cambiare idea proprio quel giorno. Cos’era successo?

    Una sbirciatina?

    Che ora fosse istintivamente attratta dalla mia vicinanza era logico come un’addizione elementare. E questo pensiero più che altro mi irritava, ma non come quando vedevo Marco posare le sue zampacce su di lei – troppo certo di ottenere il favore che cercava - era un’irritazione più simile a quella che sentivo quando quel sorcio la ignorava.

    Man mano che i minuti scorrevano verso la fine della seconda ora, cresceva in me l’irritazione per quell’innocente saluto.

    Che cosa l’aveva portata a quella decisione così drastica? Volevo saperlo. Dovevo saperlo. Quel pensiero iniziò a martellarmi la mente, già sovraccarica di preoccupazioni. Mi sentivo un lupo in gabbia. Dovevo fare qualcosa o assecondare le sue scelte? Ma soprattutto, potevo fare qualcosa? Ne sarei stato in grado se avessi voluto?

    Ero stato crudele con lei, lo ammetto, ma lei lo era stata altrettanto, rifiutando le mie scuse per tutto quel tempo. Imponendosi di credere che non esistessi, che fossi invisibile.

    E allora perché aveva improvvisamente deciso di vedermi?

    Dovevo saperlo, o sarei impazzito.

    Ringraziai Melluso per la sua poca pazienza di fronte al tempo perso a far niente. Aveva terminato di leggere i quotidiani che aveva lasciato da parte e i dieci minuti successivi gli parvero tanto interminabili da decidere che il tempo a disposizione per il test era a sufficienza.

    Non potei trattenermi dal ridere di fronte alle facce esterrefatte di chi sperava in un colpo di genio dell’ultimo minuto.

    Lei si voltò, disturbata dalla mia risata sfacciata. Ma era davvero disturbata? Non avrebbe potuto essere qualcos’altro invece? Quell’espressione fredda avrebbe potuto essere il riflesso dell’insoddisfazione, dell’afflizione per non aver terminato il test.

    Certo che avrebbe potuto essere questa la causa, ma non ci credevo abbastanza. Ero più sicuro che avesse terminato già prima dell’inizio della prima ora. Lo doveva al branco, dopotutto. Era lei che aveva la responsabilità di superare gli scritti anche per gli altri.

    Scappa, stupida snob che non sei altro! Continuavo a pensare mentre incrociavo i suoi occhi ancora una volta. Non ridevo più però. Sentivo chiaramente la mia mascella irrigidirsi mentre nella mia testa lottavo tra disgusto e disapprovazione.

    Si alzò Simona per raccogliere i compiti. I suoi movimenti erano molto più aggraziati di quelli di Denise, si vedeva a distanza che non applicava nessuno sforzo in quello che faceva. Era naturale. Naturale come la sua innata superficialità. Tanto superficiale e vuota da sembrare perfino attraente.  Con quelle sue movenze armoniose sarebbe riuscita a incantarmi di nuovo se avesse voluto, e di nuovo mi sarei lasciato chiedere qualsiasi cosa, e privo di ogni volontà l’avrei assecondata, sentendo che era ingiusto non accontentare un esserino così grazioso.

    Forse in questo sono perfino più superficiale di lei. O forse sono solo un essere umano. Un uomo, più precisamente, che freme dal desiderio di far emergere il cavaliere che è in sé per salvare la fanciulla indifesa.

    Credo che fosse questo che mi irritasse davvero di Denise. Irritava e attraeva allo stesso tempo. Lei non sembrava mai indifesa, ed io mi sentivo troppo stupidamente uomo per reprimere il fanatico impulso di possedere qualcosa di delicato e fragile da proteggere per appagare il mio orgoglio maschile.

    Per un breve momento si voltò di nuovo a guardarmi, quasi riuscisse a sentire le mie parole come se le stessi urlando e non soltanto pensando.

    Non sembrava più irritata adesso, piuttosto… incuriosita.

    Accennai un sorriso, pentendomene subito. Però avevo bisogno di una prova. Dovevo essere certo che fossi davvero io l’oggetto della sua attenzione. Forse era stato solo un breve momento il suo. Che male ci sarebbe stato ad ammetterlo? Si cambia idea per molto meno, dopotutto.

    La risposta alle mie domande giunse quando la vidi chiaramente rispondere al mio sorriso.

    Sfacciata come al solito! pensai. A quanto pare mi ero sbagliato ancora. Aveva proprio deciso di tornare a vedermi. Non credo di essermi sentito più inquieto di allora in passato. Sapevo di dover reagire in qualche modo, ma l’unica reazione che continuava ad assecondare i miei sensi era quella di fissarla. Ogni movimento, per quanto impercettibile si imprimeva nella mia mente come un’immagine sul rullo di negativo delle vecchie macchine fotografiche.

    Alzati e vattene! Continuavo a ripetermi mentre - come se avessi altri occhi a disposizione - me ne stavo a guardare la piccola folla di facce sconsolate abbandonare l’aula dalla porta secondaria, quella che da direttamente all’aperto, sull’atrio lastricato interno dell’istituto.

    Con gli altri occhi invece, continuavo a guardare lei. Immobile al suo posto. Il Branco l’aveva lasciata sola, ma per poco. Erano appena le 11:00, troppo presto per riunirsi al bar a pranzare. Forse, semplicemente, non aveva particolare voglia della loro compagnia quel giorno. Dall’alto della mia presuntuosa arroganza giurai che stesse ancora rimuginando sul test.

    L’aula rimase vuota in un lampo. Eravamo rimasti solo noi due. Lei alla prima ed io all’ultima fila di banchi. Non avrei potuto raffigurare meglio per immagini la nostra evidente differenza. Una il perfetto opposto dell’altro. E, come la fisica insegna…

    Inevitabilmente mi sentii attratto dalla mia carica opposta e, prima ancora che riuscissi a realizzare questo concetto nella mia testa, ero già accanto a lei.

    << Disturbo?>> chiesi sperando fortemente in una risposta affermativa.

    E invece mi sorrise.

    Piccola impudente! << Come mai qui tutta sola?>> nonostante tutto sembrava non prestarmi attenzione. La testa china su un blocco per appunti aperto nel centro.

    << Matematica!>> aggiunsi inclinando appena la testa per osservare quale fosse il punto del programma che la impensieriva.

    Esattamente come con la chimica però, anche in questo caso usava metodi tutti suoi per risolvere gli esercizi. Era ancora impossessata dal caos dei suoi ragionamenti.

    Non mi guardava, non parlava, eppure - non mi spiego come - riusciva a prestarmi quel minimo di attenzione che bastava a trattenermi lì.

    << Cosa c’è che non va?>> chiesi ancora, cercando di sembrare disinvolto e il più possibile ambiguo.

    Naturalmente rispose la cosa più ovvia per la domanda più ovvia << C’è un passaggio che proprio non mi torna.>>

    Non era sufficiente, ma per il momento avrei potuto accontentarmi.

    << Permetti?>> chiesi, quasi esitante.

    Spinse il blocco verso di me, che potei chinarmi un poco per esaminare il problema. Scivolò leggermente verso di me col busto. Voleva mostrarmi il passaggio che l’aveva frenata dalla sua corsa per chissà quanti giorni. Nel farlo quasi mi sfiorò, ma la schivai senza che se ne accorgesse. Mi indicò il punto con la gomma un po’ consumata della matita. Mi trovai di nuovo stupidamente in difficoltà. Avevo bisogno di più tempo di quanto immaginassi per decodificare il suo ragionamento contorto. Da lì a un attimo se ne sarebbe accorta anche lei e avrei fatto una pessima figura. Avrebbe preso la mia esitazione per ignoranza e il mio ego ne sarebbe rimasto profondamente ferito.

    Non potevo vedermi, ma ero certo che in quel momento sul mio viso ricomparve il ghigno infastidito di quando mi trovai il suo compito di chimica fra le mani. Le sfilai accanto, un po’ brusco, cercando di mantenere la calma, per quanto possibile.

    Se ne accorse? Se ne accorse, ma ormai era tardi per rimediare. Sulla cattedra del professore c’erano i soliti fogli spazzatura ammonticchiati in un angolo. Ne tirai uno verso di me mentre mi mettevo a sedere. Arraffai nervosamente la penna del blocco delle firme e le chiesi -sperando di sembrare tranquillo e gentile - di dettarmi la traccia dell’esercizio.

    Credevo rimanesse al suo posto a violentarsi il cervello nel tentativo di dimostrare che avrebbe potuto risolverlo anche da sola, invece sentii il rumore della sedia spostarsi e i suoi passi incerti avvicinarsi alla cattedra. Avvicinarsi a me.

    Fece strisciare un’altra sedia accanto alla mia e si mise in ginocchio, in equilibrio sugli avambracci, attenta a osservare la mia mano muoversi nervosa sul foglio di fortuna.

    Curvata com’era, riuscivo a sentire il suo respiro profumato sul viso.

    Allontanati! Allontanati! Continuava a dire la voce nella mia testa. La stessa voce che un attimo prima mi aveva sconsigliato di avvicinarmi.

    Mi voltai appena per osservarla – mi era quasi impossibile averla così vicina e non fissare i particolari, che fino ad allora ero stato costretto a cogliere solo da lontano, ora che ne avevo l’occasione. –

    Quando la guardai era ancora concentrata sull’esercizio, che prendeva piano piano significato sul foglio, ma si accorse che c’era qualcosa di strano quando osservò la mia mano fermarsi senza motivo. 

    Sollevò piano il mento a cercarmi, e mi trovò.

    Riprenditi! Sembri un maniaco. Niente di più vero. Scrollai istintivamente la testa nella speranza di cancellare quell’espressione troppo curiosa sul mio viso.

    Credevo che l’avrei vista ritrarsi, indispettita dal modo morboso in cui l’avevo guardata, invece non si mosse. Era sorpresa, questo sì, imbarazzata

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1