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La strada del principe
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La strada del principe
E-book204 pagine3 ore

La strada del principe

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Info su questo ebook

Cristiano è un uomo normale. Ha un lavoro, una donna che lo ama, passioni che lo accompagnano da tutta la vita. La sua esistenza verrà sconvolta dall’omicidio del suo amico Mario, soprannominato il principe. Per una serie di casualità Cristiano inizierà ad indagare sulla morte del suo amico e in una Cagliari estiva torrida e indifferente, percorrerà la strada del principe tra la poesia dei suoi sogni e la brutalità del potere.
LinguaItaliano
EditoreLogus
Data di uscita16 set 2013
ISBN9788898062379
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    Anteprima del libro

    La strada del principe - Francesco Lamonica

    LA STRADA DEL PRINCIPE

    Versione elettronica Ia edizione, 2013

    © Logus mondi interattivi 2013

    Autori:

    Francesco Lamonica

    Giacomo Loi

    Logus mondi interattivi edizioni

    eBook Design e cover: Pier Luigi Lai

    ISBN 9 7888980 62379

    Contatti:

    Edizioni Logus mondi interattivi

    info@logus.it

    www.logus.it

    In copertina: "Il violinista", 2013

    digitalart di Pier Luigi Lai

    FRANCESCO LAMONICA

    GIACOMO LOI

    LA STRADA DEL PRINCIPE

    EDIZIONI

    PARTE PRIMA

    Il lenzuolo bianco

     La notte avevo appena litigato furiosamente con la mia ragazza. L’avevo accompagnata a casa, sicuro che non l’ avrei rivista per qualche giorno, e subito dopo ero andato a bere con Filippo, il mio amico di sempre, al Poetto, e avevamo parlato solo di calcio e film di Stallone, facendo bene attenzione a non toccare l’argomento donne.

    Verso le tre avevo riaccompagnato Filippo a casa. Faceva caldo quella notte, non c’era un alito di vento, l’alcool anestetizzava la mia rabbia, non avevo voglia di andare a letto così presi a girare in macchina per le strade della Cagliari estiva.

    Mi sono sempre chiesto cosa fa di un uomo un uomo e se penso al ragazzo che ero credo che in fondo in fondo, a parte qualche birra e qualche ragazza che mi hanno fatto pensare ad altro, abbia sempre cercato il modo di rispondere a questa domanda, portandomi dietro tutto quel codice da film western che questo comporta, ma spero non solo questo. E, per quanto questa sia una ricerca individuale, in vita mia, ho avuto la fortuna di vedere e conoscere tante cose e uomini differenti. Ho vissuto situazioni e momenti diversissimi tra loro, con persone diversissime che mi hanno messo spesso di fronte all’evidenza dell’ importanza assoluta nella vita del colpo di culo. Credo che in fondo ai miei trentacinque anni, ai miei studi e al sudore della palestra ci sia sempre stata la voglia di correggere o sfidare l’universalità del colpo di culo e l’ineluttabilità della sfiga.

    Feci tutto l’asse mediano ripensando ai gol di Baggio e a Rocky IV.

    In un barlume di coscienza decisi che era meglio tornare a casa, d’estate la polizia ha il vizio di fare strage di patenti! Non ricordo come ho fatto a parcheggiare, so soltanto che raggiunsi il letto. La finestra era spalancata, ovviamente, e non mi ero ancora deciso a mettere quella cazzo di zanzariera. Ero a letto, steso come una sfinge, mentre in testa mi girava tutto.

    Biondo! Lo sai di chi sei figlio tu?. Mi svegliai di botto, rimasi a fissare il cuscino per un po’, prima di rendermi conto che non ero Tuco sotto la corda dell’impiccato, ma era soltanto la suoneria del cellulare che svelava una mia insana passione per i film di Sergio Leone. Ora, per inciso, non c’è cosa più pesante che essere svegliati, d’estate, in un bagno di sudore, da una telefonata il pomeriggio dopo una sbronza.

    Mario è morto…. La voce di Gegè colpì le mie orecchie come una sassata.

    Il mattone della sbronza del giorno prima si era fatto più pesante e non riuscivo a rendermi conto della gravità di quello che mi veniva detto. Chiusi la chiamata fissando le tegole del palazzo di fronte, dalla finestra.

    Cercai di riordinare le idee, mi passarono in testa la litigata con Sara e le risate con Filippo.

    Il principe è morto!. Mormorai a bassa voce.

    Mi sono seduto sul letto e ho richiamato Gegè immediatamente.

    Mario Fois, per noi della palestra noto il principe. Per me un amico. Per tanti un problema.

    Il lenzuolo era bianco, lo ricordo ancora, era troppo bianco, per il mio mattone, quello che succedeva attorno, per quell’assurda situazione. I poliziotti scavalcavano il cadavere con disinvoltura, senza rispetto, se fosse stato vivo avrebbero girato alla larga. Tutti i ragazzi sui motorini arrivavano a frotte, guardavano a distanza sorpresi. Cuddu cunnu! Mario è morto!.

    La piazza si riempiva di sbirri, le signore lì intorno si affacciavano dalle finestre dei palazzoni, altri correvano lungo i portici.

    Laura seduta dentro una volante. Laura, la conoscevo da una vita, non so quante volte abbiamo riso e scherzato assieme quando eravamo ragazzi, le volevo bene. Ora aveva una faccia persa, fissava il vuoto come una pazza.

    Gegè, appena ero sceso dalla macchina mi era corso incontro, aveva gli occhi gonfi.

    Laura ha ammazzato Mario, davanti a tutti!. Mi disse in lacrime. Gli misi una mano sulla spalla e lo spostai, avevo gli occhi fissi sul lenzuolo steso in terra.

    Posso dire di aver conosciuto degli uomini, ma non credo che abbiano mai seguito completamente le regole dei film western e neanche le linee chiare dei miei libri di testo. Alcuni li ho paragonati a delle canzoni, ma a dire la verità questo mi capita più con le donne, per ovvie ragioni. Altri credo di averli etichettati con termini che ritengo superfluo utilizzare ora. Altri avevano un senso preciso in quello che facevano ed era bello vederli, nell’istante in cui facevano quello che facevano, poi si potevano perdere di vista e non cambiava niente, ma vederli in azione era un vero spettacolo, faceva quadrare le cose per un momento, cose che non quadrano mai e che col tempo uno smette di voler vedere quadrate, direbbe qualcuno, ma non è così. Se ho lasciato un paio di mutande sporche in giro per la stanza e la mia ragazza s’incazza è una cosa che può anche non quadrare, e dipende solo da me e la voglia che ho di sentire la mia compagna sbraitare. Non mi abituerò mai invece a vedere che le cose non quadrano e in mezzo c’è la vita delle persone.

    La casa di Laura era lì da sempre. Suo padre era un pescatore, ci metteva dieci minuti dal porticciolo a casa sua. Vendeva ciò che pescava ogni santo giorno e con quello che pescava ha messo su una famiglia con due figli fuori e la terza, Laura, che ha vissuto con la mamma lo svegliarsi tutti i giorni alle quattro del padre. Il padre morto di cirrosi due anni fa. Laura tirava su i bambini di Mario, con pochi soldi. Mario non c’era mai. Quando c’era litigava con la signora Lina, la mamma di Laura, che da quando era morto suo marito pregava e basta e augurava l’inferno a tutti.

    I carabinieri entravano da tutte le parti, frugavano tra le reti abbandonate e camminavano tra i giochi dei bambini. Io guardavo dalla strada e pensavo che il padre di Laura avrebbe buttato giù tutto il calendario dei santi a vedere i pulotti nella sua bancarella che era proprio come se fosse nel cortiletto di casa sua, tirata su con due tubi innocenti messi in croce e tanta fantasia.

    Le cose che accadono in realtà non hanno protagonisti, sono gli scrittori che hanno inventato le storie e i protagonisti sono solo un artificio letterario. Io non sono uno scrittore e vorrei solo raccontare la verità, quello che è accaduto, alle persone coinvolte e a me. Più di una volta mi sono detto che non c’era niente da fare, nessuno ha interesse ad andare a fondo, a compromettersi. Come spesso capita in questa città in cui tutti sanno tutto di tutti ma si fanno sempre gli affari loro. La maldicenza e il pettegolezzo è uno dei vizi di questa città, uno sport, che vive di se stesso, ma che non colpisce a caso e nasconde sempre bene gli intoccabili, proprio perché non si possono sottrarre alle dicerie, che alla fine diventano maldicenze e poi legge che punisce chi aveva troppo poco da scambiare. E anche se spesso mi sento lontano dalle regole del mondo è così che funziona.

    Avevo parlato con Mario pochi giorni prima, di fronte a una birra, mi ero accorto che stava cagando fuori. Laura gli voleva bene, nonostante tutto, era un coglione, ma gli voleva bene. Non riuscivo a pensare ad altro che a Laura che urla. Sesi unu bagasseri, non pensi ai tuoi figli!.

    Non posso dimenticare gli occhi di Davide. Era fermo di fronte all’ambulanza che portava via il padre, aveva i muscoli tanto tesi che quando l’ho abbracciato per portarlo in macchina sembrava una tavola da surf.

    Laura aveva ammazzato Mario, un colpo di pistola al petto.

    Ero sconvolto. Non lo avevo fatto vedere a nessuno, ma ero sconvolto. Mario era mio amico da sempre, eravamo cresciuti insieme, si può dire, insomma, la parte della mia giovinezza che non avevo passato con lui aveva sempre fatto di me un bravo ragazzo agli occhi di tutti. Io il figlio di professore, lui rigorosamente figlio di puttana, io quello che studiava, lui quello che rubava. Non avevamo niente in comune, solo la voglia di batterci. Infatti il principe era il nome che gli avevo messo io da ragazzi in palestra, a presa per culo, lui che era un vero stronzo per strada, sulla materassina diventava un vero galantuomo, tecnico e elegante, rispettosissimo delle regole e degli avversari, tutto l’opposto di quello che ero io, il bravo ragazzo che in combattimento non guardava in faccia a nessuno e sembrava che avesse la bava alla bocca, da qui il soprannome plurinflazionato della bestia. Noi due abbiamo fatto conoscere la piccola palestra di Sant’Elia in tutta la Sardegna, eravamo forti, ci siamo massacrati per anni su quella materassina che puzzava di sudore, in quello scantinato che d’estate diventava rovente ma nessuno si lamentava mai, per rispetto al maestro. Al maestro Antonio gli volevamo bene, ma non so se a quattordici anni fosse tanto questione di rispetto o paura di prenderci quattro calci in culo ben dati. E io e Mario quei quattro calci in culo li prendevamo sistematicamente, vuoi perché ci pestavamo anche quando non dovevamo, vuoi perché facevamo sempre un casino della madonna, con la voglia di dimostrare a tutto il mondo che valevamo qualcosa.

    Ora Mario era morto e io sconvolto, dopo la notte che avevo passato a casa di Gegè. Quasi muti, con in braccio i bambini e nella testa il vuoto più assoluto. La mattina tornai a casa svuotato e stanco, avevo solo voglia di spegnere l’interruttore.

    Parcheggiai come al solito. Aprii il portone e feci le scalette del cortile, salii a casa. Assolutamente senza nessuna voglia chiamai in segreteria chiedendo di avvertire professor Merola che non avrei potuto presenziare alla sessione d’esami. Per una volta gli studenti avrebbero conosciuto il loro professore. Avevo altro a cui pensare, non avevo alcuna intenzione di formulare meccanicamente domande sull’Unione Europea per tutta la mattinata ad anonime facce, per un assegno di merda. Volevo solo restarmene chiuso in casa.

    Mi piantai di fronte al finestrone del soggiorno, raggomitolato come un piccione sulla cassapanca. Mi sono assopito per un po’. Appena sveglio mi venne subito in testa Sara, e una voglia matta di sentirla, non volevo parlarle di quello che era successo, conoscendola, o lo sapeva già o lo aveva già letto sul giornale ma avrebbe aspettato che le parlassi io, e io non volevo parlargliene, la chiamai solo per sentire la sua voce.

    Ciao, che fai?.

    Mi rispose dolcemente. Sono in studio.

    Avevo voglia di sentirti. Le sussurrai.

    Se vuoi stasera ci possiamo vedere… . Disse.

    Alleggerito dal suo tono delicato, mi ripresi un po’, feci una doccia, preparai un caffè e misi su un cd di Leonard Cohen, cadendo in uno stato voluto di riflessione triste. Avevo di fronte un pomeriggio per me.

    Suzanne era appena partita nelle mie orecchie e la voce roca di Cohen avvolgeva quel pomeriggio estivo meglio del fumo della mia sigaretta, i miei pensieri si facevano densi, e i ricordi si facevano largo come un fiume di situazioni evanescenti, quasi come se a viverli non fossi io, dagli occhi orgogliosi di mio padre alla mia laurea, al regalo dei miei per il dottorato, un viaggio per due a Praga con Sara, i nazionali di Judo e l’infortunio ai legamenti del ginocchio. … And the sun pours down like honey on our lady of harbour….

    Lo squillare del citofono mi strappò ai miei pensieri, non mi ero accorto del passare del tempo, era già sera e Sara era al portone, e io come al solito in mutande. La feci salire facendo finta di sbrigarmi, appena la vidi capii che sapeva tutto e il suo abbraccio subito dopo era quello che mi serviva per stare un po’ meglio.

    Andammo a mangiare in una trattoria alla Marina. Nel mese di luglio cagliaritano mangiare all’aperto e una birra fresca è l’unica cosa che ti riconcilia col caldo che in città di notte ti si appiccica addosso. Sara faceva di tutto per farmi dimenticare il lenzuolo bianco che avevo visto la mattina prima, senza sapere che l’avessi visto, mi parlava di cinema e della sua amica Giorgia, io le sorridevo capendo il suo tentativo di distrarmi. Ma la televisione troncò l’abile tentativo della mia ragazza di farmi essere sereno. "… nessuna novità sul caso del pluripregiudicato del quartiere Sant’ Elia di Cagliari, ucciso a colpi di pistola in strada, convivente in manette". Feci finta di non aver accusato il colpo.

    Sara mi chiese se volevo fare una passeggiata nel Largo. Pagammo il conto.

    Sara rimase a dormire a casa mia. Certe volte le donne, e soprattutto Sara, sanno essere impagabili. La sentivo vicino anche se non facevamo parola di niente che riguardasse l’omicidio. Lei mi diede tutta la tenerezza di cui avevo bisogno senza chiederglielo, fu dolcissima e nella notte non riuscii a chiudere occhio. Non solo pensando all’amico che in quel momento stava attraversando il ponte della morte di cui parlavamo da ragazzi, come dei guerrieri che non hanno paura di nulla. Ma mi chiedevo anche come quella donna bellissima scegliesse di far l’amore con me, consolandomi per la morte del compagno di palestra pluripregiudicato. Mentre l’abbracciavo pensavo alla sua determinazione, che si scioglieva per me, al suo corso di studi impeccabile, pagato con i soldi che si guadagnava nelle serate in cui l’andavo a prendere alle quattro del mattino durante le stagioni estive, quando il suo lavoro come cameriera le avrebbe permesso di iniziare in tempi brevissimi il praticantato per diventare avvocato.

    La guardavo dormire. Mi sentivo come una tigre di carta. Io il combattente, io il politico, io quello che voleva salvare il mondo, non ero ancora riuscito a garantire un futuro certo al nostro rapporto che da dieci anni non era cambiato di una virgola da quando lei aveva vent’anni. E, per assurdo, la sua dolcezza mi faceva stare più male. Lo studio, l’amore, il sudore in palestra. Le mie aspirazioni erano migliori di un precariato perenne e il contendermi un pugno di ragazzi tra lo spaccio e la prigione. La prigione. Laura era in prigione, come era potuto succedere? L’amore del principe da sempre, quella che non si era mai persa una sua gara, quella che vedeva il buono in lui anche se di buono in lui ce ne è sempre stato probabilmente poco. Lei che sopportava tutto di lui, compresi i tradimenti e le botte. Laura era in prigione. "Convivente in manette". La cosa che mi fa più schifo di questa storia è l’arroganza vuota e senza senso di chi spara la notizia e non va a fondo. Io non sono uno psicologo e non sono neanche un

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