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Sanders Mansion
Sanders Mansion
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E-book227 pagine2 ore

Sanders Mansion

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Info su questo ebook

Dopo gli avvenimenti di Gray Manor, i coniugi Whitmore, una famosa coppia di demonologi che si ispira ai Warren, decide di svelare i segreti di un'altra tenuta che dicono essere infestata.

Sanders Mansion ha un aspetto tutt'altro che terrificante e si trova in un piccolo borgo scozzese che sembra essere uscito da una favola per bambini.

Quando Clara Belli, una fumettista che ama ironizzare sulla vita, accetta l'invito a trasferirsi nella casa per i mesi estivi, non ha idea di ciò a cui sta andando incontro.

"Una fumettista innocua, senza particolari grilli per la testa, senza paranoie. Cosa potrà succedermi di così brutto?", pensa.

Eppure Sanders Mansion farà riaffiorare dei ricordi da lei rimossi, rendendola del tutto vulnerabile.

Accanto a lei Cora Harrison, una giornalista esperta in fenomeni paranormali, aiuterà le indagini.

Ma dentro alla mente di ognuno si celano orrori rimossi, ricordi che preferiscono non far tornare a galla, ma che la casa – o chi la infesta – riporterà alla memoria.

Il fantasma di una balia, un chirurgo della fine dell'ottocento rimasto vedovo dopo che la moglie ha dato alla luce tre gemelli, sono tante le storie che ruotano intorno a Sanders Mansion, ma non sarà affatto facile per il gruppo svelarne i misteri.
LinguaItaliano
Data di uscita11 lug 2023
ISBN9791221484052
Sanders Mansion

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    Anteprima del libro

    Sanders Mansion - Sara Vannini

    1

    Avevo sentito parlare di loro, questo è sicuro. La storia di Gray Manor, i fantasmi che la infestavano, i Whitmore, con la loro mania del paranormale. Insomma chi non ne aveva sentito parlare? Soprattutto in una piccola cittadina nel trevigiano, dove le voci girano tanto in fretta da arrivare perfino alle piante.

    E così i demoni erano stati combattuti, l’amore aveva trionfato, e Francesca e Kate erano rimaste in Inghilterra, ad amarsi senza remore alcuna.

    Non le avevo mai conosciute di persona, ma la loro piccola foto, nel ritaglio di un articolo di giornale, mostrava dei sorrisi smagliati. Erano felici, e avevano la loro vita da vivere.

    Anche io avevo la mia, con poche ma forti certezze, una delle quali è che mi chiamo Clara e che quando vado negli uffici e mi chiedono di dire il mio nome, capiscono sempre Chiara, quindi mi tocca urlare più forte.

    Chiara?!

    No, Clara! C-L!

    Ah Clara.

    La seconda certezza che ho è che di cognome mi chiamo Belli.

    Clara Belli, dunque.

    A parte queste piccole certezze di vita, non so altro.

    Ho avuto una relazione di un anno con una donna che ho amato più di me stessa.

    Grande e fatale errore. Mai farlo.

    Arrivata a ventinove anni, quando mi guardo indietro, mi chiedo ancora come io abbia fatto a sopravvivere alla rottura.

    Pensavo che il problema fosse solo lei. Lei e il suo caratteraccio, lei e i suoi problemi, lei che non mi amava abbastanza. Invece ero anche io.

    Io non ho mai saputo affrontare la perdita.

    Dicono che esistano diverse fasi di elaborazione di lutto, ma a me pareva di rimbalzare continuamente da una all’altra.

    La verità – capita solo con anni di terapia – era che io non bastavo a me stessa.

    Una rottura è dura per tutti, questo è certo, ma che cliché inutile da dire.

    Bastarsi è molto più complicato da capire.

    Significa saper riempire il proprio vuoto anche in assenza di una seconda persona, significa saper mangiare da soli, saper guardare un film, saper leggere e scrivere nel più totale silenzio, senza farsi venire la depressione.

    La solitudine può diventare pericolosa quando ci se ne innamora.

    Io avevo imparato ad amarla.

    Il divano in cui facevo l’amore con lei e che era stato fonte di tante pene, un po’ alla volta si era trasformato nel mio angolo sicuro. Bevevo e scrivevo da sola, e non avevo bisogno di altro.

    Molte persone affrontano la perdita trovando subito qualcun altro, pensano che così facendo colmeranno il vuoto che hanno dentro di loro. Per un po’ ho creduto anche io che funzionasse così, poi mi sono ricreduta.

    Colmare il vuoto con un’altra persona significa non saper elaborare e metabolizzare le proprie emozioni. Significa non saper stare da soli, e quindi non saper bastare a sé stessi.

    Dopo la rottura con la mia ex mi ero trasferita in un piccolo appartamento a pochi chilometri da Treviso. Un angolino modesto che ero riuscita a permettermi grazie al mio, altrettanto modesto, lavoro al pub.

    Facevo la cameriera dalle sette alle due di notte quasi tutte le sere. E odiavo la birra.

    Sia ben chiaro, non sono mai stata astemia, ma la birra non ho mai potuto sopportarla. Solo l’odore mi dà la nausea.

    Eppure avevo dovuto impararle tutte a memoria e, quando un cliente entrava, sapevo anche dare ottimi consigli.

    Tu cosa sceglieresti? Mi chiedevano.

    E io partivo in uno dei miei dialoghi degni dei fumetti che scrivevo. Fingevo di conoscere benissimo ciò di cui stavo parlando, ma la realtà era che non vedevo l’ora di togliermi il grembiule sporco di birra e collassare a letto.

    Mia madre insisteva dicendo che avrei potuto fare di più nella vita, che avrei potuto fare l’impiegata o la segretaria, o qualsiasi cosa che non mi sporcasse i vestiti di birra. Ma a me non importava.

    A me bastava poter rientrare nel mio appartamento, accendere il pc e scrivere la bozza per un nuovo fumetto.

    Disegnavo e scrivevo, e poi partecipavo a concorsi nella speranza di farmi strada.

    Le avventure di Clarabella erano il mio ultimo capolavoro. Non avrei saputo descriverlo altrimenti.

    Non parliamo del personaggio Disney (anche se ne avevo copiato spudoratamente il nome), ma di me stessa. Di Clara Belli in persona.

    Mi disegnavo con la testa più grande di diversi centimetri e raccontavo la mia vita.

    Ridevano le persone, ma io no. Il mio era un modo del tutto serio di vedere ciò che mi accadeva in un’ottica diversa.

    Quando scrivevo riuscivo a dare una nota ironica alla mia vita.

    Clarabella era molto più impacciata di me. Le cadeva spesso il vassoio pieno di birre e lo rovesciava davanti a tavolate di clienti. Poi però riusciva sempre a riemergere con una delle sue perle di saggezza.

    In passato avevo disegnato e scritto anche fumetti per bambini, ma poi avevo deciso di lasciar perdere. Le note sarcastiche e talvolta taglienti che di tanto in tanto mettevo, non erano adatte ad un pubblico di piccoli.

    Poveri… Perché traumatizzarli con la vita ancor prima che la vivano?

    Avevo una mia pagina Instagram ed un blog nel quale pubblicavo le mie opere. Avevo vinto qualche premio a livello nazionale, ma nulla che mi permettesse di poter credere di vivere di arte.

    L’arte non porta a casa il pane, diceva sempre mia madre, e aveva ragione.

    La birra invece sì.

    Non ero così diversa da come mi disegnavo, a dirla tutta.

    I miei capelli erano lunghi fino a metà schiena, spesso raccolti alla meno peggio con una matita, gli occhi verdi e un paio di spessi occhiali che dovevo indossare ogni volta che mi avvicinavo ad uno schermo.

    Clarabella invece gli occhiali li indossava sempre, anche al pub, e spesso le cadevano sopra le birre.

    Fatta questa piccola premessa, vi vorrei raccontare una storia che – ad oggi – nemmeno Clarabella è riuscita ad esorcizzare.

    Quello che i Whitmore non avevano insegnato a nessuno del gruppo che era stato a Gray Manor, riguardo ai mostri, è che, anche quando li sconfiggi, alcune volte, la loro ombra rimane.

    Ciò che non avevano capito è che le ossessioni ritornano sempre.

    2

    Subito dopo Gray Manor, erano stati creati diversi blog dedicati a case infestate, a dicerie comuni e leggende metropolitane. Io, fra un fumetto e l’altro, li adocchiavo prestando attenzione alle comunicazioni fra gli utenti.

    Non partecipavo ai forum o cose simili, non sono mai stata quel tipo di persona. Mi limitavo a leggere, incuriosita dalla faccenda.

    A volte speravo addirittura di trovare la donna della mia vita fra quelle righe. Chi può mai sapere! Una fanatica del paranormale poteva anche fare al caso mio.

    Avevo rotto con la mia ex da due anni e finora i miei appuntamenti erano stati – come avrebbe detto Clarabella – un susseguirsi di scarogne.

    Ero uscita con la tipa che in realtà si sentiva già con un’altra tipa, poi con quella che scopava divinamente ma non sapeva parlare, poi con una tizia che era tanto vagabonda quanto giovane, ed infine con la tipa che credeva di parlare coi morti.

    Pensavo mi prendesse in giro all’inizio ma, quando mi ero ritrovata davanti ai suoi occhi sinceri, che mi dicevano balbettando io non – io non – io non sono pazza, ho capito che era pazza per davvero.

    Ma come sarebbe a dire che parli coi defunti? Avevo chiesto con garbo.

    All’inizio pensavano che fossi schizofrenica aveva risposto lei. Poi però ho capito che le voci che avevo nella testa, che mi parlavano in lingue diverse, venivano da un altro mondo. Ed era quello delle persone defunte.

    Davanti al mio silenzio si era sentita di ribadire: Ma guarda che non sono pazza.

    Ed era stato lì che non avevo più saputo come uscirne.

    Non esisteva un modo carino per dirle che la nostra frequentazione doveva finire.

    Così, Clarabella, col suo grande testone, se ne era andata calciando via un sassolino.

    E la vignetta si era conclusa con un gran silenzio di tomba…

    Dopo la medium avevo steso un velo pietoso e mi ero concessa un periodo di tregua fatto solo di fumetti e duro lavoro al pub.

    Vivevo le lunghe serate primaverili all’interno di quel postaccio, per poi tornare a casa affamata, buttare su una pasta e concedermi un bicchiere di vino mentre scorrevo i vari blog.

    Su Gray Manor si diceva di tutto. C’erano quelli che sostenevano che i Whitmore fossero dei truffatori, quelli che dicevano che all’interno della casa si era fatto uso di sostanze stupefacenti, quelli che inserivano preghiere perfino in aramaico pur di invocare il nostro Iddio a salvare la situazione. E poi quelli che, come me, avrebbero dato oro pur di vivere un’esperienza simile.

    Voglio dire, trovarsi faccia a faccia con le proprie paure e con la propria psiche non è cosa da poco.

    In quanti sarebbero davvero disposti a farlo?

    Francesca, la ragazza di Kate, aveva scritto un bellissimo libro in merito. Pieno di errori di battitura, sia chiaro, ma sicuramente bellissimo. Lo avevo letto due volte e non aveva fatto che incrementare la mia voglia di paranormale.

    Tornando a noi, quella sera avevo finito di lavorare molto tardi, ed ero riuscita a distendermi in divano solo verso le due di notte.

    Mi legai i capelli con una matita e accesi il portatile.

    Mi chiesi se fosse il caso di aprire la finestra per lasciar passare un po’ d’aria. Adoravo le notti di primavera, quella in cui la luna era così grande da sembrare dipinta, e l’aria carica di aspettative.

    Tuttavia il divano risultò essere troppo comodo per concedermi il lusso di alzarmi.

    Le gambe mi dolevano dopo la lunga serata al pub.

    Bevvi un po’ di vino, poi iniziai a scorrere le varie discussioni nel blog.

    Gray Manor disabitata – Ci saranno altre presenze nella casa?

    Ritorno a Gray Manor – vuoi vivere l’esperienza di Francesca e Kate?

    Scossi la testa ridendo.

    La gente sapeva essere davvero ridicola.

    Bevvi ancora un po’ di vino.

    Mio Dio quanto era buono il prosecco dopo una giornata di lavoro. Mi scivolava lungo la gola nelle sue mille bollicine, curando tutti i problemi.

    Un piccolo alert a sinistra dello schermo del pc catturò la mia attenzione.

    Strinsi gli occhi per leggere meglio: Esperti demonologi cercano gruppo di studio appassionato di paranormale. Contatta Helen Whitmore.

    Poco più sotto era indicato un numero di telefono ed un indirizzo e-mail.

    Pensai si trattasse di una bufala. Helen Whitmore, la demonologa, non avrebbe mai messo online i suoi recapiti così.

    Avevo ben presente chi fosse, pur non avendola mai incontrata di persona. Una donna tutta d’un pezzo, sposata con Edmund Whitmore da anni. Un donna d’altri tempi, con i suoi penetranti occhi azzurri. La Lorraine Warren del presente oserei dire.

    Sarei davvero stata capace di andare in un qualche paesino sperduto dell’Inghilterra assieme a loro per affrontare i miei demoni interiori?

    Quella domanda iniziò ad arrovellarmi.

    Mettiamo caso che quei recapiti fossero davvero i suoi, avrei avuto il coraggio di scriverle?

    Bevvi una gran sorsata di prosecco, poi feci uno screenshot allo schermo del pc e lo spensi.

    Nel buio della mia camera da letto ripensai a tutto.

    Quali erano i miei demoni? Era vera quella storia? Il mio inglese era abbastanza fluente da avventurarmi in una cosa simile?

    Ma soprattutto, perché mai Helen Whitmore avrebbe dovuto scegliere me fra un migliaio di persone che si saranno candidate a quella proposta?

    Risi da sola, poi crollai in un sonno profondo.

    Scrissi ad Helen Whitmore due giorni dopo aver letto quella piccola inserzione. Le inviai una mail scritta in un inglese zoppicante, in cui mi presentavo come Clara Belli, ventinove anni, non studente ma portatrice di birre e, soprattutto, fumettista. Amante del paranormale fin da piccola, accanita fan di Gray Manor e con dei problemi irrisolti che non sapevo risolvere.

    Clarabella mi guardò di sottecchi mentre si scrivevo quest’ultima frase, piegando appena il suo grande testone di lato.

    Premetti il tasto invio senza pensare minimamente alle conseguenze. Di certo si trattava di una bufala e mi sentii stupida mentre uscivo di casa per andare a lavorare.

    Quella sera avrei tanto preferito starmene a casa a scrivere, ma Andrea, il mio titolare, mi aveva mandato un messaggio poco prima, chiedendomi di andare al pub in anticipo.

    Le serate avevano iniziato ad allungarsi in previsione dell’estate e la gente aveva voglia di uscire.

    La pandemia appena passata aveva segnato tutti nel profondo, dividendo le persone in due grandi categorie: gli apatici post covid, e quelli che invece non riuscivano più a tenere la testa sotto il tetto di casa. Uscivano, viaggiavano, si divertivano e avevano perfino l’ansia di dover fare il più possibile.

    Io di certo non ero fra quelli.

    Ero apatica prima e con la pandemia lo ero diventata ancora di più.

    Per nessuno è stato facile restare rinchiusi tutto quel tempo, ma io me l’ero cavata discretamente.

    Una bottiglia di vino e una matita in mano aggiustavano ogni tipo di problema.

    Salii sulla mia Punto grigia e misi in moto.

    Tanti fiorellini rosa avevano invaso il parabrezza e fui costretta a cacciarli via col tergicristalli. Era l’albero di fronte, in primavera fioriva in modo meraviglioso.

    Accesi la radio e alzai il volume.

    Sia stava cantando Helium.

    Provai la voglia di suicidarmi. Il pub, tuttavia, non era molto distante da dove vivevo, quindi non ce ne fu il tempo.

    Era un posticino piccolo che alcune mie amiche amavano definire la bettola. Scuro, fatto in prevalenza di legno, seguendo il classico stile inglese.

    I tavoli erano piccoli e vicini, mentre alle pareti erano appesi quadri di importanti personaggi della Gran Bretagna.

    La porta del bagno era tappezzata di poster e adesivi di rock band. Vederli da ubriaca ti faceva ubriacare ancora di

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