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Il lato nobile
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E-book60 pagine50 minuti

Il lato nobile

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Precipitare nel vuoto dell’apatia. Buttarsi via per mancanza di prospettive. È quello che accade al protagonista de “Il lato nobile”. L’abbruttimento, l’autodistruzione e una condizione umana di totale solitudine, l'accompagnano lungo il suo calvario. Fino alla notte in cui finalmente riesce a sciogliere la calura afosa che lo opprime e, forse, un refolo di aria fresca lo fa sentire meglio. Vuole scappare, nascondersi, affondare corpo e anima in qualcos'altro, qualcosa di caldo e rassicurante che possa cullarlo e farlo sentire appagato. Corre per le strade della sua città sino a quando non svolta in una piccola via, “strizzata tra due alti edifici scuri, illuminata appena da una fila di lampioncini” e sotto un'ammiccante lucetta vermiglia legge l'insegna consumata di un locale chiamato “Il Tappeto Rosso”.
LinguaItaliano
Data di uscita29 mag 2015
ISBN9788897093664
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    Anteprima del libro

    Il lato nobile - Riccardo Cordioli

    Epilogo

    Lui

    Continuava a cadere nel buio. Tutt’intorno c’era silenzio. Cercavo di allungarmi per prenderla ma ero come pietrificato. Usavo tutta la mia forza ma le braccia erano di piombo e l'urlo che vibrava nella mia gola, fuori si percepiva appena. Non riuscivo ad arrendermi, le vene mi pulsavano sul collo, il sudore mi riempiva la fronte e gli occhi, grandi come fari, fissavano inermi quello spettacolo. Infine si infranse. Schizzando schegge di vetro scintillanti nella notte. Spandendosi poi placidamente in un cimitero di cristallo. Sentii un vago eco femminile che cercava di destarmi da quella paralisi…

    Mi svegliai di scatto. Avevo il fiato corto e il corpo nudo, teso, immerso nell'umido panico del mio letto. Dall'unica lama di luce giallastra e polverosa che filtrava dalla finestra chiusa riuscivo a riconoscere i contorni del mio piccolo monolocale. Rimasi immobile, in ascolto. Il ticchettio dell'orologio mi pulsava nei timpani mentre cercavo di combattere con il mal di testa che ormai mi accompagnava da giorni.

    Appena riuscii a riprendere fiato, scesi dal letto. Inciampando tra vestiti, mucchi di fogli di carta accartocciati e un paio di bottiglie vuote, barcollai sino alla finestra. La spalancai completamente e mi resi conto che ormai si era fatto buio. Era una serata afosa. La pioggia aveva da poco smesso di picchiare sui tetti e tutto ciò che aveva lasciato era solo l'ennesimo nugolo irrespirabile che serpeggiava tra le case.

    Non c'era anima che girasse per il viottolo di fronte a casa mia e rimasi lì in cerca di una leggera bava di vento fresco che potesse aiutarmi a combattere il turbinio feroce che mi era salito alla testa.

    Non avevo ricordi di cosa fosse successo la sera precedente, o la mattina, o il pomeriggio. Sapevo solo che ormai avevo passato diversi notti in quello stato ma non riuscivo a farne a meno. In quei giorni, dal momento in cui aprivo gli occhi, non trovavo un vero e proprio senso di pace. Scetticismo e noia mi martellavano senza sosta, in testa. Da tempo non vedevo un futuro chiaro davanti a me.

    Ero allo sbando. Un giovane naufrago disperso nell'oceano del mondo, forte di una tenacia e di una volontà che non riusciva a sfogare.

    Mi sciacquai la faccia ma nemmeno l'acqua riusciva a ristorarmi dalla calura straordinaria di quell'estate da record. Mi ricordavo come tutti fossero eccitati quando avevano annunciato che il sole avrebbe baciato il nostro paese con così grande foga. Erano pieni di quell'ottimismo demotivato che solo i cieli tersi e gli alberi in fiore riescono a infondere. Poi tutti ci eravamo ritrovati immersi nelle stesse cose, con le stesse espressioni d’insofferenza, le stesse promesse d’evasione.

    Era impossibile evadere da quella calura.

    Alzai lo sguardo e lo incrociai con quello dello specchio. Ero pallido, spettinato, con gli occhi arrossati e le labbra secche. La cosa però non m’importava, anzi, quasi mi dava soddisfazione, come se non volessi altro che quella condizione, quel futuro. Farmi cullare dal mio stesso sconforto mentre pian piano mi stava distruggendo. Eppure una parte di me, quando ero solo, m’incitava a reagire. Io, però, non la ascoltavo. Mi sembrava di cedere a tutto ciò cui cedono gli altri, la ragione. Forse nel profondo mi sentivo troppo speciale per seguire il gregge. Mi ribellavo a tutto ciò che sentivo essere convenzionale, senza preoccuparmi dei risultati o dei rischi.

    Dopo aver fumato un paio di sigarette sdraiato sul letto, preferii andarmene da quel buco. Le mura della piccola stanza ormai me le sentivo appiccicate alla pelle e la finestra aperta non aiutava a lenire l'oppressione che quel posto mi stava provocando. Mi muovevo trascinandomi nel buio, guidandomi con i riflessi dei lampioni che incombevano, con la loro luce gialla, alla finestra. Raccattai qualche vestito dal pavimento, finii di scolare una delle bottiglie che trovai sotto la camicia e mi gettai in strada guardandomi alle spalle con timore, come se la casa potesse seguirmi per proseguire la sua opera di tortura. Nessun movimento.

    Scesi in strada e infilai un viottolo sentendomi tutt'uno con il porfido bagnato. Scivolai così da una via all'altra incontrando nessuno, se non qualche anima denudata che cercava respiro sui balconi delle case incendiate. Solo le stelle rendevano meno apocalittica quella serata, piene e luminose come

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