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L'Eccesso della Luce
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E-book200 pagine2 ore

L'Eccesso della Luce

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Ottenere il potere, il denaro e il successo. Questi sono gli obiettivi che in molti si prefiggono, questi i desideri che muovono le azioni della maggior parte degli uomini. Chi vive nel lusso, chi muove le decisioni politiche e finanziare del mondo, queste sono persone considerate pienamente realizzate, felici, da avere come modello. Ma raramente qualcuno si chiede cosa essi provano, quali dolori hanno dentro l’anima, quali azioni hanno commesso per dare vita ai loro sogni di gloria o a cosa hanno dovuto rinunciare per giungere dove si trovano. Il romanzo L’eccesso della luce racconta la storia di Edward, un giovane uomo che sfruttando la propria mente brillante, le capacità oratorie e le conoscenze del mondo finanziario ed economico, riesce a farsi strada nella società milanese, raggiungendo i massimi livelli di potere. Oltre ciò che appare, sotto l’eleganza degli abiti sartoriali il suo spirito si inaridisce. I giochi di potere lo obbligano a compiere azioni terribili che creano dentro di lui ferite insanabili. Contemporaneamente burattino e burattinaio Edward intreccia troppi fili pericolosi, rischiando di perdere tutto ciò che ha di più prezioso. Il racconto scava nell’animo del protagonista, mostrando le sue fragilità e le sue paure, i desideri d’amore e semplicità sopiti ma sempre emergenti nei momenti più bui. Edward è un uomo combattuto, che tenta di abbandonare una vita che non sente più sua, ma ogni qualvolta le ombre che lo inseguono riescono a riportarlo nell’oscurità da cui prova a scappare. Milano e i ritmi frenetici, i cocktail con gli amici e le riunioni di lavoro, gli aerei e il jet lag, tutto ciò si contrappone alla pace e il silenzio che Edward ritrova a Nogorongoro. L’Africa appare come la terra promessa in cui rinascere, all’ombra dei suoi maestosi alberi e nei visi spensierati dei bambini si può rintracciare una serenità da tempo perduta. Leggendo il romanzo sembra che una sola legge regola l’intera società e i rapporti tra gli individui; la legge del più forte, a questa Edward si sottometterà completamente.
LinguaItaliano
Data di uscita27 lug 2016
ISBN9788892619050
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    L'Eccesso della Luce - Davide Costantino

    Indice

    PRIMA PARTE: NASCITA

    1 Straniero nel mio paese

    2 L’iniziazione

    3 Incrollabile fede

    4 Il club delle scelte

    SECONDA PARTE: CRESCITA

    1 Il ritorno di Ellen

    2 Parola d’ordine: negare

    3 Il doppio gioco

    4 L’occhio della C.I.A.

    TERZA PARTE: REALIZZAZIONE

    1 Il potere della persuasione

    2 L’allievo supera il maestro

    3 Il sovrapporsi delle emozioni

    4 Attento a ciò che desideri

    QUARTA PARTE: COMPRENSIONE

    1 Il dono più grande? La verità nel Club

    2 Il piano per risorgere

    3 Dottor J. e Mr. Koning

    4 La loggia dei Re: L’atto finale

    Davide Costantino

    L’eccesso Della luce

    The Excess Of Light

    Prefazione

    L’eccesso della luce

    Ottenere il potere, il denaro e il successo. Questi sono gli obiettivi che in molti si prefiggono, questi i desideri che muovono le azioni della maggior parte degli uomini. Chi vive nel lusso, chi muove le decisioni politiche e finanziare del mondo, queste sono persone considerate pienamente realizzate, felici, da avere come modello.

    Ma raramente qualcuno si chiede cosa essi provano, quali dolori hanno dentro l’anima, quali azioni hanno commesso per dare vita ai loro sogni di gloria o a cosa hanno dovuto rinunciare per giungere dove si trovano.

    Il romanzo L’eccesso della luce racconta la storia di Edward, un giovane uomo che sfruttando la propria mente brillante, le capacità oratorie e le conoscenze del mondo finanziario ed economico, riesce a farsi strada nella società milanese, raggiungendo i massimi livelli di potere.

    Oltre ciò che appare, sotto l’eleganza degli abiti sartoriali il suo spirito si inaridisce.

    I giochi di potere lo obbligano a compiere azioni terribili che creano dentro di lui ferite insanabili.

    Contemporaneamente burattino e burattinaio Edward intreccia troppi fili pericolosi, rischiando di perdere tutto ciò che ha di più prezioso.

    Il racconto scava nell’animo del protagonista, mostrando le sue fragilità e le sue paure, i desideri d’amore e semplicità sopiti ma sempre emergenti nei momenti più bui. Edward è un uomo combattuto, che tenta di abbandonare una vita che non sente più sua, ma ogni qualvolta le ombre che lo inseguono riescono a riportarlo nell’oscurità da cui prova a scappare.

    Milano e i ritmi frenetici, i cocktail con gli amici e le riunioni di lavoro, gli aerei e il jet lag, tutto ciò si contrappone alla pace e il silenzio che Edward ritrova a Nogorongoro. L’Africa appare come la terra promessa in cui rinascere, all’ombra dei suoi maestosi alberi e nei visi spensierati dei bambini si può rintracciare una serenità da tempo perduta.

    Leggendo il romanzo sembra che una sola legge regola l’intera società e i rapporti tra gli individui; la legge del più forte, a questa Edward si sottometterà completamente.

    Alba. Un colore,un sapore,un sentimento che noi tutti conosciamo.

    Più e più volte abbiamo osservato quelle fattezze, quelle forme così leggere e forti allo stesso tempo.

    Dovremmo ormai essere abituati a quella vista, eppure, in quel breve momento della nostra vita, ci sentiamo attratti da quel calore che, lento, ci pervade.

    Ma qualè il vero significato di quel calore? Cosa ci attira a sé cosi inesorabile?

    Fermi, abbagliati dalle luci della città, ritorniamo a quell’istante.

    Forse per un caso fortuito, forse per un evento drammatico della nostra infanzia.

    Così pensavo, mentre rimanevo fermo a valutare la prossima mossa da fare per risollevare la mia vita.

    Le persone spesso non riescono a esternare le proprie emozioni, rinchiudendosi in un mondo congeniale, sicuro.

    Al sicuro da cosa? Dalle parole irriverenti e piene di ipocrisia? Dagli sguardi senzienti che ci circondano?

    Perfezione. Un linguaggio, più che una parola, essenziale per girare tra i sobborghi e i centri sperduti e oscuri delle nostre città.

    Milano. Non mi sono mai fermato ad osservare le splendide meraviglie di questa città. Non ne ho mai avuto il tempo.

    Ma quella sera, tra i palazzi e le luci del centro, mi fermai. Era notte fonda ormai.

    I commercianti avevano appena chiuso le vecchie serrande del corso. Ed ecco, sollevarsi.

    Un suono sconosciuto, inizialmente impercettibile, iniziò a rievocare pensieri a me noti.

    Una porta antica, un lungo corridoio e un immenso altare. Ricordai. Ero stato in quella chiesa tre anni fa, quando forse quelle note e quelle parole non avevano avuto molto significato, distratto, offuscato da quella realtà che mi aveva sempre guidato, ora non più mia.

    Un improvviso bagliore mi accecò. La luce delle candele si rifletteva sui corpi di vetro incastonati nelle immense finestre, estendendosi sul lungo pavimento di marmo dell’entrata.

    Prima di quelle note, la mia vita era sempre stata costellata da tramonti e albe.

    Fino a pochi anni fa vivevo in un piccolo paesino dove le leggi dell’essere e del trasparire avevano ben poca importanza. Il profumo di alloro e l’immensa quercia secolare, attorno a cui giocavo, erano i miei pensieri.

    Adesso sono in questa splendida città. Vorrei viverla a fondo, ma il signore del tempo e la frenetica credenza nelle dee della rivalsa non me lo permettono.

    Cresco e decado, proprio come quella quercia, nel cortile della mia infanzia.

    Capitolo 1

    PRIMA PARTE: NASCITA

    1.1 Straniero nel mio paese

    Tutto accadde in una fredda giornata di Gennaio. La pioggia rifletteva la sua presenza sulle lunghe vie del centro, quasi a farle sembrare irraggiungibili.

    Mi ero seduto su una panchina sotto il corso per leggere il nuovo inserto del Corriere della Sera.

    Mi fermai a contemplare un interessante articolo sulla decadenza della cultura artistica del nuovo millennio. L’articolo dipingeva la nascita di nuove culture di colore e forme come uno schiaffo alla moralità e all’elevatezza di pensiero dei vecchi «Dei» dell’en plain air ottocentesco. Più leggevo più mi rendevo conto che la capacità di accettare i nuovi artisti contemporanei, tutt’ora in vita, era come permettere al proibizionismo letterario di reinserirsi nel tessuto liberale della società.

    Possibile che la presenza di nuove culture e alterazioni sociali potesse essere cosi volgare e illegalmente realizzabile ai nostri occhi? Forse non era l’atteggiamento ad infastidirmi, forse non erano neppure i giudizi della gente. Di sicuro la mia cultura e la mia conoscenza artistica non potevano raggiungere i livelli conoscitivi dei grandi critici italiani. Eppure, i miei continui viaggi nelle città dell’arte «Per eccellenza» mi avevano fatto conoscere le mentalità che aleggiavano all’interno delle vere botteghe, da quelle fiorentine a quelle della Roma bene.

    Finii di leggere il giornale e mi alzai. Pochi passi e mi trovai in Piazza San Babila, una delle piazze principali del centro.

    Entrai in un piccolo bar per prendere un caffè.

    Tra tutti i momenti interessanti della mia giornata, il migliore era il caffè time.

    Rimanevo sul bancone ad ascoltare i discorsi di manager alterati, broker che si alzavano e si abbassavano come le loro azioni, avvocati altolocati e commercialisti influenzati dalla competitiveness americana.

    Gli argomenti erano molteplici e poco comprensibili al barman che, servendo il deca macchiato del broker, completava il discorso con un tipico : «C’è crisi anche per voi».

    Il broker annuiva con un pacato sorriso e usciva, brandendo il suo smartphone come un cavaliere con la spada in battaglia.

    L’ora era tarda. Uscii dal bar e mi incamminai verso via Montenapoleone, la strada delle possibilità. Così chiamata per gli immensi negozi e gli sfarzosi uffici che la circondano.

    Immaginatevi un ragazzo che, nato in un paese di campagna, viene proiettato in un ambiente dove il lusso e il bonton regnano sovrani. Così mi ero sentito pochi anni fa.

    Ammiravo ogni singolo particolare di quella via, ogni passo era una nuova emozione. Mi sentivo come un quadro di un pittore minore esposto per sbaglio in una mostra di Picasso.

    Un altro avrebbe dato poca importanza a quella via, ma io no. Essa fu il fulcro della mia nuova vita.

    Grazie alla mie doti innate di oratore, riuscii, in poco tempo, ad annoverare tra le mie cerchie personaggi di spicco della gens milanese.

    Entravo e uscivo nei circoli «cool» di via Manzoni con nuovi contatti e nuove possibilità lavorative senza il minimo sforzo.

    Per chi se lo chiedesse, l’arte oratoria e la conoscenza degli argomenti economici e giuridici sono armi essenziali per essere ascoltati.

    L’importante non è farsi ascoltare, ma destare un interesse così forte nella persona che ti ascolta da chiedere delucidazioni aggiuntive alla fine del discorso, spesso fuori dal contesto.

    La procedura è simile a quella macroeconomica. Si parte da argomenti di alto livello per poi addentrasi nel generale. Ovviamente non è usanza toccare temi privi di contenuto o banali. Bisogna sempre tenere alto il discorso anche trattando argomenti di basso livello, ad esempio, citando frasi di autori o poeti, possibilmente quasi sconosciuti.

    Questa strategia mi permise di conoscere la Contessa Di Regladi, moglie di Robert Farjad, proprietario della Geromins, famosa società improntata sulla distribuzione del petrolio nelle maggiori capitali europee, le cui navi partivano dalla base a Damasco.

    La conobbi in un bistrot in via Hoepli, intenta a condire la sua insalata greca nel tavolo accanto al mio.

    La aiutai ad aprire la bottiglia d’olio, vista la pressione che il tappo esercitava sulla bottiglia.

    Lei mi ringraziò e mi chiese il motivo della mia solitudine. Risposi: «Semplice routine. Sono abituato a mangiare da solo la sera, mi rilassa. Lei cena sempre da sola ? Se posso permettermi».

    La donna si alzò dal tavolo e si sedette davanti a me, chiedendo al cameriere di spostare le pietanze. Si sistemò il tovagliolo e disse : «Ora non sono più da sola come può notare. Se le fa piacere». Apprezzai molto la compagnia di una donna dall'intelligenza indiscutibile, sicura dei suoi gesti e degli argomenti trattati.

    Parlammo per ore, elettrizzati da quel legame che stava nascendo. La donna ad un tratto si alzò e disse : «Ora mi deve scusare ma il dovere coniugale mi attende». La salutai, ringraziandola per la splendida serata e le dissi che mi avrebbe fatto piacere discutere nuovamente con lei una sera della settimana seguente. Lei annuì e si incamminò verso il portone.

    Le tre sere seguenti mi sedetti allo stesso tavolo, senza risultati. La donna non era presente. Chiesi informazioni al cameriere, il quale mi fece presente che era partita per una vacanza di tre giorni con il marito. Iniziai a degustare il primo che avevo ordinato, continuando a ripensare a quella donna e ai suoi atteggiamenti così pacati, distanti.

    Il cameriere si avvicinò e disse : «Se posso essere indiscreto, come mai tutto questo interesse nei confronti della contessa, signore?».

    Mi fermai a riflettere, poi dissi : «L’ho apprezzata per i suoi argomenti elevati, anche se non vedo come tale sentimento possa interessarle. Vede, caro ragazzo, fu una persona, a me cara, ad asserire che la mediocrità spesso risiede nella domanda e non nella risposta, poiché essa non è altro che una conseguenza della stessa. Dosi bene le parole, così come la sua curiosità».

    Il cameriere tornò al banco, sconcertato da quella morale così tagliente.

    Appena terminai il primo mi alzai, forse infastidito dalle occhiate del proprietario, molto legato alla contessa e preoccupato per la direzione del nostro rapporto di amicizia. Pagai e mi incamminai per il corso. Le luci del Duomo illuminavano la piazza centrale, gremita di gruppi di turisti dalle diverse lingue, intenti a immortalare le splendide fattezze delle statue che si ergevano sulla sua cupola. I flash delle macchine fotografiche si alternavano e si univano in un'unica luce accecante, la quale infastidiva diversi passanti, intenti a dimenticare una giornata ordinaria di lavoro vissuta nella pressione e nella fatica.

    Presi un taxi, affaticato dalla giornata di relazioni appena terminata. Tornai nell’appartamento in via Lanino, ancora sotto sopra per la fretta dell’uscita mattutina.

    La giornata seguente raggiunse la sua fine alle sette e mezza, senza previsioni di bilancio di una certa rilevanza. Tornai al bistrot per degustare la solita pietanza, pur essendo risentito per l’esperienza della sera prima. Da lontano vidi la contessa, intenta a ordinare al cameriere la sua insalata. Mi avvicinai e la salutai.

    «Prego si sieda. Vede mi devo scusare, nella fretta non le ho nemmeno chiesto il suo nome caro» disse con tono pacato.

    «Edward, contessa» risposi sorridendo.

    «Contessa non è il mio nome caro» asserì infastidita.«Elisabetta sì, quindi gradirei che lei lo usasse nelle prossime cene».

    Il proprietario, sentendo quelle parole, fece prevalere la sua ira spingendo la poltrona dell’entrata. Elisabetta lo vide, non le sfuggiva niente.

    «George, puoi avvicinarti per favore?» intonò con voce stridula.

    L’uomo obbedì e si diresse verso il nostro tavolo, sicuro della discussione che di lì a poco avrebbe preso piede.

    «Ti presento Edward» disse inizialmente.«Senza che tu lo chieda ci siamo conosciuti tre sere fa e il nostro rapporto è puramente improntato sul lavoro e sul profitto delle nostre giornate. Quando non sono presente pretendo un trattamento speciale per questo ragazzo. Spero di essere stata chiara» asserì con una certa freddezza.

    L’uomo mi strinse la mano e assecondò le volontà di Elisabetta.

    Iniziammo a degustare le pietanze, entrambi felici per quella tranquillità ritrovata, lontani ormai dagli occhi indiscreti della

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