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I 24 in blu
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E-book428 pagine4 ore

I 24 in blu

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Info su questo ebook

24 racconti itineranti. Storie che girano intorno agli angoli della realtà, dove impiegati, cantanti, vecchi pittori e giovani lavapiatti si muovono tutti lungo i piani sovrapposti dell'unica vita conosciuta.
LinguaItaliano
Data di uscita30 lug 2015
ISBN9788891199409
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    Anteprima del libro

    I 24 in blu - Alessio Paladini

    4

    Bar Barians

    I piedi della donna e dell’uomo erano affiancati scalzi, sotto il tavolino di

    vetro e legno. L’uomo aveva dei calzini neri, lunghi, la cui fine era nascosta

    dall’orlo dei pantaloni del completo antracite che indossava; la donna, invece,

    aveva i piedi nudi, curati, con smalto bordeaux e pantaloni panna alla caviglia. I

    mocassini di entrambi posavano a coppie, sul lato esterno delle loro rispettive

    cause, vagamente consapevoli di essere stati fortunati.

    I due sedevano ad un tavolo del Bar Barians, quello appena fuori della porta

    finestra al piano terra, e guardavano la piazza quasi vuota nell’ombra

    pomeridiana di luglio. I palazzi tutt’intorno alla piazza non tenevano lontano

    solo il sole, l’intrico di vicoli lasciava la piazza quasi segreta e nascosta alla

    folla di turisti che sciamavano per le vie del centro. Fuori dalle tratte della

    moltitudine di genti che camminavano rapidi sulle loro vite, ignari e indaffarati

    come formiche sopra un testo di Eraclito. E non era stato il caso a costruire la

    piazza, il bar, e il loro aperitivo del pomeriggio.

    L’uomo e la donna parlavano con le camicette semiaperte e si guardavano

    per un quarto. L’uomo era stato ministro, ma non aveva mai amato sua madre,

    la donna non beveva alcool solo champagne. Entrambi amavano i poveri, forse

    perché erano tutti e due ascendente sagittario, come avevano appena scoperto.

    Il tavolo disegnava un ombra sulle gambe della donna simile alle pale di un

    mulino, erano gambe ancora giovani sebbene lei non lo fosse più. Ma l’uomo

    dal suo angolo non poteva vederlo.

    La donna chiedeva di politica con tocco leggero, interessata ai personaggi

    più che al quadro d’insieme. E leggere e fascinose erano le risposte dell’uomo.

    La donna chiese del giovane rampante, del vecchio filosofo, del segretario

    fiaccato dal tempo e dal potere. E l’uomo rispose citando paesi lontani,

    tartarughe, lettere che invitavano a scrivere altre lettere. Le parlò dei tromboni

    naturali della corte costituzionale e della prospettiva assurda del quirinale.

    Raccontava con un tono confidente, come avesse ripetuto spesso quel discorso

    nella sua testa. Parlavano entrambi a voce bassa e senza interrompersi, come

    basso e senza interruzioni era il rumore ovattato della fontana della piazza che

    gli faceva da sottofondo. Era una fontana quasi silenziosa e senza spruzzi. La

    sola acqua in movimento era quella che cadeva da un’anfora piatta e larga che

    stava in alto ad una vasca quadrata che stava in basso. L’anfora era sorretta da

    quattro figure simili a giovani uomini, forse di bronzo, che guardavano verso

    l’osservatore con un’espressione strana, tra tristezza e follia. Tutta la fontana

    era circondata da colonnine di marmo alte circa mezzo metro unite da una

    sbarra tonda in ferro.

    5

    L’acqua in eccesso cadeva dall’alto in basso sempre allo stesso modo,

    moderata e costante, e non finiva mai fuori dalla vasca inferiore, oltre la

    fontana.

    L’uomo fece una battuta e risero insieme e insieme bevvero un sorso dai

    loro bicchieri. Si avvicinò il cameriere e sostituì le due ciotole di patatine e

    salatini che erano ormai quasi vuote. L’uomo lo ringraziò con uno sguardo

    mentre la conversazione virava verso i suoi piani per il futuro. La donna gli

    chiese cosa avesse intenzione di fare e gli sorrise guardandolo con la testa

    inclinata da un lato, e l’uomo sorrise a sua volta prima di iniziare a parlare.

    Le disse della sua posizione all’interno del grande partito, del fatto che non

    volesse formare correnti e del suo viaggio tra le persone della base. Le raccontò

    di come avesse girato e rigirato il territorio, preso contatti, conosciuto

    situazioni. Era stata un’esperienza formativa, le disse, che gli aveva permesso

    di rendersi conto dello stato delle cose e di toccarle con mano. Poi le guardò i

    capelli ancora quasi esclusivamente biondi e la bocca rossa e sorridendo

    precisò che naturalmente ora sentiva la necessità di buttare la scala.

    Lei gli domandò, toccandogli l’avambraccio sopra il tavolino, se aveva

    lasciato traccia di questo lavoro, di tutto questo impegno. E allora lui le parlò

    del suo luogo. Si sbottonò i polsini della sua camicia celeste ed iniziò a

    descriverle quello che stava facendo sul sito.

    Una coppia di ragazzi traversò da parte a parte la piazza, tremolando un

    istante in uno spigolo arrotondato della fontana, mentre i riccioli brizzolati

    dell’uomo si muovevano al suono della sua voce migliore. La donna sorrise

    alle sue parole e mostrò uno sguardo che un tempo non sarebbe stato ignorato.

    Era ancora bella e nei suoi occhi non c’era traccia del tempo, erano occhi in cui

    avevano naufragato filosofie. Ma poggiò il viso sul dorso della mano e l’anello

    brillò più del resto.

    L’uomo prese dal taschino il cellulare e condivise con il mondo il suo

    aperitivo con Wittgenstein, Bernini e Krusciov in una quarantina di caratteri.

    La donna gli lasciò il tempo di scrivere, era troppo ben educata per fare

    altrettanto e lasciò il proprio nella borsa. Dondolò i suoi orecchini per rivolgere

    lo sguardo verso l’esterno e bevve un sorso dell’aperitivo. La comunicazione

    che lei avrebbe fatto di quel pomeriggio non sarebbe stata né pubblica né

    collettiva, e l’unico nome a venir fuori sarebbe stato quello dell’uomo che

    aveva davanti.

    Il padrone del bar si avvicinò al politico e gli mise una mano sulla spalla.

    Scambiarono qualche parola. Il politico rispose distrattamente mentre rimetteva

    il cellulare in tasca. Quindi alzò lo sguardo verso il suo viso abbronzato e gli

    chiese come stavano andando le cose, come procedeva l’attività. Usò il tono

    garbato e partecipe che conosceva bene, provando a soffocare il più possibile la

    sensazione di pro forma che danno i politici quando s’informano, come un

    6

    accento che non si riesce a togliere. Il padrone del bar riportò sommariamente

    la situazione, cercando di non essere troppo pesante. L’attività stava pagando lo

    stallo generale, gli disse, ed il fisco soffocante. L’ex ministro scherzò

    sull’eventuale sorpresa di una serranda abbassata, poi cambiò espressione e lo

    esortò a non abbattersi indicando prospettive migliori e provvedimenti mirati

    nel breve-medio termine. Il barista disse di sperarci, ma non troppo, e subito

    dopo dovette allontanarsi richiamato verso il bancone. Il politico pensò che

    avrebbe potuto usare quell’esempio e quelle informazioni in qualche dibattito.

    Con quell’idea in testa rivolse di nuovo lo sguardo alla signora al suo tavolo,

    immersa in pensieri di mare e di passato.

    La donna si riavviò una ciocca di capelli e guardò di sfuggita l’orologio che

    aveva al polso, l’uomo, invece, le guardò il collo, ed entrambi si resero conto

    del tempo trascorso. La donna pensò al conto e sperò nella tempestività e

    risolutezza di lui, in modo da non essere messa in imbarazzo, poi pensò di

    domandargli della sua situazione personale ed iniziò a cercare le parole.

    Quando l’uomo accennò al viaggio che aveva in programma di fare di lì a

    breve, tutto divenne semplice.

    Non un viaggio di lavoro stavolta, sorrise l’uomo. Le parlò un po’

    dell’itinerario che aveva in mente di fare, nei vari paesi. Le disse che volevano

    evitare il più possibile le rotte turistiche, per vedere realmente i paesi che

    andavano a visitare, le realtà del luogo. L’unica cosa che lo preoccupava un

    po’, spiegò, erano i voli interni con i piccoli aerei locali. La donna sottolineò la

    sua vocazione avventurosa che non aveva mai perso, quindi chiese con chi

    avrebbe condiviso il viaggio mostrandogli il sorriso con cui aveva eluso il

    mondo. La classica piega della bocca dell’uomo si era appena formata, aperta

    dal sipario delle due rughe attorno ad essa, quando arrivarono le rose.

    Iniziarono entrambi a dire di no con la testa e con la voce, non riuscendo a far

    desistere il venditore sempre ritto alle loro spalle. Poi si girarono tutti e due a

    guardare fuori per chiudere la questione.

    Il lampo di vino bianco e succo di pesca arrivò come una frustata. Il

    politico s’alzò di scatto e sparò un paio di parole che erano anni che non diceva

    in pubblico. Quel che restava del suo aperitivo era ora un’enorme macchia

    ramificata su camicia e pantaloni. Il venditore di rose si girò nuovamente verso

    di loro ed iniziò a chiedere scusa in tutte le lingue che conosceva, poi nelle

    stesse lingue maledisse lo zaino che portava sulle spalle. Il proprietario del bar

    planò in un attimo su di lui e lo tirò via per un braccio in maniera piuttosto

    decisa. L’uomo continuava a scusarsi in tutti i modi, alternava una lingua

    all’altra come cercandone una che fosse più convincente.

    Il politico rimase immobile a braccia aperte, stordito, continuava a

    guardarsi addosso non riuscendo ad esprimere il suo disagio a parole. La

    donna, intanto, si era alzata in piedi e lo guardava incerta su come affrontare la

    7

    situazione, quello che le venne di fare fu rialzare il bicchiere sul tavolino,

    rovesciato ma integro. Il barista tornò a stretto giro e si scusò e si dispiacque a

    sua volta, il politico rispose con un tono più aspro di quanto avrebbe voluto. E

    per un istante rimasero tutti e tre congelati alle loro solitudini del momento,

    strani esseri scalzi, mezzo svestiti e cotti dal sole.

    Poi la donna iniziò a parlare. L’uomo politico non riusciva a starle dietro,

    non riusciva a pensare ad altro che non fosse quell’enorme macchia scura che

    aveva cambiato odore e colore ad un terzo del suo corpo. La fitta di emicrania

    giunse puntuale e inesorabile a trafiggergli la testa, come una freccia scoccata

    da chissà dove. E l’uomo decise di andare.

    S’infilò rapidamente le scarpe e con la stessa rapidità infilò qualche parola

    di congedo per la signora. Prese la giacca e dal portafogli tirò fuori un paio di

    banconote che lasciò nella parte asciutta del tavolino. Quindi raggiunse l’uscita

    incrociando il padrone del bar che stava tornando armato di straccio e buone

    intenzioni. Lo salutò con un paio di frasi mozzate, senza fermarsi.

    Appena fu fuori si allacciò due bottoni della camicia ed indossò la giacca,

    decise di preferire il rischio di sporcare anche quella piuttosto che andare in

    giro in quel modo. Senza contare che c’era sempre la possibilità di incontrare

    qualche fotografo nel tratto di strada dal bar a casa sua, per breve che fosse.

    Un’altra fitta gli investì la testa, come per incalzarlo a sbrigarsi. Iniziò a

    camminare a passi svelti con lo sguardo accigliato e basso e la mascella serrata.

    Cercò di evitare i posti che sapeva più frequentati e lo sguardo delle persone.

    Di tanto in tanto buttava un’occhiata sul lato sinistro dei pantaloni, quasi

    sperando, ogni volta, di trovarli con un danno meno esteso o meno visibile.

    L’odore soprattutto non riusciva ad ignorare.

    Le poche centinaia di metri che separavano il Bar Barians dal portone del

    suo palazzo gli sembrarono infinite, una traversata in mare aperto. Appena fu

    dentro l’androne mischiò al fiatone un respiro liberatorio. Nello specchio

    dell’ascensore si esaminò con cura per sette piani e scoprì che la tensione che

    aveva addosso era ancora molto vasta, almeno quanto la gigantesca chiazza di

    aperitivo.

    In casa si diresse direttamente in bagno e prima ancora di spogliarsi dei

    vestiti aggredì l’anta dell’armadietto dei farmaci sopra il lavabo grande, deciso

    a stroncare il mal di testa sul nascere. Afferrò le confezioni nervosamente,

    facendo cadere nel lavandino intere scatole, blister e singoli flaconi.

    Continuava a cercare alla rinfusa, mentre ogni sorta di medicinale rotolava

    rumorosamente sulla porcellana rosa.

    8

    Tre secondi

    L’uomo ha quarant’anni e cammina con le mani in tasca lungo la discesa.

    Ha la carnagione chiara e l’espressione distesa.

    Sono appena passate le quattro del pomeriggio e sul quartiere c’è un cielo

    azzurro senza nuvole con un sole in un angolo. Avere la faccia al sole è una

    cosa che l’uomo sa apprezzare, come tutti quelli che hanno preso tanta acqua.

    Nella sua camminata non c’è traccia di fretta, all’incrocio prima della

    discesa si è addirittura concesso il lusso di fermarsi al rosso pedonale anche

    se non passava nessuno. L’ha fatto di proposito, per dimostrare a se stesso di

    saperlo fare.

    Cammina con la camicia che gli svolazza ai lati del corpo aperta su una

    maglietta metal. Pure i capelli neri e mossi si muovono col vento, ma la loro è

    una danza malinconica.

    Lentamente passa gli uffici della circoscrizione, la scuola e i campi da

    gioco che sono di fronte dall’altra parte della strada, passa il bar che continua

    a cambiare gestione, la piscina comunale e il meccanico. Taglia a destra per

    evitare di girare all’angolo e imbocca dentro il benzinaio, lasciandosi alle

    spalle sole e discesa. Sfila di fianco ad una macchina ferma al distributore e

    ai cartelloni sbiaditi che dicono con aggettivi sbiaditi di premi a punti e

    viaggi in palio, poi esce dal benzinaio.

    Appena è sul vialone guarda le cime degli alberi, gli alberi che nella loro

    lunghezza sono ancora in bilico tra inverno e primavera. La sua allergia non

    si è ancora fatta viva, ha ancora due occhi, un naso e una gola normali. E

    nessun rapporto d’amore con gli antistaminici.

    Mentre osserva la prospettiva verde degli alberi pensa a chi può trovare

    da Franco e Manuel, e poi se lo riconosceranno subito. Pensa agli oltre

    quattro anni che sono passati dall’ultima volta che c’è stato, anni passati

    come il rumore d’una moto dietro una serranda abbassata.

    Franco e Manuel, due nomi perfetti per due barbieri.

    Ora che manca qualche centinaio di metri non è più così sicuro come lo

    era stato la mattina. Si guarda di sfuggita a una vetrina e subito si riconvince

    che ha bisogno di tagliarsi i capelli.

    Supera lo strano monumento al magistrato assassinato e poi il chiosco del

    fioraio, il negozio d’elettrodomestici e l’asilo con il suo buco rettangolare di

    giardino. Alza gli occhi all’orologio sopra il cartellone pubblicitario, che

    segna sempre le nove meno venti e azzecca l’ora due volte al giorno. Fa un

    sospiro, lungo. E’ un uomo alto e magro e le mani che tiene in tasca sono

    9

    mani da lavoratore, ma negli occhi e nell’espressione del viso si intravedono i

    mattoni dei labirinti costruiti al posto delle strade.

    Il negozio di animali, prima del barbiere, è sospeso tra la definizione di

    pieno e di vuoto in base al punto di vista filosofico. Poi finalmente arriva la

    vetrina sotto la nuova insegna nera ‘De Blasco barbieri’ e il cilindro rosso,

    bianco e blu che ruota sempre diverso e sempre uguale a se stesso.

    Si ferma un momento fuori, prima di entrare, come se prendesse un

    respiro.

    Dentro ci sono Franco e il figlio Manuel nei loro camici bianchi e altre

    due persone, una seduta sul divanetto nero che legge il giornale e l’altra sulla

    sedia da barbiere a sinistra.

    Manuel va verso una porticina bianca sulla destra e non lo vede entrare.

    Franco alza gli occhi allo specchio e lo vede subito, e subito dopo lo

    riconosce. Il pensiero del latte non sopravvive a quell’ingresso.

    Si ferma abbassando le braccia e si gira.

    Cisco. Mamma mia che apparizione,

    Ciao Fra’,

    Porca quanto tempo. Ma da quand’è che non venivi?,

    Eh da un po’, sorride Cisco, un bel po’.

    L’uomo passa le forbici dalla mano destra alla mano sinistra e gli si fa

    incontro per stringergli la mano.

    Ma come stai?, gli chiede Franco in piedi di fronte a lui.

    Io bene, tutt’a posto. Voi? Tutto bene te e Manuel?,

    Tutto regolare, risponde l’uomo. Manuel sta giù, mo te lo chiamo.

    Posa le forbici sul ripiano sotto le specchio e passando mette una mano

    sulla spalla del ragazzo che si sta facendo fare i capelli. Poi va verso la porta

    bianca e se la accosta alle spalle.

    Nella stanza rimangono un signore seduto su un divano che sfoglia un

    quotidiano, un ragazzo seduto davanti allo specchio che volta la testa prima

    da un lato e poi dall’altro e un uomo con le mani in tasca in piedi. Tra il

    divano, lo specchio, la porta a vetro dell’uscita.

    Dietro l’altra porta Franco fa quattro dei dodici gradini della scala che

    porta al sottonegozio. E poi parla giù, al figlio che non vede, cercando di

    usare una voce intermedia.

    Manuel, oh, Manuel,

    Che c’è?, si sente da sotto in un tono infastidito. ‘Sto facendo una

    pausa’, dice quel tono, ‘sono appena sceso, lasciami stare. Non mi interessa

    niente, adesso’.

    Indovina chi c’è sopra?,

    Eh, chi c’è?, domanda da sotto la voce senza interesse, con lo stesso

    tono di prima.

    10

    C’è il farina, dice il padre un po’ più piano, sorridendo tra sé.

    Il farina?, fa Manuel dopo una pausa. Ora la sorpresa ha gonfiato

    l’interesse.

    E’ lui lui, proprio lui, sempre sorridendo.

    E come sta?, chiede il figlio dalla stanza vuota, alla sua prima vera

    domanda. Spegne la sigaretta nel posacenere, sul tavolo coperto dai giornali.

    Sembra bene. Sali, però, dai,

    Franco risale i quattro scalini e rientra in negozio.

    Cisco è ancora fermo al centro della stanza.

    Manuel arriva subito, gli dice.

    E si rimette a lavorare sul ragazzo.

    Sei venuto per i capelli, Ci’?, chiede Franco a Cisco mentre lo guarda

    sedersi sul divano da sopra i suoi piccoli occhialetti rettangolari.

    Eh sì, guarda che roba tiè, risponde l’uomo indicandosi la testa con la

    mano, c’era bisogno del migliore sulla piazza.

    Il barbiere annuisce, E mo te li facciamo. Prende una pausa, e poi non

    guardando aggiunge, Ma che fine avevi fatto?.

    Ma niente Fra’, un po’ di giri.

    Dalla porta del retrobottega entra Manuel. E’ un ragazzo un po’ oltre la

    trentina con i capelli ricci, gli occhi chiari, di media statura. Porta anche lui,

    come il padre, il camice bianco coi bottoni giallo-nero-giallo e la scritta De

    Blasco sul taschino.

    Si avvicina al divano.

    Cisco. Porcaccia miseria, ma da quant’è che non venivi?, dice all’uomo

    stringendogli la mano e poggiandogli la mano sulla spalla.

    Eh un po’, un po’. Ma tu come stai? Pare bene no?, dice Francesco

    detto Cisco rimettendosi a sedere.

    Sì sì, tutto bene. Ma pure tu stai in forma no, o sbaglio?, fa Manuel e lo

    guarda. Pure gli altri tre gli rivolgono lo sguardo, come si fossero dati un

    appuntamento sulla sua faccia.

    No no, bene bene. Tutto bene, dice lui in un tono convincente,

    accavallando a squadra le gambe. E tutti gli occhi rotolano via.

    Ce la faccio per le cinque, Fra’?, chiede poi, come volesse giocare

    d’anticipo.

    Sìììì, anche prima,

    Sì sì, prima prima, conferma Manuel che ora è poggiato sul ripiano

    grigio scuro tra i due lavabi, con le spalle allo specchio e le braccia conserte.

    ’Sto ragazzo ha quasi finito, eppoi tocca a te, dice Franco. Lo guarda da

    sopra gli occhiali con la solita espressione corrucciata.

    E il signore?, chiede Cisco indicando l’uomo al suo fianco sul divano,

    11

    E’ morto in croce, fa Franco sorridendo.

    L’uomo volta una pagina di giornale. "No, io non sto qua per i capelli, sto

    qua per la compagnia", gli dice guardandolo anche lui da sopra gli occhiali,

    anche lui sorridendo.

    Ah ok, grazie.

    Anche quando la frequentava lui, fino a qualche anno prima, la bottega

    era sempre piena di persone che andavano lì per passare il tempo. Gli

    ‘aficionados’ li chiamava Franco. Tutti i giorni a chiacchierare di calcio,

    politica, donne, soldi, cronaca, caccia, scommesse, varie ed eventuali. Tutti i

    giorni a far andare il proprio personaggio, a fare la propria parte in quel

    piccolo palcoscenico di fronte allo specchio.

    Anzi, se vuoi ti fa Manuel, gli dice Franco riportandolo sul divanetto.

    No no, non c’ho fretta aspetto, non c’è problema.

    Franco posa le forbici sul ripiano e prende la macchinetta. Poi si strofina

    velocemente l’altra mano sul grembiule e tocca lo schermo sottile che è

    poggiato inclinato sopra il piano, dando un’altra rapida occhiata all’immagine

    del modello di taglio che si è portato il ragazzo.

    Accende la macchinetta e se ne sente il rumore, come d’una grossa vespa

    chiusa dentro una bottiglia di plastica. La usa ai lati della testa del ragazzo

    fino ad una certa altezza, lavorando con attenzione.

    L’uomo che è di fianco a Cisco, sul divanetto di pelle nera, scavalla le

    gambe e guarda il suo amico barbiere attraverso lo specchio, "Le lettere ai

    giornali io l’adoro guarda. Senti che titoli eh, senti qua che roba". Avvicina il

    giornale agli occhi. "Allora: ‘Aboliamo il parlamento’; ‘Stop ai corpi’; ‘Gli

    scioperi penalizzano’; ‘Tutti spioni’; "Europa arrogante’; ‘In marcia con

    fido’. No dico, senti che roba. Bastano i titoli".

    Franco sorride e anche Cisco.

    Com’è quella tutti spioni, com’è quella?, chiede Franco e guarda lo

    specchio in cui ha visto il mondo scorrere al contrario,

    Si, tutti spioni, conferma l’uomo.

    "C’hanno ragione, qua bisogna sta’ attenti. Che questi sentono tutto, vero

    Ci’?".

    Cisco sorride e annuisce.

    Quindi tira fuori il cellulare dalla tasca e ci si mette a giocare. E mentre

    prova a trasformare le fragole in ciliegie pensa che non sia andata poi così

    male. Si da’ un’occhiata intorno e poi torna a guardare lo schermo, i colori

    che cambiano.

    Franco dice qualcosa a Manuel e poi prende le forbici per dare gli ultimi

    ritocchi.

    Ci siamo quasi eh, dice al ragazzo.

    12

    Gli spazzola la faccia e il collo, poi gli toglie la mantella e l’asciugamani

    dalle spalle, li sgrulla a terra e glieli rimette. Quindi spazza il pavimento per

    togliere i capelli, nel solito lento con la scopa. Prende dal tavolo il pennello

    da barba, lo bagna con l’acqua calda del rubinetto e lo passa sotto le basette e

    dietro il collo del ragazzo per preparare la strada alla lama.

    Fermo così, gli dice tenendogli la testa. Nel tradizionale momento di

    tensione in cui non succede niente.

    Manuel prende il cellulare e lo scorre un po’ con le sue mani piccole e

    curate. Cisco lo guarda e pensa, poi torna a giocare.

    "A Fra’, l’hai sentita la storia di quello che ha lasciato la moglie in

    autogrill in viaggio di nozze?", dice il signore sul divano che se l’è appena

    ricordata.

    Ma dai, dice Franco,

    "Te lo giuro, l’ho letta sul giornale qualche giorno fa. Praticamente sto

    tizio, negli Stati Uniti, stavano in viaggio di nozze, hanno fatto una sosta

    all’autogrill eppoi lui è ripartito da solo, senza la moglie. E se n’è accorto

    dopo non so quanti chilometri",

    Ma è incredibile dai, ma sarà falsa su, eh, fa Franco,

    Oh, così c’era scritto. Dice che pensava che dormiva sul sedile dietro.

    Sorridono tutti.

    L’avrà fatto apposta, interviene Cisco,

    Avrà capito la cazzata, dice il ragazzo.

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