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Quasi come perdersi
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E-book250 pagine3 ore

Quasi come perdersi

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Info su questo ebook

In un futuro senza niente di eccezionale, facciamo, quasi quasi, che c'è un giovane, investito dal cieco sadismo della specie che gli rende il vivere sopravvalutato, e questo giovane è il più giovane della sua generazione. E facciamo che Silvero, che è il giovane in questione, se ne parta per un viaggio in asimmetria con un'umanità che è alle prese con una vaga rinuncia, se non un rifiuto, alla procreazione. E così comincia un viaggio di un amore astratto e immaginato, in un'Europa variegata e fatta di strade, prostitute, terroristi, di gente che si perde, ammazza, s'ammazza e muore.
Ma poi facciamo anche che le avventure dell'eroe 'cansado' ci stiano strette e, come per un'insufficienza respiratoria della storia, ce ne sia un altro, di giovane, o quasi, parente di destino, e tutto il mondo poi ruoti intorno a questo qui e a quelli che ne seguono la scia. Nei loro piedi, negli amori strappati e violenti, c'è tutta la storia.
LinguaItaliano
Data di uscita12 apr 2014
ISBN9786050300123
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    Anteprima del libro

    Quasi come perdersi - Johnny Shamku

    QUASI COME PERDERSI

    Johnny Shamku

    a nessun altro

    Time, which measures everything in our idea, and is often deficient to our schemes, is to nature endless and as nothing, James Hutton, 'Theory of the Earth', Transactions of the Royal Society of Edinburgh (1788), 1, 215

    Si svegliò ed era il più giovane della sua generazione. La terra, al solito suo, continuò a girarsi intorno, alla stessa velocità e inclinazione, e la luna continuò a mostrarci solo la schiena, così abbiamo scelto all’inizio, senza credere poi che mai più si sarebbe girata. Albe e tramonti diversi in ogni paesaggio diverso rimasero uguali al ‘se stesso’ del giorno appena passato e di quello prima ancora, andando in dietro per chissà quanto tempo. Una baia che conosceva un tramonto secco e veloce, non ebbe da temere sorprese, veloce e secco rimase. Sfibrata e bruna l’alba di una pineta, come sempre in passato, continuava ad essere a lungo incoraggiata dal sole, anche se a camminarci, guardandosi i piedi, qualcuno ci vedrà sempre i cocci di bicchieri di luce caduti, senza suono, dagli alberi. E lo stesso per gli uomini e le loro città: gli impiegati camminarono la stessa strada verso gli uffici, l’ergastolano scontò un altro giorno della sua pena, i tetti delle torri di vetro acciaio e cemento accettarono la stessa pioggia di ieri, assorbendola senza rumore, e l’albero sulla discarica continuava a dimenarsi e ondeggiò, vuoto d’alcuna bellezza nel vento che per l’ennesima volta lo impala. Tutti lavorarono, dormirono e morirono alla maniera di sempre. Il marito infedele continuò a tradire la moglie, l’apneista continuò, se è Aprile, a raccogliere ricci sui fondali rocciosi, e ci furono in parti non sconosciute colonnelli che ordinarono per una marcia uguale alle altre e qualcuno che doveva impazzire impazzì. Molto più delle infrequenti azioni capaci di divorare un’intera esistenza, sono le normali occupazioni a comporre il destino degli uomini, come preparazione ad una lunga abitudine o l’effetto di questa.

    In mezzo a tante tautologie che si ripetono, c'è un'unanimità di donne e di uomini meravigliosamente moderni, costretti, in mancanza di tempo e di riflessione, a vivere senza saperlo. Che da qualche parte qualcosa venga meno non sappiamo se abbia importanza, alcuna importanza. Caino ha ammazzato una volta e gli effetti si scontano ancora, qualcosa si è perso e non sarà più la stessa vita di prima; ci viene in mente, allora, la singolare immagine di certi uomini, che forse stanno in certe città e paesi, ebbene in questi uomini si è formato, di tanto in tanto, il sospetto di altro, come la nostalgia di un’Itaca non natìa, e sebbene in generale ciò non ne modifica il viaggio, però il sospetto c’è stato ed è sempre qualcosa. Il presente, invece, sembra averlo affatto perduto.

    E allora ha un senso scrivere proprio di queste giornate deserte, e come scegliere nell’apparente invarianza dell’essere gli oggetti perduti di cui raccontare? Questa nuova esistenza non è meno vincolata né più artificiale di quella antica, ma sembra facile e umana proprio perché il singolo individuo ne ha smarrito la percezione diretta, e tutto, intorno a lui, sembra più ampio e aperto, spensierato ed energico. Gli abitanti della maggior parte delle città, dopo esitazioni più o meno lunghe, si abbandonarono alla nuova corrente, lavorarono guadagnarono e vissero secondo le consuetudini e le concezioni nuove, che aprono maggiore sfogo e conferiscono un’apparente maggiore personalità al singolo individuo.

    Ci sono, allora, città non più brutte di altre, e dall’alto, come da un silenzioso pallone, ne scrutiamo vie e piazze, guardiamo prima a destra: un corso rigato dai binari di un tram, con l’asfalto sconnesso, e sotto i portici le luminose vetrine dei negozi; e a sinistra: una strada un po’ più stretta dell’altra, senza nessuna apparente vocazione, con le file di auto parcheggiate ai lati, interrotte solo dai cassonetti dell’immondizia. Ma dove questa si immette in una piazza che la unisce alla prima, atterriamo e proprio lì inciampiamo nel saluto che come uno sparo riverbera ancora alle spalle di un uomo, che già pensa ad altro.

    Quest'uomo camminava svelto e costante, regolando il proprio passo sul ritmo della folla che macchiava la piazza. A mezzogiorno doveva vedere un amico, ha appena preso un caffè e un croissant ai cereali e miele, e questi ora gli fermano lo stomaco più saldo tra le sbarre del torace, vuoto del lungo digiuno notturno, coperto e tenuto caldo da una giacca leggera, lievemente sostenuta alle spalle dall’aria del mattino, che sa di asma. L’appuntamento è al poligono militare, costruzione moderna, che chiude con due ali ortogonali i due lati, dei quattro, di una piazza cui ha fatto posto la demolizione del politecnico. Delle due ali una sola è esclusiva all’esercito, mentre l’altra viene aperta anche al tiro sportivo per i normali cittadini che la frequentano ad ogni ora del giorno, e sparano sopra a bersagli sagomati un pezzo del loro dolore muto, che sazia a tutti lo stomaco. Non è però questo il caso dell’uomo che stiamo seguendo dall’uscita del bar. Lui è la prima volta che ci mette piede in quel posto, ed è anche un po’ frastornato: lo cammina inutilmente per intero, almeno uno dei due corridoi pieni di luce, prima di decidersi a chiedere a quello che lava le scale d’ingresso.

    - Scusami, oh… poi fischiò per attirare l’attenzione e chiese indicazioni

    - guarda non saprei… pe…

    - ok niente…

    - però guarda più avanti alla prima porta sulla sinistra c’è la portiera…

    - ah grazie…

    - prova a chiedere a lei

    - si, ciao.

    Alla porta che gli è stata indicata c’era già una signora in attesa.

    - quanto ancora vorrà rimanere chiusa lì dietro facendo finta di non vederci? domandò quella al nostro uomo, ma più che un’inutile domanda era una lamentela. dobbiamo chiedere l’elemosina di qualche attenzione a questi maiali, quando dovrebbe essere solo il loro lavoro….

    Finalmente la tizia aldilà del vetro, una cicciona creola sulla cinquantina con i capelli ricci stirati in una treccia, decide d’averli fatti aspettare abbastanza, come fosse la cosa più normale del mondo si volta verso di loro simulando stupore e mentì:

    - scusate ma non vi ho visto arrivare. Chi c’è prima?...mi dica.

    Dopo che la signora, quella che precedeva il giovane nel turno, ebbe appagata la sua curiosità - voleva sapere se un uomo alto e robusto, sui quarant’anni, con una grande voglia sul mento, fosse venuto a tirare, quella mattina e le altre precedenti, da mesi, così come le aveva giurato, probabilmente era suo marito e probabilmente quella che andava a tirare al poligono ogni mattina era una balla, perché l’altra signora, aldilà del vetro, la creola, affermò di non aver visto un uomo così, non solo quel giorno ma nemmeno tutti quegli anni che aveva lavorato lì come portiera.

    Comunque dopo che quella infelice ebbe appagata la sua dolorosa curiosità toccò al nostro uomo, che sbrigò la faccenda molto più veloce. Chiese infatti da dove si entrasse nella numero 7, e lì lo aspettava un amico.

    Lo stava cercando per un consiglio, perché qualcosa da un po’ di tempo gli aveva disegnato un disinganno nuovo sul viso che rivedeva ogni volta allo specchio, con nuova sorpresa al mattino, e quel giorno gli serviva che qualcun altro notasse i segni della sua sepolta disaffezione, cosa che riusciva, a quanto pare, impossibile a colleghi e familiari e ai loro stronzi ‘come va?’ a cui lui, del resto, non si impegnò mai nel rispondere nulla di vero.  Sentiva la necessità di raccontare a qualcuno quel peso e di avere, da questo qualcuno, magari, una parola. L’uomo, con le cuffie sul cortissimo taglio marziale dei capelli, gli mostrava la schiena, e aveva le braccia sollevate in linea con le spalle, sembrava incredibilmente normale che dove finissero le sue mani incominciasse il metallo lucido della pistola e i colpi, quelli riecheggiavano a ripetizione, fastidiando l’udito del giovane che era rimasto, non visto, a guardarlo e ad aspettare che finisse. Più vecchio di lui di una decina d’anni, era stato nell’esercito per poi congedarsi, già grande, come obbiettore. Veniva da una solida e numerosa famiglia che aveva prima venduto e poi scavato le fondamenta di una sua specie di transitoria ricchezza nell’alluminio. Aveva cinque solidi fratelli, tutti occupati nell’attività paterna, lui solo aveva voluto per sé una strada diversa e nell’esercito aveva viaggiato molto, acquisendo una naturale e facile esperienza delle cose, che insieme al suo temperamento sempre calmo e riflessivo, come acqua di lago, determinava un peculiare sentimento di stima e un’alta considerazione tra familiari ed amici, non molti, a dire il vero, e per questi ultimi ciò che pensava rappresentò, per anni, la misura principale e l’ultima parola in molte questioni.

    Solo quando l’uomo si voltò per ricaricare l’arma gli fece cenno, andandogli incontro.

    I due amici vollero uscire per una passeggiata dopo l’ultima carica, colpi tutti a segno precisi in mezzo agli occhi dei cochons in cartone. Come va?, chiese il tiratore al ragazzo. Portava una maglietta verde militare un po’ troppo leggera, che aderiva ai muscoli delle braccia grosse, un paio di pantaloni scuri e, abbandonato al tavolo dove l’altro si era appoggiato nel frattempo, c’era il suo giubbotto di pelle nera, senza borchie. Il ragazzo si limitò a sollevare le spalle, rimandando a quando fossero usciti l’inizio della conversazione. Rifecero insieme e in silenzio il luminoso corridoio fino alla portiera, che si era nuovamente nascosta, la stronza, dietro al suo recitato daffare, e la superarono senza saluti, né addii né arrivederci. Per strada la solita gente era riscaldata da un insolito sole, troppo caldo per la stagione che faceva sudare il giovane nella sua camicia di velluto, tanto peggio, ché l’ex-militare si accordava al clima anche in maglietta e giubbotto.

    Camminarono a lungo in silenzio, superando i quartieri già camminati mille volte, fino a raggiungere una periferia quasi sconosciuta e per quello più avventurosa, come se nascondesse un improbabile pericolo. Le strade erano addobbate dalla spazzatura in cui si erano trasmutati, con garbo istantaneo, gli acquisti e i divertimenti della festa di quartiere che c'era stata lì la sera prima. Una di quelle feste che lasciavano sempre perplesso il ragazzo - come si riuscissero a ritagliare, nell’amalgama indistinto della città, spazi precisi entro cui si era informati e coinvolti in un gioco altrimenti inesistente per il resto del mondo, salvo per chi non si trovasse per caso a passare di là, come era, per quei due, quella mattina.

    Ma non si fecero distrarre da quelle rovine, e neanche dal fiume che trasportava ancora i rifiuti dell’estate finita da un pezzo. Proseguirono oltre un ponte e ne oltrepassarono un altro, fino a un grande spiazzo di capannoni industriali dismessi che qualcuno aveva recuperato con qualche linea di campo da tennis, calcio o basket sul cemento colorato e qualche aiuola di prato, surrogato cittadino di ben altri pascoli. C'era una signora testarda che si ostinava a mantenerlo pulito. Dopo ogni ‘situazione’ in cui giovani sfrontati e assordanti si ritrovavano lì a battagliare, la testa dura non si contentava di andare in mezzo alla folla richiamando singolarmente i più indisciplinati, ma li minacciava di fare un intervento dal palco, cosa che immancabilmente faceva davvero, davanti all’indifferenza dei molti e comunque nel disinteresse generale. Rischiamo però di perdere quei due con queste spiegazioni oziose, quelli nemmeno qui si fermano e camminano ancora più a nord, lì dove la città non è neanche più periferia e diventa qualcos’altro – anse di fiume intasate di breccia e cemento, ponti come caverne dove si ammucchia ogni merdata, alti palazzi isolati e rotonde deserte e vecchi semafori che, smesso il loro lavoro, hanno continuato a lampeggiare per anni e ora hanno smesso anche quello. Alla fine i due amici ne hanno abbastanza e si fermano lungo il parapetto di un altro ponte, sotto il quale solo il disegno della sabbia e la breccia diceva che vi era stata dell’acqua, ora dispersa ma pronta a tornare con le prime abbondanti piogge invernali.

    Il più vecchio stappò il silenzio come una bottiglia di birra. E dopo aver parlato un po’ della voglia che aveva di entrare in società coi fratelli, delle nuove idee, diceva formidabili, per rilanciare l’azienda di famiglia, passò la bottiglia al ragazzo. Ma a questo non veniva niente da dire, allora fu di nuovo il militare a prendere in mano la conversazione che l’altro non riusciva a bersi.

    - Che è questa stronzata della disaffezione?

    - e che ne so! … è praticamente l’unico mezzo di evasione no no! ecco … … … è quello che mi rimane dopo il tentativo di evasione dallo stato semiconfuso in cui mi ritrovo da giorni. Giovanna, il sesso, il lavoro, la merda, le erezioni, la forza di volontà, la merda! Il giorno prima tutto mi girava alla grande, e il giorno dopo tutto mi era sparito, non dico l’incanto che non credo di averlo mai avuto, ma l’interesse, il piacere, il gusto, tutto.

    - cristosanto che cazzate!

    - Ale, non è una cazzata. È come una paura radicata nel fondo delle ossa, come se avessi trasformato questa paura di cui non so l’aspetto nel mio unico più grande desiderio. Il ragazzo aveva poggiato una mano sudata sulla spalla dell’amico.

    - Coglione sai pure tu che dietro a queste paure c’è solo la noia! Fai un gesto! Fatti un viaggio!, si infuriò il soldato.

    - Mi fa rabbia, mi sembra che la vita per la gente e pure per me fino a ieri sia stata uno svendersi fine a se stesso, senza senso, senza un obiettivo. Anch’io ho scelto il corpo, il sesso, la merda, ma gli altri mi sembrano troppo degli animali annoiati, e mi fa paura vedere come non se ne accorgano. Io me ne sono accorto, che cazzo, c’è una certa differenza no?

    - C’è! Ma non è poi così vero che gli altri non se ne accorgano affatto, semplicemente se ne sono dimenticati, sono già adulti. Per te è una cosa nuova ed è fresca, la tarda gioventù, ma non è detto che anche tu non debba dimenticarlo ‘sto malessere. In fondo la paura è semplicemente paura, chi è a provarla ha importanza solo per noi. La paura ce l'hanno tutti, solo c'è chi non ne vuole sapere. Ti sei messo in ascolto ma non devi pensare che sia una cosa speciale, l’angoscia che senti. Imparerai a conviverci anche tu. Intanto agisci, fai un gesto!

    - Magari un viaggio me lo faccio davvero, ma tutto è stupido nel mondo, tutto è sopravvalutato! Questa cosa ignobile, il ragazzo la disse quasi sovrappensiero, e per questo noi lo scusiamo e chiediamo al lettore di fare altrettanto.

    - La vita non è facile, coglione. Ma almeno c’è da sognare in abbondanza. Sicuro, vattene di qua, questo ti ci vuole.

    Il militare finì di parlare, toccandosi il braccio indolenzito dalla mattinata passata a sparare, e adesso aveva sete.

    - Ti va una birra? Queste cazzate mi hanno messo sete! Qua dietro c’è un posto, birre buone, non vengono manco troppo, poi una lira di merda in più, e mangi.

    Attraversarono la strada per raggiugere il bar.

    - Quindi ti sei fidanzato? Uno in più venduto all’amore … non sono cose per me!

    - Ma che amore, magari. Il ragazzo si espresse tra risentimento e rammarico - Giovanna è una stronza che mi fa compagnia, non so nemmeno com’è che ci sto insieme per tutto ‘sto tempo poi! L’ho trovata una sera al Bunker, un posto di merda, e dopo dieci minuti stavamo in bagno e mi faceva un pompino. Cazzo non sono nemmeno venuto tanto stavo devastato quel giorno. Forse dovrei fare come te, starmene da solo un po’ in santa pace.

    Il militare si prende un minuto per aprire le birre e risponde.

    - Ti sbagli, io non sono mai veramente da solo. Frequento molte donne e ognuna mi da qualcosa; per lo più sono femmine … non so come spiegarti… rotte, si forse rotte è la parola giusta. Qualcosa di loro si è spezzato e questo le rende più belle. Ti faccio un esempio, son passati un po’ di anni, ho avuto una cosa con un’araba mentre stavo nell’esercito. Questa c’aveva quarant’anni, mi pare, e pure i capelli bianchi, non capivo che cazzo di lavoro facesse, mi sembrava che stesse sempre a spiegare ai bambini come difendersi, insomma una specie di maestra di scuola, ma per strada, non so neanche se la pagassero e come campava. Poi ci siamo conosciuti e siamo stati anche bene per qualche mese, c'aveva la fissa che il mondo si stesse addormentando e lei lo voleva a tutti i costi svegliare. Ma questo come vedi non ha nulla a che fare con l’amore e tanto meno con la solitudine.

    - Ale ma tu, seriamente, ti sei mai innamorato? Per me è stata sempre più che altro una cosa di fica, non so!

    - Guarda che non cambia un cazzo, amore, fica, è lo stesso! E la stessa cosa da cui non se ne esce se ti metti a pensare, scopa di più, secondo me questo è il tuo problema!

    - Non lo so…come fai a riconoscere tutto questo e rimanere tranquillo? Io non ce la faccio. Da quando ho spostato la tenda non ci sono più per me stesso. A lavoro poi, non sopporto nessuno e Giovanna ancora meno.

    - Non fare lo stronzo, quando parli così mi fai cacare, fai qualcosa trovati qualcosa da cercare! Vattene fuori un po’ e non rompermi i coglioni!

    Alejandro, il militare, parlando non aveva smesso di bere ed ora vuotava il fondo della seconda lattina, addentando un panino al prosciutto, tonno e mozzarella, e intanto al ragazzo gli si riscaldava la birra tra le mani, sgasandosi. Anche in quello si vedeva la differenza tra i due, l’uno entropico, l’altro abbandonato ad una statica indolenza.

    - Ale, la verità è che ho paura, paura che un giorno tutte queste stranezze mi scoppino in un accesso improvviso di terrore, io poi ne muoio! Sono sicuro di ‘sta cosa e non voglio avere sulla coscienza la morte di nessuno, tanto meno la mia.

    Si scopriva la sua debolezza, e per questo parlava tenendo lo sguardo basso dall’imbarazzo. Il militare non ci fece caso e cercò di incoraggiarlo: a quanto pare la fidanzata Giovanna e nemmeno la famiglia, la madre, erano argomenti efficaci, sembravano falsi anche nella stessa testa dell’amico, figuriamoci ad essere espressi. Così cercò di immaginare un richiamo più forte e più persuasivo, come per lui era stato il viaggio, o il mare. Si mise a dire:

    - "Anni fa anch’io credevo che in me i sentimenti si fossero trasformati in una completa indifferenza, fu prima di incontrare quell’araba, e lo so che cosa si prova, un senso di terrore inconcepibile, ma è solo una fantasia e te ne accorgi, prima o poi te ne accorgi e ritorni ad apprezzare qualcosa, un poco alla volta. Io ad esempio adoro stancarmi. Quando mi stanco è come dopo una grande scopata, la stanchezza perfetta di un corpo in salute è la cosa più dolce che il mondo conservi. Ne sono uscito così,

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