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Giorni pazzi, monna Lagia!
Giorni pazzi, monna Lagia!
Giorni pazzi, monna Lagia!
E-book113 pagine1 ora

Giorni pazzi, monna Lagia!

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Info su questo ebook

Scritti tra gli ultimi anni Novanta del Novecento e i primissimi anni Duemila, ma più volte ripresi e rielaborati, i racconti brevi che compongono questa raccolta programmaticamente intitolata Giorni pazzi, monna Lagia! – dove la monna Lagia a cui ci si rivolge è proprio la musa di Lapo Gianni menzionata nel celebre sonetto dantesco Guido, i’ vorrei – rendono con spirito beffardo, e talora al limite del nonsenso, quella che era evidentemente la mia percezione dell’epoca, l’atmosfera che mi pareva di respirare più o meno consapevolmente al principio della macelleria sociale iniziata in Italia a fine secolo e ancora in corso oggi: una sorta di pazzia collettiva all’insegna del thatcheriano “esiste solo l’individuo”, ossia del “ciascuno arraffi per sé tutto quello che riesce” da un lato e del “si salvi chi può, ognun per sé” dall’altro. Un clima che aleggia costantemente nei racconti, pur senza volersi mai fare espressamente riflessione teorica.
Non di rado diversi tra loro per atmosfera e ritmo, questi trenta testi brevi trovano una coerenza d’insieme, ma anche un’amplificazione dello straniamento, nell’essere stati lavati nella Commedia di Dante dopo la stesura definitiva; è infatti la struttura della prima cantica a ordinare le scalcagnate disavventure che si susseguono senza posa, in una sorta di processo mimetico, disseminandole anche di alter ego di personaggi più o meno familiari del poema, ora come attori ora come comparse. E forse non c’era momento più adatto di quest’ultimo scorcio del settecentesimo anniversario della morte del poeta per consentire loro di uscire a veder le stelle.
LinguaItaliano
Data di uscita23 ott 2021
ISBN9791220861120
Giorni pazzi, monna Lagia!

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    Anteprima del libro

    Giorni pazzi, monna Lagia! - Daniele Lucchini

    Daniele Lucchini

    Giorni pazzi, monna Lagia!

    Colophon

    Finisterrae 53

    Prima volta in Finisterrae: 2021

    In copertina: Umberto Boccioni

    La risata (particolare), 1911

    © 2021 Daniele Lucchini, Mantova

    www.librifinisterrae.com

    Tutti i diritti riservati

    ISBN: 9791220861120

    Epigrafe

    Quivi sospiri, pianti e alti guai

    risonavan per l'aere sanza stelle.

    Dante Alighieri,

    Inferno III,22-23

    Sommario, o sul numer delle trenta

    Per una selva oscura

    Calvinismo

    Rêverie

    Vita nuova

    Autogrill, o dell’ignavia

    Possesso, o dell’ignavia secondo

    Una storia di paese, o della lussuria

    Pompe, o della lussuria secondo

    Bluff, o della gola

    Cineprese, o dell’invidia

    Istruzione elementare, o dell’ira

    Una bella domenica, o della superbia

    Un fantasticatore, o dell’accidia

    Flegetonte

    L’uomo che comunica con i colori

    Il paese degli struzzi, o dell’eresia

    Un treno per il mare, o dell’assassinio

    Una tranquilla serata d’estate, o del suicidio

    Working class, o dell’usura

    Freelancer story, o dell’adulazione

    Verde incompiuto, o della simonia

    Punti di vista, o della preveggenza

    Relazione dell’ingegnere pattumico Marsilio Capafina all’Accademia delle Scienze, o della baratteria

    Nella nebbia, o dell’ipocrisia

    Puccio, o del latrocinio

    Tgx, o della frode

    Un metro e uno di formaggio, o della discordia

    La vera storia dei Gemelli Cacicchio, o della falsificazione

    Omero nel Baltico, o del tradimento della patria

    Violet, o del tradimento degli ospiti

    Postfazione

    Riferimenti dei nomi notevoli

    Per una selva oscura

    C’è stato un tempo anche prima di questi anni bui in cui tutto sembra inghiottito dall’assenza di prospettive economiche, in cui sembra che nessuno lavorerà più, lasciando l’uomo privo di un senso.

    C’è stato un tempo anche prima, nel quale chi viveva lasciava l’economia ai cafoni e il lavoro ai somari, incapaci pure di godere del proprio riposo.

    C’è stato. Ma la memoria nazionale, frullata da una videocrazia tanto demente quanto cinica, lo ha cancellato.

    Era un tempo che vedeva con lucidità lo stato in cui ci saremmo trovati oggi, ma se ne infischiava.

    Io almeno me ne infischiavo.

    Io vivevo.

    Calvinismo

    Attese ancora alcuni minuti, tre per la precisione. Il tempo che il caffè iniziasse a sbuffare da sotto il fungo paraspruzzi della moca, poi spense il fuoco del fornello e lasciò il resto del liquido gorgogliare fuori per inerzia.

    «E quindi che fece?», chiederai tu, lettore impaziente.

    Che modi! Stavo giusto per raccontarlo.

    Con un rapido giro attorno al piccolo tavolo da bar, che aveva collocato come desco nel cucinotto, raggiunse le mensole su cui teneva le stoviglie. Non molte per la verità, e tutte spaiate. Già tanto gli ospiti, si diceva sempre, venivano a pranzo o a cena a casa sua per il piacere di mangiare in compagnia una pietanza alla buona accompagnata da un bel bicchiere di vino, non per valutare il decoro della mensa. E comunque non erano mai più di uno o due alla volta, per cui i tre o quattro piatti e bicchieri superstiti di qualche servizio da sei bastavano sempre.

    A ogni modo stavamo dicendo che raggiunse la mensola delle stoviglie e ne pescò una tazzina senza piattino, dacché convitati non ne aveva quel pomeriggio e pertanto non c’era bisogno di formalità. Percorrendo a ritroso il circolo attorno al tavolo per tornare al fornello, raccolse la zuccheriera dal davanzale della finestra che gli fungeva da ripiano e da portavasi per le piantine aromatiche. Il cucchiaino lo aveva già lasciato accanto alla moca; era quello con cui ne aveva caricato di polvere di caffè il filtro poco prima. Con un gesto lento e consumato versò il profumato liquido bollente nella chicchera, assaporandone l’aroma con le narici mentre il sottile getto nero cadeva nel piccolo recipiente di porcellana.

    Deposta nuovamente la cuccuma sul fornello e fatti scivolare sul tavolino da bar zuccheriera, tazzina e cucchiaino, si accomodò come fosse un avventore, con tutta la calma del mondo.

    «È proprio necessario perdere tempo con questa puntigliosa e noiosa descrizione di un atto così banale e quotidiano come quello di prendere un caffè in casa? Guardi, è una cosa che facciamo tutti, sappiamo perfettamente come funziona».

    Mio lettore impaziente, hai ragione. Chi non conosce il piacere e la consuetudine del rito del caffè? Mi permetterai però di protestare che non per questo è inutile o fuori luogo descriverlo con cura e ammirata partecipazione. Concorderai infatti che non ho manifestato l’intento di lanciare uno scoop giornalistico, ma che sto più semplicemente provando ad abbozzare un racconto. E, me lo concederai certo, caro lettore poco paziente, è risaputo che il gusto della narrazione non sta solo nel riportare eventi esotici e mirabolanti, e sai bene che anzi provi grande soddisfazione nel ritrovare all’interno della fabulazione anche il tuo quotidiano, il mondo ben conosciuto nel quale ti muovi a tuo agio. Ad esempio ti sarai domandato più volte: «Ma come lo berrebbe il caffè l’eroe di un romanzo? Come lo preparerebbe il protagonista di una novella?».

    Intanto, mentre ci siamo distratti con le divagazioni, abbiamo perso il passaggio della dolcificazione. Non avendo visto quanto zucchero ha messo, ignoriamo se preferisce il caffè più o meno amaro. Il dato potrebbe avere delle implicazioni sul suo carattere: una persona più o meno brusca, più o meno simpatica, a seconda che a te e a me pure la bevanda piaccia più o meno zuccherata. Per il momento non lo possiamo sapere.

    Terminato di mescolare, tintinnando il cucchiaino contro la parete circolare della chicchera, sorseggiò pacato l’espresso ancora fumante, schioccando lievemente le labbra a ogni deglutizione. Posata la tazzina sul tavolo, si adagiò allo schienale della sedia e accavallò le gambe, come si apprestasse ad ascoltare un interlocutore. Socchiuse gli occhi e quindi li riaprì tamburellando il pollice della mano destra sul bordo del mobile, domandandosi a mezza voce, come lo stesse chiedendo proprio a quell’interlocutore: «Non sarebbe interessante raccontare di un tizio che compie un atto quotidiano, di quelli che fanno tutti e di cui proprio per questo nessuno pensa varrebbe la pena di scrivere? Che so, magari la storia di una persona che si prepara un caffè».

    Rêverie

    L’estate si distende sull’erba... / i vestiti estivi passano.

    Grandi, sono e saranno sempre i più grandi di tutti. Ricordo del concerto di Reggio Emilia, unica nota positiva in una terrificante giornata di fine estate. Dalle centocinquantamila persone di due giorni fa alla totale solitudine di questo pomeriggio. Noia mortale e quell’infame di Petra neanche oggi accenna a farsi sentire. Schifosa!

    Il cervello mi parte per la tangente con le paranoie più assurde, ma tragicamente fondate sulla quotidiana cronaca di tele e carta giornali. Non ho neanche una birra in casa e la sola via di fuga è Mtv, fortunatamente da inizio mese ventiquattro ore al giorno; così non rischierò più di restare completamente senza balia.

    E vai: il solito nauseabondo video rap-hip-hop, il prezzo musicale da pagare per godersi i vantaggi del villaggio globale.

    A questo punto ci manca solo l’avvio di un bel lavoro di ristrutturazione architettonica nel raggio di venti metri a completare l’opera di distruzione della mia stabilità nervosa e poi siamo a posto. Et voilà: martello pneumatico in strada proprio sotto la finestra della mia stanza. Adesso siamo al completo.

    Tutto questo spasso mi mette addosso una sete torrida. Neanche a dirlo e, sarà il tedio, sarà la gola secca, sarà un’allucinazione... Piramide maya immersa in una fitta foresta pluviale impastata con nebbia e umidità, in una

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