Omicidio all'Acquario di Genova: La nuova indagine dell'ispettore Marco Canepa
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Marco Di Tillo ha scritto per moltissimi anni programmi radiofonici e televisivi, sceneggiature per il cinema e testi per i fumetti. Per la Fratelli Frilli Editori ha pubblicato nel 2018 Tutte le strade portano a Genova, con un ottimo successo di critica e di vendite. Ha poi scritto i gialli Destini di sangue, Dodici giugno, Il Palazzo del freddo e i romanzi d’avventura per ragazzi Il ladro di Picasso, Due ragazzi nella Firenze dei Medici, Il giovane cavaliere, Tre ragazzi e il sultano, le favole illustrate Mamma Natale, Mamma Natale e i Pirati. Negli Stati Uniti è uscito il thriller storico The Other Eisenhower. Per il cinema ha scritto e diretto la commedia Un anno in campagna e il giallo per bambini Operazione Pappagallo. E’ anche autore di testi per fumetti, come le serie I grandi del jazz, I grandi del calcio e I grandi del cinema. Laureato in Psicologia, sopravvive a Roma con moglie, tre figli maschi e un cane femmina.
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Anteprima del libro
Omicidio all'Acquario di Genova - Marco Di Tillo
1
Genova Venerdì 2 marzo 2018. Ore 23,15
Se eri gay e volevi andare sul sicuro, c’era un super posto a Genova, il Venus. Si trovava in fondo a via Gallino, vicino a piazza Pontedecimo, ed era stato in precedenza autorimessa di autobus, magazzino di frutta e verdura, spaccio all’ingrosso per prodotti di casalinghi e, infine, come per una scintillante e prodigiosa magia della fata Turchina, si era trasformato in una bellissima discoteca a due piani. Nel piano inferiore si trovavano la pista da ballo circolare, la postazione del dj con l’attrezzatissima consolle e numerosi tavoli, divanetti e sedie. Una moderna scala hi-tech in legno e acciaio dalla curiosa forma a zeta conduceva poi al piano superiore dove c’erano l’ampia balconata e il bancone bar, dietro al quale si alternavano giovani barman sorridenti che preparavano i migliori cocktail della città.
Il proprietario del Venus si chiamava Stefano Fiore, ma era da sempre soprannominato Fat Color.
Fat perché era grasso, Color perché si vestiva sempre con abiti super colorati e vistosi.
«Come stai, Fat?», gli domandò Luca, sedendosi su uno sgabello vicino a lui.
«Che vuoi che ti dica? Si sopravvive, non so se mi spiego», rispose quello, prima di trangugiare la strana bevanda un po’ verde e un po’ arancione.
«Che hai organizzato per stasera?»
«Robe grosse, very very beautiful, baby. Il dj viene direttamente da Montecarlo e alla musica gli dà del tu, anzi del tutu, non so se mi spiego. E, naturalmente, strip finale hard boiled. Tutti neri, non so se mi spiego.»
Come al solito Luca era sul punto di domandargli perché usasse sempre quel curioso intercalare del non so se mi spiego, ma ancora una volta preferì rinunciare e alzò invece un dito per indicare al barista la bottiglia di whisky irlandese che si trovava poggiata sul bancone. Il ragazzo gliene versò subito una cospicua quantità nel bicchiere, prima di rivolgere la propria attenzione al gruppo di studenti appena sbarcato dalle sue parti.
Luca buttò giù il primo sorso che gli bruciò un po’ la gola, poi chiuse gli occhi e tirò un lungo e profondo sospiro. Era appena iniziata la sua settimana di ferie e aveva intenzione di godersela al meglio. Niente più occhi puntati sul computer per otto lunghe ore, quindi, niente più numeri da controllare con programma Excel, né insulsi colleghi che raccontavano barzellette o parlavano male di questo e di quell’altro. Per sette giorni voleva dimenticare tutto, agitare le ali e volare via in santa pace, puntando su quello che più gli piaceva. E quello che più gli piaceva in genere erano ragazzi belli, giovani e senza troppi problemi. Boys usa e getta, lui li chiamava proprio così. E così doveva essere, anche quella sera.
Finì il whisky, pagò il barista e poi scese al piano inferiore. La pista era già bella affollata. Uomini e donne si dibattevano scatenati, agitando a ritmo di musica teste, gambe, natiche e capelli. Lilli Santi, la lesbica più hard della città, si dimenava a più non posso insieme alla sua giovane amichetta di turno, entrambe fasciate a pelle da pantaloni tigrati e aderenti top fucsia. L’aria era intrisa di odori vari che andavano a mescolarsi a casaccio uno con l’altro, insieme al forte tanfo di sudore che più la gente ballava, più schizzava fuori da sotto le ascelle, come un tubetto di maionese, quando è spremuto.
Ecco, proprio la maionese gli era venuta in mente e quel pensiero gli fece fare una bella risata.
«Cazzo c’hai da ridere?», gli domandò con un accento un po’ slavo il tipo che si trovava in piedi, vicino a lui.
«No, niente. Pensavo alla maionese e allora...», bofonchiò lui, non sapendo bene che dire.
«Maionese. Tu mi sa che non stai bene, fraté», esclamò quello, guardandolo a bocca aperta. Stavolta l’accento slavo si era trasformato in qualcosa di diverso, come se si sforzasse di sembrare sempre più italiano, senza riuscirci del tutto però. Luca pensò che non fosse l’accento la cosa più importante da considerare al momento. Quel ragazzo, infatti, era davvero bellissimo, come aveva fatto a non notarlo prima? Alto, robusto, spalle larghe, bicipiti gonfi che sbucavano imperiosi sotto le maniche corte dell’attillata t-shirt. E poi, in dotazione, c’erano anche i capelli neri e lisci, la barba lasciata un po’ lunga stile Gerard Butler e due occhi così verdi che sembravano il prato immacolato di Buckingham Palace.
«Ci conosciamo?», gli domandò, quasi tremando.
«Non credo. Raramente frequento i tipi che mangiano la maionese», rispose quello, ostentando un senso dell’umorismo assolutamente imprevisto.
Si ritrovarono a chiacchierare in un divanetto d’angolo e parlarono a lungo di qualunque argomento, perfino di calcio.
Il ragazzo aveva detto di chiamarsi Martin e di essere nato in Slovenia dove tutti o quasi tutti parlano in italiano. Era venuto a Genova a trovare sua zia che faceva la parrucchiera dalle parti della Stazione Principe e la città gli era molto piaciuta, tanto che aveva intenzione di cercarsi un lavoro, per restare.
«Forse posso darti una mano a trovare qualcosa», gli sussurrò Luca, mentre la sua mano iniziava ad accarezzare dolcemente il collo del ragazzo. Abbandonarono il Venus verso le tre di notte e salirono sulla Cinquecento L di Luca color rosso amaranto parcheggiata nel piazzale antistante.
«Non fa così freddo», disse Luca, osservando i guanti che quello si era appena infilati.
«Sempre avuto le mani gelate, fin da piccolo», rispose lo slavo.
«E che ti faceva la mamma per riscaldarti?»
«Le coccole», rispose il ragazzo, con un mezzo sorriso.
«Vedremo allora di fare le veci della mammina, stasera, okay?», aggiunse Luca, mettendo in moto.
L’appartamento si trovava nel quartiere di Albaro, in una palazzina moderna. Era al pianterreno e aveva un accesso indipendente dal retro del palazzo, con un cancelletto di ferro che affacciava sul piccolo giardino popolato da piante grasse e ciclamini.
«Attento con i piedi, che mi schiacci la Rosa», disse Luca, mentre camminavano praticamente al buio.
«Chi è la Rosa?», domandò un po’ allarmato Martin.
«La mia tartaruga», rispose l’altro, come se parlasse di una fidanzata amorevole. Quando furono all’interno, Martin notò subito lo stile molto personale dell’abitazione. Luca aveva accostato mobili un po’ kitsch a quadri d’arte moderna. Le pareti erano colorate di verde mela e un lampadario di vetro stile Murano penzolava dal soffitto, illuminando il tappeto sottostante raffigurante una scena di giovani nudi che facevano il bagno in chissà quale mare tropicale.
«Tahiti?», domandò il ragazzo, ma non ottenne alcuna risposta. Arrivò invece un bacio, appassionato e lunghissimo.
Luca non riusciva più a resistere e iniziò a ficcargli con veemenza la lingua nella bocca e poi a inondarlo di baci e saliva, leccandogli le orecchie, le guance, il collo e iniziando contemporaneamente a spogliarlo. Ma poi fu lo stesso Martin a prendere l’iniziativa, perché lo costrinse a girarsi, slacciandogli i pantaloni che poi gli calò giù con uno strattone, insieme alle mutande. Poi lo spinse ancora più forte e lo fece piegare in avanti, con le braccia poggiate sul cuscino della poltrona imbottita. Luca era affascinato da tale improvvisa rudezza e gli piaceva davvero tutta quella intraprendenza, così lo lasciava fare, senza opporsi. Finché, alle sue spalle, sentì quel fruscio e pensò che fosse la chiusura lampo dei jeans di Martin.
Invece si sbagliava, perché era lo scatto di un coltello a serramanico che si apriva. Lo vide con la coda dell’occhio nel guanto di Martin. Ebbe paura e cercò di girarsi ancora di più, ma il ragazzo era fortissimo e lo teneva saldamente, senza permettergli di muoversi.
«Mica vorrai mettere dentro di me quel coso!», gridava Luca terrorizzato «Sei pazzo? Così mi ammazzi!»
Ma Martin non rispondeva. Allora Luca cercò di trovare tutte le forze a disposizione e infine, con uno strattone, si liberò dalla stretta e, finalmente, si girò. Gli occhi verdi dello slavo adesso erano diventati di ghiaccio e sul viso era apparso un orrendo ghigno.
«Adesso il gioco è finito, va bene?» gridò ancora Luca, cercando di fare la voce più cattiva che poteva.
«Hai ragione, frocio. Il gioco è finito», rispose il ragazzo e, nello stesso tempo, mosse la lama da destra a sinistra e gli recise di netto la carotide. Il movimento del braccio era stato così veloce che Luca non aveva neanche fatto in tempo a vederlo, mentre uno stupido ultimissimo pensiero gli attraversava la mente. Era un pensiero che riguardava quella sua prima serata di ferie che era finita così male e lui non sapeva neanche il perché.
2
Acquario del Porto Antico Domenica 4 marzo 2018. Ore 8,10
L’ultima vasca era anche quella che gli piaceva di più. Non che controllare le altre le creasse dei problemi, niente affatto, ma, insomma, era proprio nella tana dei simpatici lamantini che a Giulia Monti piaceva finire il proprio turno di lavoro mattutino. Mamma Rynke, tra l’altro, aveva partorito da meno di un mese il suo secondo cucciolo, arrivato tre anni dopo quello venuto alla luce nel duemilaquindici.
È arrivato Tino, il Lamantino!, titolava all’epoca a caratteri cubitali l’articolo del Secolo XIX
arricchito da numerose foto del piccolo, il primo in assoluto nato in Italia. Era stato quello un evento davvero straordinario che aveva scatenato l’interesse dei media e che aveva visto l’area dell’Acquario presa letteralmente d’assalto. Giulia se lo ricordava bene quel periodo anche perché, tra i vari giornalisti provenienti da ogni parte del mondo, era arrivato un certo Eric Holtzer che collaborava con l’edizione finlandese della rivista Geo
e che, insomma, si era dimostrato davvero molto carino con lei. Però, dopo una settimana di fotografie a Tino e di appassionati baci a lei, il vichingo era ritornato ad Helsinki dove lo aspettavano tanta neve, tre figli biondi e anche una moglie di nome Hellie del peso di circa cento chili, una specie di lamantina nordica.
«Ti sei innamorata?», le aveva chiesto, il giorno dopo la partenza di Eric, sua sorella Laura, vedendola così triste. Ma Giulia non si era innamorata davvero, per sua fortuna. Era stata soltanto una cottarella, niente di più, anche se lei pensava che Eric fosse davvero strepitoso, con quel fisico da urlo che avrebbe meritato molto di più di una moglie brutta e cicciona. Comunque, quando ripensava a lui, non poteva che rimpiangere quella settimana così divertente e ringraziare colui che era stato l’artefice della loro conoscenza e cioè Tino, il lamantino.
Perché mai così poca gente, invece, si fosse occupata del secondo cucciolo di Rynke, nato all’inizio di febbraio dell’anno in corso, questo non riusciva proprio a comprenderlo. Giulia pensò che, come al solito, tutta la fortuna era riservata ai primogeniti e niente restava mai per quelli arrivati dopo. Però a lei, appunto secondogenita, questa cosa non stava bene affatto. Invidiava da sempre sua sorella per il successo ottenuto al momento della nascita e per