Il Mercante d'Armi
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Anteprima del libro
Il Mercante d'Armi - Siegfried Futterlieb
14
Capitolo 1
Vienna, aeroporto di Schwechat
Il volo Iran Air 720 delle 16.55 con destinazione Teheran era già in ritardo di due ore. Non era una consuetudine ma accadeva abbastanza di frequente. La vendita di ricambi per gli aerei del regime iraniano, di solito vecchi Airbus A300 e Boeing 747, era vietata sia dall’Unione Europea sia dagli Stati Uniti d’America. La flotta iraniana, però, continuava a solcare i cieli, anche se con aerei obsoleti. Spesso, nei pochi scali internazionali che aveva mantenuto, venivano eseguiti interventi di manutenzione e conservazione eludendo così il blocco delle esportazioni. Tale con tutta probabilità era il motivo del ritardo del volo IR 720.
Nella sala d’attesa, di fronte all’uscita C38, il passeggero di classe economica Severiano Ribeiro attendeva con impazienza l’annuncio della partenza del suo volo. La data del viaggio, la scelta dell’aereo, la classe nella quale viaggiava erano state decise da qualcun altro. In affari, soprattutto nella sua attività, è d’obbligo adattarsi alle circostanze.
Severiano Ribeiro era un mercante d’armi. Stava per chiudere un importante contratto con i ribelli afghani.
Il regime iraniano osservava un’apparente neutralità nei confronti dello scontro fra le forze occidentali e i guerriglieri talebani. Una lingua comune, una religione di medesima origine così come una simile cultura uniformavano le identità dei due popoli. L’odio per le forze d’occupazione, soprattutto per l’esercito degli Stati Uniti, rappresentava un collante di solidarietà.
In realtà, Teheran chiudeva un occhio verso il commercio di materiali bellici organizzato da personaggi vicini ai centri di potere in Iran. Il traffico d’armi era molto redditizio e l’intervento di stranieri in queste negoziazioni non era ben visto dalle autorità, ma era trattabile, come d’altronde quasi tutto nel Paese. Bisognava trovare le persone giuste, retribuirle adeguatamente e assumersi i rischi che questi affari inevitabilmente provocano.
Severiano Ribeiro si era assicurato i contatti necessari. Questo era il suo secondo viaggio in Iran e, come per il primo, seguiva le istruzioni ricevute.
Nell’attesa del volo ripercorreva con la mente gli avvenimenti che lo avevano condotto a quella nuova avventura.
Il suo contatto, Mansur Mahdi, apparteneva a una facoltosa famiglia che governava il ricco mercato del bazar di Teheran. Lo aveva conosciuto in un bar del porto di Antivari, in Montenegro. L’incontro era stato organizzato dal suo caro amico Gregor Borislav, un serbo nativo di Petrovac.
I rapporti con Borislav si erano sviluppati negli anni andando oltre le consuete relazioni d’affari. Si erano incontrati a Londra nel periodo che Severiano definiva come il suo primo arco vitale. Avevano chiuso affari insieme e si erano accorti di essere molto simili, entrambi freddi, spietati, tutti e due delinquenti incalliti.
Negli anni avevano affinato le loro menti criminali e cercato il colpo che li avrebbe sistemati per il resto della vita.Lo avevano cercato, voluto e realizzato ma, nonostante la fortuna accumulata, non avevano smesso di infrangere la legge. Non agivano più per un ideale, per una bandiera o una causa né tantomeno per avidità. Probabilmente non erano coscienti di essersi ormai assuefatti alla violenza, alle scariche di adrenalina, al rischio.
Il loro affiatamento era cementato anche da reciproci e notevoli vantaggi economici. Il rapporto con Boris, così lo chiamava, era quanto di più vicino a un’amicizia Severiano potesse concepire.
Nell’accordo che avevano concluso Severiano aveva dovuto fidarsi di Boris ma si era anche cautelato con un insieme di ricatti che non scandalizzavano nessuno dei due. Non avrebbero mai immaginato un legame basato solo sulla fiducia o sulla stima reciproca.
I Balcani, per l’attività di Severiano, rappresentavano un mercato del tutto anomalo. Si comprava e si vendeva nello stesso momento. Alcune armi erano molto richieste, altre erano presenti in sovrabbondanza e si trovavano sul mercato a prezzi assai convenienti. Ribeiro aveva beneficiato della situazione conquistandosi il rispetto di un mondo infido considerazione notoriamente difficile da ottenere in quella parte del mondo.
Si trovava a bordo della motonave al molo principale di Antivari per una consegna di munizioni. Prima di riprendere il largo Borislav lo aveva fermato dicendogli che voleva presentargli una persona.
È un iraniano che vorrebbe esportare armi in Afghanistan, lucroso mercato, come tu sai. Solo che non vuole sporcarsi le mani. Credo che potreste fare ottimi affari insieme. Ti posso dire che è pulito ed è chi dice di essere: un facoltoso mercante di Teheran. Le mie fonti in Iran mi hanno assicurato che la sua famiglia è molto potente nel Paese.
Così il brasiliano e l’iraniano si erano conosciuti ad Antivori e dal quel confronto, seguito da un secondo appuntamento a Beirut, era iniziata la loro collaborazione per trafficare armi in Afghanistan.
Finalmente, con un ritardo di tre ore, l’IR 720 decollò alla volta di Teheran.
L’aereo era semivuoto. L’Iran non era più meta del turismo di massa e chi desiderava visitare quel bellissimo Paese sceglieva compagnie aeree occidentali che garantivano maggiori affidabilità e comfort.
Severiano Ribeiro non attribuiva grande importanza alla sicurezza. La sua vita era stata un’avventura continua, non si sarebbe certo preoccupato della scarsa fiducia di cui godeva la compagnia di bandiera. Malgrado fosse diventato molto ricco e si fosse abituato agli agi che il denaro concede, per abitudine e indole si adeguava con facilità a ogni nuova, e persino disagevole, situazione. L’unico fastidio di quel volo era l’assenza di un buon whiskey o di una sana birra, tutte bevande rigorosamente vietate sulle trasvolate degli Ayatollah.
All’aeroporto Imam Khomeini di Teheran, ripercorse la medesima trafila del viaggio precedente. Nessun intoppo al controllo passaporti, nessun ostacolo in dogana. Appena fuori dall’area dei voli internazionali, uno sconosciuto gli si avvicinò con rispetto e discrezione e lo condusse fuori dall’edificio, dove un’anonima vettura lo attendeva.
Il percorso dall’aeroporto alla città, nell’infernale traffico di Teheran, fu lunghissimo e snervante. Un albergo diverso dalla prima volta lo attendeva nel centro. Era catalogato come un tre stelle, categoria che di certo non corrispondeva a quella del mondo occidentale. Lo dimostravano l’assenza di turisti e la presenza di molti religiosi e uomini d’affari locali. Anche lì nessuna formalità, non dovette neanche esibire il passaporto o firmare moduli per il check-in.
Le armi erano rimaste in attesa per giorni nel porto franco di Chabahar, nel golfo di Oman. Il container, che ufficialmente conteneva ricambi per auto e trattori, aveva poi passato sano e integro i controlli portuali e doganali e in quel momento era in viaggio, con un trasporto multimodale, verso Zahedan.
Anche Ribeiro era diretto in quella città, dove avrebbe incontrato gli acquirenti per la consegna del carico.
L’organizzazione