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Sparizione (eLit): eLit
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E-book373 pagine5 ore

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ROMANZO INEDITO

Benchè sia figlia del segretario di stato americano, Summer, come sua madre prima di lei, si è sempre tenuta lontana dai centri del potere, specie dopo il secondo matrimonio del padre. Eppure, all'improvviso, si trova a essere l'involontaria protagonista di un'azione terroristica, vittima di un rapimento e oggetto di una richiesta di riscatto. Sospettata dall'FBI di aver organizzato lei stessa il proprio rapimento per ottenere la scarcerazione di un vecchio amico, Summer dovrà risolvere da sola un complicato rompicapo, per scoprire che cosa c'è, realmente, dietro quella che sembra l'azione di un gruppo di fanatici ambientalisti. Ma forse non sarà sola, poiché Duncan Ryder, l'odioso fratello della sua ancora più odiosa matrigna, si rivelerà un alleato inaspettato.
LinguaItaliano
Data di uscita31 ago 2018
ISBN9788858989739
Sparizione (eLit): eLit
Autore

Jasmine Cresswell

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Sparizione (eLit) - Jasmine Cresswell

    successivo.

    Prologo

    Joseph Malone si aspettava da sei mesi di essere ucciso. Solo uno sciocco non avrebbe riconosciuto il pericolo, e lui era un idealista, non uno sciocco. Per la maggior parte del tempo era troppo occupato con le fasi finali della sua ricerca per chiedersi come l'avrebbero ucciso, ma quando le notti erano particolarmente afose e non riusciva a dormire, rimaneva disteso nella sua amaca a interrogarsi sul mezzo che i suoi nemici avrebbero scelto. Quello consueto era una pallottola nella schiena... solo che non sapevano ancora dove trovarlo. La loro totale ignoranza della foresta pluviale era la sua più potente protezione. Finché rimaneva nelle profondità della foresta era al sicuro, protetto dall'esuberanza della natura e dalla feroce lealtà della tribù Xuaxanu.

    Purtroppo non poteva restare nella foresta per sempre, se voleva raggiungere i suoi scopi. Così, con grande cura, e anche maggior riluttanza, aveva fatto i suoi piani per un viaggio negli Stati Uniti. Fernando gli aveva offerto la sua personale protezione, settimane prima, ma Joseph l'aveva rifiutata. Non perché non si fidasse di Fernando. Abbastanza stranamente, dopo aver militato per anni sui fronti opposti della lotta per preservare la foresta pluviale, Joseph aveva sviluppato per le capacità di Fernando un rispetto che confinava con l'affetto.

    No, non era per mancanza di fiducia che aveva rifiutato l'offerta d'aiuto di Fernando. Semplicemente, non riteneva che Fernando fosse in grado di mantenere le sue promesse. Poteva anche essere uno degli uomini più ricchi e potenti del mondo, ma perfino lui era impotente a imporre la sua volontà sulla massa di corruzione che si faceva passare per polizia in Amazzonia. Perciò, pur rendendosi conto del pericolo che correva, Joseph aveva lasciato il remoto villaggio della tribù Xuaxanu e aveva preso, prima in canoa, poi in battello a motore, la via di Manaus, la città che costituiva la porta dello sterminato territorio amazzonico e il punto di partenza per raggiungere il resto del mondo.

    Si era sforzato di mantenere segreto il suo viaggio, eppure all'aeroporto era rimasto costantemente all'erta, prevedendo tentativi per ucciderlo, sentendo odore di complotto ogni volta che era costretto ad affrontare un sudato, sottopagato agente del lontano governo centrale. Ma fino a quel momento non era accaduto nulla. Aveva viaggiato da Manaus a Recife e cambiato aereo per salire su un Jumbo diretto negli Stati Uniti. La sua destinazione finale era Washington, dove aveva appuntamento con Fernando, ma aveva preferito fare tappa a Miami, perché era il punto d'ingresso più vicino, e lui riteneva che sarebbe stato leggermente più al sicuro, una volta raggiunto il suolo degli Stati Uniti.

    L'America. Il paese di suo padre. La terra degli uomini coraggiosi e la patria degli uomini liberi. Durante l'adolescenza, aveva guardato con cinismo al distratto patriottismo della maggior parte degli americani e alla loro arrogante convinzione che gli Stati Uniti fossero il miglior paese del mondo. Ma dopo aver vissuto per tre anni in Brasile, era più disposto ad apprezzare ciò che gli Stati Uniti offrivano ai loro cittadini. A paragone della corruzione istituzionalizzata che aveva visto nelle baraccopoli sparse lungo il Rio delle Amazzoni, gli americani vivevano in un sistema politico che era un modello di onestà e di efficienza. Non c'era da stupirsi che molti di loro fossero pionieri disposti a correre i più gravi rischi. Era facile prendere l'abitudine all'audacia, quando si godeva della sicurezza di un'autentica libertà.

    Il volo verso nord da Recife fu lungo e noioso. Così noioso e privo di incidenti, in effetti, che Joseph cominciò a provare un barlume di speranza. Speranza di essere riuscito a lasciare sano e salvo il Brasile. Speranza che lui e Fernando potessero entrambi vivere abbastanza a lungo da incontrarsi a Washington, come d'accordo. Speranza che Summer Shepherd non si sarebbe mai trovata nella necessità di decifrare i segreti contenuti nel dischetto che le aveva spedito dall'aeroporto di Recife.

    Ma venti minuti dopo essere atterrato a Miami, si rese conto di essersi illuso troppo presto. Non aveva ancora passato la dogana ed era già nei guai. Paralizzato dalla frustrazione, Joseph guardò un funzionario della dogana statunitense frugare nella sua valigia con determinata accuratezza. Quella non era una ricerca di routine, pensò Joseph cupamente. L'uomo che frugava nella valigia era un funzionario di grado elevato, ed era fiancheggiato da altri due colleghi. Non c'erano dubbi: era stato segnalato.

    Il funzionario sospirò, soddisfatto, quando scovò un grosso sacchetto di plastica sigillato. Lo prese tenendolo con cautela per le estremità, presumibilmente per non cancellare eventuali impronte digitali.

    Cocaina, pensò Joseph amaramente. Almeno un chilo. E scommetto che quei bastardi hanno trovato il modo di assicurarsi che ci siano le mie impronte su tutto quel dannato sacchetto.

    Benché fosse inutile, Joseph fece automaticamente un tentativo per protestare la propria innocenza. I funzionari lo ascoltarono con palese scetticismo.

    Troppo tardi, Joseph si rese conto di aver sottovalutato i suoi nemici. Ma certo, il loro piano non prevedeva niente di così maldestro come un omicidio. Non avevano aspettato che uscisse dalla foresta pluviale per assassinarlo. Lo avevano atteso per potergli estorcere delle informazioni. Non lo avrebbero ucciso. Lo avrebbero torturato fino a quando non avessero ottenuto quello che volevano: non la sua vita, ma gli appunti delle sue ricerche.

    La formula.

    Nonostante l'aria condizionata, Joseph era in un bagno di sudore. Lottò contro la paura che gli contraeva lo stomaco. Era un ricercatore, non un soldato. E benché gli anni passati nella giungla gli avessero dato una certa resistenza ai disagi, dubitava che avrebbe potuto sopportare delle sofferenze fisiche intense e calcolate.

    Che cosa volevano fargli, esattamente, quei bastardi? Quanti funzionari americani avevano comprato? Tutti? Nessuno? Sarebbe sparito dagli uffici della dogana per non ricomparire mai più?

    Deglutì a vuoto. Aveva le mani sudate e la bocca arida per la paura, mentre il funzionario della dogana gli leggeva i suoi diritti. Pur sapendo che non sarebbe servito a nulla, protestò nuovamente la propria innocenza. I funzionari lo ignorarono.

    Terrorizzato, Joseph si guardò attorno, alla disperata ricerca di una via di fuga. Sospettando che avesse in mente di svignarsela, il funzionario doveva aver lanciato qualche segnale silenzioso, poiché all'improvviso Joseph fu circondato da robusti agenti, tutti con le armi in pugno.

    Quando lo trascinarono in una stanza per interrogarlo, gli venne istintivo di opporre resistenza, ma non ottenne nulla, tranne di farsi quasi staccare le braccia e di venire ammanettato. Gli agenti lo spinsero in una stanza nuda, senza finestre, che puzzava di fumo di sigaretta stantio e di paura. La sua paura, forse. Dio sapeva bene quant'era spaventato. C'era così tanto in gioco, e non solo per lui, ma per centinaia e centinaia di altre persone.

    Si accasciò sulla sedia e rifiutò di rispondere alle domande o anche solo di riconoscere la presenza di coloro che lo interrogavano. Dietro la barriera protettiva del silenzio, il suo cervello lavorava febbrilmente. E va bene, doveva accettare il fatto che aveva sbagliato i suoi calcoli. I suoi nemici dovevano averlo individuato quando aveva fermato la barca per rifornirsi di carburante a una delle baraccopoli lungo il fiume. Il che confermava che, almeno per il momento, non lo volevano morto. Se ne sapevano abbastanza sui suoi movimenti da riuscire a infilargli la cocaina nella valigia, senza dubbio avrebbero potuto assassinarlo prima che lasciasse Manaus.

    Invece, lo avevano fatto arrestare. E negli Stati Uniti. D'accordo, e così volevano informazioni... informazioni che potevano avere solo da lui. Quella non era certo una sorpresa. Ma doveva esserci una ragione per il momento e il luogo del suo arresto. Il fatto che gli avessero permesso di lasciare il Brasile significava che lo volevano negli Stati Uniti. In qualche modo ritenevano che, facendolo mettere in prigione, avrebbero ottenuto delle informazioni che sarebbe stato impossibile estorcergli in Brasile. Perciò la tortura, abbastanza facile a Manaus, ma più difficile a Miami, probabilmente non era il metodo che avrebbero scelto.

    Joe non fu rassicurato come avrebbe dovuto da quella deduzione. Perché diavolo lo volevano là? Sul suolo statunitense, in una prigione americana? Non riusciva a immaginare quale potesse essere il loro piano. Sapeva solo che era meglio che ci arrivasse in fretta, se voleva salvare la sua vita.

    E il suo lavoro.

    1

    «Signorina Shepherd! Che piacere vederla qui!»

    Summer si voltò e riconobbe un noto scienziato brasiliano che era stato uno dei partecipanti al convegno sull'ambiente in Giappone. Gli tese la mano, sorridendo.

    «Dottor Pelem, che bella sorpresa.»

    «Sono sorpreso anch'io di essere qui» rispose lui. «Non so bene come ho fatto a entrare in una lista di ospiti così esclusiva. Ritengo che il vostro vicepresidente abbia messo una buona parola per me.»

    «È probabile. Ma il fatto che lei sia appena stato nominato direttore dell'Accademia brasiliana delle scienze può entrarci per qualcosa. Congratulazioni, dottor Pelem.»

    Lui agitò una mano.

    «Lo sa come vanno le cose con queste onorificenze accademiche» disse sorridendo. «Quando sei diventato troppo vecchio per produrre un lavoro valido, ti nominano direttore di qualcosa, per tenerti fuori dei piedi.»

    Summer rise, accettando il braccio che lui le offriva per entrare nella sala di ricevimento John Quincy Adams.

    «Ma il sistema è fallito con lei, dottore. Ho letto il suo rapporto al summit sull'ambiente dell'anno scorso, ed è senza dubbio il condensato più intelligente di quello che è stato discusso. E ho notato un paio di commenti pepati inseriti in tutta quella blanda prosa da Nazioni Unite.»

    «Allora, posso dire che l'ammirazione è reciproca» osservò lo scienziato, ammiccando. «Ho letto il suo articolo sulla rarefazione dell'ozono nell'Antartico su Nature, e sono rimasto molto colpito, non solo dal suo valore scientifico, ma anche dal buonsenso delle sue conclusioni.»

    «Grazie. Sono davvero onorata. La sua approvazione è lusinghiera.»

    «Non c'è di che. E ora, visto che siamo nella felice disposizione d'animo di scambiarci complimenti, posso prendermi la libertà concessa a un uomo molto anziano e dirle che è particolarmente bella, stasera? Lei è una combinazione sorprendente, signorina Shepherd. Intelligenza e bellezza, tutto in una sola, deliziosa confezione.»

    Lei rise.

    «Grazie ancora. Sono sinceramente lusingata. Sono sicura che anche agli scienziati anziani è consentito notare l'aspetto delle loro colleghe.»

    «La sola cosa che posso risponderle è che grazie al cielo sono ancora prima un uomo, e dopo uno scienziato. Ah! Vedo l'ambasciatore che mi fa segnali neppure troppo discreti. Devo prendere congedo, e sperare che possiamo ritrovarci più tardi.»

    Il dottor Pelem s'inchinò e sparì fra la folla. Summer respirò a fondo, preparandosi mentalmente a salutare la sua matrigna, che stava accogliendo gli ospiti davanti all'imponente caminetto. Si fece avanti con cupa determinazione.

    «Summer, mia cara, hai un'aria così... stranita. È tutto a posto, spero.»

    Olivia Shepherd baciò l'aria vicino alla guancia della figliastra, poi fece un passo indietro atteggiando il viso truccato a una lievissima traccia di preoccupazione.

    Summer resistette alla tentazione di rassettarsi il vestito e ravviarsi i capelli.

    «Sì, sto bene, Olivia. Tutto va nel migliore dei modi.»

    Per la millesima volta, si chiese perché non riuscisse mai a trovare una risposta adeguata alle battute sottilmente velenose di Olivia fino a quando non era a letto a casa sua. Quella di minare la fiducia in se stessa di Summer era una delle più raffinate abilità di Olivia, e lei la sfruttava senza ritegno.

    «Nel migliore dei modi?» ripeté Olivia, ironica. «Mia cara, sono felice che tu sia così... allegra.»

    «Perché non dovrei esserlo?»

    «Ho sentito che corri il pericolo di perdere il posto. I pezzi grossi dell'università, evidentemente, non sono convinti quanto te che le calotte polari stiano per sciogliersi e mandarci tutti a galleggiare sull'oceano.»

    Summer strinse i denti e decise di non sprecare il fiato tentando di spiegare in che cosa consistesse la sua accurata ricerca sul diradamento dello strato di ozono.

    «È vero che per un breve periodo l'università si è trovata a corto di fondi per il mio progetto, ma abbiamo trovato un nuovo sponsor senza troppa difficoltà.» Arrossì per la propria bugia. Un nuovo finanziamento si era rivelato quasi impossibile da reperire, e la sua borsa di studio post-dottorato sarebbe scaduta fra meno di sei mesi. A quel punto, si sarebbe trovata disoccupata. Ma non intendeva ammettere quell'umiliante verità di fronte alla matrigna. «Il mio posto è assicurato» affermò, sulla difensiva.

    «Mi fa piacere saperlo.» Olivia non fece il minimo sforzo per apparire sincera. «So quanto sei dedita alle tue cause, Summer. Tuo padre e io ci chiediamo spesso dove andresti a nasconderti, se non potessi più seppellirti in quel tuo laboratorio.»

    «Sono sicura che troverei qualche posto adeguatamente oscuro» ribatté lei. «A proposito, dov'è papà?»

    «Laggiù, vicino alle finestre. Sta parlando con l'ambasciatore del Brasile» rispose Olivia con un sorrisetto condiscendente. «Non credo che gradirebbero essere interrotti, in questo momento, ma sono sicura che Gordon troverà cinque minuti per scambiare due chiacchiere con te, prima della fine della serata.»

    «Sì, ne sono sicura anch'io.» Summer aveva undici anni di esperienza nel trattare con la matrigna, e dopo l'incertezza iniziale riusciva a fronteggiare assai bene la sua abituale malignità. Le scoccò un sorriso falso. «Dopotutto, se in tutta la serata il segretario di Stato non rivolgesse neppure la parola a sua figlia, qualche giornalista intraprendente potrebbe notarlo.»

    Le narici di Olivia vibrarono leggermente. Era il solo segno di collera che si concedeva.

    «Tuo padre è un uomo importante e molto occupato, Summer. Devi convincerti che non può piantare tutto e correre da te non appena entri nella stanza.»

    «Visto che mio padre e io non passiamo più di venti minuti insieme da almeno un anno, credo proprio di essere riuscita a capirlo da sola.»

    «Bene. E mentre siamo in argomento, ti prego di tenere bene a mente che tuo padre conta che ti comporti in modo appropriato, stasera. Mi ha persuaso ad aggiungere il tuo nome alla lista degli invitati, anche se ero di parere contrario. Perciò, per l'amor del cielo, non sequestrare il ministro degli Esteri brasiliano per rinfacciargli la distruttiva politica del suo paese riguardo alla giungla amazzonica.»

    «Diamine, sono contenta che tu me ne abbia parlato, Olivia. Altrimenti sarei corsa a chiedergli quanti alberi ha abbattuto oggi.»

    «Il tuo tentativo di sarcasmo è del tutto fuori luogo. Il fatto è che non possiedi alcun senso della moderazione, quando si tratta delle tue cause.»

    «Perché so che all'umanità non rimane più molto tempo per provvedere a cambiamenti vitali...»

    Olivia non la lasciò finire. Le voltò bruscamente le spalle e andò incontro a un gruppo di nuovi arrivati. Adorava le celebrità, e sorrise con genuina cordialità nell'accogliere uno dei più famosi giornalisti televisivi.

    «Ted, grazie per essere venuto con un preavviso così breve. Hai un aspetto magnifico! Non c'è neppure bisogno di chiederti com'è andato il tuo viaggio in Brasile.»

    Summer scivolò via, prendendo al volo un bicchiere di vino dal vassoio di un cameriere di passaggio e buttandolo giù abbastanza in fretta da ridurre la sua rabbia dal punto di ebollizione a una temperatura media. Vinse la tentazione di nascondersi nel bagno più vicino, anche se l'impulso di verificare il proprio aspetto, dopo il commento tagliente di Olivia, era forte. Non c'era affatto bisogno che si preoccupasse. Il suo abito blu notte era nuovo, si era raccolta i capelli in un morbido chignon e aveva dedicato dieci minuti a truccarsi, il che era all'incirca nove minuti e mezzo più del solito. Non avrebbe riconosciuto la superiorità di Olivia angosciandosi e chiedendosi se avesse o no un aspetto stranito.

    Si servì di un altro bicchiere di merlot californiano e scambiò qualche frase educata con una dozzina di persone che non conosceva, ma che sembravano conoscere lei. Per necessità, era diventata un po' più brava a conversare con gli sconosciuti, negli ultimi tempi. Fra i molti risultati inaspettati della nomina di suo padre a segretario di Stato c'era stata la notorietà di riflesso che la illuminava in occasioni come quella cena in onore del ministro degli Esteri brasiliano. Le persone che contavano sapevano che i rapporti fra lei e suo padre non erano molto stretti, ma coloro che non erano addentro alle segrete cose amavano chiacchierare con lei e illudersi di essere vicini al centro del potere.

    Mentre si aggirava fra la folla di ospiti, fu avvicinata da un redattore di Vanity Fair, e si era appena liberata di lui quando fu catturata dal capo della redazione internazionale di U.S. News and World Report. Avendo imparato per esperienza che niente di quello che diceva a un giornalista era mai riservato, Summer rifiutò di commentare una recente biografia televisiva di suo padre, anche se il programma in questione aveva fatto apparire sua madre come un'estremista un po' svitata, scampata per un pelo al ricovero in una clinica per malattie mentali.

    Finalmente, con suo grande sollievo, si imbatté in Rita Marcil, la responsabile per le questioni ambientali del New York Times. Era stata invitata, le spiegò la giornalista, perché gli assistenti del ministro degli Esteri brasiliano potessero informarla ufficiosamente dei grandi passi avanti che il governo stava facendo nel controllo dello sfruttamento commerciale della foresta pluviale amazzonica.

    «Ti hanno convinta?» chiese Summer. «Sarebbe un bel colpo, per loro, se scrivessi un articolo favorevole su quello che sta succedendo in Amazzonia.»

    Rita si strinse nelle spalle.

    «Ritengo che il governo brasiliano stia facendo degli sforzi tardivi per sviluppare la regione in un modo più responsabile, ma è troppo poco, troppo tardi. Ormai ci vorrebbe assai più di un po' di polvere negli occhi a una cena ufficiale per convincermi che non siamo già di fronte al più grande disastro ecologico della storia.»

    Summer scosse la testa.

    «Sentiamo tanto parlare di com'è piccolo il pianeta su cui viviamo e di come siamo tutti legati l'uno all'altro, eppure la gente sembra non curarsi per nulla di quello che succede all'ambiente nei paesi in via di sviluppo.»

    Rita sorrise, cinica.

    «Mia cara ragazza, se i migliori e più pagati consulenti di pubbliche relazioni di questo paese riescono a convincere solo un terzo della popolazione adulta a votare per l'elezione di un presidente, non abbiamo molte speranze di indurre il cittadino medio a interessarsi a un argomento astruso come le tecniche agricole nella foresta amazzonica.»

    «Ma è molto più importante degli intrighi politici di Washington...» Rita rise, genuinamente divertita, e Summer finì per ridere con lei. «Okay, forse io sono la sola persona a questo party che crede che Washington non sia il centro di ogni evento significativo dell'universo, ma mi fa rabbia che scienziati di fama non riescano a convincere un solo membro del governo a prestare attenzione a dati inconfutabili sulle interconnessioni fra la distruzione della foresta pluviale, la riduzione dell'ozono e il riscaldamento del pianeta.»

    «Via, Summer, posa i piedi per terra. Sai bene che nessuno, a Washington, permette ai dati scientifici di interferire con le decisioni politiche.»

    «Lo immagino. Ma continuo a sperare che qualcosa svegli i politici, prima che sia troppo tardi...»

    «Offri a un politico la scelta fra vincere le prossime elezioni o salvare il pianeta per le future generazioni, e indovina che cosa preferirà. Non c'è premio per la risposta corretta.»

    «Lo so. Sai, sono stanca dei politici che sposano la nostra causa a parole, e poi approvano leggi che rendono la situazione ancora peggiore.» A quel punto lei e Rita si unirono alla folla degli ospiti che stavano passando nella sala da pranzo, sotto l'occhio vigile di una legione di agenti, e aspettarono istruzioni su come trovare i loro rispettivi tavoli nell'imponente salone Benjamin Franklin.

    «Io sono al tavolo dodici» disse Rita, dando un'occhiata al proprio cartoncino. «E tu? Immagino che sarai al tavolo di tuo padre con i VIP.»

    «Vuoi scherzare? La mia matrigna è convinta che io non sia una compagnia adatta per il ministro degli Esteri brasiliano e sua moglie.» Summer rimase sgradevolmente sorpresa constatando che quel fatto la feriva, e si affrettò a controllare il cartoncino con le istruzioni che aveva appena ricevuto. «Sono al tavolo sedici.»

    «Il mio stesso tavolo» annunciò una voce maschile alle sue spalle. «Che piacere inaspettato. Come stai, Summer?»

    Duncan Ryder. Summer trattenne a malapena un gemito di protesta, al suono della sua voce. Duncan era il fratello di Olivia, e una delle persone che le piacevano meno al mondo. Avrebbe dovuto immaginare che sarebbe stato lì, quella sera, visto che lavorava per il Dipartimento di Stato ed era appena stato promosso al rango di consigliere... avvenimento quasi inaudito per un uomo che non aveva ancora quarant'anni.

    Suo padre e la sua matrigna consideravano Duncan un dono del cielo per la diplomazia americana... oltre che per tutte le donne nubili del mondo. Gordon non perdeva un'occasione per far notare a Summer che eccellente marito Duncan sarebbe stato per lei, il che l'avrebbe irritata molto di più se non avesse saputo che Olivia avrebbe avuto un colpo apoplettico all'idea che il suo brillante fratello si mettesse con la sua inutile figliastra.

    Se avesse voluto rassicurare Olivia e, naturalmente, non voleva farlo, Summer avrebbe potuto dirle che smettesse pure di preoccuparsi, poiché era più probabile che sposasse Fidel Castro che suo fratello. C'erano poche persone al mondo che la facevano sentire più a disagio di Olivia, e Duncan Ryder era una di quelle poche.

    Reprimendo un forte impulso a correre all'uscita più vicina, si voltò a salutarlo con una voluta mancanza d'entusiasmo.

    «Ciao, Duncan, come stai? È un po' che non ci vediamo.»

    «Sono stato all'estero, a cercare di persuadere un certo numero di imprese americane a investire in diversi progetti a Recife.» Duncan la guardò con un'ombra di ironico divertimento. «Naturalmente, ho preso il primo volo per Washington, quando ho saputo che saresti intervenuta a questo ricevimento.»

    «Oh sì, naturalmente. So bene quanto ami la mia compagnia.»

    «E tu la mia.»

    «Oh, sicuro, sei l'uomo dei miei sogni. Anzi, ho rifiutato un appuntamento con George Clooney nella speranza che Olivia mi mettesse al tuo stesso tavolo.»

    Lui accennò un ironico inchino.

    «Sono profondamente lusingato. Grazie.»

    Summer si morse il labbro, frustrata. Era impossibile mettere in difficoltà Duncan, e questo la esasperava.

    «Mi sorprende che tu sappia chi è George Clooney» brontolò. «Non credevo che guardassi la televisione, a parte i notiziari internazionali.»

    «Sicuro che la guardo. Mi aiuta a passare i momenti d'ozio, quando non aiuto avide imprese di costruzione a divorare terre incontaminate.»

    Summer finse di non notare il sarcasmo.

    «È questo che sei andato a fare a Recife?»

    «Non ci sono terre incontaminate a Recife» ribatté lui con improvvisa durezza. «Solo una quantità di edifici cadenti e migliaia di affamati.»

    Rita si schiarì la voce.

    «Spiacente di interrompervi, ma questo è il mio tavolo. È stato un piacere vederti, Summer. Ci sentiamo a New York.»

    Summer si era completamente dimenticata di Rita, che stava guardando Duncan con la consueta, rapita ammirazione che lui ispirava alla maggior parte delle donne. Fece le presentazioni, desiderando che ci fosse un modo per comunicare telepaticamente a Rita che la bellezza di Duncan mascherava una personalità che possedeva tutto il fascino di un alligatore sofferente di mal di denti.

    «Rita, ti presento il fratello della mia matrigna, Duncan Ryder. È consigliere al Dipartimento di Stato, responsabile dei rapporti commerciali degli Stati Uniti con l'America Latina. Rita Marcil, del New York Times. È a capo della redazione per le questioni ambientali.»

    «Conosco i suoi articoli» disse Duncan, stringendo la mano a Rita. «Sono felice di conoscerla. Sono rimasto molto colpito da quanto ha scritto il mese scorso sugli effetti sull'ambiente degli investimenti stranieri in India. Mi ha dato molto materiale su cui riflettere, mentre mi preparavo per i miei incontri a Recife.»

    Rita sorrise, compiaciuta per il complimento.

    «È stata una ricerca interessante quella che ho condotto per l'articolo, e alcune conclusioni sono state diverse da quelle che mi aspettavo.»

    «Posso capirlo. È uno studio davvero illuminante... traumatizzante, perfino, come lo è a volte il giornalismo veramente buono.»

    «Grazie.»

    Rita, la giornalista teoricamente cinica, arrossì addirittura. Summer, riconoscendo i temuti primi segni di infatuazione, represse un sospiro. La durata media delle relazioni sentimentali di Duncan era di circa un mese. A quel punto, invariabilmente si stancava, e spesso lei si era trovata nell'imbarazzante posizione di dover spiegare alla delusa di turno che era l'ultima persona al mondo a sapere come ravvivare il vacillante interesse di Duncan.

    Gli scoccò un'occhiata di antipatia che, naturalmente, lui non notò neppure, visto che era occupato a concordare un incontro con Rita per la settimana seguente. Il pretesto era discutere la ricerca sull'India anche se, a giudicare da come lo guardava, Rita sarebbe stata disposta a discutere anche del trapianto dei capelli o della riproduzione dei porcospini, pur di uscire a cena con Duncan.

    Presi gli opportuni accordi, Duncan salutò Rita e mise la mano sotto il gomito di Summer per guidarla al loro tavolo, dove gli altri otto ospiti erano già seduti. Ebbero appena il tempo di presentarsi prima che la banda del corpo dei marines suonasse gli inni nazionali del Brasile e degli Stati Uniti, e una fila di camerieri in giacca bianca uscisse dalle cucine portando vassoi d'argento carichi di vivande.

    Summer era seduta fra Duncan e un uomo d'affari giapponese che non sapeva una sola parola d'inglese. Fece del suo meglio per imbastire una conversazione a gesti, ma prima ancora che la zuppa ghiacciata di cocomero fosse sostituita dai ravioli di aragosta era già esausta, e provò un'autentica gratitudine quando Duncan le chiese se voleva ballare.

    «Grazie per avermi salvata» gli disse, mentre la faceva volteggiare abilmente attorno alla sala al ritmo piuttosto vivace della banda dei marines. «Le cose cominciavano a farsi davvero difficili, per me. Non so neppure se il signor Fujito mi ha detto che dirige la filiale di una fabbrica, a San Paolo, che produce batterie o pannolini. Stavo cercando di decidere se c'era un modo educato di chiederlo a segni.»

    Duncan rise.

    «Il signor Fujito fabbrica le batterie per quasi i due terzi delle auto prodotte in Brasile.»

    «Be', è un sollievo saperlo. È più facile spiegarsi a segni a proposito di automobili piuttosto che di pannolini.»

    «Potresti tentare di parlare portoghese» suggerì Duncan.

    Lei alzò gli occhi al cielo.

    «Che magnifica idea! Reciterei i giorni della settimana e conterei fino a dieci. E poi, come gran finale, potrei dire per favore, grazie e arrivederci, dimostrando così la mia perfetta padronanza della lingua.»

    «Pensavo che avessi imparato un po' di portoghese quando sei stata in Brasile, l'anno scorso.»

    «Ci sono rimasta solo due settimane, e non assimilo le lingue straniere anche dormendo, come te. Inoltre, ci sono andata con un vecchio amico la cui madre è brasiliana, e lui faceva da interprete ogni volta che era necessario.»

    «Che cosa te n'è sembrato del Brasile?» chiese Duncan. «Non abbiamo mai avuto occasione di discutere le tue impressioni, e mi interessa sentirle. Ultimamente ho cominciato a pensare che più fatti imparo sulla sua popolazione e la sua storia, meno capisco quali sono le vere forze che muovono il paese.»

    Summer e Duncan erano stati costretti a incontrarsi almeno una dozzina di volte, dopo il suo viaggio in Brasile con Joe Malone, perciò non era del tutto vero che non avevano avuto l'occasione di discutere le sue impressioni. Il fatto era che quando si trovava con Duncan lei era troppo occupata a segnare mentalmente dei punti contro la sua matrigna per dedicare del tempo a una vera conversazione. Fu sorpresa di provare un fugace senso di rammarico per la piega negativa che i loro incontri prendevano ormai abitualmente.

    «Il Brasile è troppo vasto per riassumerlo in un paio di frasi» affermò. «Ma per quello che vale la mia opinione, sono rimasta meravigliata dalla vitalità delle città, dalla ricchezza della loro storia e dalla bellezza del paesaggio. Quanto alla

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