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Non è un addio
Non è un addio
Non è un addio
E-book263 pagine3 ore

Non è un addio

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Info su questo ebook

In Germania, durante gli anni della follia nazista, la giovane ebrea Olga Zimmermann è spedita insieme alla madre nel campo di concentramento di Ravensbrück. Il campo è un luogo di orrore e umiliazione, ma è anche dove Olga incontra Helmut, un giovane militare delle ss, già in preda a una crisi di coscienza. Quando Helmut vede Olga, se ne innamora perdutamente. È la spinta definitiva per ripudiare una volta per tutte gli ideali nazisti. Decide che aiuterà la giovane a scappare dal campo, a ogni costo. Le vicende degli anni Quaranta si alternano, nelle pagine del romanzo, a un’altra storia: la relazione tra Rebecca e Tommaso, un misterioso chirurgo, nella Milano di fine anni Ottanta. C’è qualcosa che Tommaso nasconde a Rebecca, qualcosa che ha radici profonde, che s’intreccia al passato di Olga e Helmut.
LinguaItaliano
Data di uscita1 giu 2023
ISBN9788892967137
Non è un addio

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    Non è un addio - Giampiero Momi

    SÀTURA

    frontespizio

    Giampiero Momi

    Non è un addio

    ISBN 978-88-9296-713-7

    © 2023 Leone Editore, Milano

    www.leoneeditore.it

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore o sono usati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale.

    Tutti coloro che dimenticano il loro passato

    sono condatti a riviverlo.

    Primo Levi

    1

    Milano, febbraio 1989

    Premette il pulsante, aprì il portone e si gettò di corsa in mezzo alla via.

    La pioggia battente le sferzò la faccia, mescolandosi alle lacrime che le solcavano le guance. Improvvisamente si fermò, presa da un irrefrenabile sentimento di odio e di vendetta. Poi riprese a correre sul selciato, brillante per i riflessi delle fioche luci che illuminavano la via.

    I tacchi alti che le slanciavano con prepotenza le gambe, non più controllati con femminile perizia, decretarono la fine di quel breve percorso. Un piede le cedette e lei cadde rovinosamente a terra.

    Un acuto dolore si appropriò delle sue ginocchia, propagandosi fino all’inguine. Le calze di seta si erano lacerate e dalla pelle abrasa iniziò a scorrere un rivolo di sangue fino alle caviglie. Rebecca urlò il suo dolore, mentre il pianto le faceva sussultare la schiena e il cuore in tumulto sembrava non voler dare tregua al respiro breve e affannato.

    A quell’ora via del Lauro era deserta e la pioggia crepitava sull’asfalto con un sordo rumore di tamburello. Le gocce d’acqua rimbalzavano violentemente sul terreno e le colpivano il viso come frustate.

    L’impermeabile, rimasto aperto nell’irrefrenabile fuga, si era lacerato su un gomito ed era tutto infangato su un fianco. Aveva sognato a lungo quel costosissimo Burberry, che dopo tante incertezze si era decisa ad acquistare durante il suo ultimo viaggio a Londra. Da due negozi di Parigi, invece, provenivano le scarpe e la magnifica borsa, l’abbinamento tra le quali era stato oggetto di un’accurata ricerca.

    Aveva girovagato a lungo, per quasi un intero pomeriggio e aveva trovato finalmente ciò che cercava in due negozi di rue de la Paix e di rue de Castiglione, passando e ripassando dinanzi alle vetrine prima di prendere la decisione di entrare e comprare le une e l’altra.

    Era una spesa folle, si era detta, che le avrebbe pressoché prosciugato l’intero stipendio di quel mese. Era rimasta a lungo incerta se acquistare o meno sia le scarpe che la borsa, frenata come sempre dall’ancestrale timore che le ricordava i tempi lontani della sua adolescenza e il modesto stato in cui l’aveva trascorsa, tanto diverso da quello attuale che le permetteva, al contrario, di fare acquisti costosi senza sentirsi soggiogata da particolari angosce.

    L’innata eleganza e la prepotente femminilità che facevano di lei una donna ammirata, corteggiata e talvolta anche adulata avevano avuto quindi il sopravvento e, decisa, Rebecca aveva varcato in successione la porta dei due negozi.

    Ora l’adorata borsa giaceva a terra con lei, davanti al suo viso. Per le scarpe poi non era dato sapere, tanto era il dolore che l’affliggeva in quel momento e che le impediva di rialzarsi prontamente.

    Raccolse tutte le forze e con disperazione si risollevò.

    Era come se in quel momento la sua vita fosse un oggetto di cristallo andato in mille pezzi. Non c’era da raccogliere niente, non c’era niente da salvare.

    Le sembrava che il mondo le fosse inaspettatamente crollato addosso, allo stesso modo in cui a un bambino si rompe all’improvviso un giocattolo per cui lui stesso, magari, si rende conto di non nutrire particolare affetto, ma dal quale continua a trarre il sottile filo di speranza che non smetta di offrirgli piacevoli momenti di svago.

    Al contrario di quel bimbo, Rebecca era ben consapevole che tutto sarebbe potuto accadere alla sua vita di donna – il suo passato ne era la più evidente testimonianza – eppure in cuor suo era convinta che il fatto di cui era stata testimone non sarebbe dovuto accadere.

    No, non avrebbe mai pensato che sarebbe accaduto, almeno non in quel modo. Tanto diversa era la notte che aveva immaginato di trascorrere mentre l’aereo atterrava a Malpensa.

    «Amore mio» gli aveva detto quarantotto ore prima al telefono «devi pazientare. Ho ancora tre giorni di lavoro in fiera, poi verrò da te. Ho voglia anch’io di passare un weekend tra le tue braccia.»

    Era avvenuto invece ciò che non aveva proprio previsto.

    Il giorno successivo era stata chiamata al telefono dal capo dell’azienda, che l’aveva pregata di rientrare subito a Milano. Sarebbe arrivata di lì a qualche ora una delegazione di imprenditori cinesi, interessati a contrattare una considerevole partita di cosmetici, e il proprietario della società aveva bisogno di lei, l’unica in azienda in grado di discutere i termini della trattativa e di condurla a buon fine.

    Tale era la stima che Rebecca si era guadagnata negli ultimi anni dal consiglio di amministrazione e lei sapeva bene che non avrebbe dovuto fallire nel delicato incarico che le veniva affidato. Aveva capito che con quella trattativa rischiava di giocarsi tutta la sua reputazione come manager di altissimo rango.

    Il contratto era troppo importante in quel particolare momento in cui il mercato, soprattutto nazionale, dava cenni di cedimento a causa della sempre più agguerrita concorrenza straniera.

    L’opportunità era da cogliere al volo e lei sola era in grado, con la sua esperienza e conoscenza di tutti i complicati risvolti contrattuali con un Paese così difficile come la Cina, di condurre la trattativa a buon fine.

    Non ultime difficoltà erano l’utilizzo in quel Paese del marchio dei prodotti e la definizione delle sempre contestate royalties. La società aveva impiegato ingenti risorse, nei mesi precedenti, nell’intento di introdurre sul mercato cinese i suoi cosmetici di alta fascia e Rebecca si era oltremodo impegnata, con frequenti viaggi in Cina, a tessere tutte le relazioni necessarie per condurre in porto quella trattativa.

    Erano serviti molti incontri con il cliente per definire sin nei minimi dettagli tutte le condizioni contrattuali, e ora Rebecca si sentiva particolarmente orgogliosa che quegli sforzi avessero trovato finalmente una giusta ricompensa.

    Le era stato chiesto quindi di prendere il primo aereo disponibile e di presentarsi all’appuntamento con il cliente il giorno successivo. La fiera sarebbe stata portata a termine dal suo braccio destro, che spesso l’accompagnava nelle più importanti manifestazioni internazionali.

    Rebecca aveva preso quindi il primo volo disponibile per Milano, che le avrebbe consentito di essere in azienda il mattino dopo e incontrare i cinesi per definire gli accordi di distribuzione.

    Quella era senza dubbio una bella opportunità di lavoro, nonché una favorevole prospettiva di mercato per la ditta che lei, con indubbia capacità, aveva fatto crescere molto negli ultimi tempi in termini di fatturato e per la quale lei stessa prevedeva un notevole sviluppo negli anni a venire.

    Sarà una vera sorpresa per Tommaso, pensava, mentre prendeva possesso del suo posto in business class sul Boeing 747.

    Aveva dovuto riempire la valigia in tutta fretta per non perdere il primo aereo disponibile per l’Europa e le era rimasto solo il tempo per farsi una rapida doccia e cambiarsi d’abito in fretta e furia.

    L’aeroporto jfk di New York, come sempre, brulicava di gente e al banco del check-in c’era una fila interminabile. Il privilegio di viaggiare in business le aveva però evitato lunghe attese.

    La spedizione del bagaglio aveva richiesto tanto tempo, che Rebecca aveva dovuto attraversare di corsa gli interminabili corridoi del terminal per raggiungere il punto di imbarco, mentre l’altoparlante pregava ripetutamente Mrs Rebecca Zimmermann di affrettarsi al gate.

    Con uno smagliante sorriso, l’hostess l’aveva invitata a guadagnare la passerella telescopica di collegamento con l’aeromobile, augurandole un viaggio confortevole.

    L’aereo era stipato, e solo dopo aver raggiunto il suo posto Rebecca aveva potuto tirare un sospirone di sollievo e rilassarsi.

    Aveva fatto un rapido conto: l’arrivo a Malpensa era previsto per mezzanotte circa, poi ci sarebbe stato il tempo per il recupero del bagaglio e con un’ora di taxi – immaginava che il traffico a quell’ora sarebbe stato molto scorrevole – avrebbe potuto raggiungere il centro di Milano un po’ prima dell’una e mezza.

    Gli scivolerò tra le braccia mentre dorme, pensava, sorridendo. Voglio proprio vedere come farà a fare l’amore tutto assonnato!

    Ma non era andata come aveva immaginato.

    A Malpensa pioveva a dirotto, quando il 737 della Delta Air Lines aveva imboccato la via di fuga della pista per arrestarsi vicino alla porta dei passeggeri in arrivo.

    Rebecca aveva percorso la breve distanza che la separava dalla sala di ingresso attraverso la manica di collegamento tra l’aereo e l’aeroporto, e aveva raggiunto rapidamente la postazione del controllo passaporti.

    L’ora tarda aveva facilitato lo smaltimento della lunga fila di passeggeri e in breve tempo Rebecca si era trovata dinanzi al nastro per il recupero del bagaglio.

    Erano trascorsi non più di quaranta minuti dall’atterraggio, quando si era seduta nel taxi che l’avrebbe condotta a Milano. In circa venti minuti, l’auto aveva raggiunto la barriera del casello autostradale, dirigendosi poi verso il centro città.

    Milano l’aveva sempre affascinata a quell’ora tarda della notte. Era tutt’altra cosa dalla città frenetica che dava mostra di sé durante il giorno.

    Le strade, così diverse nella loro livrea notturna, erano poco trafficate e, complice la pioggia insistente, l’asfalto era lucido e colorato di strisce luminose disegnate dai fari delle auto e dalle luci dei semafori.

    Attraverso i finestrini appannati la passeggera vedeva scorrere le strade che ben presto l’avrebbero condotta in via del Lauro e, a mano a mano che il taxi si avvicinava al centro, si moltiplicavano le luci dei semafori e le insegne dei negozi, chiusi già da molte ore.

    Solo qualche bar era ancora aperto, rifugio solitario per gli indomiti nottambuli milanesi, ai quali l’incessante pioggia non sembrava porre alcun ostacolo.

    Per tutto il resto la città era addormentata, in attesa di risvegliarsi dopo poche ore per riprendere il suo stato quotidiano di megalopoli operosa, lo stesso stato in cui lei, solo qualche ora prima, aveva lasciato New York.

    Il tassista aveva tentato, sin da quando l’aveva presa a bordo all’aeroporto, di instaurare un dialogo con quell’affascinante passeggera, ma tutto si era risolto in brevi considerazioni sul tempo e sul traffico.

    Rebecca si era lasciata affondare morbidamente nel sedile posteriore della Toyota e pregustava il momento in cui si sarebbe liberata delle scarpe, degli indumenti e sarebbe scivolata sotto le coperte, penetrando la sfera di calore del corpo di lui, avvicinandogli i fianchi, le cosce, i seni.

    Il taxi si era arrestato proprio dinanzi al portone del civico 4 e lei aveva atteso che il tassista le scaricasse il pesante bagaglio. La pioggia insistente creava un vero e proprio torrente d’acqua che invadeva la stretta via e scorreva con continuità verso via Broletto, in cerca di sfogo.

    L’ampio cappello da pioggia in cui Rebecca aveva costretto la folta capigliatura riceveva, al pari dell’impermeabile, la sferza delle gocce d’acqua scagliate con violenza dal vento. Una vera e propria notte da lupi, aveva pensato lei mentre pagava la corsa e si precipitava verso il portone.

    Una volta entrata, si era diretta verso l’ascensore che l’avrebbe depositata al terzo piano, all’appartamento di lui. Si dette un’occhiata nello specchio appeso nella cabina. Era letteralmente zuppa d’acqua e un lieve rossore, causato dallo sforzo protratto di trascinare il pesante bagaglio, le aleggiava sul volto.

    Durante la salita aveva cercato le chiavi dell’appartamento, rovistando nella borsa. Dinanzi alla porta, aveva girato pazientemente la chiave nella toppa, tentando di non provocare alcun rumore. Voleva che la sorpresa avesse successo.

    Non appena si era chiusa la porta alle spalle, aveva avuto la sensazione, nell’oscurità, di udire una voce lontana, quasi un lamento, provenire dalla fine del lungo corridoio che separava l’ampia sala di ingresso dalla zona notte.

    Con le chiavi e la borsa in mano, aveva teso l’orecchio, cercando di penetrare con gli occhi l’oscurità. Il cuore aveva cominciato a galopparle in petto.

    Quel flebile suono proveniva indubbiamente dal fondo del corridoio, ma non sembrava un vero e proprio lamento, quanto piuttosto un affannato mugolio, una sorta di nenia che si replicava con continuità.

    Rebecca aveva sentito gelarsi il sangue nelle vene. Quella nenia era indice di una presenza femminile, quel mugolio individuava un piacere a lei ben noto, quando le braccia di lui le serravano i fianchi.

    In fondo al lungo corridoio l’oscurità era interrotta da una fioca luce che si spandeva sul pavimento in marmo, a mano a mano che Rebecca procedeva verso la camera. La porta socchiusa le aveva permesso di sbirciare in direzione del letto, mentre si avvicinava allo stipite, senza che la sua presenza potesse essere notata.

    La lunga chioma bionda della donna ondeggiava, coprendo quasi del tutto il volto dell’uomo che giaceva sotto di essa. Lei, quasi seduta, assecondava ritmicamente con il bacino il lento moto che le mani di lui imponevano ai suoi fianchi. Tommaso respirava all’unisono con la sua amante, che all’improvviso aveva avuto un sussulto, piegandosi su se stessa.

    Rebecca, con il volto contratto e gli occhi sbarrati, quasi aggrappata allo stipite della porta, aveva soffocato con una mano alla bocca l’urlo che le saliva dal profondo delle viscere.

    Si era voltata e aveva percorso a ritroso il corridoio in direzione della porta di ingresso. L’aveva aperta e, trascinando in silenzio la valigia, aveva guadagnato il ballatoio e l’ascensore.

    Poi era scoppiata in un pianto dirotto.

    2

    Il dottor Tommaso Necci entrò nel blocco operatorio alle sei e mezza di un’uggiosa mattina a metà novembre.

    Lo attendeva un difficile intervento al cuore: un triplice impianto su un cinquantenne che soffriva da almeno dieci anni di una serie di malattie cardiache.

    Il paziente era arrivato un paio di giorni prima in ospedale in condizioni disperate poiché, oltre a non avere un ritmo cardiaco regolare, accusava fibrillazioni ventricolari che l’avevano messo a rischio di un arresto cardiocircolatorio, con le pareti del cuore quasi al collasso.

    L’intervento presentava una scarsa percentuale di riuscita, non più del venti per cento e, se tutto fosse proceduto senza intoppi, avrebbe richiesto una difficile operazione della durata di non meno di sei ore.

    Ma Tommaso era un chirurgo in gamba, molto in gamba, conosciuto e apprezzato sul palcoscenico della chirurgia cardiovascolare nazionale e internazionale.

    Si era fatto le ossa in quella professione per oltre quindici anni a Houston, dove aveva operato al fianco di illustri cardiochirurghi, dai quali aveva appreso le tecniche più sofisticate e con i quali aveva inanellato una lunga serie di successi in interventi ad altissimo rischio.

    Poi era tornato in Italia con tutti gli onori, che gli venivano tributati per le sue eminenti capacità chirurgiche e per la lunga serie di difficili interventi da lui eseguiti alla perfezione.

    Si poteva affermare che, all’età di quasi quarantacinque anni, Tommaso avesse raggiunto l’apice della sua carriera come cardiochirurgo e la sua presenza era assiduamente richiesta in congressi medici in giro per il mondo, ma anche oltremodo gradita nei più importanti salotti della Milano che contava, cosa facilitata dal suo aspetto e dai suoi gradevoli modi di relazionarsi con gli altri. Soprattutto con il mondo femminile.

    Tommaso era quello che si dice un bell’uomo. Alto, slanciato, con un volto che sprizzava intelligenza, sufficientemente brillante in ogni situazione in cui si trovasse, sicuro di sé al pari di come lo era in sala operatoria.

    Aveva alle spalle un matrimonio con una dirigente dei magazzini Walmart celebrato sette anni prima, naufragato dopo brevissimo tempo e che non aveva generato figli.

    Aveva conosciuto sua moglie durante un meeting indetto dalla delegazione del Partito repubblicano, che stava raccogliendo fondi per l’elezione di Ronald Reagan a presidente degli Usa.

    Era quello il periodo in cui il giovane chirurgo, già proiettato verso una brillante carriera professionale, aveva iniziato a gettare le basi per il suo roseo futuro, che sapeva avrebbe potuto realizzarsi più facilmente, se avesse avuto il consenso da parte della società che contava e cui la giovane ragazza apparteneva. Il padre di lei, noto imprenditore della Virginia, era uno tra i maggiori sponsor del partito, che stava portando un suo rappresentante alla più alta posizione politica della nazione.

    La bella e spumeggiante Rosalyn l’aveva irretito con la sua avvenenza e Tommaso si era quindi lasciato irretire, tanta era la sensualità della giovane manager, che l’aveva letteralmente travolto.

    Ma l’iniziale abbuffata di sesso non era stata sufficiente a garantire una lunga durata alla relazione matrimoniale, e dopo solo otto mesi la coppia aveva già raggiunto l’apice dell’incomunicabilità.

    Dopo quell’esperienza fallimentare, Tommaso non aveva più voluto sentir parlare di matrimonio, tante erano le grane legali che aveva dovuto affrontare a causa dell’incommensurabile avidità della sua ex moglie, che gli avevano avvelenato i restanti anni trascorsi negli Stati Uniti.

    Chi glielo faceva fare, diceva a se stesso, di stabilire un nuovo legame fisso e vincolante e magari rischiare di subire un altro smacco? No, proprio no.

    Meglio lasciare che la vita sentimentale scorresse senza intoppi, dedicando tutte le proprie forze alle sue più grandi ambizioni: diventare uno dei migliori, se non addirittura il miglior cardiochirurgo disponibile sul mercato e collezionare opere d’arte, anch’esse tra le più importanti esistenti al mondo in mano a privati.

    Tutto ciò rappresentava per Tommaso il vero potere, un modo esplicito per dominare il prossimo e per appagare i suoi più reconditi desideri.

    Per anni, sin da quando i suoi introiti avevano superato cifre a sei zeri, Tommaso Necci aveva acquistato opere pittoriche di altissima qualità e di grande notorietà, nelle più importanti aste internazionali, indirizzando la sua passione soprattutto verso l’arte di fine Ottocento e del primo Novecento, una passione che a mano a mano si era trasformata in vero e proprio desiderio compulsivo.

    Conservava i dipinti via via acquistati nel caveau di una banca a New York e solo raramente ne prelevava uno e se lo portava a casa, dove si esaltava nella minuziosa ammirazione dell’opera.

    Mai ne metteva a parete più di uno per volta, per una sorta di inconscia gelosia e per non destare nel prossimo il benché minimo sospetto su quanto fossero consistenti le sue proprietà e la sua incommensurabile ricchezza.

    Talvolta accadeva che qualche importante mostra desiderasse esporre una sua opera in una manifestazione di alto livello e gli avanzasse una richiesta in tal senso, cui il cardiochirurgo però non dava mai seguito.

    Il suo modo di vivere e di comportarsi, la volontà di affermare in modo esplicito il suo dominio sugli altri, era un’evidente ribellione alla tragedia del suo passato. Erano tutte cose che suo padre non aveva potuto portare a compimento, e sembrava che Tommaso volesse riuscirci al suo posto.

    Ora, a quarantacinque anni, aveva la sensazione che il mondo stesse ai suoi piedi, che dipendesse dalle sue indiscusse capacità di chirurgo, e sentiva che nessun traguardo gli era precluso.

    Mentre si lavava accuratamente le mani al grande lavabo della presala, ripensava alla notte precedente e all’esaltante prestazione sessuale con Daniela, una donna senza dubbio difficile da

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