I killer di Jahve
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Anteprima del libro
I killer di Jahve - Marco Minicangeli
Liberazione).
La prova
Era quasi mezzogiorno e la tayelet era affollato come al solito. Il sole era alto nel cielo e picchiava forte sul lungomare di Tel Aviv.
Yaacov parcheggiò l’auto e scese asciugandosi il sudore della fronte con il dorso della mano. Dall’altra parte della strada la spiaggia era affollata di persone che prendevano il sole o facevano il bagno per combattere il caldo. Rimase lì a guardare l’arenile per qualche istante poi, sospirando, infilò le chiavi dell’auto in tasca e attraversò la strada verso il viale Derech Ben Gurion, dove si affacciavano i più importante hotel della città, e si diresse al Trocadero. Il locale, molto alla moda, aveva i tavoli all’aperto e c’era andato spesso con i suoi amici tirando a far tardi.
Si sedette, accese una sigaretta e fece una profonda boccata cercando di scaricare la tensione che gli mordeva lo stomaco. Alle sue spalle comparve un cameriere che si avvicinò sorridendo.
– Buongiorno. Vuole ordinare? – chiese il ragazzo tirando fuori dal taschino della camicia un taccuino per segnare l’ordinazione. – Cosa posso portarle?
Yaacov alzò la testa. – Sto aspettando un paio di persone – disse guardando l’orologio. – Dovrebbero arrivare a minuti.
Il ragazzo fece un segno con la testa e si allontanò tra i tavoli. Lui lo seguì con lo sguardo cercando di rilassarsi controllando la respirazione, così come gli avevano insegnato al corso. Molti non ce l’avevano fatta e, dopo mesi di dura preparazione, avevano abbandonato. Lui invece sì, e ora era lì per affrontare l’esame definitivo. Ciò che lo rendeva inquieto e nervoso era non sapere in cosa consistesse la prova finale. I suoi superiori gli avevano solo dato appuntamento in quel bar e questo era tutto.
Tirò un’altra boccata dalla sigaretta guardandosi intorno e ripensò all’ultimo anno della sua vita. La laurea in ingegneria informatica a voti pieni, la festa, le possibilità di carriera che si aprivano di fronte a lui. Poi, in un istante, perdere tutto e ritrovarsi solo.
– Buongiorno Yaacov – lo salutò una voce alle sue spalle.
Lui si voltò alzandosi immediatamente in piedi di fronte al suo istruttore che indossava un completo di lino chiaro e degli occhiali a specchio che gli nascondevano gli occhi.
– Buongiorno signore – disse Yaacov stringendo la mano che Raphael Yoah gli aveva allungato. – È venuto solo? Che ne è del colonnello Zwart?
– Sono qui Yaacov – rispose l’uomo seduto al tavolo accanto al suo tirando giù il giornale.
Simon Zwart, colonnello, comandante del Tayaset, il Dipartimento di Addestramento del Mossad, era sempre stato lì da quando lui si era seduto. Il panama avana lo rendeva simile ai tanti turisti americani in vacanza. Teso com’era, Yaacov non se ne era minimamente accordo.
– Io… – balbettò senza sapere bene cosa dire. Non ci aveva fatto una gran figura.
– Non preoccuparti Yaacov – disse il capitano Yoah accennando un sorriso. – Ci cadono tutti. Al colonnello piace fare questo scherzetto ai suoi futuri katsa.
Per quello era lì, per superare la prova finale e diventare katsa, un agente dello spionaggio addetto alle informazioni.
– Venite a sedervi a questo tavolo – disse il colonnello Zwart piegando il giornale. – Non abbiamo tutta la mattina.
Yaacov e Raphael Yoah si sedettero come aveva ordinato il colonnello. I due ufficiali si guardarono per qualche istante, poi il colonnello fece un gesto e il capitano tirò fuori dalla tasca interna della giacca una busta e la passò a Yaacov.
– Aprila – gli disse il colonnello Zwart. – Avanti.
Yaacov fissò per un breve istante i due uomini, poi strappò un lembo della busta e la aprì. Tirò fuori un foglio.
Hadas Zamir. 41, White Road
. Lesse quelle poche parole tre volte per memorizzarle, poi, come gli avevano insegnato al corso, prese l’accendino e bruciò foglio e busta nel portacenere. Quando l’operazione fu conclusa, alzò la testa.
– Chi è Hadas Zamir? – domandò.
– Non ne ho la più pallida idea – rispose il colonnello sorridendo. – L’unica cosa che so di quell’uomo è che abita al primo piano del palazzo che sta proprio di fonte a noi. – E così dicendo fece un gesto con la testa. – White Road, numero 41.
Yaacov si voltò. Davanti a loro, a non più di un centinaio di metri, c’era uno dei tanti palazzi della tayelet. Al primo piano, quello che il suo superiore gli aveva indicato, c’era un terrazzo circondato da vasi di fiori che sembrava curato quotidianamente e con perizia. Lì, secondo il colonnello, abitava il signor Hadas Zamir.
– E allora? – domandò Yaacov rivolgendosi stavolta al capitano Yoah. – Cosa devo fare?
– Una cosa molto