Cospirazione Caravaggio
Di Alex Connor
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Info su questo ebook
Un bestseller mondiale
Quale codice è nascosto nell’ultima tela del pittore maledetto?
Un grande thriller
1608. Michelangelo Merisi da Caravaggio, il più grande artista del suo tempo, viene espulso dall’Ordine dei Cavalieri di Malta per un crimine misterioso. La sua colpa deve restare un segreto gelosamente custodito.
2014. In una galleria d’arte di Londra vengono ritrovati i cadaveri dei proprietari, i gemelli Weir. La scena è raccapricciante: i corpi, nudi e legati insieme da una corda, presentano segni di tortura e oscene mutilazioni. Chi può aver commesso un crimine tanto brutale? E perché? La polizia brancola nel buio, ma l’investigatore privato Gil Eckhart, esperto d’arte, potrebbe avere una pista: il delitto Weir ricorda un altro raccapricciante duplice omicidio avvenuto a Berlino anni prima e un filo rosso pare collegare le vittime, galleristi di successo, con due capolavori del maestro Caravaggio scomparsi in circostanze misteriose. Costretto a confrontarsi con un passato che pensava di essersi lasciato alle spalle per sempre, Gil seguirà gli indizi lungo un percorso che porta dalle prestigiose gallerie di New York fino alle buie catacombe di Palermo e scoprirà che nel mondo dell’arte il bene e il male sono dipinti con lo stesso pennello intinto nel sangue.
La storia del pittore maledetto sta per essere riscritta
Quale codice è nascosto nell’ultima tela di Caravaggio?
«Una profonda conoscenza del mondo dell’arte, un ritmo serrato con picchi di azione frenetica e uno stupefacente colpo di scena finale.»
«Un libro straordinario, con un finale assolutamente inaspettato. Consigliatissimo.»
«Trovare una brava scrittrice di thriller non è semplice, ma trovarne una straordinaria come Alex Connor è quasi impossibile.»
Alex Connor
È autrice di molti thriller e romanzi storici, perlopiù ambientati nel mondo dell’arte, tutti bestseller e in cima alle classifiche di vendita. Lei stessa è un’artista e vive in Inghilterra.
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Anteprima del libro
Cospirazione Caravaggio - Alex Connor
indice
Prologo
Lunedì
Capitolo Uno
Capitolo Due
Capitolo Tre
Capitolo Quattro
Capitolo Cinque
Capitolo Sei
Capitolo Sette
Capitolo Otto
Capitolo Nove
Capitolo Dieci
Capitolo Undici
Capitolo Dodici
Capitolo Tredici
Capitolo Quattordici
Capitolo Quindici
Capitolo Sedici
Capitolo Diciassette
Martedì
Capitolo Diciotto
Capitolo Diciannove
Capitolo Venti
Capitolo Ventuno
Capitolo Ventidue
Capitolo Ventitré
Capitolo Ventiquattro
Capitolo Venticinque
Capitolo Ventisei
Capitolo Ventisette
Capitolo Ventotto
Capitolo Ventinove
Capitolo Trenta
Capitolo Trentuno
Capitolo Trentadue
Capitolo Trentatré
Capitolo Trentaquattro
Mercoledì
Capitolo Trentacinque
Capitolo Trentasei
Capitolo Trentasette
Capitolo Trentotto
Capitolo Trentanove
Capitolo Quaranta
Capitolo Quarantuno
Capitolo Quarantadue
Capitolo Quarantatré
Capitolo Quarantaquattro
Capitolo Quarantacinque
Capitolo Quarantasei
Giovedì
Capitolo Quarantasette
Capitolo Quarantotto
Capitolo Quarantanove
Capitolo Cinquanta
Capitolo Cinquantuno
Capitolo Cinquantadue
Capitolo Cinquantatré
Capitolo Cinquantaquattro
Capitolo Cinquantacinque
Capitolo Cinquantasei
Capitolo Cinquantasette
Capitolo Cinquantotto
Capitolo Cinquantanove
Capitolo Sessanta
Capitolo Sessantuno
Capitolo Sessantadue
Venerdì
Capitolo Sessantatré
Capitolo Sessantaquattro
Capitolo Sessantacinque
Capitolo Sessantasei
Capitolo Sessantasette
Capitolo Sessantotto
Capitolo Sessantanove
Capitolo Settanta
Capitolo Settantuno
Capitolo Settantadue
Capitolo Settantatré
Capitolo Settantaquattro
Capitolo Settantacinque
Sabato
Capitolo Settantasei
Capitolo Settantasette
Capitolo Settantotto
Capitolo Settantanove
Capitolo Ottanta
Capitolo Ottantuno
Capitolo Ottantadue
Capitolo Ottantatré
Capitolo Ottantaquattro
Capitolo Ottantacinque
Domenica
Capitolo Ottantasei
Capitolo Ottantasette
Capitolo Ottantotto
Capitolo Ottantanove
Capitolo Novanta
Capitolo Novantuno
Capitolo Novantadue
Capitolo Novantatré
Capitolo Novantaquattro
Capitolo Novantacinque
Lunedì
Capitolo Novantasei
Capitolo Novantasette
Capitolo Novantotto
Epilogo
1254
Titolo originale: The Caravaggio Cospiracy
Copyright © 2014 Alex Connor
The moral right of Alex Connor to be identified as the author of this work has been asserted in accordance with the Copyright, Designs and Patents Act, 1988.
All rights reserved.
First published in Great Britain in 2014 by Quercus Editions Ltd
Traduzione dall’inglese di Marta Lanfranco
Prima edizione ebook: aprile 2016
© 2016 Newton Compton editori s.r.l. Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-541-9450-2
www.newtoncompton.com
Alex Connor
Cospirazione Caravaggio
Newton Compton editori
Merisi da Caravaggio fu espulso dall’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme e di Malta nel 1608. Non si seppe mai che crimine avesse commesso, ma fu definito membro fetido e putrido
. Ebbe così inizio la sua vita da fuggiasco.
Nelle magnifiche pale d’altare siciliane indistinte e meste figure vengono isolate con vaste zone d’ombra…
Helen Langdon,
Caravaggio. Una vita
Prologo
Napoli, Italia
Inizio del 1610
Silenzio.
Trattieni il respiro.
Ascolta.
Si ritrae nell’oscurità dell’androne, lontano dal raggio di luce proiettato dal suo inseguitore, che è fermo all’imboccatura del vicolo, con la torcia in mano.
Non può aver perso le sue tracce.
L’ha colpito. Ne è certo.
Ha sentito il coltello affondare dentro la mascella di quell’uomo. L’ha colpito.
Ma quanto forte? Abbastanza da ucciderlo?
L’aggressore avanza con cautela sul selciato irregolare, mentre la sua vittima si appiattisce contro la porta, premendo il corpo affinché rimanga nascosto nell’oscurità dell’androne. Respira a malapena, osserva la luce che avanza e si ferma a pochi metri da lui. Sente l’odore di fumo, segue il bagliore della torcia che si alza e ricade, al sollevarsi e abbassarsi del braccio del suo inseguitore. Fa un passo in avanti e poi si ferma di nuovo.
Ascolta.
Li separano soltanto pochi metri.
Nell’androne, Michelangelo Merisi, il pittore conosciuto con il nome di Caravaggio, si nasconde, ferito. Tastandosi, percepisce la violenza dell’aggressione subita, il taglio nella pelle che parte dall’angolo dell’occhio attraversa la guancia e arriva fino alla mascella. Ha mancato di poco l’arteria.
Respira. Quasi impercettibilmente, a fatica, emettendo uno stentato sibilo dai polmoni. Se scampa a questa, riuscirà a cavarsela. Rimarrà sfigurato, ma vivrà. Sente il sangue che gli scorre sulla camicia; l’aria della notte fa bruciare la ferita aperta.
Il suo aggressore riflette, a pochi centimetri da lui.
Immobile, Caravaggio si rende conto che un solo respiro, un movimento impercettibile, il tremolio di un muscolo e sarà perduto per sempre. Il silenzio è opprimente, totale, il minimo suono tradirà la sua presenza alla stregua di una palla di cannone. È in quel momento che lo sente. Il rivolo di sangue scende dalla mascella, lungo il petto, fino al braccio. Caravaggio si contrae. Il sangue, appiccicoso e infido, scivola sul polso, poi attraversa il palmo. Inspiegabilmente, per un istante che sembra un’eternità, pare che si blocchi, proprio sulla punta delle dita, prima di proseguire la sua corsa.
Gocciola, come uno sparo, fino a terra vicino ai suoi piedi.
Lunedì
Uno
Cork Street, Londra
Gennaio 2014, ore 8.36
La polizia aveva delimitato l’area con il nastro giallo, bloccando l’accesso alla strada da entrambi i lati per evitare che le auto entrassero o uscissero dal perimetro. Un’ambulanza con la sirena muta era parcheggiata all’ingresso della Weir Gallery e c’erano due poliziotti di guardia.
Erano le 7.30 di una mattina d’inverno. Il nevischio rendeva le strade della capitale poco agevoli, un cielo caustico preannunciava una giornata di gennaio fredda e dal tempo variabile. Però, all’interno della galleria, dove il riscaldamento era stato alzato al massimo, oltre a quaranta gradi, un uomo sconvolto sedeva con la testa tra le mani sulle scale che portavano alla galleria sottostante.
«Jacob?».
L’uomo sollevò il capo sentendo pronunciare il suo nome. «Gil. Grazie di essere venuto». Fissò l’individuo robusto fermo in piedi davanti a lui.
Aveva i capelli scuri e ricci, le mani callose e il naso che portava i segni di una frattura subita durante una rissa adolescenziale. Non il genere d’uomo che ci si sarebbe aspettati di vedere in una galleria.
«Eri l’unica persona che potevo chiamare…». Il suo sguardo si mosse verso il retro della galleria principale, dov’era stato posizionato un paravento. «Volevo chiamare la polizia subito dopo che ci siamo sentiti, ma Oscar mi ha anticipato».
Quel nome fece sussultare Gil. Rilassati
, pensò. Ci sono molti uomini che si chiamano Oscar
. Ma, ancora prima di chiederlo, aveva già intuito di quale Oscar si trattasse.
«Era qui poco fa. Non vi siete incrociati per poco. Ho bisogno del tuo aiuto. Devi assumere questo caso». Gil non rispose, così Jacob continuò. «La polizia non mi lascerà andare. Di sicuro credono che io c’entri qualcosa».
«Vogliono interrogarti perché sei stato tu a trovare i cadaveri», osservò Gil, accomodandosi sui gradini accanto al gallerista. «Vogliono solo farti qualche domanda». Infilò la mano in tasca e poi si ricordò che aveva smesso di fumare. Aveva smesso sette anni prima. Ai tempi di Berlino. «Come ha fatto Oscar a scoprire cos’è capitato?»
«Non lo so. Non me l’ha detto. Sai com’è Oscar, sempre sul pezzo».
Mentre Jacob parlava, Gil sentì odore di alcol nel suo fiato. Alle 8.45 del mattino? Jacob Levens era stato un gran bevitore per moltissimo tempo, però l’anno prima dei problemi di salute lo avevano costretto a smettere. O almeno così Gil supponeva.
«Perché eri qui, Jacob?»
«Avevo una colazione di lavoro alle otto. Sono arrivato in anticipo, la porta era aperta, così sono entrato. Le luci erano accese e anche il riscaldamento».
«Sul serio? Ci saranno almeno 40 gradi qui dentro. Perché non l’hanno abbassato?»
«L’avrei fatto io, ma non mi hanno permesso di toccare niente».
Gil guardò il quadro che stava prendendo forma in fondo alla galleria. Vecchi ricordi, poco piacevoli e indesiderati, si fecero largo nella sua mente.
«Sono anni che non passo di qui».
«Mi stupisce che la polizia ti abbia permesso di entrare».
Gil scrollò le spalle. «Conosco il poliziotto all’ingresso».
«Hai ancora degli agganci?»
«Direi di no».
Gil diede un’occhiata a Jacob, l’uomo che l’aveva assunto molti anni prima, e che nel tempo era diventato suo amico. L’uomo che gli era rimasto accanto dopo la morte della sua prima moglie e che gli aveva fatto conoscere la seconda. Un uomo che Gil stimava, ammirava, anche se aveva delle debolezze note a tutti. Quelle, in nome dell’amicizia, poteva perdonargliele. Ora Jacob Levens voleva riportare Gil nel mondo che lui aveva ripudiato. Se si fosse trattato di chiunque altro, avrebbe risposto con un rifiuto.
«Torno subito», disse Gil, avviandosi verso il paravento.
Il poliziotto che l’aveva lasciato entrare nella galleria stava parlando con un detective, un’altra persona nota a Gil. Il detective Phil Simmons, sulla quarantina, aveva le borse sotto gli occhi e una brutta eruzione cutanea dal collo alla fronte. Quando si accorse di Gil, Simmons gli fece cenno di avvicinarsi.
Gil esitò.
No
, pensò. "Se passo dietro al paravento, rimarrò incastrato. Tornerò indietro, dovrò di nuovo indagare sul mondo dell’arte, un letamaio stracolmo di truffatori e nomi sulla bocca di tutti, che fingono di essere uomini onesti, che vengono manipolati da una banda di ricconi. Se passo dietro al paravento, tornerò alla mia vecchia vita, prima di Bette. Voglio davvero mettere a repentaglio il mio futuro per un passato che disprezzo? Lo voglio?".
«Credevo avessi abbandonato questo mondo», disse Simmons, facendogli di nuovo cenno di passare oltre il paravento. «Se non sbaglio, non sei più un investigatore». Si grattò la pelle rovinata. «Adesso sei uno studioso, no?»
«Sì, è così».
«Allora che ci fai qui?»
«Mi ha chiamato Jacob. È un amico».
Simmons cercò con lo sguardo il gallerista. «Ha trovato i cadaveri».
«Già. Me l’ha detto».
«Ti sei un po’ appesantito», sottolineò Simmons, ridendo tra i baffi.
«Mi sono risposato».
«Evidentemente sa cucinare bene».
«Aspetto un bambino».
«Oh, adesso mi spiego quella pancia».
Con sua enorme sorpresa, Gil rise della battuta, instaurando il vecchio rapporto informale che c’era tra loro.
«Che aspetti?», gli chiese Simmons, muovendo la testa a mo’ d’invito a passare dietro il paravento.
Lui esitò ancora.
«Forza!», gli urlò Simmons. «Non ho tutto il giorno».
I fratelli Weir erano decisamente morti. Erano seduti, schiena contro schiena, nudi, i colli legati insieme con del fil di ferro. Le gambe erano piegate nella posizione yoga del loto, in modo che i genitali fossero ben esposti, gli scroti erano ricoperti di sangue, lacerati da profonde ferite.
«Hanno usato una sparachiodi», affermò Simmons, indicando l’attrezzo abbandonato a qualche centimetro dal piede sinistro di Sebastian Weir. «Li hanno torturati entrambi».
Gil osservò i fratelli, i gemelli che avevano dominato la scena dell’arte londinese per una decade. Due galleristi di successo, con la pelle bianca come il latte di cocco, e i capelli più bianchi che biondi. Cattivi o generosi, a seconda delle occasioni. Sempre insieme. Anche nella morte.
«Oh, merda!», esclamò all’improvviso Simmons, chinandosi sui fratelli per osservare da vicino i loro visi gonfi. Si rivolse al patologo che stava esaminando i corpi. «È quello che penso?».
Dunning rifletté. «Non saprei. Cosa pensi che sia?»
«Intorno alla bocca. È…».
«Colla di coniglio», intervenne Gil.
«Grazie al cielo! Pensavo fosse sperma», replicò Simmons. «Cos’è la colla di coniglio?»
«Una miscela che serve per l’apprettatura della tela. Dev’essere stesa prima dell’imprimitura».
«Cosa ci fa sulle loro bocche?»
«Non ne ho idea», rispose Gil, mantenendo lo sguardo fisso sui corpi. Si domandò se Dunning o Simmons si fossero accorti di una certa cosa, che lui avrebbe preferito non notare, perché ne conosceva perfettamente il significato.
«Dai», Simmons esortò il patologo. «Cosa li ha uccisi?».
Dunning ricordava un ragazzino in un abito da uomo. Ignorò la domanda del detective e allungò la mano coperta dal guanto per toccare la testa insanguinata di Benjamin Weir. Rimase turbato quando lo scalpo scivolò sopra il viso della vittima, lasciando il cranio esposto.
Gil respirò profondamente e Simmons si voltò a guardarlo. «Che c’è? Stavi per dire qualcosa. Spara».
«Anche a Sebastian è stato rimosso lo scalpo».
Il patologo toccò la testa dell’altra vittima e annuì.
Simmons rivolse uno sguardo curioso a Gil. «Come facevi a saperlo?»
«L’ho già visto».
«C’è altro che dovremmo sapere?»
«L’assassino ha scambiato gli scalpi. Benjamin ha quello di Sebastian e viceversa».
Due
Era stato catapultato nel passato senza quasi accorgersene. Si trattava di un caso a cui aveva lavorato sette anni prima. Non a Londra, ma a Berlino. Un noto gallerista d’arte, Terrill Huber, era stato ritrovato in un magazzino, nudo, legato con il fil di ferro, i genitali mutilati da una sparachiodi e della colla di coniglio in bocca. Lo scalpo era stato rimosso. Un’ora dopo, sua moglie Alma era stata rinvenuta nuda e legata nella loro galleria d’arte in Friedrichstrasse, anche lei con lo scalpo rimosso. I seni erano punteggiati di ferite inferte dalla sparachiodi e la bocca era stata riempita di colla di coniglio post mortem.
Ciò che rendeva ancora più ripugnante e allo stesso tempo comico quell’efferato omicidio era che gli scalpi di marito e moglie erano stati invertiti. L’immagine di un uomo robusto di una certa età, sfigurato e ricoperto di sangue appariva in un certo senso ridicola con lo scalpo di capelli tinti della moglie. Era un tocco crudele e sottilmente feroce. La moglie, invece, era stata trovata accasciata contro la porta dell’ufficio della galleria, con lo scalpo pelato del marito a coronare il suo bel viso.
Gil non aveva mai dimenticato quella scena. Era rimasta ben impressa nella sua mente. Nonostante le sue indagini e quelle della polizia di Berlino, l’assassino non era mai stato catturato.
Due mesi dopo la moglie di Gil era morta.
Afflitto, aveva deciso di lasciare quel lavoro. Era diventato uno studioso, aiutava gli scrittori nelle ricerche per i loro libri. Gli era capitato di raccogliere informazioni di vario genere: su crimini in generale, sul mondo dell’arte e persino su quello dello sport. A Gil piaceva. Si rannicchiava nelle parole e si lasciava rassicurare dai fatti come se fossero una ninnananna. Sapeva che la morte di Holly era stata un incidente, una coincidenza. Il semaforo non aveva funzionato bene. Si era bloccato sul verde quando invece avrebbe dovuto essere rosso.
La macchina che aveva investito Holly non aveva previsto di trovarsela davanti, perciò non era riuscita tempestivamente a evitare la collisione.
«Erano gay?».
Gil fu costretto a ritornare al presente. Scosse la testa, mentre posava di nuovo lo sguardo su Simmons. «No».
«Sicuro?»
«Sì. Erano asessuati. La cosa era di pubblico dominio. Non facevano sesso da anni».
Rimasero a guardare mentre i corpi venivano sistemati dentro i sacchi neri, sopra una barella, per essere trasportati via. C’era già un gruppo di curiosi fermo all’ingresso della galleria. L’eco della chiusura dello sportello dell’ambulanza si propagò in quella mattina di morte.
«Quindi, hai già visto una scena del genere», riprese Simmons. «Dove?»
«A Berlino. Ero stato chiamato a risolvere un caso, ma non ebbi fortuna. Nemmeno la polizia riuscì a chiuderlo. Ci fu una volta che credetti di averlo quasi acciuffato, ma mi sfuggì».
«Quando è successo?»
«2007».
Simmons pareva nervoso, continuava a grattarsi il collo.
«Da quando hai quell’eruzione cutanea?»
«L’ho vinta alla lotteria», rispose ironicamente Simmons. «Il medico dice che è stato qualcosa che ho mangiato. Ho già provato tre diverse creme, ma non hanno funzionato». Continuando a grattarsi il collo, tornò a interrogare Gil. «Ci sono altre somiglianze, a parte la questione dello scalpo?»
«Anche le altre due vittime erano nude. L’uomo aveva i genitali mutilati».
«L’uomo?»
«Si trattava di un uomo e una donna», spiegò Gil. «Marito e moglie. I seni della donna erano stati mutilati».
«Che mi dici di quella colla?»
«Colla di coniglio. Entrambe le vittime ne avevano in bocca».
Simmons alzò le sopracciglia.
«E gli scalpi erano stati invertiti?»
«Sì. I corpi furono rinvenuti in due posti differenti. L’assassino se n’era andato a spasso con lo scalpo del marito per tutta Berlino».
«L’aveva posizionato sulla testa della moglie dopo aver rimosso il suo scalpo?».
Gil annuì.
«Poi aveva percorso tutta la strada a ritroso con l’altro scalpo per metterlo sulla testa del marito?». Simmons fece una pausa. «Quindi il marito era la prima vittima?»
«Sì».
«Perché rimuovere lo scalpo?»
«Non l’abbiamo mai capito, perché non siamo mai riusciti a catturare l’assassino».
«Quindi i fratelli Weir sono stati uccisi nello stesso modo. Stesso assassino?»
«Forse». Gil scrollò le spalle. «Non sono aggiornato sui casi degli ultimi sette anni. Sono fuori dal giro. Forse ci sono stati altri omicidi come questo…».
«Non a Londra».
«Be’, forse dovresti informarti su casi simili avvenuti in Germania e altrove, ammesso che ce ne siano stati». Gil sospirò. «Senti, è capitato molti anni fa, quando di mestiere facevo l’investigatore».
«Lo sei ancora…».
«No, sono qui perché Jacob mi ha chiamato. Non voglio essere coinvolto in questa faccenda».
«Lo sai che devo chiederti di Berlino, vero?».
Gil annuì. «Sì, ma se vuoi che ti aiuti, devi condividere con me le informazioni che hai: referto del patologo, dichiarazioni dei testimoni, le solite cose. Sono riservato, lo sai. Puoi fidarti di me».
Simmons inclinò la testa da un lato. «Mi stai dicendo che accetti il caso?»
«Indagherò un po’ per conto di Jacob, non mi lascerò incastrare una seconda volta. Mi sono ritirato, chiaro?»
«Oh, certo, per me è tutto chiaro», dichiarò Simmons, indicando il punto in cui Jacob Levens era ancora seduto. «Ma lo è anche per lui?».
Tre
Berlino, Germania
Ore 9.30
Usava la piastra, perché odiava il modo in cui i suoi capelli si arricciavano. Gli piacevano lisci, non selvaggi come quelli dei contadini. Comunque, pensò compiaciuto, era un lusso per un quarantenne possedere una chioma come la sua. Luca si appoggiò allo specchio per studiare da vicino i suoi denti. Non aveva placca, e nessun irritante resto di un pranzo frettoloso.
Del suo viso amava genuinamente soltanto gli occhi. Erano di un castano scuro, per niente cordiali. Rudi. Irresistibili. A volte erano invitanti, altre volte freddi come il ghiaccio. Occhi da duro… Li abbassò per osservare l’uniforme da cameriere che indossava, una divisa impregnata di rancore, un simbolo di umiliazione. Ciò che i clienti pensavano traspariva dai loro sguardi, le parole erano irrilevanti. La loro espressione era più che eloquente: lo giudicavano perché era un uomo di mezz’età che serviva ai tavoli, cercando di dimostrarsi compiacente e ossequioso. Uno straniero con i capelli mediterranei leccati e le labbra pronunciate. Eccessivo per l’età che aveva, non più tanto giovane…
Sì
, pensò Luca. So perfettamente come mi giudicate, ma non per molto ancora
.
Inspirò profondamente e si rilassò. Finalmente le cose stavano andando a posto. Tra qualche ora sarebbe diventato famoso su internet. Avrebbe contattato i giornali, le riviste, le radio e le televisioni e iniziato a scrivere un blog. Facebook e Twitter stavano puntando la preda, come dei levrieri, ed erano pronti ad affondare i denti.
Dalla sua aveva un nome, un certo nome famoso e, cosa assai più importante, infame. Il nome di un pittore che era anche un assassino. Naturalmente Luca sapeva che non tutti gli avrebbero creduto. Forse non avrebbero mai accettato l’idea che lui fosse discendente di Caravaggio e di una nota prostituta romana di nome Fillide Melandroni. Ma lui era pronto, pronto ad affrontare le persone che l’avrebbero deriso, ritenendolo pazzo.
Lui sapeva la verità.
Era consapevole del suo sangue e del segreto che nascondeva. Lui era l’unico uomo al mondo a conoscere l’ubicazione del ritratto di Fillide Melandroni, che si credeva perduto per sempre. E non finiva lì. Conosceva anche il nascondiglio della tela più famosa sottratta al mondo dell’arte, la Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi, trafugata, si presumeva dalla mafia, a Palermo, in Sicilia, nel 1969.
Si supponeva che il ritratto di Fillide fosse andato distrutto in Germania nel 1945. La Natività, invece, risultava scomparsa nel nulla dal 1969. Entrambe le tele erano di valore, ma la Natività era una vera e propria leggenda. Era troppo famosa per essere venduta sul mercato nero, troppo preziosa per essere distrutta.
Era rimasta nascosta.
Come lui.
Ad aspettare.
Naturalmente, Luca Meriss sapeva che, esponendosi, sarebbe diventato il bersaglio di ogni sorta di scherno. Rivelare che conosceva l’ubicazione di quel dipinto era una mossa audace. La sua storia era incredibile e avrebbe colpito l’immaginario di tutto il mondo. Era ciò che Luca desiderava. Fillide Melandroni era una sua antenata: una bellissima prostituta impetuosa, il cui volto era stato ritratto da Caravaggio su molte tele. Chi non avrebbe voluto possederne una? Ma la Natività avrebbe fatto tremare il mondo dell’arte. Valeva più di 60.000.000 di sterline. Avrebbe suscitato interesse e invidia in tutti. Ogni collezionista, ogni gallerista, ogni conoscitore e ogni delinquente avrebbero desiderato possederla.
Ma soltanto lui sapeva dov’era. Soltanto Luca Meriss. Chiunque desiderasse vedere quel dipinto doveva rivolgersi a lui. E se gli fosse successo qualcosa? Il quadro sarebbe andato perduto per sempre.
Era un’inconfutabile garanzia sulla sua vita.
Quattro
Londra
Bette era rimasta a guardare suo marito dalla soglia per diversi minuti. Conosceva quello sguardo. Era lo stesso di quando le aveva raccontato com’era morta la sua prima moglie, la brillante ed enigmatica Holly, di cui lei era ancora gelosa. Lo stesso sguardo di quando le aveva narrato della sua vita precedente, del suo vecchio lavoro e del caso d’omicidio avvenuto a Berlino.
Gil percepì la sua presenza e si girò a guardarla. «Ti ho svegliata?»
«No». Lei guardò il suo orologio. «Dove sei stato? Mi sono svegliata e tu non c’eri».
«Jacob Levens mi ha chiamato. Ha avuto un problema».
«Che genere di problema?».
Lui avrebbe preferito tenerla all’oscuro della cosa, visto che mancavano poche settimane al parto.
«Cos’è capitato, Gil?»
«C’è stato un duplice omicidio. I gemelli Weir. Jacob ha trovato i cadaveri».
«Cielo!».
«Non è ben messo».
Bette si accomodò al tavolo, riflettendo su Jacob Levens. L’estate di qualche anno prima lei lavorava nel settore della moda, ma la sua carriera era miseramente fallita sul nascere. D’impulso aveva lasciato Milano per trasferirsi a Londra ed era andata a vivere con la madre divorziata. La convivenza si era rivelata un altro fallimento: due caratteri forti sotto lo stesso tetto erano un conflitto preannunciato. Allora Bette aveva iniziato a sperare di trovare tempestivamente un lavoro che le permettesse di affittare una casa tutta sua.
Nel frattempo Jacob Levens, con una mostra alle porte, era stato piantato in asso dalla sua segretaria di lunga data, ed era alla disperata ricerca di una nuova impiegata. Così quando Bette si era proposta per quel lavoro, Jacob l’aveva assunta. Era elegante, intelligente e imparava in fretta: esattamente la donna che faceva per lui. In più Bette aveva trovato una figura paterna e lui il surrogato di una figlia. Lei era abbastanza sveglia da tenergli testa: l’irritazione di Jacob svaniva di fronte all’indifferenza di Bette. Nel periodo in cui lui beveva, era stata sempre Bette a buttar via le bottiglie che Jacob credeva di aver nascosto molto bene.
Si era occupata di lui perché non aveva nessun altro e Jacob le aveva restituito il favore presentandole Gil Eckhart.
«Devi dargli una mano», disse Bette, appoggiando le dita sul braccio del marito. «Ha bisogno di te».
«Non sono più un investigatore. Ho giurato di restarne fuori, lo sai».
Calò il silenzio. Gil si domandò quanto potesse rilevarle. Aveva detto a Bette che i fratelli Weir erano stati uccisi, nient’altro. Non aveva menzionato le somiglianze tra quel caso e gli omicidi di Berlino di sette anni prima. Non voleva dirglielo. Non voleva pronunciare le parole che avrebbero evocato ancora una volta quella scena.
Lei lo guardava incuriosita. «La polizia sospetta di lui?»
«No, ma è sotto shock per il ritrovamento dei cadaveri». Gil stava mentendo, per evitare di dover dare ulteriori informazioni. «Forse Jacob si è agitato troppo. Probabilmente non ha bisogno di me. La polizia se la caverà benissimo».
«Sono incinta, non stupida!», esclamò Bette. «Detesto quando mi nascondi le cose».
«Non ti sto nascondendo nulla».
«Sì, invece! Dimmi che sta succedendo».
Lui esitò.
«Gil, che c’è?»
«Ti ricordi quel caso di Berlino di cui ti ho parlato? L’omicidio di Alma e Terrill Huber?».
Bette iniziava a capire. «Sì, me lo ricordo».
«I fratelli Weir sono stati uccisi con lo stesso modus operandi». La fissò e lei sostenne il suo sguardo. «Non chiedermi i dettagli».
Lei non ne aveva intenzione. «Perciò la polizia vorrà interrogarti su Berlino».
«L’hanno già fatto. Il detective assegnato al caso, Phil Simmons, si trovava già sul posto quando sono arrivato lì. Abbiamo chiacchierato e poi mi ha richiamato. Aveva dato un’occhiata al caso di Berlino e voleva confrontarsi con me».
«Simmons crede che l’assassino sia lo stesso?».
Gil non rispose.
«L’assassino non è mai stato catturato?»
«Lascia perdere, Bette. Troverò una via d’uscita. Chiuderò la cosa oggi stesso».
Lei non amava essere liquidata in quel modo.
«Ma se si tratta dello stesso uomo, dov’è stato per sette anni?»
«All’estero. In prigione. In ospedale. Chi lo sa?».
In quell’istante Bette realizzò che la loro vita poteva essere in pericolo, alla mercé di una qualche oscura forza.
Gil cercò subito di placare la sua ansia. «Senti, la polizia mi farà ancora qualche domanda e basta».
Le sorrise, ma lei non ricambiò. Si chiuse in se stessa, appoggiando le mani sul pancione. Sentiva il bambino muoversi in modo convulso dentro di lei, incessantemente. Rispecchiava il suo stato d’animo. Mancavano soltanto un paio di settimane al parto. Perché Jacob Levens non si era rivolto a qualcun altro? Perché proprio Gil? Bette doveva la propria felicità al gallerista, lo sapeva bene, ma aveva paura. Non voleva che l’odore della tortura e dell’assassinio entrasse in casa sua. Non voleva che suo marito si ritrovasse di nuovo a fare una vita che odiava. Voleva che si occupasse di decorare la stanza del bimbo, che le stesse accanto nelle ultime settimane prima del parto. Non avrebbe dovuto viaggiare, inseguire criminali, parlare con la polizia o rivangare il passato. Non sarebbe dovuto tornare a Berlino, alla sua vecchia vita, dalla sua prima moglie.
«Non fai più l’investigatore. Jacob lo sa bene». Rimase in silenzio a fissare suo marito. «Comunque, perché ha chiamato proprio te? Come mai Jacob vuole assumere te per questo caso?».
Gil stava schivando le domande per evitare di dover dire la verità. «Ho già lavorato con lui in altri casi».
«Molti anni fa».
«Sì, è vero, ma Jacob mi conosce e si fida di me».
Bette scosse la testa.
«No, c’è qualcos’altro. In fondo, ha solo ritrovato i cadaveri, no? Allora perché vuole coinvolgerti nelle indagini?». Fece di nuovo una pausa, sostenendo lo sguardo del marito. «Come mai questi omicidi sono così importanti per Jacob Levens?»
«Non lo so!».
«Sì che lo sai! Dimmelo!».
Lui rimase zitto per un attimo, poi riprese a parlare. «Alma Huber era sua sorella».
Cinque
New York
Ore 3.30
«Ehi! Ehi! C’è qualcuno?».
Catrina Hoyt rimase in ascolto.
Era ancora buio, stava appena albeggiando. Aveva sempre avuto il sonno leggero e si era svegliata sentendo un suono che non era riuscita a identificare, un rumore sufficientemente forte da penetrare il doppio vetro. Si era girata per ascoltare meglio. A parte le continue sirene e i clacson dei taxi che disturbavano sempre il riposo dei newyorchesi, non le era parso di udire nulla di inusuale.
Poi, però, sentì un rumore provenire dall’interno della casa e saltò di corsa giù dal letto. Aprì il cassetto del comodino, tirò fuori la pistola, e tenendola stretta in mano si diresse al piano di sotto. Le scale erano separate dall’edificio principale e si trovavano oltre l’area della galleria collegata all’allarme. Catrina raggiunse la porta dello scantinato.
Togliendo la sicura alla pistola, aprì la porta con un piede.