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Le nebbie del Tennat: Nascita di un mito
Le nebbie del Tennat: Nascita di un mito
Le nebbie del Tennat: Nascita di un mito
E-book918 pagine14 ore

Le nebbie del Tennat: Nascita di un mito

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Info su questo ebook

Aliman è un giovane ventenne che si sta affacciando alla vita. Finita la scuola inizia a lavorare sul peschereccio di suo padre, ma in cuor suo anela l'avventura, e quella vita tediosa, gli calza come una scarpa stretta. Tutto cambia quando sia per curiosità, che per divertimento, si fa costruire una piccola barchetta, ove sotto sue disposizioni, ci fa montare delle vele non ancora conosciute, nel piccolo mondo dove vive. Grazie a queste riesce ad andare controvento, procedura non consciuta nel Tennat, e per questo, si crea la fama di essere il mago del vento, oltre che l'inventore. La svolta arriva quando un armatore e mercante della sua stessa città, gli propone di costruirgli una vera nave, così che egli possa trasportargli le merci a tempo di record. inizia lì la sua avventura, diventando un contrabbandiere al servizio del suo nuovo amico. Ma le cose cambiano quando, suo malgrado, si troverà coinvolto in una guerra, che per quanto farà per sfuggirle, non potrà evitare di affrontarla.
Amore, amicizia e avventura, troverete in questa fantastica saga, dove intrighi di corte, tradimenti e battaglie, costringeranno l'eroe a crescere, e diventare uomo.
Un fantasy fuori dagli schemi, dove non solo vi innamorerete dei vari personaggi che lo popolano, ma pure del mare.
LinguaItaliano
Data di uscita18 lug 2019
ISBN9788834158012
Le nebbie del Tennat: Nascita di un mito

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    Anteprima del libro

    Le nebbie del Tennat - Lawrence Medì

    Ringraziamenti

    Capitolo 1

    L'alba di un giorno nuovo

    Nidòro abbassò gli occhi ed espirò rassegnato.

    Aveva sperato, invano, che il suo signore non arrivasse a chiedergli tanto, e invece. La testa e le spalle gli caddero addosso, poi, col coraggio di colui che sa di non aver niente da temere alzò il mento, guardò il suo signore negli occhi e domandò:«Sire, siete sicuro di volere questo?»

    «Nidòro, Nidòro. Mio gran Sacerdote, mio primo ministro, nonché mio grande amico». Il re si avvicinò mettendogli una mano sulla spalla:«Sai bene quanto me che non verrò ascoltato. C’eri anche te l’ultima volta, no?» «Si Sire, ma iniziare una guerra. Una guerra come volete farla voi, nemmeno Zoran il crudele aveva azzardato tanto». Adesso il re gli aveva tolto la mano dalla spalla e agitava leggermente l’indice in aria: «La nostra non sarà una guerra di aggressione, non sarà una guerra per la conquista del potere, sarà una guerra per la sopravvivenza. La sopravvivenza di Boria, la sopravvivenza del nostro popolo, per il nostro sacro santo diritto a esistere».

    Col braccio sinistro lo invitò ad andare con lui: «Vieni amico mio, vieni a vederlo». Il re lo condusse in una stanza quasi del tutto spoglia, se non fosse stato per gli arazzi appesi alle pareti. Al centro della stanza c’era qualcosa coperto da un telo. Sua grazia si avvicinò e lo tolse con gesto plateale:«Ed ecco qua». Sotto il telo si celava una statua di marmo bianco.

    Era l’immagine di un giovane nel pieno della sua maturità. Un giovane dal volto glabro, addominali scolpiti, muscolatura perfetta. Il re lo guardava dal basso verso l’alto quasi estasiato. La statua li sovrastava abbondantemente. Era in posa, con le mani appoggiate ai fianchi e una gamba poco più avanzata dell’altra.

    Ispirava l’immagine della bellezza scesa in terra. Infatti il re esclamò:«Non è bellissimo?» e Nidòro rispose:

    «Si sire, lo è». Poi si avvicinò alla statua e la guardò in volto.

    «Sire, ha gli occhi chiusi!» esclamò il sacerdote.

    «Questo perché spero che glieli aprirai tu.» disse il re.

    «Come volete voi, maestà. Adesso mi ritiro nelle mie stanze per prepararmi al rito. Stanotte, dovrò scendere all’inferno per far avverare il vostro sogno. Con permesso». Mentre si allontanava Il re gli parlò: «Nidòro! So quanto questo deve costarti» Nidòro si voltò e interruppe il re:«No maestà. Non ne avete idea»

    «Ed è per questo che ti ringrazio dal profondo del cuore .Ora va, preparati come sai, per favore, manda qualcuno a cercare il tesoriere di corte.

    Se stasera avrai successo, e io so, che avrai Successo, allora in settimana nuova dovrò andare dai Climefiti a chiedere un prestito per finanziare questa guerra».

    Con un inchino accennato Nidòro si congedò dal re, poi, uscito dalla stanza cercò qualcuno che andasse a dire al tesoriere che il re desiderava vederlo. Raggiunte le proprie stanze andò subito alla grossa libreria che occupava tutta la parete. A colpo sicuro prese un grosso libro e lo poggiò sul tavolo. Il tomo aveva la copertina completamente nera,

    con su scritto in caratteri d’oro IL GRANDE LIBRO DEI MORTI. Prese fiato, ma mancandogli il coraggio andò allo scaffale sulla parete opposta a quella della libreria. Fece l’inventario delle erbe e delle droghe che gli sarebbero servite a compiere il rito. Quindi passò in rassegna quali avrebbe bruciato per aspirarne i fumi, quali avrebbe dovuto bere, facendo mente locale per ricordare esattamente la sequenza di assunzione. Nel caso non ci fosse riuscito da solo, si domandò a quale dei suoi adepti avrebbe

    dovuto chiedere aiuto. Chi scegliere? Temeva che il prescelto avrebbe suscitato l’invidia degli altri, o la delusione di loro stessi. Ma a questo non doveva pensare, lo aspettava un compito di estrema difficoltà. L’avrebbe chiesto a Raldino, il suo adepto più promettente, il suo braccio destro, si, di sicuro era la scelta migliore. Si Girò di centottanta gradi e fissò il libro.Dai Nidòro, è il momento di aprirlo pensò. Arrivato al tavolo si sedette sulla sedia, aprì il tomo e si immerse nello studio. Dopo due ore di ripasso, ed essersi esercitato a ripetere le frasi a memoria sentiva di essere pronto ad affrontare il rito. Si concesse un’ora di sonno. Svegliatosi, uscì a cercare qualcuno per farsi mandare Raldino. Trovava irritante che proprio lui, il primo ministro e gran sacerdote, non avesse un attendente al suo servizio. Tuttavia, sapeva che la carenza di personale costituiva uno dei talloni di Achille di Boria. Trovò una servetta con un cesto di bucato sottobraccio e le si rivolse. «Ei tu»

    «Si signore?»

    «Trovami Raldino e digli che lo aspetto nelle mie stanze, che faccia in fretta» detto questo tornò ai suoi alloggi. Dopo dieci minuti sentì bussare alla porta:«Avanti» disse, e il pupillo entrando chiese: «Mi ha fatto chiamare signore?»

    «Oh, Raldino. Vieni, entra. Stasera mi aiuterai a compiere il rito, ti devo istruire su cosa devi fare. Allora! Per prima cosa brucerò la pianta di Artesia, ma vedrai che su questo non avrò bisogno di aiuto .Così pure nel bere il succo di Crisentia. Dovrei essere ancora abbastanza cosciente, ma se non dovessi esserlo, o mi vedessi strano, titubante o sperso, allora dovrai essere tu a farmi bere questa» prese un’ampolla con dentro un liquido viola. «Estratto di Tristania. Questa mi manderà in estasi, così che potrò raggiungere il limbo. Mi raccomando! La quantità che dovrò ingerire è quella che vedi qui dentro» mostrandogli l’ampolla viola.

    «Se ho fatto i calcoli giusti dovrei restarci abbastanza tempo da fare quello che devo senza rimetterci la vita»

    «Rimetterci la vita, signore?» chiese Raldino.

    «Si proprio così. Comunque non preoccuparti, sono sicuro di averli fatti corretti, andrà tutto bene. Quello di cui ti devi occupare è, che quando sarò tornato» Nidòro si prese tre secondi di tempo per mettere l'accento sull'importanza dell'azione. «è di farmi bere questa» prendendo un'altra ampolla di grandezza doppia a quella precedente. «Succo di Brumana. La Brumana annulla gli effetti della Tristania. Subito dopo che avrò rilasciato lo spirito, crollerò a terra svenuto. Ti devi assicurare che io la beva tutta, poi attendi. Adesso vai, prepara il santuario e tutti i devoti. Torna fra un'ora, mi aiuterai a vestirmi».

    Raldino si dette subito da fare. Prese le ampolle e la pianta per approntarle sull'altare. A grandi passi raggiunse i dormitori degli adepti e fece in modo di radunarli tutti. Con voce decisa richiamò l'attenzione della confraternita:«Stasera il gran sacerdote compirà il rito» disse loro, i devoti avevano saputo di un rito da compiere, ma non sapevano esattamente di cosa si trattasse. «Noi dobbiamo allestire il santuario» quindi dette disposizioni. Ad alcuni assegnò il compito di pulire la sala interna, ad alcuni di trovare quante più candele possibili per l'illuminazione, ad altri di trovare la legna necessaria per alimentare i quattro camini della sala. Le toghe nere furono lavate, asciugate e poi portate nei dormitori. L'intera chiesa era in subbuglio, ogni adepto indaffarato in qualcosa. Spostare la statua dal castello alla sacra sala del santuario si rivelò un compito più difficile del previsto. Di fatto, a causa dell'altezza, non riusciva a passare sotto a due porte del percorso. Fu deciso di portarla sdraiata, tenendola con delle funi e facendo attenzione a non farla cadere o sbattere. La rottura di questa era di vitale importanza. La maggiore attenzione fu riservata a quell'operazione. A Raldino gli ci volle più dell'ora concessagli da Nidòro, quando arrivò a bussare alla sua porta aveva il fiatone. «Entra» sentì rispondere dall'interno. «Mentore» pronunciò una volta dentro.

    «Raldino, ti avevo detto un'ora. Che è successo?»

    «Ci sono state delle complicazioni a portare la statua fuori dal castello. Non passava dalle porte e abbiamo dovuto improvvisare».

    «E la statua...?» chiese Nidòro, leggermente preoccupato.

    «Non ha subito nemmeno un graffio mio signore»

    «Bene. Non voglio nemmeno pensare a cosa ci avrebbe fatto il re se si fosse rotta o danneggiata». «No signore, tutto a posto. Si trova già nella grande sala» lo rassicurò prontamente.

    «Apri l'armadio, prendimi l'abito da cerimonia e aiutami ad indossarlo» Raldino ubbidì all'ordine, aiutando il mentore a vestirsi. Quando il suo signore fu vestito, non poté fare a meno di vedere com'era bello l'abito. Completamente rosso, aveva due bandane nere sui lati, e una cintura nera di seta con striature d'oro cingeva la vita.

    «Bene! Va a chiamare il re, digli che sono pronto» ordinò il sacerdote. «Mio signore, il re è già al santuario, la sta aspettando» rispose Raldino. «Ah si? Chissà come ci rimarrà male quando saprà che non potrà assistere al rito. Andiamo, fammi strada» Nidòro seguì il suo pupillo fuori dal castello, verso il tempio, sede dell'ordine dei devoti al dio Tenor.

    Quando il re lo vide arrivare, non si rammaricò del denaro speso per gli abiti e gli orpelli richiesti dal gran sacerdote. Quello che Nidòro gli avrebbe dato, valeva qualsiasi spesa. «Maestà» salutò il primo ministro.

    «Gran sacerdote» contraccambiò il re.

    «Sire, potete entrare nel santuario, ma non nella sacra sala dell'altare» «Perché no?» chiese sua grazia rimanendo deluso e sbigottito.

    «Perché il rito è qualcosa di religioso, e voi non lo siete». Rimase qualche secondo in silenzio, guardando il re. Sapeva di averlo deluso, ma sapeva anche che Eronne non era né tirannico né un despota, quindi poteva permettersi certi comportamenti. « E visto che sono io ad officiare, allora si fa come dico io» aggiunse in tono serio. Il re non poteva far altro che capitolare:« Va bene. Come vuoi tu, amico mio» ed entrarono nel tempio. Camminarono fino ad entrare nel santuario, il cuore del tempio, poi fino all'anticamera della grande sala, e lì Nidòro si fermò: «Sire, voi vi fermate qui» disse perentorio. Si voltò, varcò la soglia della sala e fece cenno di chiudere la grande porta. Prima che questa venisse serrata si sentì chiamare dal re:«Nidòro! Non deludermi»

    «Non lo farò» i due battenti si chiusero, celando così, quello che sarebbe successo all'interno.

    La grande sala circolare poteva contenere comodamente settecento persone, ma in quel momento, di devoti, ce ne erano poco più di cento. Nidòro dette disposizione che si formassero tre cerchi concentrici di adepti intorno all'altare. Notò che era ben illuminata e calda, nonostante l'alto soffitto. Raldino ha svolto un gran lavoro pensò. Nidòro aveva visto giusto quando anni prima aveva accolto quel ragazzo randagio. Ora era un aiuto preziosissimo per lui. Raggiunse l'altare e passò in rassegna l'occorrente, c'era tutto. Alzò le braccia al cielo e disse: «Iniziate il canto» e tutti i devoti attaccarono con la nenia appresa qualche settimana prima. «Iaresinda aravanda, iaresinda aravanda...» erano stati forniti dei piccoli tamburelli con manico. Tenendoli fra le mani giunte bastava sfregarle, due cordicelle tenevano due palline che col movimento battevano sul tamburello. L'insieme di tutti quei tamburelli producevano un suono quasi ipnotico. Nidòro dette fuoco all'erba di Artesia e ne aspirò i fumi. Avvertì un brivido, e subito dopo, una sensazione di freddo. Iniziò a recitare la formula del rito;«Drusifara calalinda, brisidera fortarfasa, drusifara calalinda, brisidera fortarfasa» e mentre continuava la recita aspirava sempre più fumi. Andò avanti così per un quarto d'ora, poi, stanco, si appoggiò. Raldino lo sostenne. Con grande sforzo tentava di prendere l'ampolla con il succo di Crisentia, e puntualmente il suo allievo gliela porse. Lo bevve tutto, e una nuova energia gli ridette vigore. Adesso iniziava a vedere tutto rosso. Le pietre, che prima erano grigie, ora presentavano una sfumatura di rosso. Così le facce dei devoti, le candele, ogni cosa. Sembrava quasi che il rosso più rosso di un tramonto avesse invaso l'intera sala. Il succo di Crisentia lo faceva sentire forte e potente, e con nuovo vigore attaccò a recitare la seconda parte della formula. «Calimanum disidiris, periconum golidaris, calimanum disidiris, periconum golidaris» per un altro quarto d'ora continuò così. Poi afferrò con decisione l'estratto di Tristania, e lo trangugiò.

    Nessuna sensazione. Recitò e completò la terza parte della formula. «Karrak ra gorik ra, karrak ra, gorik ra, karrak ra gorik ra» ma niente ancora. La Tristania era la parte più importante, quella che lo avrebbe mandato in estasi, e non stava funzionando. Recitava e aspettava, recitava e aspettava che l'estratto facesse effetto. Poi il rosso si trasformò piano piano in viola. Un viola dapprima luminoso, e via via sempre più scuro, fino a quando non divenne tutto nero. Ebbe la sensazione di cadere all'indietro, perse i sensi, ma non se ne accorse.

    Raldino lo afferrò prima che crollasse a terra, lo sollevò e lo adagiò cautamente sull'altare. Nidòro era entrato in estasi.

    Percepiva di essere sdraiato, in posizione prona, e sapeva di avere gli occhi chiusi. Li aprì, ma non vide niente. Buio, un buio assoluto. Sto sognando? si domandò. Avrà funzionato? Sono davvero nel limbo o mi sono solo illuso di poterci arrivare?

    A Nidòro era sempre piaciuta la magia. Quando da giovane studiava i testi, era contento di sapere che si apprendeva con grande studio e impegno indefesso. Aveva sentito storie di riti magici praticati in altri paesi molto lontani, che prevedevano l'uccisione di animali, versare il sangue di questi in segno di obolo o peggio ancora, di sacrifici umani. Niente di tutto questo caratterizzava la magia nel Tennat. Quello che soprattutto contava era la forza naturale del mago. Con quella ci nascevi, altrimenti niente. Si tirò su a sedere, poi in piedi. Che fare adesso? Se iniziassi a camminare e ci fosse un precipizio? Vi cadrei sicuramente dentro pensava fra se. Allungò la gamba tastando il terreno col piede, sentì che c'era altro pavimento, tuttavia non si azzardò a fare il primo passo. «C'è nessuno?» si sentì dire da solo.

    «Qualcuno mi sente?» niente. Poi, dopo qualche altro schiamazzo si sentì afferrare da dietro. «Chi sei?» domandò una voce.

    «Sss mmm lasss poooos diiii» cercava di dire Nidòro.

    «Cosa? Non capisco niente» affermò l'essere sconosciuto, allora Nidòro con un filo di voce riuscì a dire:

    «Se allenti la presa sul mio collo posso anche risponderti»

    «D'accordo, parla» il braccio gli fece meno pressione ma non lo lasciò. «Mi chiamo Nidòro. Sono il gran sacerdote di re Eronne»

    «Si e allora?» domandò la voce nel buio.

    «Il mio signore mi ha affidato un compito»

    «Quale?»

    «Di riportare le anime perse al mondo di sopra, quello degli umani, quello dei vivi» disse il ministro di Eronne.

    « Mi prendi in giro? Io non sono morto»

    «Allora domandati: Dove mi trovo?»

    «Qui!» rispose l'essere che lo teneva bloccato.

    «Qui dove?»

    «Qui, non lo so dove, però qui»

    «Bè sappi, che ti trovi nel limbo»

    «Il limbo? Che cosa è ?»

    «Il limbo è il luogo dove le anime perdute non hanno raggiunto il regno dei morti. Ci sono persone che non pensano di essere state uccise. Di conseguenza si rifiutano di passare la soglia fra la vita e la morte, e finiscono nel limbo. Il luogo dove non sei vivo ma neanche morto. Per questo si dice anime perse. Io so come portarti via da qui, come farti tornare nel mondo dei vivi»

    «Ah si? E come?» chiese l'interlocutore.

    «Prima di continuare, posso sapere con chi sto parlando?»

    «Mi chiamo Nebula» rispose la voce.

    «Nebula? Il grande generale di Zoran il crudele?»

    «Forse volevi dire Zoran l'impavido?». Nidòro si rese conto che sarebbe stato più difficile del previsto, convincere i non morti a tornare nel mondo dei vivi. «Dimmi Nebula, da quanto ti trovi qui?»

    «Non lo so. In questo posto si perde la nozione del tempo. Credo che siano passati sette giorni»

    «Credimi! Non sono sette giorni. Dopo la tua morte, Zoran conquistò tutto il Tennat, e governò con pugno di ferro. Ecco per quale motivo fu chiamato il crudele. Si narra che durante il suo regno un quarto della popolazione perse la vita, chi uccisa, chi semplicemente sparita nel nulla. Non si sa se sia leggenda o la verità. Evidentemente tu l'hai conosciuto prima che diventasse il tiranno che era» «Sappi che non ti credo. Mi sa che adesso ti spezzo il collo» minacciò il generale, offeso per le accuse rivolte al suo signore.

    «Prima di farlo ascolta quello che ho da dire». Nidòro sapeva che nel limbo non si ha un corpo, ma solo la percezione di questo. Come poteva Nebula spezzare il collo a uno spirito? La minaccia non lo spaventava per niente, tuttavia il suo obiettivo era di convincere il generale ad andare con lui:«Io sono la sola opzione che hai per poter venire via da qui. Avrai fatto già caso a certe cose»

    «Quali cose?» chiese lo spirito.

    «Non hai mai bisogno di dormire, non hai mai fame o sete, non hai bisogno di andare in bagno, anche solo per fare pipi. Tutti i bisogni che avevi in vita qui non li provi più, non è così?»

    «Si è vero, e non ho la minima idea del perché»

    «Perché sei uno spirito, ma io posso ridarti un corpo, e poi so cosa brama un'anima persa più di ogni altra cosa»

    «E sarebbe?» «Tu e tutti coloro che si trovano nel limbo, bramate la luce, poter tornare a vedere» a quelle parole Nebula tolse il braccio dal collo di Nidòro.

    Re Eronne passeggiava avanti e indietro nervosamente. Pareva un marito in attesa del suo primo pargolo. Aveva provato a farsi aprire dai due devoti di guardia, ordinandolo in nome del re, ma gli era stato negato l'accesso, anche perché, la porta era serrata dall'interno. Dopo due ore si fece portare una sedia, poi, dopo altre due ore si arrese del tutto e si mise a dormire per terra.

    «LUCE» disse Nebula lentamente: Poter vedere di nuovo, non più in questo regno fatto di buio pensò il generale, quindi chiese: «Cosa dovrei fare per avere quello che mi hai detto?» il sacerdote disse: «Prima di portarti via da qui, voglio raggiungere un accordo con te»

    «Che accordo? COSA VUOI?» scandì Nebula. Nidòro espose la sua richiesta con la minaccia che, o accettava le condizioni, oppure sarebbe andato via senza di lui, inoltre mise l'accento sull'inutilità di essere minacciato, tanto nel limbo niente avrebbe funzionato.

    «Va bene, accetto le condizioni, cosa devo fare?» chiese il generale.

    «Devi usare il mio corpo come tramite per il ritorno ai vivi, alla luce» «Come?»

    «Niente. Mi devi prendere per mano e aspettare»

    «Ti devo tenere la mano e attendere? Solo questo?»

    «Si, solo questo»

    «D'accordo, farò come dici». Nebula non poteva credere che proprio lui, Generale di Zoran, soldato da una vita, doveva tenere per mano un uomo. Infatti mentre attendeva non resistette e disse a Nidòro :«Femminuccia».

    Raldino vide il suo maestro svegliarsi, alzarsi dall'altare e dirigersi alla statua. Dalla bocca, dagli occhi e dalle mani uscì un fumo nero che andò ad infondersi in essa. Gli occhi della statua si aprirono. Non aveva un iride, né la pupilla. L 'intero occhio era nero.

    Nidòro fece appena in tempo a vedere il suo operato che perse i sensi, Raldino, premurosamente lo fece riportare sull'altare. Il re stava sonnecchiando quando udì aprirsi la porta del santuario. Aveva atteso lì tutta la notte. La luce di una tenue alba faceva capolino dalle quattro grandi finestre della sala. Si alzò rapidamente e si fiondò dentro. Vide

    Nidòro steso sull'altare e vi corse incontro. «Nidòro, amico mio. Cosa gli è successo?» chiese a Raldino.

    «Effetto del rito. È vivo, ma bisogna attendere che si risvegli»

    «E quanto ci vorrà?»

    «Nessuno può dirlo»

    «Eee...?» Raldino capì subito che il re si riferiva al successo dell'impresa. Alzò il braccio e gli indicò la direzione. Eronne voltò lo sguardo e vide la statua. Si avvicinò per vederla nella sua interezza, il nero degli occhi davano uno stacco deciso al bianco del corpo. «Ce l'hai fatta amico mio, ce l'hai fatta»disse sua grazia a voce bassa.

    La statua gli stava di fronte guardandosi continuamente mani, braccia e gambe, muovendole lentamente come per fare un ripasso dei suoi arti, il marmo aveva preso vita. Completamente estasiato, Eronne continuava a dire.

    «Magnifico, magnifico» poi parlò rivolto a tutta la congrega dei devoti:

    «Adesso saremo noi a scrivere la storia» si prese un po' di tempo poi aggiunse:«Questa è l'alba di un giorno nuovo».

    Capitolo 2

    Una piccola rivincita

    Aliman aspettava suo padre sulla banchina. Il freddo del primo mattino lo pungeva, ma tanto fra non molto avrebbe avuto caldo. La barca del padre si accostò al molo e l'uomo chiese al figlio: «Aliman, come mai qui?» «Papà, sono venuto ad aiutarti a scaricare il pesce»

    «ah, bene, afferra la cima e legala, così ormeggio». Iniziarono a scaricare il pescato: «Com'è andata oggi?» chiese Al.

    «Come al solito. Figliolo, fino a quando il mare ci darà da mangiare non dobbiamo preoccuparci di niente»

    «Perché, potrebbe smettere?»

    «E chi può dirlo? Ma non è il mare a preoccuparmi »

    «Ah no, e cosa?»

    «Continua a scaricare, magari un giorno te lo dirò» Bolsan, padre di Aliman, pensò segretamente di non arrivare mai a confessare la verità al figlio, anche se immaginava che prima o poi l'avrebbe saputa. Con l'aiuto del giovane ci volle quasi un' ora di lavoro.«Al, sono quasi le otto, non vai a scuola?» intimò il padre.

    «Devo proprio? Non preferisci che venga al mercato con te?»

    «No. La scuola è più importante. So che non ci vorresti andare, ma devi studiare e allenarti»

    «Studiare e allenarmi. Mi domando a cosa mi serve se tanto un giorno sarò anch'io un pescatore, fare la vita come stai facendo te»

    «L'istruzione è sempre utile, oramai sei all'ultimo anno, e poi non si sa mai cosa la vita ci riserva»

    «Lo so già cosa mi riserva. Io vorrei viaggiare, vedere posti nuovi, vivere delle avventure, come quelle che si leggono sui libri» disse il giovane sognando ad occhi aperti. «Non sia mai che il tuo sogno si avveri. Quando sei giovane aneli l'avventura, il rischio e i paesi lontani. Poi quando ci sei desideri solo di ritornare a casa. Adesso va a scuola e pensa prima al dovere, che alle avventure» concluse il vecchio.

    «Si va bene, ma non stroncarmi i sogni ancor prima che siano iniziati».

    A suo padre scappò un mezzo sorriso, poi lo vide avviarsi verso casa. A casa prese i libri del giorno. Dunque vediamo. Oggi due ore di matematica e un'ora di scrittura, poi l'ultima ora c'è scherma pensava. Prese i libri ma non la spada, anche perché non aveva una spada. Quelle le forniva direttamente la scuola. Uscì e s'incamminò verso di essa. In un certo senso l'aveva fatto apposta a tardare, non voleva incontrare Galiano. Questi era un bullo, si divertiva a vessare gli altri ragazzi, ed essendo il più grosso e il più forte non trovava avversari che lo mettessero a posto.

    A poco erano servite le parole, i rimproveri di insegnanti, genitori o preside, lui era LUI! E gli altri lo dovevano tollerare.

    Arrivò a scuola con dieci minuti di ritardo, quando entrò in classe: «Aliman, sei in ritardo» disse Toraf, l'insegnante di matematica. «Si professore. Ho dovuto aiutare mio padre a scaricare il pesce e così si è fatto tardi» «Mi sembra strano che non ti abbia mandato via per tempo, conoscendolo, direi che non avrebbe permesso un tuo ritardo». Aliman rimase in piedi senza dare risposta, e Toraf continuò a parlare: «Comunque stavolta lascio correre. Siediti e segui la lezione» e così fece. Visto che matematica gli piaceva, le due ore passarono velocemente. Era sempre stato bravo a fare di conto, mentre altri... in particolare Galiano grande grosso e fesso pensava Aliman. Tutt'altra cosa fu l'ora successiva. Scrittura la trovava noiosa e difficile. Invece il rivale Grosso e fesso sembrava essere portato per quella materia. Ma guarda un po', un bullo, caprone, ignorante, cafone e demente come lui, è bravo in scrittura e dizione. A cosa gli servirà nella vita vorrei proprio saperlo! si diceva Aliman. L'ora pareva non finisse mai, più lunga delle due precedenti. Quando una cosa ti annoia sembra che il tempo passi più lentamentepensava. Finalmente l'ora di scrittura finì, ma Aliman non era particolarmente contento. Nella scherma Galiano era praticamente imbattibile, e lui temeva che gli sarebbe toccato proprio il grosso. Nessuna voleva battersi contro Galiano, farlo, avrebbe sicuramente detto tornare a casa pieno di lividi. Tutta la classe raggiunse la palestra. Gundur, maestro di scherma o d'armi, potendo usare entrambi gli appellativi, fece indossare agli allievi le protezioni. Aliman, come gli altri, indossò il giubbetto di cuoio, rinforzato al suo interno con placche di legno, poi i vanbracciali, anche quelli di cuoio. Per le gambe non era previsto niente, in quanto secondo il maestro d'armi rallentavano i movimenti. Gundur dette ordine di scegliere l'avversario con cui confrontarsi. Tutti si dettero da fare per non scegliere Galiano, il quale, se ne stava in piedi con un sorrisetto stampato in faccia pensando: Allora, chi è oggi il fortunato da massacrare di botte? Aliman stava optando per Plinios, un ragazzo della sua stessa stazza, quando si sentì chiamare dal maestro. «Aliman»

    «Si maestro?»

    «Tu ti batti con Galiano»

    «D'accordo» disse con tutta la faccia tosta possibile, ma dentro pensava: Grazie tante e Vaffa.... Le spade di legno erano una buona riproduzione di quelle in acciaio. Con un peso identico a quelle vere, avevano la punta arrotondata per evitare ferimenti. Adesso ognuno stava di fronte al proprio avversario in attesa del via. Aliman con spada in pugno osservava la faccia sorridente e sfrontata di Galiano. «Allievi pronti, combattete!» intimò il maestro. La partenza era stata data, senza dar tempo al tempo il suo contendente attaccò subito. Aliman parava i fendenti ma ad ognuno di questi sentiva un forte contraccolpo sulle mani. Proprio per questo trovava difficile sferrare un contrattacco, quindi si concentrò soprattutto sulla difesa. Stava sudando appena quando maestro Gundur fermò il loro combattimento. «Aliman, vieni con me» il maestro d'armi prese Aliman da una parte, abbastanza distante da non farsi sentire dall'altro. «Aliman che fai?» domandò l'insegnante.

    «In che senso?» rispose lui.

    «Te ne stai li a parare e non provi mai a contrattaccare.» Aliman alzò gli occhi al cielo come dire:E allora che ci posso fare? Allora il maestro riprese: «Si, lo s' ho anch'io che quando le spade cozzano si sente il contraccolpo sulle mani. Soprattutto se il tuo avversario è forte. Quando senti il dolore su queste pensi di non poter contrattaccare, ma non è così. Il dolore è nella mente. Se permetti alle mani di trasmetterlo al cervello allora perdi l'occasione di sferrare un fendente. Non devi pensare al dolore, ma solo a quello che sta succedendo. Hai un'ottima concentrazione e una buona coordinazione occhio mano. Il tuo cervello è veramente veloce, non dovresti avere problemi con uno come lui.» disse il professore.

    «Si maestro, ma Galiano tira soprattutto alle gambe, dove non abbiamo protezioni. Lui lo sa e lo fa apposta. Alla testa è proibito colpire, di conseguenza cerco di non tornare a casa pieno di lividi»

    «E qui ti faccio notare un altro errore»

    «Quale?» Domandò lui.

    «Hai così tanta paura di essere colpito che perdi tutte le occasioni di rispondere. La paura è come un fuoco, se riesci a controllarlo allora puoi metterlo in un caminetto per riscaldarti, ma se non ci riesci, allora prende forza e ti brucia tutta casa, te compreso. Se vai in combattimento con la paura fuori controllo hai già perso. Tu sei scaltro e agilissimo, sfrutta queste tue capacità. Un'altra cosa che ho visto è che non osservi. Galiano è potenza pura ma non ha tecnica, e nella foga dell'attacco si sbilancia spesso. Poi non hai fatto caso che prima di sferrare un attacco spalanca gli occhi. Se vedi questo, saprai che sta attaccando ancor prima che lo faccia. L'ultimo consiglio che ti do oggi è di cambiare posizione. Fletti le gambe e tieni il baricentro basso e centrale, basso per aumentare la velocità e centrale per l'equilibrio. Non pensare al fatto che ti può colpire, pensa piuttosto a parare e schivare, vedrai che il contrattacco verrà da solo». Ricondusse l'allievo dal suo antagonista dicendogli: «Metti in pratica quello che ti ho detto. Hai capito?» «Si maestro» il combattimento riprese.

    Ora non guardava più la spada, ma gli occhi di Galiano. Era vero. Prima di attaccare sgranava gli occhi, e dalla posizione della spada intuiva quale attacco avrebbe sferrato. Aliman prese così a schivare e parare, man mano che continuava a combattere acquistava sempre più fiducia. Con questa nuova consapevolezza aveva iniziato a contrattaccare, ogni volta che riusciva a colpire sbeffeggiava il suo avversario. «Preso. Colpito. Tocco. Avanti caprone, è tutto qui quello che sai fare?» a questa nuova condizione Galiano non sapeva come rispondere. Ora i suoi attacchi venivano schivati e parati, la rabbia stava montando sempre di più. Ciò andava a favore di Aliman, che riuscì a farlo cadere due volte facendogli sgambetto. Al terzo, in preda all'ira, Galiano gettò a terra la spada di legno e si avventò addosso a lui. Lo alzò di peso, e correndo lo sbatté al muro. «Fermi voi due» intervenne il maestro di scherma. Ma Galiano non ne voleva sapere, lasciò Aliman e recuperata la spada da terra prese a menar fendenti a destra e a manca. Aliman pareva una mangusta, riusciva a schivarli tutti, poi, forse per paura o per difesa vibrò il colpo. La spada di Aliman colpì Galiano in pieno volto, che emise un urlo di dolore. Lentamente si girò verso di lui con un'espressione di: Adesso ti ammazzo.

    Non fece in tempo. Il maestro d'armi gli si gettò addosso placcandolo a terra.«Ho detto basta!» intimò Gundur.

    «Mi ha colpito in testa. Non doveva farlo» disse il grosso rabbioso.

    «E tu non dovevi sbatterlo al muro, quella è lotta, non scherma. Adesso vattene, o te la vedrai con me». Galiano uscì dalla palestra sbattendo la porta, maestro Gundur si avvicinò ad Aliman.

    «Ti sembrerà impossibile, ma anche persone così diventano controllabili se trattate in modo adeguato. Ti alleno io per il resto della lezione». Il maestro di scherma non era certo Galiano. Aliman non riusciva ad individuare quando lui avrebbe attaccato. Il suo volto, una maschera di cera, totalmente inespressivo. Inoltre i suoi fendenti non si prevedevano. Aliman si aspettava un certo tipo di attacco ma il maestro lo sorprendeva cambiando mano, o posizione, e ne faceva uno differente. Al veniva spesso colpito, mentre lui non riusciva ad entrare. Ci provava e ci riprovava ma tutti i suoi fendenti venivano sempre parati. Ecco perché è lui il maestro d'armi pensò Aliman. Notò però di essere più veloce di Maestro Gundur, ovviamente il tempo puniva anche lui. Da giovane doveva essere stato un formidabile guerriero pensò. L'ora fini e maestro Gundur gli disse: «Mi sa che la rabbia di Galiano non svanirà tanto facilmente. Ho visto nei suoi occhi un'ira che richiede soddisfazione, aspettati una vendetta. Ascolta Aliman. Oggi parlerò col bibliotecario, voglio che tu legga un libro, probabilmente molto utile per te. In questi giorni facci un salto»

    «Va bene maestro. Di cosa parla il libro?»

    «Lo vedrai». Gundur se ne andò con un mezzo sorrisetto e Aliman rimise a posto spada e protezioni.

    Tornato a casa vide sul tavolo degli strani pezzetti di legno. Si avvicinò per osservarli meglio e suo padre gli si fece da dietro. «L'ho fatto arrivare da Ladas» disse Bolsan.

    «è un puzzle, vero?» chiese il figlio.

    «Si. Vedi questi pezzetti di legno? Sono intagliati in modo che si incastrino fra di loro. Montandoli nel giusto ordine vanno a formare questo» gli mostrò il disegno del puzzle risolto. Veniva fuori una specie di cubo. Aliman prese i legnetti e salito in camera sua si dette da fare. Vediamo un po', se prendo questo e lo metto con quest'altro che succede? fece diverse prove e dopo due ore si compiacque di averlo risolto. Tornò in cucina e posò il cubo davanti a suo padre:«Fatto!»

    «Di già?» disse sbalordito.

    «Di già!» confermò lui.

    «Quello che me l'ha venduto mi ha assicurato che era un puzzle da due giorni. Tu l'hai risolto in quanto? Due ore?»

    «Più o meno»

    «Fantastico! Sai, figliolo? Adesso io e te ci andiamo a fare una bella corsetta. Tanto per farci venire l'appetito». Scesero in strada e raggiunsero i giardini della città. Dopo dieci minuti che correvano Aliman domandò: «Papa. Perché ti dedichi tanto alla mia forma fisica?»

    «Lo sai il Perché! Un corpo bene allenato serve a muoversi nel mondo e fare tutte le azioni necessarie per sopravvivere. Mangiare, bere, lavorare, e altre» «Come pure la mente!» disse il giovane. «Esatto. Mente sana in corpo sano. Cosa ti dico sempre?» e Aliman facendogli eco: «Il cervello è la tua migliore arma. Mi domando solo a cosa mi servirà, e se mi servirà» «Ma come Al, hai già rinunciato ai tuoi sogni? O non dici sempre?» Aliman completò la frase del padre «Che un giorno andrò lontano» «Andrai lontano si, ma per oggi vediamo di tornare a casa, mi è venuta sete e fame».

    Tornati a casa fecero il bagno, poi si apprestarono per la cena. Suo padre disse: «Al, vai dallo speziale a prendere il condimento per il pesce» «D'accordo, sa già cosa ci serve?»

    «Si. Basta che lo vai a ritirare» Aliman andò al negozio di spezie. Il proprietario, quando lo vide gli consegnò il condimento preparato in precedenza, lui pagò e uscì per tornare a casa. Il sole era già calato, ma un po' di luce illuminava ancora le strade. Se passo per i vicoli faccio prima pensò. Tagliò nei vicoli, e in questi la luce si affievoliva maggiormente. Tutto a un tratto sentì un sacco calatogli sulla testa. Ma che succede? si domandò. Quello che sentì dopo non ebbe bisogno di domande. Calci e pugni da ogni dove. Sbattuto a terra e col sacco sul capo non poteva fare niente per difendersi, poco dopo le botte finirono. Udì dei passi veloci allontanarsi, e con difficoltà si tolse il sacco. Botte così forti solo uno poteva tirarle. E bravo Galiano! Come se non avessi capito che l'aggressore sei te pensò. Maestro Gudur aveva avuto ragione: Aspettati una vendetta gli aveva detto, solo non pensava così presto. Passarono due minuti prima che si rialzasse, controllò se era tutto a posto. Nelle tasche c'era tutto, e barcollando tornò a casa. Sua madre Dora lo vide:«Oh mio dio! Che ti è successo?» «Sono stato aggredito» rispose.

    «Da chi?»

    «Non lo so. Avevo tagliato per il vicolo e lì...»

    «Ma perché ti hanno aggredito?» mentendo disse: «Non so nemmeno questo» poi intervenne suo padre. «Domani andiamo dal magistrato a denunciare l'accaduto»

    «No papa, lascia perdere...» disse svogliatamente.

    «Lascio perdere? Ti hanno aggredito e devo lasciar perdere? Ah, ho capito! Sai chi è stato ma non vuoi procedere per vie legali» con un leggero sorrisetto Aliman annuì. Suo padre Bolsan lo guardò dritto negli occhi: «Sai? A volte i problemi vanno proprio affrontati» Al capì che suo padre sapeva. Sapeva che Galiano faceva il bullo fin da bimbetto. Sapeva che Aliman ci si era scontrato in passato, ma aveva sempre perso: «Ricorda! Il cervello...»

    «...è la mia migliore arma» completò Al. Dora arrivò con le bende e certe erbe curative e si mise a rappezzare il figlio. Bolsan cucinò il pesce e tutti e tre mangiarono. A cena finita gli propose di fare una partita a PeP, ma Aliman rifiutò, dicendo che aveva sonno e sarebbe andato a letto. Si coricò con cuore pesante, pensando alla soluzione del problema Galiano.

    Il giorno dopo seguiva le lezioni con distrazione, poiché non vedeva l'ora che arrivasse la scherma. Finalmente giunse, si vestì velocemente e attese. Quando il maestro d'armi disse di scegliere l'avversario Aliman non se lo fece dire due volte. Puntò dritto a quel caprone di Galiano, il quale, sorpreso nel vedere tanta determinazione si limitò a pronunciare il suo nome:«Aliman»

    «Galiano» rispose lui. Rimasero una decina di secondi imbarazzati nel silenzio, poi Galiano domandò: «Che hai fatto alla faccia?»

    «Piccolo alterco con uno sconosciuto» e il grosso gli sorrise in malo modo. Gundur dette ordine di mettersi in guardia, poi il via.

    Come al solito il suo avversario attaccò subito, ma lui non si fece prendere alla sprovvista. Parava, schivava e contrattaccava. Uguale al giorno prima riuscì a farlo cadere a terra, ma adesso gli andava vicino e lo sbeffeggiava: «Qui non sei in un vicolo buio, non ti puoi approfittare dell'effetto sorpresa. Qui mi devi affrontare faccia a faccia»

    «Non so di cosa stai parlando» ribatteva l'altro. Galiano si batteva con più foga ma ancora non riusciva a toccare Aliman. Maestro Gundur li fermò, stavolta portò il grosso da una parte. Al vide che gli diceva qualcosa, poi tornarono e il combattimento riprese. Adesso schermava in modo diverso. Aliman riusciva ancora a schivare e parare, ma trovava più difficile far arrivare il suo affondo, e non riuscì più a farlo cadere a terra. Qualsiasi consiglio gli avesse dato Gundur, stava funzionando. L'ora finì e Aliman salutò Galiano con un gesto della spada, l'altro fece lo stesso. Vedendo quel gesto capì che iniziava ad essere rispettato. Dopo pranzo informò i suoi genitori che sarebbe andato in biblioteca. Loro ci rimasero sorpresi ma non dissero niente. Arrivato, salutò Robert con un gesto della mano. Il bibliotecario gli fece cenno di avvicinarsi: «Aliman, maestro Gundur mi aveva detto che saresti passato. Il libro che ti ha raccomandato di leggere è questo» e lo prese da sotto la cattedra. Lui lesse la copertina TECNICHE AVANZATE DI GUERRIGLIA. Aliman alzò lo sguardo e Robert disse: «Si, mi ha detto proprio quello. Puoi accomodarti dove vuoi, ti consiglio quel tavolo laggiù che è bene illuminato». Lui lo ringraziò e andò al tavolo, aprì il libro e lesse la prefazione.

    Prefazione

    Sin da quando l'uomo si è costituito in società, si è trovato di fronte al problema di vivere in comune. Formare gruppi abbastanza numerosi garantiva una maggior sopravvivenza rispetto al singolo individuo o al piccolo gruppo familiare. In una società ogni membro svolge la mansione assegnatagli, secondo l'attitudine che questi è in grado di svolgere. Chi era bravo a cacciare, cacciava, chi era bravo a lavorare la terra, la lavorava, chi sapeva fare altre cose, le faceva. Si notò così che c'era bisogno di un capo, ovvero, un coordinatore di compiti da svolgere, affinché la società potesse sopravvivere nel corso del tempo. Col crescere della popolazione le difficoltà a sopravvivere aumentarono, e si rese necessario trovare un rimedio. Ad una analisi storica, riguardante la questione, fu notato che nei vari modi sperimentati, quattro risultarono ripetitivi, poiché efficaci. Il primo fu di sfruttare al meglio le risorse del luogo, questo comprendeva aumentare la produzione dei beni, rendere le persone più efficienti, migliorare o inventare nuovi strumenti di lavoro. Dove questo non era possibile allora fu adottato il secondo metodo. Questo consisteva nel spostarsi in una zona più ricca di risorse. La migrazione di intere popolazioni costituiva un azzardo, poiché si sapeva cosa si lasciava, ma non era saputo ciò che sarebbe stato trovato. Se una terra ricca veniva trovata, bene, altrimenti era la morte. Il terzo metodo fu di allargare i propri confini. Espandersi al di la dei propri confini era un bel metodo, ma andava a contrastare i territori di altre società vicine, le quali, non erano ben disposte ad un'invasione straniera. Da qui nacque il quarto metodo. Annettere, depredare, cacciare via o uccidere altre tribù o società vicine, nel nome della propria sopravvivenza. Questo provocò in risposta la guerra. Le guerre possono essere combattute in innumerevoli modi e, o, dimensioni del conflitto. In questo volume analizzeremo il modo di combattere chiamato guerriglia. La guerriglia è il disturbare, sabotare, combattere in modo nascosto il tuo avversario, al fine di dissuaderlo dal combattervi. Immaginate un incontro di pugilato, dove il vostro contendete è più grosso e forte di voi. Inoltre è un grande incassatore di colpi al viso. Va da se che affrontandolo direttamente verrete sconfitti. Il metodo giusto allora è di schivare e lavorarlo ai fianchi. Fintantoché sarete in grado di schivare e colpire(nei punti giusti) lui niente potrà contro di voi. Alla fine avversari molto grossi cadranno a terra sconfitti. Come pure gli eserciti, il funzionamento è lo stesso. Nelle pagine successive troverete divise in sezioni le azioni, i materiali occorrenti, nonché i bersagli a cui rivolgere la guerriglia. Aliman si fermò e sfogliò il libro fino alla prima sezione. Non voleva conoscere tutta la storia, voleva andare sul concreto. La prima sezione citava: guerriglia di piccoli gruppi verso altri piccoli gruppi. La saltò e guardò quella successiva. Sabotaggio delle strutture del nemico. Saltò ancora avanti. Guerriglia verso eserciti o grandi gruppi. ma figuriamoci se me ne frega qualcosa e passò oltre. A quella successiva sgranò gli occhi quando lesse: Guerriglia uomo contro uomo. Ci siamo, questa è quella giusta, me lo sento. E si dette alla lettura.

    La guerriglia uomo contro uomo è costituita quasi esclusivamente di trappole. Descriveremo come costruirle, che effetti provocano e come smantellarle una volta svolto il loro compito. Aliman perse la pazienza e voltò pagina per vedere quale fosse la prima. LA TRAPPOLA DEL FANGO. La trappola del fango è difficile da costruire, serve molto tempo e molto materiale. Quel che ha di buono è una mimetizzazione eccezionale. No. Se è troppo difficile da costruire credo che non faccia per me. Vediamone un'altra. Quando vide quella dopo sentì un tuffo al cuore. Forse è quella giusta si disse mentalmente. LA TRAPPOLA SPEZZA GAMBE

    La trappola spezza gambe è facile da costruire, richiede pochi materiali e se sono già disponibili è piuttosto veloce da approntare. Questa è un'evoluzione della BUCA DEL DOLORE. Innanzi tutto procuratevi due (o più) cilindri di legno. Procuratevi degli aculei di legno oppure metallo. Consigliamo che questi abbiano un diametro come quelli di un'istrice, mentre la lunghezza non dovrebbe superare quella di un pollice di un uomo adulto. Il motivo è semplice. Aculei lunghi possono essere soggetti a rotture o piegamenti, rendendo la trappola inefficace. Inoltre, aculei lunghi causano un grande sanguinamento, e ciò non deve accadere. Se fate morire il soldato per dissanguamento la cosa vi si ritorcerà contro. Di fatto vi farà odiare dai soldati amici del morto. Vedendo in quale modo codardo è stato ucciso un loro commilitone,

    saranno animati da vendetta, aumentando il loro impegno nel trovarvi per farvela pagare. Con aculei corti mutilerete il malcapitato senza ucciderlo. È importantissimo evitargli la morte. Se poi avrete la possibilità di inzuppare gli aculei nello sterco di Yack, allora la trappola produrrà il maggior danno possibile. Le perforazioni provocate sulle gambe si infetteranno, costringendo i dottori a praticare l'amputazione delle stesse. Questo tipo di guerriglia diventa anche psicologica. Il governo del povero mutilato dovrà prendersi cura di lui per il resto della vita, pagandogli una pensione e fornendogli ciò di cui ha bisogno. Più mutilazioni riuscirete a causare, più il governo si troverà in difficoltà economiche. Inoltre, i soldati saranno devastati dalla paura di rimanere anch'essi mutilati. Il loro odio non sarà più rivolto contro di voi, bensì contro quel governo che li ha mandati a combattere lontano da casa. A volte è capitato che ci siano state delle diserzioni, e tali disertori hanno aiutato l'esercito nemico contro quello a cui appartenevano, tale era la rabbia accumulata. Continuate così e vedrete che alla lunga l'esercito invasore non vorrà più combattere, e voi avrete vinto. Praticate dei fori nei cilindri, cui andrete ad incastrarvi gli aculei (figura uno) e Aliman guardò il primo disegno. Dopo aver scavato una buca posizionerete i cilindri negli appositi supporti (figura due), trovate dei legnetti adatti a rompersi col peso di un uomo, posizionateli sopra la buca in modo da formare una intelaiatura, poi coprite il tutto con un tappeto di foglie. Scegliete foglie di colore differente a quelle che si trovano a terra, altrimenti rischierete di caderci voi nella trappola. Aliman si fece dare dal bibliotecario un foglio bianco e copiò i due disegni del libro. Dopo averlo reso a Robert andò a cercare un falegname che potesse costruirgli i materiali.

    Lo trovò, uno dei tanti falegnami della città. Aliman gli mostrò i disegni, non fu facile destreggiarsi fra le domande fatte dal falegname, al fine di non far capire il vero utilizzo degli stessi. Alla fine l'artigiano accettò di costruirglieli, poi si misero d'accordo sul prezzo e sulla data di consegna. Il primo passo è fatto. Adesso devo iniziare a provocare Galiano, ma in modo blando, almeno fino al giorno in cui... pesava fra se. I due giorni successivi passarono come al solito, oramai sapeva chi gli toccava all'ora di scherma. Gli altri compagni si erano accorti della sfida fra i due, e ne erano ben contenti. Come da strategia, si era limitato a provocarlo leggermente, con frasi del tipo: Ce la fai a restare in piedi? Oppure So che sei stato te ad aggredirmi, confessa! Ricevendo puntualmente la sua negazione e foga incontrollata. Al pomeriggio inoltrato del secondo giorno si recò a ritirare i materiali dal falegname. Pagò quanto pattuito e salutò. A casa passò in rassegna i pezzi, per controllare che fosse stato fatto un lavoro a regola d'arte. Confrontandoli col disegno del libro vide che erano esattamente come lui li desiderava. L'indomani sarebbe stato il gran giorno, la tensione si faceva sentire. Pensava :Potrei lasciar perdere, ma sarebbe nient'altro che una fuga. No! La questione va risolta una volta per tutte. Il giorno dopo, all'ora di scherma, trovò la scusante che avrebbe dovuto aiutare sua madre, quindi non poteva partecipare. Maestro Gundur avvertì qualcosa: «Tu non vai ad aiutare tua madre, vero?»

    «è così! Maestro, a volte i problemi vanno proprio risolti» si guardarono intensamente. Senza proferire parola gli occhi di Aliman dicevano:Non fare domande e non provare a fermarmi quelli del maestro di scherma:Se senti che è la cosa giusta, allora falla. Al si voltò e uscì dalla palestra, maestro Gundur con un filo di voce disse al suo allievo: «in bocca al lupo». Si affrettò ad arrivare a casa, prese la pala, i cilindri, i supporti di sostegno e i rametti di copertura. Quando si girò suo padre lo stava guardando:«Che ci fai qui a quest'ora? Non dovresti essere a scuola?» «Sono uscito prima»

    «Lo vedo! Come vedo che hai preso la pala, quei... cosi con degli spuntoni. Cosa stai per fare Aliman?»

    «Risolvere un problema» rispose il giovane. «Ho capito! E ti servono quegli aggeggi? A occhio e croce direi che li userai per fare del male» «Qualcuno se ne farà» confessò a denti stretti.

    «Aliman, qualsiasi cosa stai per fare non farti comandare dalla rabbia. Sii clemente, vedi di non infierire» lui annuì, e senza farsi vedere dal padre, l'ultima cosa che prese fu il coltello.

    Raggiunse i giardini della città e scavò una buca sotto un grande albero. Ci volle diverso tempo per farla profonda fino a mezza coscia, piantò gli archetti di supporto e vi posizionò i cilindri, assicurandosi che ruotassero alla perfezione. Pose sopra l'intelaiatura di rametti ed infine la mimetizzò con un tappeto di foglie dell'albero, preoccupandosi di togliere quelle attorno alla trappola. Non voleva essere lui la vittima, così invece vedeva bene l'esatta ubicazione della buca, e osservando il suo operato pensò: Bene! È pronta. Ora non mi resta che gettare l'esca.

    Raggiunse la scuola correndo, l'ora di scherma non era ancora finita ma non doveva mancare molto. Nell'attesa riprese fiato. I compagni di scuola iniziarono ad uscire dalla palestra a gruppetti di tre o quattro, poi finalmente lo vide. Aspettò che gli si avvicinasse, quindi attaccò con le provocazioni: «Eih Galiano, ti sei divertito oggi?» «Che vuoi dire?» domandò il grosso.

    «Visto che non c'ero ti sarai divertito con uno che non è alla tua altezza!» «Non ho capito che vuoi dire» disse digrignando i denti.

    «Ah, grande grosso e fesso. Non mi stupisco che una domanda così semplice stenti a capirla. Lo sappiamo entrambi che sono io il più bravo con la spada. Quindi la domanda è, chi hai massacrato di colpi?»

    «Attento a te Aliman» disse guardandolo con occhi indemoniati.

    «Attento a cosa? Sei bravo solo ad aggredire le persone nei vicoli »

    «Ti ho già detto che non ne so nulla» rispose rabbioso il caprone, la pazienza stava finendo, e Al continuò a provocarlo:

    «Anche bugiardo oltre che prepotente. Complimenti Galiano, hai un sacco di belle qualità» era quasi cotto.

    «Ritira quello che hai detto sennò...»

    «Sennò cosa?» in tono di sfida.

    «Adesso basta! Vieni qua che ti schiaccio come una noce»

    «Vieni qua te, caprone. Scommetto che non sapresti acchiappare nemmeno una vecchietta con le stampelle» era fatta! Galiano gli si gettò contro, ma lui prontamente iniziò a fuggire, mentre l'altro lo seguiva a ruota. Aliman sapeva di essere più veloce, ma non doveva staccarlo troppo. Il grosso gli sbraitava dietro mentre cercava di raggiungerlo. Per due volte Al rischiò di essere preso. Speriamo di non inciampare, di non cozzare contro qualcuno, ma soprattutto speriamo che nessuno sia caduto nella buca, altrimenti sarà stato tutto inutile pensava correndo. Correvano già da più di cinque minuti, e Galiano iniziava a stancarsi.

    Aliman continuava a sbeffeggiarlo ma in verità pensava:Avanti amico mio non mollare, inseguimi, vieni fino a dove ti voglio portare. Imboccò il vialetto che conduceva al grande albero, poi finalmente vide il tappeto di foglie ancora intatto. Nessuno c'era caduto accidentalmente. Subito prima della buca Aliman fece un balzo oltrepassando il fogliame. Quando sentì un urlo dietro di se seppe di aver vinto. Si fermò. Si voltò. Vide il volto di Galiano trasformato in una maschera di dolore. «AIUTAMI!» urlò il malcapitato, ma lui rispose: «Aiutarti? Ti ho portato io fin qui. L'ho costruita io questa trappola. Ora che ci sei caduto dentro pagherai tutti gli anni di angherie che mi hai fatto, che hai fatto a tutti. Questo non è il momento dell'aiuto, questo è il momento della vendetta» si avvicinò ed estrasse il coltello dalla tasca. Nonostante il dolore Galiano continuava a sbracciarsi cercando di afferrarlo. «Maledetto. Ti ammazzo!» disse l'intrappolato.

    «Ma quanta energia...» rispose lui.

    «Che vuoi fare? Avvicinati che te la faccio vedere io». Aliman calcolò bene la distanza, poi assestò un calcio in piena faccia al caprone. Galiano perse tutte le poesie, sentì afferrarsi la testa da dietro dopodiché sentì il freddo del metallo sulla sua gola. «Aspetta, aspetta» disse il grosso. Il suo tono non era più furente, ma supplichevole. «Se mi uccidi verrai processato per omicidio. Ti metteranno a morte per impiccagione»

    « Io non credo che verrai ritrovato. Se hai notato cosa sono riuscito a costruire...» riferendosi alla trappola.

    «E come sono stato bravo a fartici cadere, dovresti immaginare anche che ho già previsto un dopo. Per non essere scoperto, ovviamente». Stava mentendo, e Galiano iniziò a piangere copiosamente: «No, ti prego, non...» «Non cosa? Non uccidermi? Se incontri un serpente cosa fai? Gli tagli la testa. E a te, brutta serpe che non sei altro, ti riserbo lo stesso trattamento» «Non farlo, ti scongiuro»

    «Perché no? Perché dovrei lasciarti vivere?» Galiano disse lentamente: «PERCHE HO FINITO. Ho finito di fare il bullo, di comportarmi male, di vessare chicchessia. Ti prego, credimi»

    «E perché dovrei crederti, èh?» «Te lo giuro, ti dò la mia parola» «Me lo giuri? Io credo che stai mentendo, ti vendicherai alla prima occasione, viscido bastardo» ora il grosso aveva smesso di piangere, era sereno e sincero. «No Aliman. Sarò fedele al giuramento che ti ho dato, e lo manterrò in futuro». Aliman non aveva mai avuto intenzione di uccidere Galiano. Quello che voleva era risolvere il problema, e c'era riuscito.

    «Va bene! Voglio crederti. Vorrei tanto dirti senza rancori, ma sappiamo entrambi che sarebbe una bugia». Tolse il coltello dalla gola, si mise a smantellare i supporti e tirò fuori Galiano dalla buca. I cilindri gli erano rimasti conficcati nelle gambe, e Aliman li tirò via con forza. «è come strappare un cerotto, uno strattone e via» disse Al . Galiano urlava a denti stretti, gli occhi lacrimavano per il dolore. Dopo aver tolto i cilindri dalle gambe finì di smantellare la trappola, poi ricoprì la buca. Lasciò tutti gli strumenti ai piedi dell'albero, li avrebbe recuperati in un altro momento, ora doveva aiutare la vittima. Si caricò l'amico sulle spalle facendo attenzione a non toccargli le gambe. «Accidenti quanto sei peso, dovresti dimagrire un po'» disse Al scherzandolo.

    «Sono tutti muscoli» rispose il grosso.

    «Te lo dico ancora una volta. Confessa di avermi aggredito»

    «E io ti ripeto per l'ennesima volta, di non saperne niente». I genitori di Galiano non c'erano, allora lo lasciò su una sedia in veranda. «Vado a chiamarti un dottore» l'altro annuì d'assenso. Quella sera stessa Aliman sentì delle voci provenire da basso. Suo padre lo chiamò e lui scese giù. In sala c'era Dulop, il padre di Galiano. «Eccolo lì» disse Dulop in sua direzione. «Sarai contento adesso!» gli ringhiò contro l'uomo.

    «Aliman, Dulop dice che hai attirato suo figlio in un tranello, e che questo gli ha fatto perdere l'uso delle gambe. È vero?» chiese Bolsan.

    «Si, lo è. Ma le gambe guariranno»

    «Sentito? Lo ammette. Io vado dal magistrato e ti faccio arrestare. Questa la paghi Aliman» Bolsan si rivolse all'uomo con determinazione: «Galiano ha fatto il bullo fin da quando era un ragazzino. Prima o poi qualcuno lo doveva mettere a posto»

    « A me non interessa. Non doveva mutilarmi il figlio per vendetta»

    «Dulop, calmati. Hai sentito cosa ha detto Aliman? Le gambe guariranno. Ha fatto quello che andava fatto, piuttosto tu, perché in questi anni non hai educato tuo figlio come si deve?»

    «Ma, ma, ma, Invece di rimproverarlo gli dai manforte? Non ci posso credere». Udirono bussare alla porta e Aliman andò ad aprire. Era Galiano, il quale si trascinò dentro con due bastoni sotto le ascelle approntati a mo di stampelle. Il viaggio fra le due case gli doveva esser costato parecchio dolore, di fatti aveva il volto sudato. «Papà, basta così! Non faremo alcuna azione legale o illegale contro Aliman»

    «Ma figliolo, stai delirando?» domandò allibito il vecchio.

    «No. Ho capito l'errore, e poi ho dato la mia parola che era finita, che ho smesso» . Bolsan alzò il braccio in direzione di Galiano, come per dire a Dulop: Vedi? Pure lui se n'è accorto. Ascolta la voce della saggezza . «Non posso credere alle mie orecchie» insisté Dulop.

    «Credici invece. Papà, torniamo a casa» . Aliman era completamente sorpreso: Vuoi vedere che niente niente l'ha capito davvero? Pensò. «Ciao Aliman» disse il grosso. La punizione l' aveva data proprio forte e vedendolo in difficoltà si offrì di aiutarlo. «Vuoi che ti dia una mano a tornare a casa?» domandò all'amico.

    «No Al, ce la faccio, ce la faccio» rispose ansimante. I due uscirono da casa di Bolsan e Aliman ebbe la certezza che la questione fosse ora conclusa.

    Suo padre domandò: «Sei sicuro di essere stato clemente? Mi sembra che lo hai conciato piuttosto male»

    « Si sono sicuro. Sul libro dove ho trovato la descrizione della trappola c'era scritto di impregnare gli aculei di sterco di chissà quale animale. Così avrebbe causato un'infezione alle gambe, che sarebbero state amputate in seguito per non far morire la persona. Inoltre, raccomandava la quantità di aculei che dovevano essere messi per ogni cilindro, io, ne ho diminuito il numero per causare meno danni». Bolsan mise una mano sulla spalla del figlio, ora sapeva che era in grado di prendere decisioni drastiche: «A volte fare la carogna è tutto quello che ti rimane da fare, èh?»

    «A volte fare la carogna è tutto quello che resta da fare!» confermò Al.

    Capitolo 3

    Gettare le fondamenta

    Nidòro si svegliò cercando di capire dove si trovava. Intorno a lui il buio completo. Gli prese paura e pensò: No, no, nooo. O mio dio, non dirmi che sono ancora nel limbo. Signore, per favore, dimmi che ha funzionato, che non rimarrò imprigionato qui per l'eternità. Fece mente locale, ma frastornato com'era trovava difficile concentrarsi.

    Qual'era l'ultimo ricordo che gli veniva alla mente? Al momento percepiva di essere sdraiato, poi sentiva calore. Quindi non poteva essere laggiù, non doveva essere laggiù. Dunque? Qual'era l'ultima cosa che aveva visto? Con notevole sforzo le immagini iniziarono a riaffiorare. Il volto di Raldino, una statua di marmo, fumo nero che gli usciva dalla bocca, fumo nero che gli annebbiava la vista, poi oscurità, solo oscurità. Si tirò su a sedere e sentì un brivido di freddo: sono nel mio letto! con le mani tastò le lenzuola, poi le coperte:eh si! Sono proprio nel mio letto. Stropicciandosi gli occhi cercò di vedere qualcosa, qualcosa di diverso dal buio. La vide. Una lama di luce fendeva quel nulla non lontano da lui. Si alzò e andò incontro a quella lingua lucente.

    Le mani afferrarono le ante e le tirò a se, un sole brillante lo inondò di tutta la sua potenza. Quasi gridò, e chiuse gli occhi per il fastidio. Li tenne chiusi per qualche secondo, poi, voltatosi li riaprì lentamente. Piano piano la vista rimise a fuoco gli oggetti. Era la sua camera da letto. Cercò le pantofole e le trovò. Messe ai piedi uscì dalla stanza. Nella sala le candele emanavano una luce soffusa, le finestre erano chiuse e si guardò attorno. Gli scaffali con i libri, il tavolo, le sue ampolle, ciotole ed erbe c'era tutto. Alla sinistra della porta vide Raldino su una bassa branda. Lo svegliò. L'allievo aprì gli occhi e si tirò su. «Mio signore, mio mentore. Ho temuto... ho avuto paura che non vi sareste più svegliato»

    «Invece lo sono. Ma, dimmi dimmi, ha funzionato?»

    «Si maestro, ha funzionato» confermò il mago più giovane.

    «Non ricordo quasi niente di quello che è successo, raccontamelo per favore» chiese l'anziano desideroso di sapere l'avvento.

    «Dopo aver bevuto l'estratto di Tristania, avete iniziato a vacillare, l'estasi, suppongo. Vi ho afferrato e messo sull'altare. Molte ore sono passate, vi assicuro maestro che nessuno di noi si è addormentato.

    Abbiamo continuato tutti a pregare.

    Poi alla prima luce dell'alba vi siete alzato, avete raggiunto la statua e lì, un fumo nero si è sprigionato dai vostri occhi, dalla bocca e dalle mani. Questo è andato a infondersi nella statua, infine siete svenuto nuovamente. Subito ho preso il succo di Brumana e ve l'ho fatto bere, come mi avevate detto voi, signore. Abbiamo fatto entrare il re. Era veramente preoccupato

    per la vostra condizione. Ha dato disposizione di farvi portare nella vostra stanza e che non foste lasciato mai solo. Re Eronne è venuto molte volte a farvi visita per sapere se vi eravate svegliato. Io ho resistito al sonno quanto più possibile, ma a un certo punto...» Nidòro lo bloccò con una domanda: «Quanto sono stato...?»

    «Un giorno e mezzo, maestro»

    «Un giorno e mezzo? Devo riconsiderare le dosi. La prossima volta che un devoto andrà laggiù non ci sarà bisogno che ci resti tanto a lungo. Io dovevo farlo. Poi, se sono resistito io, con l'età che ho, allora giovani sani e forti resisteranno anche meglio, giusto?» domandò il mentore.

    «Maestro, voi siete il mago più potente dei nostri tempi, la vostra forza va oltre ogni...» Nidòro lo fermò di nuovo:«Sciocchezze. Grazie per le adulazioni, ma vedrai che baldi giovani resisteranno più facilmente, te lo dico io» «Avete assolutamente ragione, mentore» concluse il giovane.

    «Raldino, dimmi, dov'è il frutto del mio sforzo?» domandò il vecchio.

    «Tuttora è nella sala dell'altare»

    «Lo voglio vedere». Nidòro avanzò verso la porta, preso da smania di vedere personalmente il suo operato, ma il pupillo premurosamente disse:

    «Signore, mettetevi qualcosa addosso. Fa freddo fuori» ma il mentore non sentiva ragioni:«Non posso. Sono troppo curioso di vederlo. Poi la vestaglia va più che bene». Mentre Raldino lo seguiva come un cagnolino, Nidòro pensava: Speriamo che non abbia fatto qualche errore, tipo, aver parlato. Speriamo che non abbia rotto l'accordo preso con me. Raggiunto il santuario, Raldino aprì la porta: «Ecco signore, è la». Poco distante dall'altare, la statua stava in piedi con le mani poste sui fianchi. Era nudo. Il sesso non era stato scolpito, tanto non ce n'era bisogno. «Ha parlato? Detto qualcosa?» domandò Nidòro.

    «No signore, non ha parlato»

    «Cosa fa tutto il giorno?»

    «Per lo più sta come lo vedete adesso. A volte si mette a braccia conserte, raramente si sdraia

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