Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Grosso guaio a RozzAngeles
Grosso guaio a RozzAngeles
Grosso guaio a RozzAngeles
E-book354 pagine4 ore

Grosso guaio a RozzAngeles

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Al mondo c’è molto più di quello che vediamo e Filippo l’ha scoperto a sue spese. Tutti i mostri che da bambino hanno animato la sua fantasia sembrano aver deciso di trasferirsi a RozzAngeles. Licantropi, vampiri, stregoni e altre creature paranormali hanno deciso di ammazzarlo ma la cosa più bella è che Alessandro, suo inseparabile amico, non sembra notarli nemmeno quando questi provano a sbranarlo.
Più il pericolo è grande, più Filippo si preoccupa, più Alessandro non si accorge di nulla.
A toglierli dai guai ci pensa Camilla, una Cacciatrice appena diciottenne.
Fa parte di un gruppo millenario di guerriere, devote a Minerva, che protegge l’equilibrio tra il bene e il male. Bravissima con la balestra, è una frana nei rapporti umani. Da quando è bambina ha vissuto nel campo base delle Figlie di Minerva, in compagnia delle consorelle e gli zii, e non ha idea di come comportarsi con i ragazzi.
Maledizioni, inganni, amore, sangue, una profezia e tante tante risate animano quest’avventura piena di richiami nerd!
LinguaItaliano
EditoreNero Press
Data di uscita17 feb 2024
ISBN9791281435094
Grosso guaio a RozzAngeles

Leggi altro di Francesco Nucera

Correlato a Grosso guaio a RozzAngeles

Ebook correlati

Narrativa horror per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Grosso guaio a RozzAngeles

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Grosso guaio a RozzAngeles - Francesco Nucera

    immagini1immagini2immagini3

    Grosso guaio a Rozzangeles

    di Francesco Nucera

    Editing di Daniele Picciuti

    Copertina di Gianmaria Caschetto

    ISBN: 979-12-81435-09-4

    Edizione digitale febbraio 2024

    © 2024, Associazione Culturale Nero Cafè

    Nero Press Edizioni

    http://nerocafe.net

    http://neropress.it

    A quell’amico che ti spinge oltre i limiti

    e non ti lascia mai solo

    Antefatto

    Il giovane licantropo deglutì, cercando di non far rumore. Portò la mano al collo nell’infruttuoso tentativo di allargare il nodo del copricapo pruriginoso che aveva dovuto mettersi. Per fortuna due buchi gli permettevano di vedere le altre tre persone sedute attorno al tavolo, non era il caso di testare la sua claustrofobia in quella situazione di stress.

    Non capiva perché Federico, il suo capo branco, avesse mandato lui e non qualcuno di più esperto a quell’incontro. La cosa gli era puzzata di sacrificio fin da quando un Oscuro l’aveva prelevato sotto casa e l’aveva mollato all’ingresso di quel lussuoso albergo in pieno centro città, senza dirgli una parola.

    Portò la mano alla tasca e sfiorò la busta, consegnatagli dall’autista muto, con dentro le istruzioni che l’avevano condotto fin dentro quella stanza all’ultimo piano. INCAPPUCCIARSI, ENTRARE E ATTENDERE era l’ultima riga scritta e lui stava obbedendo. Più per paura che per cieca obbedienza, chiunque avesse organizzato quell’incontro la sapeva lunga.

    Provò a fiutare l’aria, il forte tanfo di talco e ammoniaca del copricapo gli impedì di annusare l’odore degli altri. Privato dell’olfatto non poteva nemmeno sapere a quale razza d’Oscuri si trovasse al cospetto.

    Una porta davanti a lui cigolò. A passo lento e incerto si fece avanti un uomo dall’aspetto secolare. Pelle raggrinzita color avorio, schiena ricurva per via di una gobba notevole e occhi celesti tendenti al bianco.

    I tre compagni d’avventura di Giacobbe, che fino a quel momento erano rimasti immobili e muti nella stessa posizione in cui li aveva trovati al suo ingresso, si alzarono di scatto. La testa china.

    «Benvenuto, Signore degli Oscuri. Non siamo degni di stare al vostro cospetto!»

    Con una frazione di secondo di ritardo, il giovane licantropo imitò gli altri, scimmiottando alla meglio il saluto.

    Al ritorno a casa gliene avrebbe ringhiate quattro a Federico, infischiandosene che fosse il suo capo branco!

    «State comodi, figli miei». L’anziano, con una voce incredibilmente vispa, sollevò una mano e fece loro segno di sedersi.

    Questa volta Giacobbe fu il primo ad accomodarsi.

    «Verrò subito al dunque» proseguì il Signore degli Oscuri. «Solo uno di voi sopravvivrà, gli altri saranno la mia fonte di nutrizione per gli anni bui che verranno…»

    Senza muovere un muscolo, Giacobbe corse con lo sguardo ai suoi compagni di sventura. Erano ancora immobili, al punto da chiedersi se non fossero già morti sotto quei cappucci. L’idea lo allettava non poco: se così fosse stato, lui sarebbe sopravvissuto.

    «Non ve la prendete con i vostri capi, sono stato io stesso a fare il vostro nome».

    Quella frase bloccò sul nascere la sete di vendetta del licantropo, che pregustava il sapore della giugulare di Federico. Sogno comunque irrealizzabile visto che aveva pochissime possibilità di uscire vivo da quella stanza.

    «Quindi gioite perché tre di voi saranno sacrificati e il quarto veglierà sul sepolcro del Re degli Oscuri, che fra tredici anni tornerà a calpestare la nostra terra!»

    La stanza divenne improvvisamente buia.

    Giacobbe non vedeva nulla e quel cavolo di cappuccio non gli permetteva di fiutare il pericolo. Scivolò sotto il tavolo e portò le mani al collo. Afferrò il nodo e provò a scioglierlo, ma era sempre stato più bravo a stringerli che a districarli.

    Attorno a lui rumori di sedie che rimbalzavano sul pavimento e passi veloci. Nessun urlo.

    Rassegnato all’ormai palese sconfitta subita dal cappuccio, che non voleva saperne di liberarlo, infilò le dita nelle fessure fatte per gli occhi e tirò con tutta la forza che la paura gli stava dando. Il rumore che produsse il tessuto maleodorante che si squarciava lo galvanizzò. Il cuore accelerò e la pelliccia si fece largo attraverso i pori coprendo ogni centimetro della sua pelle. Quando riemerse da sotto il tavolo, trasformato in licantropo, la luce era tornata e la battaglia terminata. Ribaltati a terra, con ancora il cappuccio in testa, i tre compagni d’avventura giacevano inerti. Effettivamente la differenza da prima era impercettibile, per quanto poco li avesse conosciuti non gli erano sembrati dei tipi iperattivi.

    «Se ti interessa saperlo, non stanno soffrendo…» disse la voce pacata del Signore degli Oscuri alle sue spalle. «Il nodo del cappuccio è stregato, si è stretto il giusto per addormentarli».

    Giacobbe annuì, senza voltarsi a guardarlo, e deglutì. La saliva si fece largo a fatica attraverso la gola stretta dal laccio del cappuccio, lacerato ma ancora legato al collo.

    «In questo momento, non distante da qui, si sta consumando il primo atto di una guerra che durerà tredici anni» proseguì il vecchio.

    Delle mani nodose si poggiarono sulle spalle del licantropo facendolo girare. Giacobbe si trovò faccia a faccia con il Signore degli Oscuri. Puzzava di ferro e morte.

    «Oggi stesso verrai trasferito in un posto segreto in cui veglierai sulla nuova tomba del nostro Re. Ucciderai chi ti accompagnerà e resterai lì finché lui non si sarà svegliato. Sarai invisibile agli occhi degli uomini e, soprattutto, delle cacciatrici».

    Spronato dallo sguardo insistente del vecchio, Giacobbe annuì.

    Da quel poco che era riuscito a metabolizzare, non sapeva quanto fosse stato più fortunato degli altri tre, comunque la sua vita era finita in quella stanza.

    «Nessuno ti cercherà mai, per la tua famiglia sei stato sacrificato per garantirmi il cibo durante il riposo. E non cercare di scappare perché sanno tutti che chi sfugge al Signore degli Oscuri si porta dietro la morte, e a quel punto nemmeno tua madre ti vorrà».

    Le mani gelide del vecchio si poggiarono sul volto di Giacobbe, che rabbrividì.

    Lo sconforto vinse sulla rabbia. Il pelo si ritirò e lui tornò alle sembianze umane. Abbassò lo sguardo e tirò su con il naso, interrogandosi sulla differenza tra la morte e il suo nuovo status.

    Camilla

    La portiera davanti a Camilla si spalanca e lei apre gli occhi. Le lacrime le impediscono di vedere ma sa dove si trova. È un luogo che conosce fin troppo bene.

    «Sei stata bravissima». È sua madre a parlarle.

    Camilla bambina si alza e l’abbraccia. Qualcosa di caldo le bagna il vestitino bianco.

    La donna si ritrae mugugnando. «Dobbiamo sbrigarci» dice, serrando la mascella.

    Un taglio profondo parte dalla clavicola sinistra della madre e si perde sotto i vestiti lacerati. Fa due passi, ma le ginocchia le cedono. Poggia una mano sull’asfalto e solleva il viso verso la figlia. Corruga la fronte e prova a sorridere.

    «Andrà tutto bene» dice, ma le labbra rimangono bloccate su quell’ultima vocale.

    Un fiotto di sangue le schizza fuori dalla bocca, attraversa l’aria e finisce nella macchina. Il suo viso si rilassa, gli occhi perdono vivacità e si appannano. 

    Delle dita pelose le hanno attraversato il busto, squarciando la camicia, e le sbucano dal petto. Un animale è comparso alle spalle della madre. Alto più di due metri, ha spalle e pettorali delineati. Una folta peluria bruna e bianca lo ricopre.

    L’essere solleva il muso schiacciato, simile a quello di un molosso, allarga le narici e fiuta l’aria. La bocca gli si inarca leggermente, mostrando i canini appuntiti. 

    Occhi rossi fissano Camilla che, terrorizzata, indietreggia fino a schiacciarsi contro la portiera.

    A pochi centimetri dalla sua mano c’è la maniglia. Vorrebbe fuggire, ma non riesce a distogliere lo sguardo dal corpo inerte della madre.

    L’animale scrolla il braccio. Come fosse un sacco, la madre di Camilla crolla a terra.

    «Piccola, vieni con me» dice l’assassino. «È il momento di farti conoscere una persona». Allunga la mano ancora sporca di sangue e la invita ad afferrarla. La sua voce sembra provenire da una grotta senza fondo.

    Camilla scuote il capo e comincia a tremare.

    «Non ti farò male, c’è qualcuno che vuole conoscerti. Abbiamo grandi progetti per te…» Il mostro si guarda la mano, incurante delle macchie vermiglie, e la incoraggia ad afferrarla.

    I suoi lineamenti mutano. I peli si diradano, il muso trema e si rimpicciolisce fino a diventare un naso. Zigomi e orecchie si ritirano, gli occhi diventano più piccoli. In pochi istanti diventa un uomo.

    Camilla abbassa lo sguardo. «Voglio il papà» dice, nella speranza che il genitore possa accorrere in suo aiuto.

    «Ci sono io al suo posto, mi chiamo Federico». La voce dell’assassino è calda e tranquilla.

    Camilla alza lo sguardo e sgrana gli occhi. Sul petto nudo dell’uomo dei segni rossi vengono riassorbiti dalla pelle sana.

    Federico si china per entrare nella macchina, allunga il braccio e l’afferra per l’avambraccio. «Ti piacerebbe avere un fratello?» chiede mostrando una fila di denti bianchi.

    Camilla sente un forte bruciore provenire dal punto in cui l’uomo la sta stringendo. Si divincola e scuote la testa. «Mamma» mugola, indicando il corpo riverso sull’asfalto.

    Vorrebbe gridare e chiedere aiuto, ma riesce solo a chiamare i suoi genitori.

    «Lei starà bene. Ora vieni che ti porto da tuo fratello». L’uomo gli fa cenno di seguirla.

    Camilla scuote nuovamente il capo. 

    «Peccato, perché lui ha tanti giochi…» Il volto di Federico si contrae in una smorfia. Porta la mano alla spalla, da cui sbuca il fusto di una freccia, e scuote il capo. Si china, rapido, ma non fa in tempo a schivare qualcos’altro che lo colpisce al ginocchio. Urla di dolore. 

    La portiera alle spalle di Camilla si spalanca facendola cadere all’indietro. Due mani sbucano dal nulla e l’afferrano, evitandole la caduta.

    «Sei al sicuro». È una voce di donna.

    L’abbraccio che l’avvolge è fermo e delicato, ma a tranquillizzarla è l’odore che emana la sua salvatrice, così simile a quello di sua madre.

    «Zia!» sussurra Camilla scoppiando a piangere.

    Non riceve nessuna risposta. La donna la stringe forte al petto e corre fino a una radura dove ad attenderle c’è un uomo. La bambina alza lo sguardo, riconosce Zio Ottavio e, quando la zia si protende verso di lui, gli salta addosso.

    Dalle loro spalle arrivano altre urla.

    «Portala al Covo, lì sarà al sicuro» dice zia Marta voltandosi e tornando indietro di corsa.

    Camilla sente una voce lontana, simile a quella di suo padre, ma è stanca e vuole che quell’incubo finisca. A occhi chiusi, schiaccia la faccia contro la maglietta dello zio. Vuole dormire, per poter fingere che sia tutto un sogno.

    Respira a pieni polmoni. Ottavio profuma di biscotti.

    Mamma, pensa, lasciandosi cullare.

    Camilla riaprì gli occhi e si ritrovò nella sua camera. La piccola cicatrice sul braccio le pizzicava. Si concentrò e riuscì a non grattarsi. Nell’aria il profumo di caffè, misto a quello di torta alle mele appena sfornata, indicava che lo zio stava preparando la colazione.

    Portò le mani al volto e si coprì gli occhi. Serrò le palpebre e scosse la testa, nel tentativo di allontanare quell’incubo. Erano anni che non riviveva quella terribile notte e ora, all’improvviso, era tornata a tormentarla.

    Si scosse e saltò giù dal letto, avrebbe fatto come quando era bambina: non ci avrebbe più pensato e sarebbe andata avanti.

    Tenendo gli occhi chiusi, Camilla inspirò profondamente e strinse la presa sul bastone che faceva oscillare davanti al viso. Espirò, allontanando il prurito della vecchia ferita.

    Portò il peso del corpo sulla gamba sinistra e attese.

    Centimetro dopo centimetro, sasso dopo sasso, l’ambiente attorno prese forma nella sua mente. Usare l’Occhio, una delle poche arti delle Cacciatrici che riusciva a padroneggiare, la inorgogliva. Era come lasciare il proprio corpo e volare. In quel momento avrebbe potuto guardare il Covo dall’alto, spingendosi fino all’Università di cui sua zia era rettrice e che a Camilla era preclusa.

    Il vento caldo scosse le fronde degli alberi. Un gruppo di uccelli spiccò il volo e uno dei gatti randagi della colonia che popolava il Covo andò a sdraiarsi all’ombra sotto il portico di casa.

    Dentro con il naso, fuori con la bocca. Lentamente.

    Allontanò i rumori e si concentrò più a fondo. Dal caseggiato in cui viveva con gli zii provenivano scricchiolii strutturali, il parco attorno era vuoto: nessuno tirava con l’arco o si allenava al corpo libero. Anche i dormitori delle cacciatrici erano deserti. Gli unici rumori arrivavano dal campus universitario, dove ragazze e ragazzi si trasferivano da un’aula all’altra.

    A ovest, oltre il bosco, il Ticino in piena scorreva vigoroso.

    Sentiva tutto, eppure non riusciva a localizzare quello che cercava. Non capiva dove fosse lui… Qualcosa alla sua destra mosse l’aria. Camilla si piegò sulle ginocchia e sollevò il bastone bloccando il colpo violento che stava per raggiungerla al volto. 

    «Ce l’ho fatta!» esultò sorridendo.

    Aprì gli occhi e incrociò lo sguardo cupo di zio Ottavio.

    «Se avessi avuto cattive intenzioni saresti morta».

    «Ma ho bloccato il tuo colpo» protestò lei.

    L’uomo poggiò la punta del bastone sulla ghiaia e lo usò come appoggio. Portò la mano al viso e si grattò la folta barba nera. «E ti sembra un buon risultato?» chiese.

    «Avevo gli occhi chiusi». Camilla abbassò lo sguardo e calciò alcuni sassolini.

    «Ti sei fatta sorprendere da uno zoppo».

    «Ma ti ho battuto».

    Uno dei sassi che aveva tra i piedi volò via e al suo posto comparve il bastone dello zio.

    «Ne sei sicura?»

    Lei scosse la testa, facendo fluttuare i lunghi capelli castani

    «No».

    Un beep ripetuto annunciò la fine della lezione.

    Ottavio claudicò rapido verso casa. «Andiamo a rinfrescarci. Per oggi è tutto… devo ammettere che sei stata brava». L’espressione severa del maestro aveva lasciato il posto al sorriso caloroso dello zio. Era incredibile come quell’uomo riuscisse a distinguere i due ruoli.

    Camilla lo seguì a capo chino. Non era ancora pronta, eppure stava facendo di tutto per migliorare, a breve sarebbe arrivata la grande occasione per entrare a far parte delle Cacciatrici e voleva essere alla loro altezza.

    Entrò in casa, aprì il frigorifero della cucina e afferrò una bottiglia di tè freddo. Si sedette al tavolo, vicina allo zio, e riempì il bicchiere. Lo prese in mano e osservò il liquido giallo.

    «Cosa c’è?» le chiese Ottavio.

    «Nulla» rispose lei, stringendo le spalle.

    «Quindi ti stai solo dedicando alla lettura del tè?»

    «È che…» Camilla poggiò il bicchiere e prese ad arrotolare una ciocca di capelli attorno all’indice. «Pensavo alla zia» disse dopo un lungo silenzio.

    «Non ti crucciare, tornerà presto. Lo sai che ha la pellaccia dura». Zio Ottavio ostentava sicurezza, ma si vedeva che anche lui era in pensiero.

    «Vorrei essere fuori anch’io».

    «Presto lo sarai. Di solito a quelle della tua età Marta concede sempre di entrare, probabilmente starà aspettando che si risvegli il tuo Talento».

    «E se non ne avessi uno?»

    «Ce l’hai. Sei la figlia di una Sacerdotessa, non può essere altrimenti!»

    «E se scoprissi che il mio Talento è inutile?»

    «Ragazza mia, quando il tuo potere si sveglierà, lascerai tutti a bocca aperta. E poi è scortese parlare di Talenti inutili con me». Ottavio sollevò il bicchiere di vino e lo portò all’altezza degli occhi, ne bevve un sorso e contrasse il viso. «Santa Maria della Versa, coltura biologica. Buona esposizione al sole, il vigneto era felice. Eppure la Croatina con cui hanno tagliato questo vino era un po’ sofferente». Sbuffò e guardò la nipote. «A cosa serve un chiaroveggente del palato? Fossi almeno nato nel periodo di Bacco avrei avuto qualcuno con cui parlare».

    «Però sei un ottimo maestro» cercò di rimediare lei.

    «Questo lo vedremo a fine anno. Con il bastone te la cavi bene, ma è lo stesso con la scuola? Sappi che, se non passerai la maturità, tua zia mi farà a pezzi, essere il tuo docente è più rischioso di quanto credi…»

    Camilla sollevò lo sguardo al soffitto e si mordicchiò il labbro inferiore.

    «Potrei sempre portare il bastone agli esami» disse sorridendo.

    «Sono certo che faresti più paura di quanta ne faccia io. Sai come si dice: chi non sa fare, insegna!»

    Camilla sorrise. Sapeva a cosa si riferiva lo zio. L’ultima volta che lui era andato in missione risaliva alla notte nefasta di quasi tredici anni prima.

    «Ma va bene così» proseguì l’uomo «almeno ho potuto sposare tua zia. Per la legge dell’Equilibrio quelli come me trovano l’amore con persone di grande Talento. Mi spiace dirtelo: tu sposerai un imbecille!» Ottavio scoppiò a ridere e batté il palmo sul tavolo.

    «Che però saprà maneggiare un bastone meglio di me…»

    «In quello i maschietti sono sempre i migliori, è una questione fisiologica!» Ottavio fece la linguaccia alla ragazza.

    Camilla emise una risatina imbarazzata. Non le piaceva il modo sfacciato con cui lo zio affrontava determinati argomenti. Portò il bicchiere alle labbra, tracannò il tè in un sorso e si alzò di scatto. «Bene, vado a fare una doccia» disse, scappando.

    «E io cercherò di capire cosa passa per la testa delle botti scozzesi…»

    Camilla attraversò la cucina e salì al piano di sopra. Dopo essersi spogliata e aver aperto il rubinetto dell’acqua calda, fece mezzo passo di lato e si piantò davanti allo specchio.

    Rimandò una smorfia di disappunto al proprio riflesso: quei capelli castani, tendenti al paglierino, non le dicevano nulla. Non avevano volume e sembravano spaghetti smunti.

    Li raccolse nel pugno sbuffando e si voltò di profilo.

    Tornò al box doccia e ci si infilò decisa. L’acqua ghiacciata le mozzò il fiato, zio Ottavio doveva aver deciso di allungare l’allenamento spegnendo lo scaldabagno.

    Vinse l’istinto di ritrarsi, tese i muscoli delle braccia e chiuse gli occhi. Doveva allontanare il ricordo dell’incubo notturno.

    «Sarò all’altezza» sussurrò concentrandosi sull’acqua che le scivolava addosso e si tuffava nello scarico.

    Ruotò la testa prima da una parte e poi dall’altra ed espanse la sua percezione. La casa, fatta eccezione per lo zio, era deserta. Un merlo stava scendendo in picchiata sul campo di tiro e… si bloccò: qualcosa non andava.

    Una presenza nuova, ostile, si stava avvicinando.

    Inspirò lentamente, cercando di localizzarla nella mente. 

    Un maschio, anzi due. Camminavano nel bosco ma erano vicini alla pista di atletica che circondava il Covo. Troppo vicini.

    Sentì il calpestio sulle foglie secche del primo e il rumore di qualcosa che gli strisciava alle spalle. Aveva sembianze umane, ma lo spirito era animale ed emanava una certa potenza.

    Quando anche il secondo fu alla portata dell’Occhio, un brivido le percorse la schiena e la cicatrice al braccio iniziò a bruciare come mai prima di allora. Camilla spalancò gli occhi, chiuse il rubinetto e uscì dalla doccia. Infilò di corsa un paio di pantaloni e una maglietta e corse fuori dal bagno.

    «Zio, siamo in pericolo!» urlò, scendendo le scale e fiondandosi in cucina.

    Ottavio, ancora seduto, scosse la testa come risvegliandosi da un sogno e si inumidì le labbra. «Stai tranquilla cara, nessuno può superare le difese esterne» biascicò, alticcio.

    «Ti dico che ho percepito la loro presenza. Sono in due e stanno arrivando». 

    A conferma delle sue parole, la porta si spalancò.

    Un rettile enorme, ritto sulle zampe posteriori, irruppe in casa. La cresta rossa sfiorava il soffitto, la lingua biforcuta saettava di continuo dal muso allungato e gli occhi sporgenti, ai lati della testa, si spostavano da Camilla a Ottavio.

    Lo zio poggiò la mano sul tavolo per alzarsi, lo mancò e rovinò a terra.

    «Entra pure, sono innocui» gracidò l’Oscuro, muovendo il gozzo rigonfio.

    Alle spalle del mostro comparve un ragazzo, gli zigomi appuntiti, una fossetta sul mento e gli occhi allungati.

    «Ciao sorellina» disse il nuovo arrivato, sorridendo.

    Quella voce colpì Camilla come un pugno, la stanza le girò attorno e dovette aggrapparsi a una sedia per non cadere a terra.

    Sorellina…

    Una semplice parola bastò a gettarla negli incubi nati quella notte di tanti anni prima. Il mostro che aveva ucciso i suoi genitori aveva detto la verità?

    Provò ad allontanare quell’idea, ma l’aurea che percepiva… persino l’aspetto del ragazzo le diceva di credergli.

    «Chi sei?» chiese, instabile sulle gambe improvvisamente molli. I capelli bagnati le aderivano al viso e gocciolavano.

    «Sono Alberto, tuo fratello. È tanto che ti sto cercando».

    «Non credergli, non è così». Zio Ottavio, le ginocchia al suolo e un braccio sul tavolo, si sollevò da terra e si frappose tra i due.

    «Hai ragione vecchio, siamo più che fratelli. Noi condividiamo lo stesso destino».

    «Smettila di inquinare la sua mente. Tu sei solo uno scherzo della natura!»

    Alberto sorrise. «Sono la persona più vicina a lei». La voce era tranquilla e melodiosa.

    «Bastardo!» Ottavio si chinò, raccolse la sedia da terra e partì minaccioso verso gli intrusi, ma Camilla si sporse e lo afferrò per la spalla, bloccandolo.

    Con gli occhi arrossati e una forte stretta al petto, fece due passi in avanti.

    «Non so chi tu sia, ma stai con le persone che hanno ucciso i miei genitori…» Con un cenno della testa indicò l’Oscuro rimasto in disparte.

    Anche se quel ragazzo aveva realmente un’affinità con lei, Camilla non provò altro che repulsione. Pensare che poteva essere suo fratello peggiorava le cose. Come avrebbe potuto stare in compagnia di quel mostro? E poi, ora che era così vicino, intuiva che c’era qualcosa di malvagio nella sua aura.

    «Esci da questa casa e non ti ucciderò, ma non farti più vedere!» lo minacciò.

    Alberto non rispose. Allargò le labbra e mostrò i denti in un ghigno troppo simile a quello del mostro che affollava i suoi incubi.

    La giovane chiuse i pugni, si piegò in avanti e saltò addosso all’Oscuro che accompagnava Alberto.

    Nonostante lo scatto improvviso, l’incrocio tra un rettile e un uomo non si fece trovare impreparato. Scansò di lato e fece guizzare in aria la lingua, tesa e veloce come una freccia, verso di lei. Camilla si abbassò, schivò il colpo e si fermò ai suoi piedi, poi sollevò il pugno e colpì l’avversario con tutta la forza che aveva. I suoi rivali sembravano muoversi al rallentatore.

    La mezza lucertola rovinò a terra in uno schianto che fece tremare il pavimento.

    «Andatevene, ora!» Li minacciò ancora. Le gambe non le tremavano più e si sentiva potente.

    «Come vuoi, ma ricordati che non avrai un’altra occasione per venire pacificamente con noi». Alberto rivolse uno sguardo rapido, pieno di disgusto, all’Oscuro intento a rialzarsi.

    «Andiamo via!» gli intimò, scuotendo la testa. Si sistemò la camicia che indossava e tornò a guardare la sorella. «Ero passato per salutarti e per provare a salvarti la vita, ma così non vuoi. Ci vedremo più avanti e la prossima volta prenderemo il tuo sangue…»

    «Non ho bisogno del tuo aiuto, chiunque tu sia!»

    «Lo vedremo…» Alberto strizzò l’occhio destro e si piegò in avanti, in una riverenza poco convincente. Si voltò e uscì con il rettile, claudicante, alle spalle.

    Camilla fissò lo zio che, ancora immobile con la sedia sollevata sulla testa, abbozzava un sorriso imbarazzato. Era sudato e una manciata di capelli, che normalmente gli attraversava la testa pelata, era appiccicata alla fronte.

    «Mi devi delle spiegazioni!» gli disse mentre richiudeva la porta di casa.

    Ottavio abbassò la fronte e spostò lo sguardo sulla chiazza di whisky sul pavimento.

    «Non vuoi aspettare la zia?» chiese con un filo di voce.

    «Ho bisogno di sapere la verità» Camilla afferrò una sedia, la girò verso di sé e la inforcò. Incrociò le braccia e le poggiò sullo schienale.

    Ottavio fece lo stesso e aprì bocca per parlare, ma si bloccò. Recuperò il bicchiere da terra, afferrò la bottiglia e lo riempì. Si scolò il whisky fino all’ultima goccia e chiuse gli occhi, tremando in modo impercettibile.

    Quando riaprì le palpebre, aveva gli occhi arrossati e lo sguardo che vagava attraverso la stanza. «Non so quanto io possa esserti utile. Certe cose le sanno solo le Sacerdotesse come tua zia. Io sono un guardiano, nello specifico più un portinaio che altro. Curo casa, faccio il giardiniere nel campus e cerco di impedire a chiunque di ficcanasare». Mentre parlava evitava lo sguardo di Camilla. «E sono riuscito a fallire anche in questo…» Portò le mani al volto e scosse la testa.

    «Devi dirmi chi è quel ragazzo» Camilla parlò a bassa voce. La vista di quegli occhi così familiari le aveva dato un senso di nausea, e si sentiva lo stomaco sottosopra.

    Ottavio

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1