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Schiavi della vendetta
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E-book344 pagine4 ore

Schiavi della vendetta

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Info su questo ebook

Durante un’operazione militare in Somalia, il sergente Loiacono stupra una giovane donna con la complicità di alcuni commilitoni, mentre Samuel Pagano, uno dei soldati al comando di Loiacono, pur volendolo, non trova coraggio sufficiente per contrastare il gesto scellerato del suo superiore e dei suoi compagni.
Vent’anni più tardi, le vite dei protagonisti di quel turpe episodio hanno preso strade diverse: Pagano, ad esempio, si è laureato ed è diventato un importante uomo d’affari e un buon padre di famiglia; Loiacono, sempre scapolo alla ricerca di dubbie avventure con donne conosciute occasionalmente o prostitute, ha fatto carriera in politica ed è addirittura indicato come futuro presidente del Consiglio. Eppure, qualcuno non ha dimenticato, vorrà pareggiare i conti e lavare col sangue l’oltraggio subito nel passato dalla giovane somala e tenterà di farlo mettendo in campo tutta la sua rabbiosa determinazione e il suo odio cresciuto nel tempo.
Schiavi della vendetta è un romanzo denso d’azione, dal ritmo incalzante, pagina dopo pagina.
Il blog dell'autore: alessandrocirillo.altervista.org
LinguaItaliano
Data di uscita2 mag 2016
ISBN9788866903109
Schiavi della vendetta

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    Anteprima del libro

    Schiavi della vendetta - Alessandro Cirillo

    Schiavo.

    PROLOGO

    SOMALIA SETTENTRIONALE, 6 LUGLIO 1993

    Il convoglio procedeva sulla strada sterrata sollevando nuvole di polvere. Due camionette VM90, una in testa e una in coda, e tre autocarri al centro. Le roventi lamiere riflettevano i raggi del sole, immobile nel cielo azzurro e limpido.

    Sul veicolo di testa un piccolo tricolore verde, bianco e rosso sventolava aggrappato ad un’antenna radio. Mancava ormai poco meno di un chilometro al villaggio, meta finale della colonna di mezzi. Non ci volle molto tempo per coprire il percorso. Il convoglio si fermò in mezzo all’abitato, niente più che una ventina di piccole casupole costruite con fango e canne. Un lieve cigolio accompagnò l’apertura di una delle portiere. Un abbronzato tenente che indossava un paio di occhiali da sole scuri scese a terra; pugni sui fianchi, osservò per un paio di minuti la zona intorno a lui, mentre alcuni abitanti del villaggio, in silenzio, interruppero le loro attività per squadrarlo a loro volta. Quando l’ufficiale si ritenne soddisfatto, si voltò verso il resto del convoglio puntando l’indice destro verso il cielo e facendo roteare la mano. Pochi attimi dopo una trentina di soldati iniziarono a smontare dai mezzi prendendo posizione di difesa.

    Ahmed, vieni con me ordinò il tenente a un somalo che sedeva sulla camionetta da cui era sceso.

    Subito, tenente Greco rispose Ahmed, l’interprete del reparto, smontando prontamente dal mezzo.

    Il tenente Greco individuò un ragazzino che si trovava poco distante dal convoglio e gli fece cenno di avvicinarsi. Il ragazzino esitò in un primo momento ma poi decise di fidarsi.

    Ahmed, di’ a questo ragazzo che desidero parlare con il capo villaggio.

    L’interprete pronunciò alcune frasi in somalo che tradussero la richiesta del tenente. Il ragazzino si voltò e corse via in direzione di una capanna un po’ più grande delle altre.

    Alcuni minuti dopo arrivò un anziano signore vestito con una tunica di lino, bianca come la lunga barba che portava. Muoveva a fatica le gambe magre e senza peli, aiutato da un paio di uomini.

    Il tenente si tolse gli occhiali da sole e lo salutò con una delle poche frasi che aveva imparato in somalo. L’anziano annuì con la testa e ricambiò il saluto. Greco lo sovrastava dall’alto del suo metro e novanta. Si rivolse al suo interprete.

    Informa il capo villaggio che siamo qui per un’ispezione alla ricerca di eventuali armi nascoste. Dobbiamo perquisire casa per casa. La massima collaborazione da parte degli abitanti è fondamentale. Non vogliamo che nessuno si faccia male.

    Ahmed tradusse in somalo. L’anziano ascoltò con pazienza e replicò a sua volta.

    Dice che suo villaggio vive da sempre in pace. Non contento che vengono ispezionate case di abitanti.

    E tu digli che sono molto dispiaciuto ma noi abbiamo ordini precisi. Procederemo con l’ispezione con o senza il suo consenso. Prometto che faremo più in fretta che possiamo. Nel frattempo, se c’è qualche abitante con problemi di salute, possiamo farlo visitare dal nostro dottore.

    Ahmed tornò a rivolgersi all’anziano. Ci fu un acceso scambio di battute tra i due uomini che risultò incomprensibile al tenente.

    Ha capito che non ha scelta. Vuole che dottore visita alcuni bambini e donne che sono malati.

    Il nostro dottore li visiterà volentieri. Noi nel frattempo iniziamo la perquisizione.

    Il tenente Greco indossò di nuovo gli occhiali scuri e raggiunse a grandi falcate i suoi soldati.

    Sergente Loiacono!

    Comandi, tenente!

    Dividetevi in gruppi e iniziate a perquisire le case. Solita procedura. Portatemi ogni arma che trovate e il suo possessore. Vedete di non creare problemi con gli abitanti o ve ne farò pentire. Intesi? Scattare!

    Subito, tenente! Poi si rivolse ai suoi subalterni: Avete sentito il tenente? Muovete le chiappe e dividetevi come abbiamo stabilito.

    I soldati si divisero in gruppi e si incamminarono in direzioni diverse del villaggio. Greco lanciò un’occhiata all’autista del suo mezzo prima di tornare a posare lo sguardo su Loiacono.

    Sergente, porti con lei anche il soldato Pagano.

    Signore, siamo già in quattro nel mio gruppo, mi sembra più che sufficiente.

    Le sembra forse che le stia dando un consiglio?

    No, signore.

    Allora mi sa proprio che le sto dando un ordine.

    Sì, tenente! sibilò a denti stretti il sergente.

    Molto bene. Pagano, unisciti al gruppo del sergente Loiacono!

    Signorsì!

    Il militare scese dal mezzo e si unì al gruppo come gli era stato ordinato. Al tenente Greco non rimaneva che chiamare il soldato con competenze mediche.

    Colella, prendi la tua roba e vieni con me che ci sono da visitare alcune persone.

    Sì, tenente!

    Il sergente Loiacono prese con sé i quattro uomini, tutti soldati di leva che non avevano neanche compiuto vent’anni. Individuò una capanna che sorgeva isolata dal resto del villaggio. Decise di iniziare proprio da quella. Gli stivali dei soldati calpestavano un sentiero polveroso tracciato nella terra. Alcune galline spaventate si affrettarono a togliersi dal passaggio. Continuando a camminare, Loiacono si asciugò un rivolo di sudore che fuoriusciva da sotto l’elmetto. Sputò a terra maledicendo il caldo, il lavoro massacrante, i somali che proprio non ne volevano sapere di vivere in pace. Pochi anni prima, infatti, era iniziata una guerra civile al seguito della destituzione del dittatore Siad Barre. Il vuoto di potere che si era creato aveva scatenato la lotta tra diverse fazioni guidate da signori della guerra. Il più potente di loro, Mohammed Farah Aidid, controllava la capitale Mogadiscio. Gli scontri armati e una grave carestia avevano ucciso migliaia di somali. L’ONU aveva deciso di ristabilire l’ordine inviando un nutrito contingente di soldati. Tonnellate di cibo vennero distribuite alla popolazione stremata, e fornita assistenza sanitaria. Anche gli italiani avevano partecipato alla missione, diventando la seconda forza all’interno del Paese. Dopo un periodo iniziale in cui le cose erano sembrate andare per il verso giusto, la situazione era improvvisamente degenerata. Le milizie di Aidid avevano iniziato ad attaccare i soldati delle Nazione Unite. Rimuovere il signore della guerra era diventato una priorità per ristabilire la pace.

    L’umore del sergente Loiacono era pessimo anche perché alcuni giorni prima erano morti dei commilitoni. Il 2 luglio una colonna di soldati italiani era stata attaccata dai miliziani di Aidid a Mogadiscio, presso il check point denominato Pasta. Tre soldati italiani erano morti e ventitré erano rimasti feriti. Il sergente Loiacono covava un forte desiderio di vendetta.

    I suoi pensieri si interruppero quando raggiunse la capanna. Era di forma circolare, come gli altri edifici del villaggio. Le pareti erano state costruite piantando nel terreno una serie di pali ben ravvicinati tra di loro. Il tetto conico era ricoperto di fango e paglia. La porta era aperta.

    Ok ragazzi, entro io per primo annunciò ai suoi uomini.

    L’interno dell’edificio era piuttosto povero. C’erano tre logore brande disposte una accanto all’altra. Sotto di esse si trovavano alcuni oggetti di uso comune come pentole e altre stoviglie. In un angolo, sul pavimento in terra battuta, c’era un fornello utilizzato per cucinare. Al centro della capanna era piantato un palo. Arrivava fino al tetto, terminando con alcune diramazioni che sostenevano lo stesso. Il palo veniva anche sfruttato per appendervi dei vestiti. Seduta su una sedia c’era una giovane donna che stava pestando qualcosa in un piccolo mortaio di pietra. Indossava una veste variopinta che le arrivava fino alle caviglie e i capelli erano raccolti in un velo azzurro. Loiacono stimò che avesse poco più di vent’anni. Si sentì eccitato, come dimostrò un movimento all’interno dei suoi pantaloni.

    Hello, we have to search the house. We have permission from the village chief informò parlando nell’inglese elementare che aveva imparato a scuola.

    La donna lo fissò per alcuni istanti senza rispondere. Loiacono pensò che forse non conosceva l’inglese. Nei villaggi si parlavano in prevalenza vari dialetti locali. La osservò meglio, constatando che era davvero bella. Si ritrovò a immaginare il suo corpo sotto la veste e provò un forte impulso di possederla. Alla fine la donna scrollò le spalle e con un gesto invitò i soldati a perquisire la casa.

    Loiacono si riscosse dai suoi pensieri impuri.

    Pagano e Visentin, perquisite la casa ordinò ai suoi sottoposti.

    I militari si misero subito all’opera mentre la donna ricominciò incurante a pestare con il mortaio. Andrea Visentin tirò fuori da una tasca un pacchetto di sigarette e ne infilò una in bocca. La accese senza curarsi di chiedere il permesso alla proprietaria.

    Sergente, ne vuole una?

    Ma sì, dammela.

    Visentin offrì una sigaretta al suo superiore e gliela accese. Ripose il pacchetto nella tasca accanto a una fotografia che lo ritraeva in divisa davanti a un mezzo militare.

    Mentre la perquisizione era in corso, Loiacono rimase a osservare la donna, affascinato. Nuvole di fumo uscivano a intermittenza dalla sua bocca. Il movimento all’interno dei suoi pantaloni era diventato un’erezione in piena regola. I due soldati terminarono l’operazione in fretta, essendo la casa molto piccola e con poche suppellettili.

    Sergente, guardi cosa ho trovato esclamò Visentin reggendo tra le mani una scatola di metallo che aveva trovato sotto il letto. Loiacono si avvicinò e ne esaminò il contenuto. Tra vari oggetti di poco valore c’era mezza dozzina di cartucce per un fucile a pompa. Ne afferrò una tra il pollice e l’indice della mano destra.

    What is this? chiese agitando la cartuccia davanti agli occhi della donna.

    They were my husband.

    Ah, erano di tuo marito. E dov’è ora? Where is your husband?

    He’s dead four day ago.

    Avete capito ragazzi? Il marito è morto quattro giorni fa.

    Proprio il due luglio. Che coincidenza! affermò il caporale Savino Serio, accarezzandosi il pizzetto sudato.

    Magari è uno dei bastardi che hanno attaccato i nostri a Mogadiscio. Dove è il fucile? Where is the rifle? domandò urlando Loiacono.

    I don’t know! rispose la donna alzandosi dalla sedia.

    Ah, non lo sai? Adesso ti faccio vedere io.

    Il sergente gettò la sigaretta a terra e afferrò la donna per un braccio attirandola a sé, tappandole la bocca con una mano per non farla urlare. La trascinò verso la brandina e la buttò sopra continuando a premere la sua mano sulle labbra.

    Sergente, cosa sta facendo? chiese il soldato Samuel Pagano.

    Adesso lo vedi che faccio. Vieni a darmi una mano per tenerla ferma.

    Pagano aveva intuito cosa volesse fare il sergente, anche se non voleva crederci.

    No sergente, non voglio.

    Tu che cosa?

    Lasci stare quella donna. Non ha fatto niente protestò Pagano.

    Io e te facciamo i conti dopo. Serio e Visentin, aiutatemi a far stare ferma questa stronza. I soldati obbedirono contribuendo a immobilizzare la donna che scalciava nel tentativo di liberarsi.

    Loiacono aprì la patta dei pantaloni e tirò fuori il membro totalmente eretto. Pagano si avvicinò verso il sergente per farlo desistere dai suoi propositi. Loiacono estrasse prontamente il suo coltello da combattimento e lo puntò verso il soldato.

    Non metterti in mezzo, Pagano, o sarà peggio per te.

    Sergente ma che cazzo sta facendo?

    Do a questa stronza una lezione.

    Ma non ha fatto niente!

    Forse sì, o forse no. In ogni caso voglio divertirmi un po’.

    Io vado dal tenente Greco. La farà sbattere al carcere militare.

    Loiacono lanciò uno sguardo malvagio a Pagano.

    Prova a fare la spia e ti giuro che sarà l’ultima cosa che farai nella tua vita.

    Mi sta minacciando, sergente?

    Prendila come vuoi ma ricorda bene che sotto la naja gli incidenti possono capitare. E ora via dai coglioni! Vai fuori dalla capanna e avvisaci se arriva qualcuno. Ascioti, accompagnalo.

    Il soldato Gaetano Ascioti scortò il compagno fuori dalla capanna. Pagano, incapace di opporsi, lo seguì docile. Poi Ascioti tornò all’interno.

    E ora a noi, signorina esclamò Loiacono con un sogghigno.

    Sergente, non sarà malata questa qua? chiese Visentin.

    Secondo me non è malata, ma forse è sporca. Ho con me la soluzione. Recuperò da una tasca del gilet tattico una piccola fiaschetta di metallo contenente del liquore. Svitò il tappo e ne diede una sorsata.

    Adesso procediamo a igienizzare. Sollevò la veste della donna fino al seno, piccolo e sodo. Non portava biancheria intima. Versò il contenuto della fiaschetta sul sesso ricoperto da una folta selva di peli neri. La donna sussultò al contatto del liquido sulla pelle. Il sergente le inserì brutalmente due dita nella vagina spingendo avanti e indietro diverse volte. La vittima iniziò ad agitarsi ancora di più. Visentin si risistemò sul naso gli occhiali da vista. Senza che se ne accorgesse, il pacchetto di sigarette scivolò fuori dalla tasca del gilet tattico, cadendo sotto la brandina.

    È una belva, la signorina! commentò il caporale Serio.

    Ascioti, aiutaci anche tu a tenerla ferma chiese Visentin.

    Il soldato, originario della Calabria, si avvicinò per dare il suo contributo allo stupro. Già che c’era, prese tra le mani uno dei seni della donna stringendolo con avidità.

    Loiacono era pronto. Ritrasse le dita e le sostituì con il suo membro. Iniziò a muovere il bacino in preda a una forte eccitazione.

    Fuori dalla capanna, Samuel Pagano si sentiva impotente. La perquisizione del villaggio stava procedendo senza intoppi. Lottò contro l’impulso di correre dal tenente Greco per fermare quell’abominio. Era sicuro che l’ufficiale avrebbe preso dei provvedimenti esemplari contro i suoi commilitoni. D’altra parte, aveva paura. Il sergente Loiacono aveva creato una piccola cricca di personaggi poco raccomandabili a lui devoti. Anche se fosse finito in carcere, ci sarebbe di sicuro stato qualcuno dei suoi seguaci pronto a vendicarlo. Avrebbero potuto uccidere Pagano e fare passare la cosa come un incidente. Meglio non rischiare. Tuttavia decise che una cosa poteva farla. Tirò fuori una macchina fotografica usa e getta e, senza farsi vedere, scattò alcune foto senza utilizzare il flash. Nessuno se ne accorse. Pochi attimi dopo il sergente esplose dentro la giovane somala. Assaporò per un po’ il momento, prima di ritrarre il membro per farlo tornare al suo posto.

    Sergente, già che ci siamo voglio darle un colpetto anche io chiese Serio.

    Prego, accomodati rispose Loiacono abbottonandosi i pantaloni.

    Il caporale lasciò la presa della giovane somala, che ormai aveva accettato la sua sorte con rassegnazione.

    Compagni in avvicinamento! annunciò Pagano.

    Merda! Proprio adesso! esclamò Serio, col membro in mano e pronto a penetrare la donna.

    Ragazzi, usciamo da qui! ordinò Loiacono. Recuperò le cartucce di fucile dalla scatola e le infilò in una delle sue tasche.

    Ufficialmente non abbiamo trovato nulla in questa capanna. Intesi?

    I soldati risposero in modo affermativo. Al sergente rimaneva un’ultima cosa da fare. Estrasse di nuovo il coltello da combattimento e si avvicinò alla donna, ancora sdraiata sul letto. Si chinò su di lei e le puntò il coltello alla gola senza che lei mostrasse alcuna reazione.

    Don’t tell anything or I will come back to kill you.

    La donna non rispose, limitandosi a fissarlo con gli occhi colmi di lacrime e rabbia.

    I will kill you. Ti ammazzo se racconti qualcosa, brutta troia! Do you understand? chiese ancora Loiacono alzando la voce.

    Yes sussurrò la vittima.

    Well. Remember it. Ricordatelo bene.

    Il sergente si alzò e uscì dalla capanna. Passando davanti a Pagano, gli diede un buffetto sulla guancia.

    Bravo, Pagano. Hai preso la decisione giusta.

    Il soldato non seppe cosa rispondere.

    Ok ragazzi, torniamo dal tenente. Qua abbiamo finito.

    CAPITOLO 1

    VERONA, 22 APRILE 2018

    Come ogni sera, inserì il pesante lucchetto dorato facendolo passare tra due anelli della spessa catena di metallo. La serratura scattò con un secco schiocco. Diede un leggero strattone per un’ulteriore verifica dell’effettiva chiusura del lucchetto. Tutto bene.

    Andrea Visentin infilò un mazzo di chiavi all’interno del suo marsupio, accanto a un sacchetto che conteneva l’incasso della giornata. Si avviò fischiettando verso casa, che distava appena mezzo chilometro. La sua lavanderia automatica aveva incassato bene anche quel giorno, così come era successo nelle ultime due settimane. La primavera era arrivata innalzando le temperature, la gente aveva iniziato a togliere i piumoni dai letti. Tuttavia, prima di riporli negli armadi, occorreva lavarli. Visentin, con la sua attività, consentiva alla gente di spendere la metà della cifra proposta nelle lavanderie tradizionali, garantendo lo stesso risultato.

    Recuperò dal marsupio un accendino e un pacchetto di sigarette. Con le labbra ne afferrò una e la sfilò dall’involucro. Ne scaldò la punta con l’accendino e aspirò la prima boccata. Ripensò allegro ai quasi trecento euro incassati nella giornata. Anche se la lavanderia aveva cinque lavatrici e quattro asciugatrici, in certi momenti la fila di persone era arrivata fuori dal negozio. Proprio quello di cui aveva bisogno, dopo un inverno un po’ fiacco. Con la lavanderia, infatti, c’erano periodi di alti e bassi. Nei cinque anni trascorsi dall’apertura non si era certo arricchito. Aveva tirato fuori giusto lo stipendio necessario a mantenere la sua famiglia. Nonostante i buoni incassi, erano troppi i soldi che uscivano dalle sue tasche. L’affitto del locale, materie prime, manutenzione delle macchine e soprattutto le tasse, tante tasse.

    Al termine del servizio militare Visentin era riuscito a farsi assumere in una fabbrica di mobili, la licenza media non poteva permettergli grosse aspirazioni. Si era sposato presto e sua moglie gli aveva dato tre figli. Con il suo stipendio e il lavoro part-time della consorte non c’erano mai stati grossi problemi. Una vita tranquilla, il mutuo da pagare, le vacanze ad agosto. Poi però era arrivata la maledetta crisi. La fabbrica in cui lavorava aveva galleggiato per qualche anno ma alla fine era stata costretta a chiudere. Si era ritrovato a trentotto anni senza uno stipendio e con una famiglia a cui badare. Il tentativo di trovare un altro impiego era stato infruttuoso. Quando il sussidio di disoccupazione era finito, aveva deciso che non poteva aspettare oltre. I soldi della liquidazione erano stati investiti nella lavanderia. Dopo i primi mesi di difficoltà la situazione era migliorata. Doveva ringraziare sua moglie per il sostegno che gli aveva dato, aiutandolo a non farsi prendere dallo sconforto nelle fasi iniziali, in cui gli incassi erano magri.

    Pensando alla moglie, si ricordò che doveva chiamarla per informarla del suo arrivo. Prese il suo smartphone e compose il numero della donna.

    Pronto?

    Ciao Chiara, ho chiuso adesso il negozio.

    Bene, allora comincio a mettere su l’acqua della pasta.

    Ok, dieci minuti e arrivo.

    Chiuse la chiamata e infilò il telefono nella tasca dei jeans. Essendo le dieci di sera il marciapiede era deserto, ad eccezione di un uomo di colore che gli stava venendo incontro parlando al telefono. Solitamente chiudeva alle 21.30 ma quella sera era arrivato all’ultimo momento un cliente che aveva chiesto di lavare un gioco di maglie da calcio. Odiava quelli che arrivavano all’ultimo minuto. Possibile che con tutta la giornata di tempo dovessero proprio presentarsi all’orario di chiusura? Non mostravano alcun rispetto. Ad ogni modo aveva acconsentito alla richiesta e aveva atteso pazientemente nel retro del negozio.

    Passò davanti a un furgone bianco parcheggiato accanto al marciapiede. L’uomo di colore si fermò a pochi passi da lui. Sfilò una sigaretta da dietro l’orecchio.

    Amico, hai da accendere? chiese.

    Visentin fu colto per un attimo alla sprovvista. Il suo primo pensiero fu quello di una rapina ma scartò subito l’idea. Il tizio non sembrava pericoloso. Aveva una corporatura esile e i capelli raccolti in treccine sottili.

    Certamente rispose Visentin aprendo il marsupio.

    L’uomo infilò la sigaretta in bocca e si sporse verso di lui. Visentin avvicinò la fiamma dell’accendino fino a quando lo sconosciuto non tirò una generosa boccata.

    Grazie disse con un ampio sorriso.

    Prego.

    All’improvviso il portellone del furgone fu aperto. Quattro braccia lo afferrarono tirandolo dentro. Visentin non ebbe neanche il tempo di gridare perché fu subito raggiunto da un pugno allo stomaco che gli mozzò il fiato. Immediatamente dopo qualcuno gli legò le braccia dietro la schiena. Gli occhiali gli vennero tolti e una benda nera fu sistemata sugli occhi. Sentì lo sportello richiudersi con un tonfo.

    L’uomo che gli aveva chiesto da accendere fece rapido il giro del furgone e si sistemò al posto di guida. Accese il motore e partì.

    Chi siete? Che volete da me? chiese Visentin, ritrovando un po’ di fiato.

    Nessuno rispose.

    Volete soldi? Nel marsupio ci sono trecento euro. Prendeteli ma lasciatemi andare.

    Un calcio in faccia fu l’unica risposta che ricevette. Visentin perse i sensi per il dolore.

    Aprì gli occhi ma intorno a lui tutto era scuro. Si sentiva confuso, non capiva cosa stesse succedendo. Provava un forte dolore al naso e sentiva qualcosa che gli appiccicava la faccia. Provò a toccarsi ma le braccia erano bloccate dietro la schiena. Ora cominciava a ricordare. Il tizio della sigaretta, il furgone parcheggiato, il calcio in faccia. Per quanto tempo era rimasto svenuto? Il furgone era ancora in movimento, all’interno non si sentiva nessun suono. Era rimasto solo? Provò a concentrarsi e gli parve di percepire il respiro di qualcuno. Fu tentato di chiedere ancora che cosa stesse succedendo ma rinunciò per non rischiare di essere percosso ancora. Decise di aspettare che il furgone si fosse fermato. Non dovette attendere per molto tempo. Il veicolo imboccò quella che a giudicare dagli scossoni sembrava una stradina sterrata. Dopo qualche minuto l’autista arrestò il furgone e spense il motore. Tutto si fece silenzioso, come se la cosa fosse stata studiata per aumentare il terrore. Se così fosse stato, stava funzionando alla grande. Visentin aveva il cuore che gli martellava il petto.

    Uno sportello fu aperto con un cigolio, qualcuno scese a terra. Rumore di passi intorno al furgone. Qualcuno aprì il portellone scorrevole. Visentin fu afferrato per le braccia e fatto alzare dal pavimento del veicolo.

    Che succede?

    Lo colpirono con violenza alle reni, lasciandolo ancora una volta senza fiato. Fu trascinato giù dal furgone e costretto a camminare. Un passo dopo l’altro, riuscì a riprendersi dal colpo subito. Sentiva scricchiolare della ghiaia sotto i piedi. Una porta fu aperta, si accorse di essere condotto in un edificio. A giudicare dall’eco dei passi, sembrava che fosse vuoto. Lo fecero svoltare a destra e lo fermarono strattonandolo come se fosse un animale da tiro. L’aria odorava di muffa. Ma cosa diavolo stava succedendo? Dove l’avevano portato?

    Sentì due mani dietro la sua testa. Pochi attimi e finalmente la benda gli fu tolta. Dovette sbattere le palpebre un paio di volte per mettere a fuoco la vista. Si trovava in una stanza vuota, ad eccezione di un vecchio tavolo in legno sotto il quale si trovava una scatola di cartone. Un lampada da campeggio posizionata in un angolo creava un alone di luce sufficiente a illuminare tutto l’ambiente. Visentin vide nella stanza tre uomini di colore: due di fianco a lui, mentre il terzo era seduto su una sedia, a due passi dal tavolo. Stava intagliando un oggetto di legno con un coltello, sembrava un elefantino. Aveva una corporatura molto esile ma sembrava in buona forma. I capelli ricci avevano un’attaccatura che iniziava a metà fronte. L’uomo soffiò sul manufatto e lo rigirò tra le mani, in apparenza soddisfatto del risultato. Si alzò in piedi e infilò l’oggetto nel taschino della camicia. Avanzò verso il nuovo arrivato con il coltello in mano. Si fermò a fissarlo, accarezzandosi un pizzetto ben curato. I suoi occhi erano grandi e inespressivi. Visentin provò un brivido di paura che gli percorse la schiena.

    Andrea Visentin esclamò.

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