Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Diario dall'Albania (1990)
Diario dall'Albania (1990)
Diario dall'Albania (1990)
E-book246 pagine3 ore

Diario dall'Albania (1990)

Valutazione: 5 su 5 stelle

5/5

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

E' la testimonianza del crollo di un regime assurdo, quello dell'Albania comunista, e del primo arrivo in Italia di profughi albanesi nel 1990: un pezzo di storia, raccontato da chi vi ha assistito dall'ambasciata italiana a Tirana, coinvolta direttamente negli eventi spesso drammatici di quell'anno.
LinguaItaliano
Data di uscita18 gen 2016
ISBN9788891143938
Diario dall'Albania (1990)

Correlato a Diario dall'Albania (1990)

Ebook correlati

Storia moderna per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Diario dall'Albania (1990)

Valutazione: 5 su 5 stelle
5/5

1 valutazione0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Diario dall'Albania (1990) - Annarosa Manetti

    633/1941.

    INTRODUZIONE

    Ignorati per decenni, gli albanesi si sono affacciati con prepotenza sulla scena italiana nel corso del 1991, quando a decine di migliaia si sono riversati sulle nostre coste alla ricerca di un futuro che non vedevano nel loro Paese, nonostante il tramonto di un regime che, dai primi anni del dopoguerra, aveva sottratto loro ogni speranza. Fu allora che l'opinione pubblica italiana si trovò messa in contatto con una realtà quasi sconosciuta, sebbene geograficamente vicina.

    Ben poco si sa degli avvenimenti che hanno preceduto il grande esodo dei nostri dirimpettai dell'Adriatico meridionale, della devastazione materiale e morale inflitta da un regime disumano e paranoico a un popolo che meritava sorte migliore e del travaglio con cui gli albanesi si sono finalmente liberati dalle loro catene.

    Questo diario, tenuto nell'ultimo anno del mio soggiorno in Albania come moglie del rappresentante diplomatico dell'Italia a Tirana dal gennaio 1988 al febbraio 1991, registra gli eventi grandi e piccoli, drammatici o insoliti, in cui mi sono trovata coinvolta, spesso direttamente.

    E' la testimonianza soprattutto delle sofferenze della gente comune e della fine di un sistema di governo assurdo. Vi emergono le storie di tanti drammi individuali, ma anche numerosi aspetti della difficile situazione in cui, come italiani, ci trovavamo a vivere ed a lavorare.

    1 gennaio 1990

    L'ultima dittatura comunista dell'Europa Orientale ha ormai ceduto: una settimana fa la Romania ha cacciato Ceausescu. E' stato emozionante ed eccitante (come alla caduta del muro di Berlino due mesi prima) seguire i fatti, attraverso la TV italiana e jugoslava, quasi minuto per minuto.

    Ora ci si domanda che cosa avverrà qui in Albania, rimasta l'unico Paese in Europa a regime stalinista. La situazione è un po' migliore che in Romania, ma la gente risente soprattutto dell'impossibilità di andare all'estero o anche soltanto di avere un qualsiasi contatto con chi sta fuori. Alla mancanza di molte altre cose e ad un tenore di vita di semi-povertà è abituata da sempre.

    Fra i giovani c'è però un certo fermento, indotto dal desiderio di maggiore libertà e di una vita più piacevole. Non hanno svaghi e, forse per questo, hanno fame di libri e di cultura, in una misura che non si riscontra assolutamente più tra i loro coetanei in Occidente. Peccato che la vita più facile e con più divertimenti porti con sé la noia e la mancanza di interessi e di ideali.

    In occasione della mostra del libro italiano scientifico e d'arte, tenutasi qui nei giorni scorsi, molti hanno scritto ingenui ed entusiastici apprezzamenti in italiano, lingua che alcuni studiavano solo da pochi mesi. E' commovente.

    Alcuni si rendono conto che fra poco, se le cose non cambieranno, l'Albania diventerà una specie di nazione-museo, immobile nel tempo, dove i turisti verranno a vedere come si viveva molti decenni fa.

    Disgraziatamente, quasi non esiste una classe di intellettuali che possa cercare di cambiare le cose. Il grosso della popolazione e' ancora molto arretrato ed e' costretto a spendere tutte le proprie energie solo per sopravvivere. Forse influiranno lentamente sulla mentalità della gente le televisioni straniere, che molti captano con antenne di fortuna, soprattutto lungo la costa, dove si ricevono più facilmente e dove la popolazione è nel complesso un po' più evoluta.

    Dal 1984 guardare le TV straniere non è più considerato un delitto contro lo Stato, anche se al malefico influsso di quella jugoslava si attribuiscono molti dei mali albanesi.

    15 gennaio 1990

    Siamo dovuti tornare di corsa a Tirana dalle nostre brevi vacanze a Roma, perché si sono diffuse voci di tentativi di rivolta popolare in Albania e soprattutto a Scutari, la città più cattolica e più influenzata da secolari contatti con l'estero.

    Nella capitale tutto sembra calmo e immutato, ma si ha la sensazione che a Scutari qualche fermento ci sia stato, seppure subito soffocato, in particolare fra gli studenti. E qualcosa continua a bollire, perché abbiamo ricevuto in ambasciata un paio di telefonate anonime in italiano, che preannunciavano disordini in piazza per il giorno dopo. Una successiva telefonata ha però disdetto la manifestazione. Nella centrale Piazza Skanderbeg, c'era comunque un gran dispiegamento di forze di polizia.

    22 febbraio 1990

    In tutto il mondo stanno cambiando tante situazioni ferme da decenni. Non solo l'Europa dell'Est e' in rapida evoluzione, anche se purtroppo in un inevitabile disordine, ma è caduta la dittatura di Pinochet in Cile e ora perfino l' apartheid in Sud-Africa sembra avviata a diventare una cosa del passato: Nelson Mandela è stato liberato dopo ventisette anni di prigione.

    Anche nell'America Centrale le cose stanno cambiando: il regime sandinista di Ortega è stato battuto nelle prime libere elezioni e ci si domanda ora se pure quello di Fidel Castro potrebbe cadere presto. Non è possibile che solo l’Albania rimanga immobile nel suo regime decennale.

    2 marzo 1990

    Finalmente c'è qualche speranza di risolvere il caso Popa entro un tempo ragionevole.

    I sei fratelli Popa sono rifugiati nella nostra ambasciata ormai da più di quattro anni, da quel 18 dicembre 1985 in cui elusero la sorveglianza delle guardie albanesi, gridando siamo turisti italiani, si precipitarono all'interno del parco e ottennero su due piedi dal predecessore di mio marito, l'ambasciatore Gentile, la promessa che sarebbe stata presa in considerazione la loro richiesta di asilo politico e che comunque non sarebbero stati riconsegnati alle autorità albanesi.

    Una promessa mantenuta nei giorni successivi, quando parecchie centinaia di agenti e militari armati circondarono il recinto dell'ambasciata, e nei mesi e negli anni che seguirono. Anni in cui la Sigurimi (la polizia segreta albanese) condusse, e conduce ancora, contro il personale dell'ambasciata stessa una guerra psicologica basata su intimidazioni e vessazioni di ogni genere miranti a convincerci che, nell'interesse della nostra stessa sicurezza, avremmo fatto bene a consegnare i rifugiati.

    Questi sono quattro sorelle (Ileana, Irene, Ermione e Zhaneta) e due fratelli (Achille e Nicola), fra i 62 e i 45 anni circa. La loro storia è penosa: perseguitati dal regime di Enver Hoxha, perché di famiglia borghese benestante e perché altri due fratelli erano riusciti a fuggire in America nei primi anni cinquanta, era stato impedito loro di studiare, di lavorare, se non come contadini, e di sposarsi. Avevano così trascorso diciotto anni internati in una località isolata, dove la madre era poi morta. Il padre, che aveva studiato a Napoli, dove aveva conosciuto la futura moglie italiana, era stato giustiziato subito dopo la guerra come collaboratore dell'Italia fascista.

    Finalmente, quattro anni fa, avevano ottenuto il permesso di recarsi a Tirana tutti insieme, per sottoporsi a una visita medica, e potuto così realizzare il loro piano di fuga.

    Da allora il regime albanese, furibondo per quella che considera un'intollerabile violazione della sua sovranità, non riuscendo a riprendersi i rifugiati, ha congelato quasi completamente i rapporti con l'Italia e impegna ogni giorno decine e decine di uomini per ‘fare la guerra’ all’ambasciata italiana: ogni macchina che esce dal nostro parcheggio viene perquisita, in teoria per impedirci di trasferire chissà dove i Popa nascosti nel bagagliaio o nel cofano, in pratica per spingerci all'esasperazione.

    Il parco che circonda gli uffici, la nostra residenza e il piccolo edificio, adibito a rifugio dei Popa, continua a essere sorvegliato da guardie armate, appostate anche sui balconi e alle finestre delle case vicine. A nessun albanese è consentito di entrare in ambasciata neanche nelle occasioni ufficiali, finché ci rimarrà la famiglia di rifugiati.

    Tutto il personale italiano e le famiglie vengono seguiti sempre e dovunque dalla polizia segreta, in macchina, in bicicletta o a piedi, a seconda del mezzo da noi impiegato. A volte il tallonamento è fastidioso e in alcuni casi addirittura pericoloso, per esempio quando le macchine della Sigurimi ci seguono a brevissima distanza. Altre volte, invece, si verificano situazioni quasi comiche, come quando gli agenti ci seguono a nuoto perfino nel mare antistante la piccola spiaggia di Durazzo riservata agli stranieri.

    Anche io e Giorgio siamo seguiti nei nostri viaggi e passeggiate (l'unico nostro privilegio è di non essere sottoposti a perquisizioni) e le guardie in servizio davanti alle altre ambasciate non ci permettono di entrarvi in macchina, quando facciamo visita ai nostri colleghi.

    La Sigurimi le pensa tutte e vuole così sventare un nostro ipotetico piano diabolico di disseminare i Popa presso varie ambasciate amiche e di creare quindi difficoltà nei rapporti tra l'Albania e altri paesi.

    Nel resistere alle pressioni intimidatorie degli albanesi non siamo molto aiutati da Roma, che ancora ai tempi dei nostri predecessori si è stancata di sentire le disavventure del personale e ha anche vietato a un certo punto di inviare proteste alle autorità locali. Per Giorgio è chiaro che alla Farnesina (sede del Ministero degli Esteri a Roma) soprattutto non vogliono grane e che il Ministro Andreotti non ha la minima intenzione di cominciare un braccio di ferro con Tirana, per esigere il rispetto delle convenzioni diplomatiche. Anzi, alcuni funzionari hanno fatto capire che il Ministro sarebbe propenso a consegnare i Popa alle autorità albanesi - previe garanzie di ‘buon trattamento’, alle quali non vedo come si possa credere - purché l’insieme della diplomazia italiana sia d’accordo su questa scelta, cosa che non è.

    Ma quello che dà più fastidio a Giorgio, e un po' lo umilia, è che vari suoi colleghi di altri paesi si meravigliano che da parte nostra non si reagisca alla sistematica violazione da parte albanese delle immunità diplomatiche. Gli fanno anche capire che i loro governi non tollererebbero una situazione simile.

    Tornando ai Popa, bisogna dire che comunque non sarebbe facile convincerli a rientrare sotto le grinfie del governo albanese. Già all'inizio del 1988 erano venuti a Tirana tre senatori italiani per esercitare opera di convinzione su di loro, ma si erano scontrati con la fermissima opposizione dei sei fratelli, le cui urla rivolte ai nostri parlamentari si sentivano addirittura fino per strada.

    I Popa, per le circostanze drammatiche della loro vita e per natura, hanno caratteri tutt'altro che facili. Sembrano vittime complete solo le due donne più giovani, malaticce e schiacciate anche dal predominio psicologico delle sorelle maggiori. Sono quelle che fanno più pena, se si pensa che quando la loro famiglia ha cominciato ad essere perseguitata erano bambine di pochi anni. Gli altri quattro, e soprattutto Ileana e Irene, sono invece molto aggressivi. Del resto sembrano tutti malati di nervi, cosa comprensibilissima data la vita che hanno fatto e fanno tuttora.

    Vivono in due stanze e servizi in una dépendance annessa alla nostra residenza, ma si rifiutano di uscire nel parco se non per brevissime incombenze quotidiane, per paura delle guardie albanesi di servizio intorno al recinto. Ci hanno chiesto una scorta armata per accompagnarli in brevi passeggiate in giardino, cosa impossibile.

    I dipendenti dell'ambasciata fanno a turno per loro la spesa nello speciale negozio a disposizione dei diplomatici. Anche questo dà luogo a problemi, quando i sei sono di cattivo umore: ci accusano di dar loro cibo adatto solo per maiali o denunciano di essere vittime di tentativi di avvelenamento. In effetti almeno una volta la Sigurimi ci ha provato, iniettando qualcosa nella frutta che avevamo acquistato per loro.

    Ogni tanto proclamano uno ‘sciopero della fame’, in generale però quando hanno il loro frigorifero ben fornito o, come è successo a Natale, un armadio pieno di panettoni e di altri dolci, regalati loro da tutti noi. Spesso esagerano, ma non hanno tutti i torti quando si lamentano del cibo: purtroppo frutta e verdura, quando si trovano, sono spesso di pessima qualità, ma è quello che dobbiamo mangiare anche noi.

    Così si va avanti dal dicembre 1985. Da quando siamo arrivati qui, cioè dal gennaio 1988, vado ogni tanto a fare visita ai nostri ‘ospiti’. La conversazione - parlano quasi tutti bene l'italiano - riguarda però sempre e solo le storie, ripetute ossessivamente, delle persecuzioni da loro sofferte e i ricordi dei tempi belli della loro gioventù, quando le ragazze più grandi erano le più corteggiate di Durazzo. Mi hanno mostrato delle vecchie foto: erano davvero piuttosto carine. Poverette!

    3 marzo 1990

    La mia speranza in una soluzione non troppo lontana del caso Popa si basa sui piccoli cambiamenti che il regime sta introducendo nel Paese. Esso si rende conto che la caduta dei governi comunisti nell'Est europeo (anche se li considerava revisionisti e deviazionisti) lo lascia totalmente isolato e comincia adesso a cercare appoggi all'estero, senza però darlo troppo a vedere.

    La ‘perestrojka’ (trasformazione) di Gorbaciov è attaccata ogni giorno sulla stampa, ma qualche piccola riforma viene introdotta anche qui: è stato ammesso il diritto di avere la proprietà della propria casa, le cooperative agricole sono state autorizzate a vendere parte della loro produzione direttamente ai consumatori, i contadini possono ora disporre in proprio di alcuni (pochissimi in verità) capi di bestiame, ecc.

    Nei negozi si vedono alcuni prodotti stranieri, prevalentemente importati dall'Europa orientale, ma a prezzi altissimi in rapporto agli stipendi albanesi. Si tratta soprattutto di detersivi e di qualche cosmetico. Sembra che si faccia uno sforzo per migliorare il tenore di vita della gente, ma è ancora minimo e non mi pare che incida molto sulla vita quotidiana.

    L'Albania avrebbe bisogno dell'appoggio italiano per avvicinarsi alla CEE e ad altre organizzazioni internazionali. Per fine aprile ha poi invitato in visita ufficiale il Segretario Generale dell'ONU Perez de Cuellar e certamente vorrà convincerlo che i diritti umani in questo Paese sono rispettati. Possibile che neanche ora si possano compiere progressi nella soluzione del nostro caso?

    4 marzo 1990

    Dobbiamo continuare nel frattempo a tenere buoni i nostri rifugiati, che diventano sempre più intrattabili. L'altro giorno Irene è uscita improvvisamente nel parco e si è avventata sulla nostra cuoca albanese, che era sulla porta di casa nostra, vomitandole contro ingiurie e minacce. E' intervenuto un usciere e l'ha fatta rientrare, ma quando sono poi andata dai Popa ad informarmi del perché dell'accaduto ed a insistere che scene simili non si ripetano, ho trovato Irene (e in parte anche Ileana) in condizioni di nervi terribili. Sembra ormai una pazza. Ha investito anche me di urli e di accuse: che non li difendiamo dagli insulti e dalle provocazioni degli albanesi e che anzi il tutto avviene per ordine nostro.

    Non era possibile discuterci né avere spiegazioni coerenti: le presunte offese sembravano veramente sciocchezze (passando davanti alle finestre dei Popa, la cuoca aveva preso in giro Irene, perché si era tinti i capelli), ma con la mania di persecuzione che affligge i sei, diventavano sintomo di un complotto contro di loro. Il tutto apparentemente basato su una mentalità paesana, che dà enorme importanza al pettegolezzo sulla moralità delle donne. I poveretti sembrano credere davvero che simili pettegolezzi potrebbero nuocere loro presso l'opinione pubblica italiana! Vivono in un mondo psicologico paradossale e temo che avranno gravi difficoltà di adattamento, se mai riusciranno un giorno a trasferirsi in Occidente.

    A questo proposito i sei rifugiati, delusi da noi, sperano ora sull'aiuto dei francesi o dei greci. Sostengono seriamente di avere dei ‘rapporti’ con quelle ambasciate (si tratterà al massimo di segni fatti dalla finestra al nostro dirimpettaio francese) non sapendo che in diverse occasioni almeno due persone rifugiatesi in questi ultimi anni nell'ambasciata francese sono state cacciate via e con questo sicuramente condannate a fare una brutta fine. Lo stesso è successo all'ambasciata jugoslava.

    Nicola ha cercato di calmare la sorella, che straparlava minacciando la nostra cuoca di morte e dicendo anche a me di andarmene, perché quello era ‘territorio americano’! (questo perché l'ambasciata italiana è installata nella vecchia sede della Legazione degli Stati Uniti). Anch'egli si è messo a urlare, rivolto alla sorella esagitata, mentre Zhaneta, la più giovane e malaticcia, seduta in un canto guardava in silenzio la scena, con aria apatica. Nell'impossibilità di ragionare con loro me ne sono andata.

    Più tardi, in un momento di minore tensione, Giorgio è andato lui dai Popa per presentare loro un documento contenente l'impegno delle autorità albanesi a non catturarli, se fossero usciti dall'ambasciata e andati all'ufficio competente per richiedere il passaporto. Come temevamo, i sei non hanno voluto né leggere né tanto meno accettare il documento, ribadendo di non voler avere niente a che fare col regime, che sicuramente aveva escogitato un trucco per riaverli in mano. Ormai, del resto, rifiutano tutto: non vogliono vedere il medico, già venuto due volte apposta dall'Italia, pur affermando di essere in fin di vita per vari motivi; non vogliono svaghi di alcun genere, che si tratti di giornali, di videocassette o di altro, sostenendo che con questi mezzi vogliamo blandirli per trattenerli più a lungo.

    Come sarà la prossima puntata?

    8 marzo 1990

    Un paio di giorni fa è penetrato nell'ambasciata greca un giovane albanese, appartenente alla minoranza etnica greca. Ha chiesto asilo politico, rifiutando di incontrare i

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1