Breve racconto del Risorgimento
Di Bruno Etzi
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Anteprima del libro
Breve racconto del Risorgimento - Bruno Etzi
Bibliografia
Introduzione
Alain Elkann: Quale domani per l’Italia secondo lei, Montanelli?
Indro Montanelli: Debbo proprio dirglielo? Per l’Italia nessuno. Perché un paese che ignora il proprio ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere un domani.
Questo studio ha lo scopo di semplificare una vicenda molto complessa, quella dell’unificazione italiana. Semplificare non vuol dire però banalizzare, ma mirare alla sostanza lasciando perdere i fronzoli e gli artificiosi grovigli. Ha l’ambizione insomma di cercare una risposta sobria a una domanda precisa: come è avvenuta l’unità d’Italia? Le pagine che seguono vogliono dunque essere utili a chi non ha né il tempo, né la pazienza per avventurarsi in libroni straripanti di pagine zeppe di informazioni, e però non si accontenta delle scheletriche sintesi contenute nei manuali per il liceo.
È difficile stabilire con certezza una data d’inizio del Risorgimento. Per comodità, seguirò la periodizzazione più ricorrente, che lo fa iniziare nel 1815 al termine del Congresso di Vienna, e lo fa terminare nel 1870 con la presa di Roma.
Questo Breve racconto del Risorgimento rifugge sia dalle versioni edulcorate e celebrative che incontriamo, anche se con toni decisamente meno enfatici di un tempo, in alcuni manuali liceali, sia dal revisionismo della pura denigrazione che oggi vende molto bene. Vuol essere un giusto mezzo tra due opposti vizi. L’unificazione italiana non fu certo l’opera di eroi senza macchia, e qui lo si dice con chiarezza; ma non fu neanche un progetto criminoso, come un certo revisionismo d’accatto, spesso professato da studiosi politicamente e ideologicamente schierati, vorrebbe darci a bere.
Ogni nazione ha i suoi miti fondatori, ma quello del Risorgimento è sempre stato problematico, e oggi lo è particolarmente. Il movimento risorgimentale fu condiviso dalla maggioranza degli italiani oppure fu il frutto delle mene di una minoranza? Possiamo considerare l’unità d’Italia come un’autentica rivoluzione? Unire gli stati preunitari è stato un bene e, se lo è stato, sino a che punto? Il sentimento di unità nazionale è profondo o superficiale? A queste domande si può provare a rispondere solo dopo aver studiato la genesi dell’Italia, pur consapevoli che la storia non è una scienza esatta e che ogni risposta si espone a critiche e, frequentemente, a revisioni.
Ogni storia assomiglia a un labirinto in cui ci si può perdere. Questo breve saggio non è che una base di partenza, un semplice e sottile filo di Arianna per iniziare ad orientarsi.
Bruno Etzi, 13 settembre 2013
Capitolo 1
Il progetto di unificazione
Il Risorgimento fu un’idea diffusa essenzialmente dai romanzieri che, assumendo l’esistenza di una lingua letteraria comune alla nostra penisola come segno indubitabile dell’esistenza della nazione italiana, diedero vita a un’autentica fede religiosa verso la patria. In verità, nel periodo risorgimentale, meno del 10% degli italiani
parlava la lingua italiana. La nazione era un’assoluta novità.
Sezione 1
Cos’è il Risorgimento?
Genesi del Risorgimento
La sera del 19 settembre 1870 il papa Pio IX, ormai quasi settantanovenne, si era recato alla Scala Santa presso la Basilica di San Giovanni in Laterano e aveva risalito in ginocchio tutti i 28 gradini. Sapeva benissimo che solo un intervento divino avrebbe potuto impedire la fine del suo Regno millenario. La città era circondata da decine di migliaia di soldati dell’esercito italiano equipaggiati con un centinaio di cannoni.
L’ultimo atto del Risorgimento stava per compiersi e sul vecchio mondo stava per calare il sipario. Roma sarebbe stata la capitale di un giovane e grande stato. Si profilava un nuovo inizio, gravido di speranze.
Ma come era stato possibile un simile risultato?
Fu Vittorio Alfieri, nel Misogallo, a parlare per primo di Risorgimento nel senso in cui lo intendiamo oggi, quando descrisse l’Italia come «inerme, divisa, avvilita, non libera, impotente». Il termine, a partire dagli anni ’20 del secolo XIX, iniziò a penetrare direttamente nella lingua del tempo poiché rievocava un senso di sacralità e collegava, più o meno coscientemente, la resurrezione della nazione a quella promessa dalla religione cattolica, condivisa dalla quasi totalità degli italiani di allora. Secondo i patrioti del tempo anche la nazione italiana, come Lazzaro di Betania, sarebbe fulgidamente risorta.
Parlare di Risorgimento, tuttavia, non sembra adeguato a descrivere la vicenda dell’unificazione, poiché per risorgere
bisogna essere già esistiti. La nazione italiana era infatti un’autentica novità.
Qual è l’origine del nome Italia
?
Anche il nome Italia, come tutto ciò che appartiene al nostro mondo caduco, ha una sua origine sulla quale gli studiosi sono tuttora discordi. I Greci dell’età arcaica chiamavano Esperia o Enotria la penisola italiana. Secondo una tesi antica, a cui si sono ricollegati anche gli autori risorgimentali, come ad esempio Vincenzo Gioberti, il nome Italia deriverebbe dal greco Italos, che significa toro. I greci chiamavano Italioi i Vituli, un popolo che abitava nell’attuale Calabria e che adoravano il simulacro di un vitello. Il nome indicava dunque gli abitanti della terra dei vitelli.
Secondo un’altra ipotesi deriverebbe da Aithale, l’antico nome greco dell’isola d’Elba. Aithale significa fumosa
e avrebbe indicato l’esistenza di fornaci per la fusione dei metalli¹.
L’invenzione della nazione italiana
Agli albori della letteratura italiana troviamo di rado la parola italiani. Dante Alighieri nella Commedia parla qualche volta di Italia ma mai di italiani. Giovanni Boccaccio nel Decameron (seconda giornata, novella nona) narra di alcuni mercanti italiani che s’incontrano a Parigi. Questo suggerisce che se gli italiani
erano divisi in Patria (dove nessuno si definiva italiano), all’estero tendevano a scoprire un tenue fondo comune di appartenenza.
Agli inizi del ’500, Niccolò Machiavelli fu il primo a lamentare la divisione e la debolezza politica dell’Italia. Per evitare che la penisola cadesse preda della brama di conquista dello straniero, egli invocava un principe capace di unificare politicamente la penisola.
Nel periodo illuminista, lo storico napoletano Pietro Giannone vide nel papa un formidabile ostacolo sulle vie del cambiamento e «denunciò quella che considerava un’eccessiva ingerenza della Chiesa nella politica» e Antonio Genovesi, professore di economia politica a Napoli, riconobbe nella frammentazione politica «un ostacolo al progresso economico italiano»². L’idea di unificare l’Italia però non venne in mente a nessun illuminista.
Un’influenza decisiva sulla nascita dell’idea di unità la ebbero le occupazioni napoleoniche. L’arrivo dei francesi in Italia aveva aperto le porte a nuove idee: l’uguaglianza tra gli uomini, la libertà di pensiero, la partecipazione al dibattito politico e alla vita pubblica. Fu Napoleone a distruggere ciò che restava del sistema feudale e a portare in Italia lo spirito della rivoluzione francese. Egli creò prima una Repubblica Italiana e poi un Regno dell’Italia settentrionale che, in seguito, avrebbe funzionato da esempio per i progetti cavouriani di allargamento del Regno di Sardegna. Napoleone, inoltre, all’apogeo del suo dominio, decretò la fine del potere temporale dei papi e cancellò lo Stato della Chiesa (1809) creando un precedente che avrebbe agevolato l’occupazione di Roma del 1870.³
Quando durante la rivoluzione francese venne affrontato il problema della sovranità,